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Voci e volti della nonviolenza. 239
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 239
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 1 Oct 2008 11:27:01 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 239 del primo ottobre 2008 In questo numero: 1. Verso il 2 ottobre, Giornata internazionale della nonviolenza 2. Carla Biavati: Reti e azioni nonviolente locali e globali 3. Alessio Di Florio: Con la forza della nonviolenza 4. Antonino Drago: Un programma politico per una societa' nonviolenta 5. Verdiana Grossi: La sola vera alternativa alle guerre 6. Annamaria Rivera: Dialogo fra un anarchico e una gattara 7. Raffaello Saffioti: In cammino con Danilo Dolci 1. EDITORIALE. VERSO IL 2 OTTOBRE, GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA NONVIOLENZA Dallo scorso anno l'assemblea generale dell'Onu ha dichiarato "Giornata internazionale della nonviolenza" il 2 ottobre, anniversario della nascita di Gandhi. In questa occasione si svolgeranno molte iniziative anche in varie citta' italiane. Ovunque possibile si promuovano incontri, e particolarmente nelle scuole. 2. VERSO IL 2 OTTOBRE. CARLA BIAVATI: RETI E AZIONI NONVIOLENTE LOCALI E GLOBALI [Ringraziamo Carla Biavati (per contatti: carlabiavati at interfree.it) per averci messo a disposizione questo suo intervento dal titolo "La riscossa civica" preparato per un'iniziativa locale per il mese della pace, sul tema dell'impegno civico e con l'indicazione di alcuni punti per un programma costruttivo] Quando devo parlare dell'impegno sociale dei giovani di tutto il mondo, le prime immagini che mi vengono alla mente sono quelle di gruppi di ragazze e ragazzi infangati e infagottati in eskimo e stivali di gomma che scavano all'interno di antiche stanze di irriconoscibili musei a Firenze, subito dopo l'alluvione. Ed e' emblematico del mio immaginario, che prima di tutte le immagini e le indimenticabili processioni di visi amici incontrate negli anni nelle zone di conflitto in cui siamo intervenuti, prima mi appaiano quelle di Firenze dove io - troppo piccola - non ho potuto essere. Ma e' su quelle fotografie di una alluvione devastante, che si e' formato il mio desiderio di partecipare. Vedere giovani di tutto il mondo chini su antichi libri che con gesti accurati e sensibili raccoglievano e catalogavano e ripulivano quelle pagine per loro e per me e per tutti cosi' preziose, mi faceva invidiare il loro compito, il loro impegno. Da allora, dopo almeno 25 anni di presenza in luoghi di conflitto, mi chiedo come sarebbe stata la mia vita se non avessi ricevuto un imput cosi' forte da quella visione, ripetuta su tutti i media nazionali, di carovane di giovani arrivate a Firenze per aiutare i cittadini a recuperare dal fango il loro tesoro culturale, memoria dell'intera umanita'. Oggi mi pongo il problema del messaggio che altrettanti giovani ricevono dai media, dalle nuove tecnologie e dalla pubblicita' sempre piu' aggressiva. Cosa rimane del messaggio di cittadinanza responsabile e di impegno civico che ho ricevuto cosi' forte e chiaro trent'anni or sono? Quali sono oggi i messaggi che vengono forniti ai giovani per stimolarne l'impegno nella societa'? * Prima di rispondere cerchero' di osservare la situazione generale del nostro paese dal punto di vista dell'attivismo civico per poi tentare di fare ipotesi sulle tendenze e gli sviluppi dell'impegno dei giovani. Quando leggiamo i dati statistici sulla composizione sociale ed economica delle famiglie italiane, scopriamo che nel nostro "Bel Paese" poverta' e diseguaglianza sono sempre molto alte e che l'Italia si colloca insieme a Portogallo, Spagna, Irlanda e Grecia, nel gruppo dei paesi con piu' alta diseguaglianza interna. Questi dati testimoniano come la forbice tra ricchezza e poverta' vada via via aumentando anche in Italia come nel nord e nel sud del mondo. Inoltre i dati indicano che se nel 1990 c'erano nel mondo 1.250 milioni di persone in condizioni di poverta' estrema, nel 2005 sono ancora 980 milioni, e sembrerebbe confortante se non vedessimo che allo stesso tempo il consumo dei piu' poveri e' crollato dal 4,6 al 3,9% del totale dei consumi. La poverta' stagnante nel sud del mondo e la crescente poverta' nei paesi occidentali palesano una condizione allarmante di urgenza planetaria a cui pero' i giovani cittadini italiani dimostrano sorprendentemente di saper rispondere con grandi numeri di partecipazione. Anche se le le condizioni di grave stagnazione economica nel nostro paese fanno ricorrere ampiamente alla delega in favore delle istituzioni e ancor piu' delle ong che continuano a godere di una grande credibilita' e fiducia presso l'opinione pubblica giovanile italiana, i giovani, o meglio le loro associazioni responsabili e impegnate nell'aiuto nazionale e internazionale, rivolgono una pressante richiesta alle istituzioni pubbliche italiane, e principalmente al governo, per un impegno piu' deciso nella solidarieta' verso le poverta' nel mondo, attraverso un incremento dei fondi destinati alla cooperazione e allo sviluppo, da veicolarsi tramite le agenzie delle Nazioni Unite ed i progetti promossi dalle ong, ma unitamente chiedono anche una