Voci e volti della nonviolenza. 237



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 237 del 29 settembre 2008

In questo numero:
1. Verso il 2 ottobre, Giornata internazionale della nonviolenza
2. Elena Liotta: Donne, uomini e nuove alleanze
3. Cristiano Lucchi: Nella costruzione di un mondo piu' giusto
4. Daniele Lugli: Con Capitini nell'agosto del '63...
5. Enzo Mazzi: La nonviolenza e il sacro
6. Giorgio Nebbia: La violenza delle merci
7. Marco Palombo: Contro il razzismo
8. Sergio Paronetto: Il sogno dell'umanita'
9. Severino Saccardi: La lunga marcia dei diritti umani
10. Giovanni Sarubbi: Per un impegno concreto contro la violenza
11. Hannah Arendt: Il miracolo che preserva il mondo
12. Vandana Shiva: Guidati dalle donne contadine
13. Simone Weil: Il primo dovere

1. EDITORIALE. VERSO IL 2 OTTOBRE, GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA NONVIOLENZA

Dallo scorso anno l'assemblea generale dell'Onu ha dichiarato "Giornata
internazionale della nonviolenza" il 2 ottobre, anniversario della nascita
di Gandhi.
In questa occasione si svolgeranno molte iniziative anche in varie citta'
italiane.
Ovunque possibile si promuovano incontri, e particolarmente nelle scuole.

2. VERSO IL 2 OTTOBRE. ELENA LIOTTA: DONNE, UOMINI E NUOVE ALLEANZE
[Ringraziamo Elena Liotta (per contatti: e_liotta at yahoo.it) per questo
intervento]