revisione dei parametri di accreditamento e del concetto stesso di cooperazione internazionale (come emerso dai documenti espressi negli Stati generali della cooperazione l'ottobre scorso a Roma che pero' pur se recepiti dai ministri preposti rimangono ad oggi inattuati). Inoltre si conferma da parte dei giovani piu' impegnati nel dialogo con le istituzioni una strategicita' a lungo termine, coerente con i fini delle nonviolenza, che chiede una riduzione delle spese per gli armamenti e per le politiche militari, a favore di quelle che vengono percepite come le grandi emergenze attuali: dalla fame nel mondo alle guerre dimenticate, dalla disoccupazione alla violenza urbana, dalla pace alla convivenza per tutti. Scopriamo cosi' che nonostante il progressivo impoverimento, i giovani italiani rispondono ancora con marcata partecipazione ad agire sostanzialmente per la strutturazione di interventi che aiutino a risolvere i conflitti e ad occuparsi dei civili. Di piu', parlando e contattando svariate organizzazioni in cui il personale e' composto in gran numero da giovani, ho trovato una diversa connotazione della "partecipazione". Infatti, per i problemi interni e locali ci si muove in modo ancora massicciamente volontario, per esempio il lavoro di attivissimi comitati regionali, contro sfruttamenti, discriminazioni e criminalita' e' percepito totalmente come dovere civile e quindi gratuito da parte dei giovani attivisti, mentre per i progetti di aiuto all'estero, si condiziona spesso l'intervento alla ricerca dei finanziamenti necessari. E la partecipazione e' tendenzialmente sempre piu' professionale. Ovviamente, la percezione del piu' alto rischio e di insormontabili difficolta' burocratiche nelle pratiche di accesso, in teatri di conflitto internazionali sempre piu' distanti dal luogo di origine dei volontari, ha bloccato di molto la massiccia partecipazione dei giovani a imprese di interposizione ed aiuto in paesi come l'Afghanistan, la Birmania, il Tibet, il sud del Sudan (Darfur), ecc.; a differenza degli interventi di massa attuati anni prima dai nostri gruppi in Bosnia, in Kossovo ed in Palestina e Israele. Ma non solo. Negli anni vi e' stata una costante ricerca di interventi sempre piu' mirati ed approfonditi, ed il tesoro di accadimenti e testimonianze scaturiti dalle nostre prime imprese si e' trasformato in una ricerca di approfondimento sulle ragioni dei conflitti e degli scenari mondiali complessi, che ha portato molti di noi a strutturare corsi di laurea, masters, training, summer schools e quant'altro per abilitare i giovani interessati ad intervenire in modo mirato ed esaustivo nello scacchiere dei conflitti sociali di questo secondo millennio. * A questo punto, pero', desidero ritornare all'immagine iniziale dell'intervento internazionale a Firenze per interrogarmi sulla capacita' di conservare il valore di quell'evento e sul permanere dello slancio solidaristico e gratuito di quei giorni nelle risposte dei giovani di oggi, che vivono in una civilta' commerciale dove il modello supremo sono i consumi e, soprattutto, il potere che hanno nel determinare la ricchezza e quindi il "valore" di ogni persona. Come aprire un dialogo sulla responsabilita' civile con le nuove generazioni? Esaminando nuovamente i dati, vediamo che per i problemi sociali interni, continua vivo il contributo volontario e che associazioni spontanee come per esempio "No pzzo" a Palermo nascono trasversali alla professione o al lavoro dei partecipanti e si irradiano capillarmente nel tessuto sociale di tutta la citta'. Mentre la partecipazione e' meno fisica e meno massiccia per i conflitti all'estero che vedono pero' una grande partecipazione dei giovani nella diffusione di notizie, appelli e report sul web. Oggi grazie anche alle reti, i giovani privilegiano il dialogo con le associazioni locali e un piu' approfondito contatto con le realta' civili organizzate che sostengono queste lotte interne per il cambiamento sociale. Inoltre informandosi ed informando scrupolosamente sulla storia e sugli eventi dei paesi in conflitto o con emergenti macroproblemi sociali, si creano nuove reti indipendenti di comunicazione globale. * Col richiamo alla riscossa civica, per esprimere il proprio impegno e le proprie convinzioni, che sono ancora vivi e presenti in questa societa', ed esaminando le esperienze fatte in alcuni paesi da me visitati (Balcani, Giordania, Palestina-Israele ecc..), dico che esiste una concreta globalizzazione delle strategie di risposta nonviolenta in molti paesi in conflitto e non, e anche se l'espressione della societa' civile e' meno veemente che negli anni '70 e '80 nei paesi cosiddetti occidentali, il registro cambia completamente quando si osserva l'impegno civile nei paesi asiatici, in Africa, nel Caucaso ed in Medioriente. I giovani attivisti di questi paesi sono (mediamente) molto informati sulle strategie nonviolente e chiamano a raccolta i giovani del resto del mondo su iniziative sempre piu' mirate e precise. Un esempio fra tutti e l'impegno in Palestina-Israele di movimenti locali nella "Grassroot nonviolent resistence" dove l'aiuto internazionale e' richiesto ed auspicato ma in riferimento ad una propria organizzazione e