Le ricorrenze sono fatte per pensare, per riflettere - si spera non solo per
una giornata - sul tema prescelto. Dare attenzione significa anche cercare
di capire se e quanto le nostre idee si trovano in sintonia con la realta',
esercitando l'autocritica come pratica nonviolenta.
Anni fa, Hillman, psicoterapeuta e scrittore americano, intitolo' un suo
libro Cento anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio. La prima
difesa intellettuale che si mobilito' tra i colleghi fu: "Figuriamoci allora
come sarebbe andato senza!". Certo, questo si puo' sempre dire, non
essendoci modo di provarlo. Ma l'autocritica si interrompe subito.
La nonviolenza inizia dal pensiero e dalla sua espressione sociale,
comunicativa. Pensare di "avere sempre ragione" e' un atteggiamento di
violenza cognitiva. Pochi sono davvero capaci di tenere a bada l'"aver
ragione". Certo, si dice, meglio la violenza verbale di quella fisica e
quindi si cerca di insegnare a discutere, a gestire i conflitti, invece che
colpire, violare, ammazzare. Lo si fa educando, nella scuola, in famiglia,
altrove. E poi ci sono le leggi. Ma non sembra funzionare piu' di tanto.
Infatti la violenza degli adulti, oggetto di immediata imitazione da parte
dei piccoli, e' uno stimolo onnipresente, sotto gli occhi di tutti nella
forma macroscopica delle guerre e via via delle prepotenze di tutti i
generi. Sara' banale ricordarlo, ma parlare di nonviolenza, incoraggiare a
praticarla, elaborare sistemi per trasmetterla alle nuove generazioni, non
ha purtroppo lo stesso impatto dell'opposta ondata di violenza, spesso
irrazionale, esibita, esposta, pubblicizzata sugli ormai numerosi mass-media
di cui disponiamo. Il fatto e' che la violenza - picchiare per primi - ha
l'attrattiva della potenza, del controllo, e il fascino della vittoria
sull'altro. Sentirsi in diritto di reagire con violenza a un attacco
violento ha poi un'attrattiva ancora maggiore: poter sconfiggere il
"cattivo" e diventare un eroe. La nostra civilta' - nei suoi aspetti
migliori! - continua ad essere basata su questi miti: l'eroe, la ragione, la
logica della forza e del giusto.
Da dove potrebbe mai venire fuori la vera nonviolenza, quella che dovrebbe
alimentare fin dalla nascita una sensibilita' diversa, nuova, forte, in cui
la violenza "naturale" sia riassorbita da altri stili di relazione? Ma poi,
qualcuno prova almeno a mettere in dubbio la naturalita' della violenza? I
maestri non sono certo mancati e la possibilita' e' stata intravista dal
genere umano e praticata da alcuni. Ma potremmo ugualmente dire: "duemila
anni di cristianesimo e anche piu' di buddhismo e il mondo, se non va
peggio, certo neanche va tanto bene, visto che il pianeta stesso e' a
rischio".
La nonviolenza e' un'attitudine, una sensibilita', un  modo di vivere della
mente, del cuore e del corpo che va scoperto, qualora non lo si abbia in
dotazione per naturale temperamento; che puo' essere appreso qualora lo si
voglia, con molta pazienza; che puo' essere condiviso e coltivato insieme ad
altri. Ma purtroppo non lo si puo' trasmettere geneticamente e cosi' ogni
nuova generazione ricomincia daccapo. Ah, si', le leggi e la cultura.
Dovrebbero essere loro a garantire la continuita', soprattutto nei sistemi
democratici di cui l'umanita' si e' dotata per autogovernarsi. Ma sappiamo
che anche le leggi si fanno e si disfano a seconda delle ideologie,
esplicite o sotterranee che siano. E sappiamo pure che il denaro e' il vero
motore, il riferimento unico e centrale della nostra civilta' dei consumi.
Tutti gli orrori che abbiamo oggi sotto gli occhi fanno capo a un'economia
del denaro.
Occorre quindi, nel parlare di nonviolenza tener sempre presente lo sfondo
su cui si cerca di operare, non per scoraggiarsi, ma per non farsi inutili
illusioni su dove e come poter intervenire, ciascuno con le proprie
competenze e possibilita'.
*
Io lavoro con le persone e li' cerco di trasmettere e far apprezzare il modo
nonviolento. Si', farne apprezzare i vantaggi offuscati dall'aura di
debolezza e di impotenza che avvolge la nonviolenza e il pacifismo, diciamo
la bonta' in generale. Ai singoli e ai piccoli gruppi bisogna parlare del
loro interesse e appena piu' intorno, non andando  troppo lontano. Si puo'
spiegare loro che la violenza ha dei costi, fisici e psichici. Come lo ha
perseguire il potere e accumulare denaro. La violenza e il denaro possono
appagare alcuni bisogni ma ne lasciano scoperti molti altri.
Di fronte ai bisogni affettivi solo incalliti praticanti della violenza
possono resistere. La maggior parte delle persone, uomini e donne, capiscono
ancora i bisogni della sfera emotiva e di relazione e non a caso la crisi
della famiglia, della coppia e la vita amorosa in generale, rimangono al
centro di molta produzione culturale. La stessa identita' di genere e' da
decenni in uno stato di perenne turbolenza. Sembra che ora stia toccando
agli uomini entrare in crisi e aprirsi nuovi percorsi di liberta'.
*
Recentemente, parlando di violenza contro le donne, mi sono accorta che
molte donne giovani, culturalmente preparate e consapevoli delle
discriminazioni ancora in atto, non sentono il bisogno di appoggiarsi al
femminismo, ne' quello storico ne' quello piu' recente. Vanno dirette al
sodo della loro vita, come a suo tempo abbiamo fatto noi donne, nate nel
primo dopoguerra, con le nostre realta' e i problemi di allora. Hanno voglia
di impegnarsi, di esporsi, ma vogliono farlo insieme agli uomini che la
pensano come loro, non solo tra donne e per le donne. Hanno chiara anche la
responsabilita' e la compromissione di quelle donne che hanno sposato il
sistema capitalistico e consumista, cioe' violento, e non sono ben disposte
verso una sorellanza a priori.
Se la violenza tra uomini e donne e verso i bambini e le bambine e' la spia
piu' inquietante del livello generale di violenza di ciascuna cultura,
sicuramente quella occidentale non puo' essere ancora un esempio di
nonviolenza rispetto ad altre che vengono criticate. Pur essendo le sue
leggi contrarie alla discriminazione di genere, vediamo quotidianamente
quanto ancora prosperi la violenza in famiglia.
E allora forse queste giovani donne che cercano una nuova alleanza con gli
uomini, uomini nonviolenti, non sono sulla strada sbagliata e non appaiono
affatto ingenue ne' deboli. Loro guardano a un obiettivo comune, una
questione piu' grande che riguarda la vita di tutti e del nostro ambiente
naturale e sociale.
Il lascito femminista e' gia' incarnato nella loro sicurezza, nell'operato
delle generazioni femminili precedenti le cui tracce sono nelle leggi e
nelle modifiche del costume.
*
La realta' sociale va piu' in fretta non solo della scuola, ma anche della
cultura alta e di quella mass-mediatica che seleziona a suo piacere di cosa
occuparsi. Io entro in contatto con uomini e donne che sono molto piu'
consapevoli e nonviolenti di quanto non appaia dai nostri sistemi e media
comunicativi i cui modelli sono ormai troppo scaduti. Per tutte le giovani
che tentano "la via della velina" che ne sono moltissime di piu' alle quali
non viene neanche in mente. E' solo che ci viene presentata una realta'
pubblicitaria degli interessi dominanti. Ma la realta' delle cose vere prima
o poi precipita nella vita di tutti, nel bene e nel male.
Questo mi fa sperare su una diffusione silenziosa e capillare della
nonviolenza, nata proprio sulle sofferenze personali, sulle ansie e gli
altri sintomi che affliggono ormai indifferentemente maschi e femmine di
tutte le eta', che scoprono un nuovo diritto: quello di non riconoscersi in
una societa' violenta e ossessionata dal denaro e dal successo. Questo e' il
primo passo nella liberazione dalla violenza. Perche' diventi nonviolenza ci
vuole anche la solidarieta' e la vicinanza degli altri che hanno scelto
questa strada.