strategia concordata tramite un forum misto di associazioni israeliane e palestinesi e poi illustrata a quelle internazionali. Un ulteriore esempio sono le reti informatiche per l'approfondimento e la strutturazione di metodologie ed azioni dirette di nonviolenza attiva come "Lahonf" per il Medioriente, che e' attiva e promuove gia' da anni la settimana per la nonviolenza in Iraq, ed anche training tematici in Giordania, Kurdistan e Libano. E che adesso si allarga alla partecipazione delle associazioni di donne costruendo ponti e dialogo tra reti europee e reti mediorientali, per organizzare e favorire un importante incremento della presenza sociale femminile nelle strategie e nelle azioni per un cambiamento del ruolo delle donne nelle societa' in cui intervengono. * Per concludere con le attivissime reti di auto-aiuto sociale costruite dalle donne in Africa. (il movimento "Societe' civile" da noi incontrato nel nord Kivu in Congo). Dove il ruolo sociale femminile sta rivoluzionando le societa' interne e paradossalmente aiuta anche noi donne cosiddette emancipate a riscoprire i temi e i valori per cui le nostre nonne e madri hanno combattuto, e che sono stati (secondo me) troppo presto demonizzati o peggio ridicolizzati dalle nostre stesse culture impedendo alle ragazze di oggi di conservarne una corretta memoria storica ed un'esaustiva coscienza critica. Potrei continuare con un elenco lunghissimo di interventi e associazioni di tutto il mondo, mentre a me preme soltanto portare la testimonianza di queste miriadi di realta' locali che se valutate attentamente nel loro insieme divengono tendenze globali, capaci di cambiare da un piccolo punto di vista molto localizzato il carattere di interi continenti. * Infatti e' proprio su questa caratteristica di locale-globale che desidero porre le conclusioni di questo mio excursus. Per terminare con alcuni punti concreti e costruttivi indico: 1) La considerazione che tramite la costruzione di reti informatiche indipendenti, sempre piu' capaci di fornire dati organizzati e consultabili, insieme ad elenchi tematici e ricerche approfondite per paesi e situazioni sulle realta' del mondo si possa riuscire a collegare il locale con il globale. 2) La necessita' di veicolare le esperienze e la professionalita' acquisita negli anni dai volontari in ambiti accademici, scolastici e di dibattito pubblico, oltre che sul campo, attraverso un dialogo con le istituzioni, le fondazioni e i finanziamenti privati, per finalizzare i fondi raccolti alla realizzazione concreta di progetti sul campo. 3) La costruzione di un linguaggio e di strategie comuni di intervento che aiutino a creare una coesione reale tra le tantissime microrealta' associative, capaci di mobilitarle tutte e tutte insieme su di una lotta precisa, e cioe' di creare grandi spazi di mobilitazione generale sui temi piu' urgenti in cui e' necessario intervenire. 4) La necessita' ultima e' quella di traslare il dialogo tra persone in movimento e massa critica partendo proprio dai giovani a cui rivolgere in modo onesto e trasparente tutta la nostra capacita' ed esperienza, testimoniando il nostro percorso etico piu' radicato, in azioni traducibili e replicabili. 3. VERSO IL 2 OTTOBRE. ALESSIO DI FLORIO: CON LA FORZA DELLA NONVIOLENZA [Ringraziamo Alessio Di Florio (per contatti: ahimsashalom at yahoo.it) per questo intervento] La decisione delle Nazioni Unite, organismo internazionale ormai vittima di ambiguita' e di decisioni controverse ma pur sempre baluardo della legalita' internazionale, di dedicare una giornata alla nonviolenza, nell'anniversario della nascita del Mahatma e' un segno di speranza. La democrazia, il potere di tutti, la forza della Verita', stanno facendo breccia, per dirla con le parole di Alex Zanotelli, "nel cuore della Bestia". Tutti gli anniversari corrono il rischio di diventare vuoti cerimoniali retorici e autoreferenziali. L'irrompere dello spirito della nonviolenza, della persuasione e della Verita' puo' cambiare tutto. * La scorsa settimana una sentenza del Tar ha riportato all'ordine del giorno la questione del "Centro Oli", un impianto petrolifero dell'Eni dalla scarsa resa economica e dai devastanti e drammatici effetti sull'ambiente, sulla salute umana e su tutto l'Abruzzo. I cittadini, le associazioni e molte amministrazioni locali si sono sentiti dire che l'interesse all'estrazione dell'idrocarburo e' piu' importante di tutto e che loro non hanno diritto di tutelare la loro esistenza. Pochi giorni, in alcuni casi poche ore, sono bastati per far ripartire una resistenza popolare che ha gia' fatto nascere nuove iniziative. Il comitato Natura Verde, subito imitato dal Comune di Pescara, ha gia' avviato (imitando i No Tav della Val di Susa) la raccolta di fondi per acquisire alcuni terreni sui quali dovrebbe sorgere il Centro Oli. Non e' la prima volta che l'Abruzzo si ritrova davanti ad una situazione simile: diversi anni fa l'opposizione popolare riusci' a scongiurare la nascita di un polo chimico in una delle valli gia' piu' inquinate e devastate. Anche questa volta si cerchera' di resistere di fronte al saccheggio e alla devastazione dell'Eni. E' la nonviolenza, la forza immane della nonviolenza che sorregge la resistenza popolare. Senza alcun atto di sofferenza dell'altro, senza distruggere ma costruendo, i cittadini, le popolazioni si riappropriano del loro destino e del loro futuro. Nessuno escluso. Donne, uomini, anziani, chiunque diventa protagonista di un processo popolare che esalta la democrazia e ne rende possibile il compimento. Senza la nonviolenza non e' possibile, nel mondo devastato di oggi, alcuna democrazia. Davanti alla bruta prepotenza del piu' forte solo la forza della Verita' permette il ristabilirsi di giuste relazioni tra gli uomini. Relazioni stabilite sul principio che non esistono re e sudditi ma cittadini attivi, pronti ad assumersi le proprie responsabilita'. Si realizza il principio del "potere di tutti", l'omnicrazia tanto cara ad Aldo Capitini, pioniere e profeta laico della nonviolenza in Italia. * Aldo Capitini che parlo' di nonmenzogna, aderendo al principio della Verita' gandhiano, come presupposto della nonviolenza. Nonmenzogna che implica non soltanto il rifiutarsi di mentire ma anche l'impegno perche' la Verita' sia sempre ristabilita. La denuncia del falso e il ristabilimento della Verita', in ogni momento, deve essere quindi impegno quotidiano della persona amica della nonviolenza. In Italia oggi quasi nulla rappresenta la violenza strutturale e la menzogna sistematica come l'apparato mafioso. La mafia siciliana, la 'ndrangheta calabrese, le massonerie deviate, la Sacra Corona Unita, la camorra campana. Opprimono le popolazioni, soffocano la democrazia, devastano e saccheggiano, uccidono. Carlo Ruta, Marco Benanti, Pino Maniaci sono tre coraggiosi giovani siciliani. Tutti e tre hanno incarnato la speranza e la denuncia delle mafie e dei loro affari. La resistenza nonviolenta ha trovato nei loro scritti un impegno costante e appassionato. Hanno sofferto attentati, intimidazioni, omerta'. Ma non si sono mai arresi. Pino ha subito in piena piazza cittadina un pestaggio dal figlio di un boss e dai suoi amici, nell'indifferenza dei molti. La sua auto e' stata bruciata poco dopo. Marco Benanti e' stato licenziato. Carlo Ruta sta subendo una vera e propria persecuzione giudiziaria e sociale per aver denunciato i legami massonici che governano la citta' di Ragusa. La responsabilita' della nonviolenza e' collettiva, e' diritto di ognuno. La resistenza delle popolazioni locali contro le devastazioni delle multinazionali (in Abruzzo come a Viterbo, a Venaus come in Veneto), la denuncia delle mafie e dei loro apparati di violenza sono importanti passi verso la difesa della democrazia e della liberta', verso una societa' di liberi ed eguali. Profetiche le parole di Aldo Capitini, allorquando redasse la "Carta del Movimento Nonviolento". Il Movimento persegue "il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza" e "lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti". * Per informazioni sulle resistenze nonviolente citate nell'articolo: www.peacelink.it, www.unimondo.org, www.censurati.it, www.telejato.it, www.leinchieste.com, www.marelibero.net 4. VERSO IL 2 OTTOBRE. ANTONINO DRAGO: UN PROGRAMMA POLITICO PER UNA SOCIETA' NONVIOLENTA [Ringraziamo Antonino Drago (per contatti: drago at unina.it) per questo intervento] Questa celebrazione della nonviolenza avviene dopo un po' piu' di cent'anni dalla sua nascita. La celebrazione la trova che nella politica ha dimostrato tutta la propria forza rivoluzionaria: non solo Gandhi e la liberazione dell'India, ma poi le varie rivoluzioni prima del 1989, le liberazioni dei popoli del 1989 (che ancora passano ebetemente come un inspiegato crollo di un muro a Berlino; detto apposta per non dire nonviolenza!) e le tante rivoluzioni degli ultimi decenni che, per lo piu' nonviolentemente, hanno cambiato regime in almeno un terzo dei Paesi nel mondo: quest'ultima e' un'ondata di rivoluzioni piu' grande di quella delle rivoluzioni di liberazione coloniale, che pure gia' la nonviolenza degli indiani aveva iniziato contro il piu' grande impero coloniale della storia umana. La trova anche ben sviluppata teoricamente: dopo lo sviluppo formidabile di Lev Tolstoj, Mohandas Gandhi, Martin Luther King ed altri a livello soggettivo, ma allargato universalmente a tutti; lo sviluppo a livello oggettivo delle tecniche nonviolente, compiuto da tanti ma soprattutto da Gene Sharp; infine lo sviluppo a livello strutturale, iniziato da Capitini attraverso la riforma di religione, sviluppata da Lanza del Vasto fino ai concetti politici basilari (I quattro flagelli), e dettagliata da Galtung (distinzione tra nonviolenza diretta, strutturale e culturale; i quattro modelli di sviluppo; il conflitto come A-B-C). Cosicche' ora la nonviolenza e' una teoria politica completa (mio articolo su "Gandhi Marg", ott.