3. VERSO IL 2 OTTOBRE. CRISTIANO LUCCHI: NELLA COSTRUZIONE DI UN MONDO PIU'
GIUSTO
[Ringraziamo Cristiano Lucchi (per contatti: cristiano.lucchi at gmail.com) per
questo intervento]

Partecipare nel 2008 in Italia alla Giornata internazionale della
nonviolenza assume un significato particolare.
Mentre il Paese e' in dissoluzione - il governo Berlusconi sta letteralmente
smontando pezzo per pezzo lo Stato nato dalla Costituzione del 1948 e
l'opposizione non merita nemmeno questa definizione - e' compito di ogni
cittadina e di ogni cittadino che si riconosce nei valori gandhiani della
nonviolenza ricostruire un tessuto sociale e politico capace di invertire la
tendenza attuale, figlia di un neoliberismo che affama il mondo e dei cui
danni solo adesso la maggioranza della popolazione sembra accorgersi.
Rimbocchiamoci le maniche quindi, iniziamo a costruire dal basso un nuovo
senso di comunita', a partire dai vicini di casa e dai colleghi di lavoro.
Solo cosi' sara' possibile ridare speranza a tutti noi nel proseguire nella
costruzione di un mondo piu' giusto.

4. VERSO IL 2 OTTOBRE. DANIELE LUGLI: CON CAPITINI NELL'AGOSTO DEL '63...
[Ringraziamo Daniele Lugli (per contatti: daniele.lugli at libero.it) per
questo intervento]

La giornata internazionale della nonviolenza e' stata fissata in coincidenza
con la nascita di Gandhi, e giustamente. Gandhi e la nonviolenza arrivano a
me attraverso Capitini, in particolare nei giorni intensi dell'agosto del
'63 al seminario internazionale sulle tecniche della nonviolenza. Sulle
tecniche aveva portata l'attenzione Capitini, ricordando sempre che facevano
parte di un metodo. Di questo ci parlo' e ritrovo le sue parole in una
lettera di quei giorni.
"Il metodo nonviolento e' applicabile alle lotte, perche' lottare bisogna
(anche se si tiene a non distruggere gli avversari). C'e' da fare
un'opposizione attiva, con un metodo insistente, e paziente, pubblico e
collettivo. Gandhi ha detto: Mi sembra che prima o poi le masse europee
dovranno ricorrere alla nonviolenza, se vogliono ottenere la liberazione.
Nella societa' i ricchi non possono ottenere la ricchezza senza la
collaborazione dei poveri. Se questa consapevolezza penetrasse e si
diffondesse tra i poveri, essi diventerebbero forti e imparerebbero a
liberarsi con la nonviolenza dalle schiaccianti ineguaglianze che li hanno
portati al limite della fame. La cosa e' tanto piu' importante oggi...".
Proprio cosi': e' tanto piu' importante oggi.