-dic. 2007), l'unica ad essere rimasta nella crisi generale delle teorie politiche del liberismo e del socialismo (e marxismo). In effetti cosi' doveva essere: contro la superbia della cultura eurocentrica o comunque occidentale, l'alternativa alla civilta' occidentale doveva venire da fuori occidente, giustamente da una civilta' plurimillenaria come l'indiana, che a livello spirituale ha da insegnare a tutti. Con questa novita' della nonviolenza si e' iniziata una nuova civilta', non piu' occidentale, ma a livello mondiale, senza piu' un centro e la periferia, ma con una struttura policentrica e possibilmente autogestionaria. * L'ingresso di questa nonviolenza nella civilta' occidentale e' stato faticosissimo; Gandhi diceva che gli occidentali non sanno maneggiare la nonviolenza. E difatti, salvo pochissimi, gli occidentali l'hanno vista sulla base dei loro pregiudizi, accumulati con secoli della loro storia che secondo loro sarebbe stata decisiva per lo sviluppo futuro di tutta l'umanita': 1) secondo il vecchio pregiudizio (scientista, razionalista, positivista, liberista, marxista) che la religione sta per terminare storicamente: il distacco della nonviolenza dalla religione, come grande innovazione occidentale rispetto a Gandhi (cioe' nonviolenza "pragmatica" contro quella che viene detta malamente "di principio"); e cosi' ci si separa dal grande avvenimento di questo cinquantennio: il riavvicinamento delle religioni nel mondo e la loro collaborazione per risolvere i mali strutturali dell'umanita' (dalle dittature, dalla fame nel mondo, ecc.); 2) secondo il pregiudizio della politica occidentale (Parigi val bene una messa) la nonviolenza deve essere staccata dall'etica, che renderebbe l'azione politica e le decisioni politiche quasi impossibili, finendo per essere inefficaci. Ma dimenticando che Gandhi e' giustappunto l'anti-Machiavelli. Di fatto, nessun movimento nonviolento di questo tipo (vedi il Man in Francia) ha avuto rilevanza nella vita politica nazionale; mentre invece nel mondo i popoli hanno una domanda crescente di politica non corrotta e legata ad un'etica, fino alla politica dell'Onu per la pace (la quale e' un'esigenza etica, invece che di benessere). Ma nonostante tutto la base (grassroots), la barchetta della nonviolenza occidentale, ha costruito qualcosa: dalle comunita' gandhiane (Comunita' dell'Arca), all'obiezione di coscienza come alternativa alla struttura militare, al servizio civile come impegno sociale per un programma costruttivo nonviolento. Quest'ultima cosa e' avvenuta soprattutto in Italia, dove c'e' stato il maggior numero di maestri nonviolenti d'Occidente (Capitini, Lanza del Vasto, don Zeno, Dolci, La Pira, don Milani, don Tonino Bello, ecc.). E dove si e' giunti ad una conquista eccezionale: la prima istituzione nonviolenta: una legge che nomina per la prima volta la nonviolenza (legge 230/1998 sull'obiezione di coscienza e la Difesa popolare nonviolenta) e che viene confermata dalla legge 64/2001 (sul servizio civile volontario) in relazione a quanto la Corte Costituzionale ha stabilito con una decina di sentenze: in Italia la difesa non armata e' equivalente a quella armata! La prima istituzione nonviolenta si e' concretata con l'Ufficio nazionale per il servizio civile, quello che all'estero si cerca di ottenere con la campagna Ministry for Peace (o Department for Peace). * Ma dopo il periodo dei maestri della nonviolenza, in Italia ora ci sono al massimo gli operai della nonviolenza; che non hanno avuto una strategia di fronte a quello che finora non era mai avvenuto. Prima il potere ci ignorava, come inconcludenti ed utopisti; ma dopo il terremoto nonviolento del 1989 ci ha preso sul serio, al fine di bloccare la novita' politica nonviolenta che sarebbe stata troppo sconvolgente. Mentre gli Usa facevano subito una terza guerra mondiale (prima guerra con l'Iraq, con 900.000 uomini) e poi trovavano il nemico da combattere con le solite armi (fondamentalismo islamico), lo Stato italiano, che doveva applicare le precedenti leggi fatte da esso stesso, ha fatto finta di non conoscere una letteratura mondiale sulla Difesa popolare nonviolenta e, solo quando e' stato forzato dalle Regioni pena la perdita del servizio civile, si e' dato una mossa, ovviamente la minima: un Comitato solo consultivo (18 febbraio 2004); che pero' aveva dieci civili su sedici componenti e 400.000 euro da spendere in un anno. Ma allora le associazioni no-profit (a nome di quali partiti?) hanno preferito approfittare del servizio civile per una loro crescita nel terzo settore, piuittosto che mantenere la finalita' di legge della pace internazionale con mezzi nonviolenti. Finalita' che anzi e' stata di fatto cancellata dalla interpretazione deviante data in un apposito convegno del Comitato nel maggio 2005, che riduceva il servizio civile a semplice solidarieta' domestica. Siamo in tempi duri, le associazioni nonviolente sono sfrangiate, gli obiettivi politici non sono piu' chiari. Di fatto non c'e' stata reazione. Ora si ricomincia, proprio come Tantalo. Con un Comitato rinnovato, ma ad un mese dalle elezioni perse dal vecchio governo, a scadenza (dicembre 2008), senza piu' fondi per il servizio civile ordinario (caso strano?). Si ricomincia con l'Ipri-Ccp; che pero' non ha piu' la parola "nonviolenza" nelle sue sigle distintive (sostituita da "Civili" e "Pace"); che comunque e' riuscito ad ottenere un finanziamento dal Ministero degli esteri, ma nessun riconoscimento istituzionale, ne' attraverso una legge, ne' come ente accreditato presso il Ministero degli esteri, ne' come attivita' (solo formativa), ne' come intervento (formazione solo in Italia). Ora si ricomincia anche nei Paesi fuori dell'Italia, quelli che erano rimasti indietro e che ora potranno sorpassarci nel creare una prima istituzione nonviolenta operativa. * Concludo. La migliore celebrazione della nonviolenza oggi e' quella di prendere coscienza della nostra storia e mantenere gli impegni che ci vengono dai nostri maestri, con i quali avevamo gia' incominicato a dare una idea di come e' da cambiare la societa' italiana; senza piu' attardarci su varianti e diminuzioni della nonviolenza, a giustificazione della nostra dipendenza da questa civilta' occidentale decadente. Riprendiamo il collegamento con la rivoluzione nonviolenta del 1989 e formuliamo un programma politico di lunga durata per una societa' nonviolenta, per prima cosa nella difesa e poi nell'economia. Reimpostiamo le associazioni nonviolente su questo programma. 5. VERSO IL 2 OTTOBRE. VERDIANA GROSSI: LA SOLA VERA ALTERNATIVA ALLE GUERRE [Ringraziamo (per contatti: Verdiana.Grossi at unige.ch) per questo intervento] La nonviolenza e' in cammino: la tratta e' lunga e sinuosa ma vale la pena di proseguirla poiche' e' la sola vera alternativa alle tensioni e alle guerre. Considero la nonviolenza una disciplina che va insegnata e che esige il massimo impegno sia da parte degli insegnanti che degli allievi che impareranno il mestiere dell'umano rispettosi dei diritti e dei doveri di ognuno. E' questo il mio augurio in questa ricorrenza che commemora la nascita di Gandhi. 6. VERSO IL 2 OTTOBRE. ANNAMARIA RIVERA: DIALOGO FRA UN ANARCHICO E UNA GATTARA [Ringraziamo Anna Maria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it) per questo intervento] Non so definire la nonviolenza ne' spiegare ad altri come vada intesa e praticata. E' faccenda troppo complicata e scivolosa, intrico che alimenta paradossi. Ci sono guerrafondai che si proclamano nonviolenti. Veterani e neofiti della nonviolenza che votano i crediti di guerra. Nonviolenti da sempre che son soliti cibarsi di creature torturate e uccise atrocemente. Cantori della violenza degli oppressi che non farebbero male ad una mosca. E ci sono quelli dell'ultima ora: piccoli tattici della nonviolenza, ma ostentata come dottrina, che abitualmente praticano mimesi e metafore feticistiche della guerra. Lo so, ci sono anche veri maestri e testimoni di nonviolenza, insigni e rispettabili. Mi hanno insegnato molte cose ma non mi hanno sciolto i dubbi. Preferisco allora usare questi termini: forse, "quella cosa li'" e' un processo che esige, prima di tutto, empatia e com-passione, senso dell'uguaglianza e della giustizia; esercitandoli si puo' apprendere a sublimare i conflitti. Detta cosi', puo' suonare approssimativa e banale. Percio' provo ad esprimermi col frammento di un mio racconto inedito, al quale do questo titolo: Dialogo fra un anarchico e una gattara. * Talvolta mi soffermavo a riflettere se cio' che io chiamavo scetticismo non fosse la vera matrice di quella certa attitudine alla compassione che attribuivo ai gatti di strada. Non avevo risposte, solo la consapevolezza che le mie analisi alla buona erano in qualche misura il frutto delle mie proiezioni. Uno dei pochissimi con i quali potevo parlarne senza timore di essere compatita come una demente era il signor Errico, l'anarchico, che volentieri si poneva in sintonia con le mie meditazioni gattesche. - Cara signora, cio' che lei chiama compassione - si', lo so, lei l'intende in senso etimologico, come com-passione - non e' altro che prossimita' alle radici e alle ragioni dell'esistenza vitale. I gatti hanno la capacita' di riconoscere quando un'esperienza si e' compiuta, che sia la nascita o la morte. Sono vicini all'essenza della vita e dunque sanno cogliere il senso ultimo delle cose. Si', certo, "essenza" e' un termine inappropriato, non mi fraintenda: non parlo di metafisica e neanche di pura e semplice biologia, semmai di quei contenuti vitali che trascendono le forme storiche. E quando una volta la conversazione cadde sul luogo comune che attribuisce ai gatti una speciale aggressivita', il signor Errico oso' esprimere un pensiero che io avevo sempre tenuto per me stessa. - Lei che e' una cosi' acuta osservatrice dovrebbe sapere che i gatti non conoscono antagonismi assoluti, solo relativi e situazionali. Non concepiscono nemici, solo prede. E se hanno concorrenti o presenze ostili, per lo piu' scelgono la fuga o la manovra obliqua: attaccano solo quando non c'e' altro da fare. Osservi dei maschi adulti non castrati: si rendera' conto di quanto i loro conflitti, per una femmina o un territorio, siano stilizzati al massimo. Vede? Ho detto "territorio": ancora una volta sono inciampato in una parola impropria! Anch'io sono vittima di luoghi comuni: solo gli umani possono concepire dei territori, cioe' degli spazi circoscritti da confini fissi e lineari, magari blindati e sorvegliati con le armi. Le sembra che i gatti si muovano nello spazio come fosse un territorio? Mi perdoni, dunque: volevo dire che il loro azzuffarsi e' tutta una pantomima fatta di avvicinamenti e allontanamenti, strusciamenti di muso e rapide ritirate, insomma di segnali - starei per dire simboli - per stilizzare e sublimare il conflitto. Se assumessimo i gatti come nostri maestri, ci renderemmo conto fino in fondo che i conflitti armati degli umani, per non parlare dell'innovazione delle guerre preventive e permanenti, appartengono alla pura follia, una follia innaturale: altro che istinto della specie! E' per istinto che si puo' concepire e praticare un ossimoro orrendo come la guerra umanitaria? Ascoltai in silenzio. Non era il caso di replicare: per quanto il signor Errico fosse enfatico, per quanto si beasse come sempre delle sue parole, questa volta era come se a parlare fossi stata io. 7. VERSO IL 2 OTTOBRE. RAFFAELLO SAFFIOTI: IN CAMMINO CON DANILO DOLCI [Ringraziamo Raffaello Saffioti (per contatti: rsaffi at libero.it) per questo intervento] Questo anniversario, senza abbandoni celebrativi La Giornata mondiale della nonviolenza, decisa dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2007 per ricordare ogni anno, il 2 ottobre, la nascita di Gandhi, e' occasione per riflettere sul cammino della nonviolenza moderna e interrogarsi sul che fare per valorizzare Gandhi. E' anche il caso di ricordare che sempre l'Assemblea Generale dell'Onu, con una risoluzione del 10 novembre 1998, aveva proclamato il periodo 2001-2010 "Decennio 'nternazionale per la promozione di una cultura della pace e della nonviolenza per i bambini del mondo". Un segno del nostro tempo. Si puo' notare che stanno diventando sempre piu' frequenti le celebrazioni degli anniversari per ricordare i maestri della nonviolenza o eventi legati alla loro opera. Per singolare coincidenza, il 2008 e' il sessantesimo anniversario della morte dello stesso Gandhi e il quarantesimo della morte di Martin Luther King e Aldo Capitini. Le ricorrenze devono servire, al di la' della retorica delle commemorazioni celebrative, per promuovere la cultura della nonviolenza, in generale, e la conoscenza della storia della nonviolenza moderna, in particolare. Mohandas Gandhi, Aldo Capitini, Martin Luther King, Danilo Dolci, sono quattro nomi che hanno segnato la storia della nonviolenza moderna nel XX secolo. Ma non dobbiamo dimenticare Lev Tolstoj e la sua corrispondenza con Gandhi che scrisse: "Io guardo a lui come a uno dei miei maestri" (1). "Quarant'anni fa, mentre attraversavo una grave crisi di scetticismo e dubbio, incappai nel libro di Tolstoj Il regno di Dio e' dentro di noi, e ne fui profondamente colpito. A quel tempo credevo nella violenza. La lettura del libro mi guari' dallo scetticismo e fece di me un fermo credente nell'ahimsa... Fu il piu' grande apostolo della nonviolenza che l'epoca attuale abbia dato. Nessuno in Occidente, prima o dopo di lui, ha parlato e scritto della nonviolenza cosi' ampiamente e insistentemente, e con tanta penetrazione e intuito" (2). Conoscere per ricordare. E, nella memoria di questo passato, bisogna proseguire nel cammino della nonviolenza, tracciato dai suoi grandi maestri. La nonviolenza e' in cammino. Quale cammino ha fatto la nonviolenza nel mondo dopo Gandhi? Giuliano Pontara, autorevolissimo studioso di Gandhi, ha sostenuto che il nostro secolo e' iniziato nel segno di una nuova barbarie. Ma alla "barbarie della mentalita' nazista" ha opposto "l'antibarbarie della mentalita' nonviolenta come si esprime nella concezione gandhiana della nonviolenza". Ed ha concluso: "Non si tratta di abbandonarsi a discorsi apocalittici, ma non si puo' e non si deve assuefarsi alla convivenza con armi di distruzione di massa, e rimuovere la consapevolezza che la minaccia e il pericolo di una Auschwitz e di una Hiroshima sempre piu' globali sono pur sempre incombenti" (Giuliano Pontara, L'antibarbarie, 2006). Uscire dalla barbarie della violenza e' possibile, anche se difficile. "Il varco attuale della storia", di cui aveva detto Capitini (3), si e' allargato, e la nonviolenza e' in cammino. Nel mondo e' in continua crescita il movimento per la nonviolenza che puo' essere considerato tra i movimenti storici piu' importanti del secolo scorso. Esso e' uno dei segni del nostro tempo ed alimenta le nostre speranze per il futuro. Nel cammino della nonviolenza ci sono momenti e fatti che hanno assunto una importanza storica, ma non tutti sono egualmente conosciuti. Alcuni meritano un particolare richiamo. Ricordando Gandhi, un singolare documento storico di eccezionale valore che viene in mente e merita di essere segnalato, perche' scarsamente pubblicizzato, e' la "Dichiarazione di Nuova Delhi" che propone dieci principi per "un mondo libero dalle armi nucleari e non violento". E' un documento del 27 novembre 1986, sottoscritto a Nuova Delhi dai leaders sovietico e indiano, Mikhail Gorbaciov e Rajiv Gandhi (3). "La notizia in questione e' stata ignorata, censurata, rimossa, scartata, un po' come accadde alla notizia della prima bomba atomica su Hiroshima, che i giornali del tempo liquidarono in una 'breve' di poche righe" (4). * Gandhi, Dolci e noi Riprendo, per reinterpretarlo, uno scritto di Johan Galtung dal titolo "Gandhi, Dolci e noi" (5). Lo reinterpreto alla luce dell'esperienza che ho avuto la fortuna di fare collaborando con Dolci nell'ultimo decennio della sua vita, nel "duro fronte calabro", com'egli scrisse. L'attivita' svolta da Dolci a Palmi e in Calabria ha lasciato segni profondi ed e' documentata in molte delle sue opere. Essa ha contribuito a far nascere un'associazione che porta il nome di un figlio illustre di questa citta', il filosofo Domenico Antonio Cardone, candidato al premio Nobel per la pace nel 1963 ed amico di Aldo Capitini. In un seminario nazionale a Saint Nicolas (Aosta) nel luglio del 1994, sul tema "Nessi fra esperienza, comunicazione maieutica e poesia", Dolci ci propose un suo scritto, dal titolo "Come valorizzare Gandhi per cambiare il mondo": "Ho pensato opportuno concentrarmi soprattutto su un aspetto di Gandhi - l'imparare a farsi esperienza - che mi sembra globale, produttivo, urgente per il prossimo millennio, per l'Occidente, ormai per il mondo intero. Mi sembra un aspetto ancora troppo poco considerato". Dolci aveva proposto il tema dell'esperienza ai partecipanti ad un altro seminario nazionale, a Lorica (Cosenza) nel luglio del 1992, col titolo "Coscienza, esperienza, maieutica e potere". Questo tema, frequente nella ricerca-azione di Dolci, compare anche nel titolo della sua opera Nessi fra esperienza etica e politica (Lacaita, 1993). "Non dico niente di nuovo se rilevo come Gandhi genialmente ha contribuito a focalizzare, per la crescita del mondo, la necessita' di costruire sul vero e con il vero; la necessita' di invitare, nelle difficolta' dei rapporti personali, e popolari, a sviluppare la capacita' di osservare empaticamente i problemi dibattuti, anche dal punto di vista dell'esperienza dell'altro, persona o popolo... E in tanto altro. "Ma un aspetto del suo enorme contributo al risanamento e alla crescita della vita del mondo credo sia particolarmente necessario scoprirlo e valorizzarlo (parlo soprattutto dell'Occidente, che conosco meglio) nella fondamentale importanza che ha attribuito al saper apprendere a fare esperienza, soprattutto ove piu' urgente si evidenziano, o stanno per evidenziarsi (forse anche in Oriente), i danni della modernita'... "Parallelamente al filosofo-educatore John Dewey, Gandhi rivaluta e approfondisce l'autentica esperienza... Volendo approfondire l'esperienza di Gandhi e di Dewey prima che sia troppo tardi al mondo che amputandosi si inquina, occorre seminare nel pianeta questo interrogativo, provando a concretare le risposte. Come si potrebbe rovesciare l'attuale tendenza per cui pochi dominatori castrano della loro crealtivita' le maggioranze, via via dall'infanzia?... "Per conquistare strutture civili essenzialmente maieutiche occorre avviare a ogni possibile occasione volontarie iniziative attraverso le quali la gente possa orientarsi meditando, provando e scegliendo. Il diffondersi di coscienza nuova, col connettersi dei diversi fronti in strutture maieutiche civili - organizzate a reggere conflitti - puo' d'altronde avviare metamorfiche spirali. Utopia? Finche' non si maturera' in progetto". Il testo di Saint Nicolas e' rimasto inedito, ma il suo contenuto, rielaborato, si trova nelle opere di Dolci pubblicate successivamente, in particolare ne La struttura maieutica e l'evolverci (La Nuova Italia, 1996). E' opportuno segnalare che vari contributi alla Bozza di Manifesto di Dolci, provenienti dall'India, sono contenuti in Comunicare, legge della vita (La Nuova Italia, 1997). Questa e' l'opera emblematica e riassuntiva di tutta la vita di Dolci e puo' essere letta e considerata come il suo testamento spirituale. Essa e' nata dalla sperimentazione della struttura maieutica in varie parti del mondo ed ha, quindi, una dimensione planetaria. Collaborando con Dolci abbiamo imparato a sperimentare la struttura maieutica e l'associazione di Palmi funziona come un laboratorio maieutico, centro di studi e iniziative. La finalita' principale dell'associazione rimane la promozione della cultura della nonviolenza. La cultura della nonviolenza rimane in gran parte sconosciuta. Promuovere la cultura della nonviolenza e' compito educativo e politico. La nostra associazione, che si riconosce nel principio di sussidiarieta', secondo il quarto comma del nuovo articolo 118 della Costituzione, oltre ad offrire al Comune di Palmi il progetto di Casa per la pace "Domenico Antonio Cardone", ha ottenuto che nel nuovo Statuto del Comune, tra i principi fondamentali, venisse inserita la promozione della cultura della pace e della nonviolenza. L'associazione ha ora in programma la costituzione di una biblioteca per la nonviolenza "Danilo Dolci", come centro di lettura e documentazione. * Note 1. Prefazione di Gandhi alla "Lettera a un indu'" di Tolstoj, in Pier Cesare Bori, Gianni Sofri, Gandhi e Tolstoj. Un carteggio e dintorni, il Mulino, Bologna 1985, p. 219. 2. Gandhi, Antiche come le montagne, Edizioni di Comunita', Milano 1983, p. 234. 3. Elementi di un'esperienza religiosa, in Aldo Capitini, Scritti filosofici e religiosi, a cura di Mario Martini, Perugia 1998, p. 12. 4. Il documento e' stato pubblicato, forse per la prima volta, nella rivista "Bozze 87", diretta da Raniero La Valle (anno X, numero 1, gennaio-febbraio 1987). 5. Raniero La Valle, "Lo scoop", nella rivista citata. 6. "Il Ponte", n. 3, marzo 1957. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 239 del primo ottobre 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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