5. VERSO IL 2 OTTOBRE. ENZO MAZZI: LA NONVIOLENZA E IL SACRO
[Ringraziamo Enzo Mazzi (per contatti: emazzi at videosoft.it) per questo
intervento]

Ormai si sta diffondendo piu' velocemente di quanto non si creda la
convinzione che la crisi senza sbocco dell'attuale "ordine mondiale" rende
ingovernabile e irrazionale il sistema basato sulla violenza e sulla guerra.
L'utopia della nonviolenza ha percorso i millenni ma sempre relegata
nell'iperuranio dei profeti e delle anime belle. Non c'era scampo: la
sopravvivenza della specie chiedeva la gestione della violenza attraverso il
sacrificio e la guerra. E infatti lo stesso cristianesimo, nato come
complessa e coerente esperienza di nonviolenza, alternativa alla cultura del
Tempio, del sacrificio, della guerra, nell'affermarsi e per affermarsi come
religione dell'Impero ha dovuto tornare a far propria la cultura del
sacrificio e della guerra.
La societa' umana, fino da tempi remotissimi, qualcuno dice dal neolitico,
e' organizzata in funzione del sacrificio e della guerra. Ce lo dicono gli
studiosi dei popoli cosiddetti primitivi. Ce lo dicono ugualmente gli
studiosi delle societa' evolute. Tanto che Hegel come si sa considerava la
guerra come il massimo momento espressivo dello Stato. La cultura della
guerra e' sistemica. Pervade cioe' tutti gli aspetti del convivere. E non
solo quelli di cui siamo consapevoli. Penetra il nostro profondo, le regioni
dell'inconscio, sia l'inconscio individuale sia sociale. Questa e' stata
considerata fino al secolo scorso l'unica razionalita' possibile.
Ma oggi? Dilaga, sempre meno di quanto la nostra impazienza vorrebbe, la
consapevolezza che la vera razionalita' non e' piu' la guerra ma e' proprio
la nonviolenza. Lo dice la "lotta quotidiana mondiale per la
trasformazione". Lo dicono anche tanti intellettuali che a modo loro
riflettono su quella lotta. Solo a titolo di esempio riporto il pensiero di
Hannah Arendt. Ne La disobbedienza civile, citata da Giuseppe Bronzini nella
recente pubblicazione I diritti del popolo-mondo, scrive che la violenza e
il potere non coincidono piu', anzi tendono a escludersi. E intende
chiaramente il potere come razionalita' e legittimita'. La capacita' di
incenerire il mondo intero non corrisponde piu' agli scopi di razionalita'
per i quali il sistema della violenza-sacrificio-guerra e' nato. Occorre
creare nuove istituzioni, un nuova legittimazione per il potere, un nuova
razionalita' o se si vuole un nuovo ordine sociale e politico, e per far
questo non c'e' che il metodo nonviolento. La violenza - dice ancora la
profuga ebrea - e' paradossalmente piu' coerente con una politica riformista
che mira a obbiettivi immediati, piuttosto che con una politica
trasformatrice globale.
*
La mia conclusione e' che la nonviolenza, o la pace se si vuole usare questa
parola come equivalente di nonviolenza, in modo speculare alla guerra, e'
una cultura e non solo un evento, e' un sistema complessivo di
organizzazione della societa'. La transizione dalla cultura di guerra alla
cultura di pace e' dunque un processo rivoluzionario. Investe tutti campi
del convivere, non solo quelli economici e politici ma anche quelli
simbolici. Investe l'arte, le religioni, il mondo del sacro.
Il dominio del sacro e' una delle piu' insidiose e distruttive radici della
violenza. L'esodo dal sacro necessita di un lavoro su noi stessi, sul nostro
profondo, oltre le frontiere delle consapevolezze e perfino oltre i limiti
del sogno, ai confini dei grandi silenzi, silenzi nostri e soprattutto della
gente umile, della gente da sempre repressa, incapace perfino di sognare, ai
confini del silenzio di donne e uomini dove l'inconscio si apre all'ignoto.
Ai confini di quel silenzio che in noi, come in un utero pregno, cova
nascite di mondi nuovi. Sul crinale di quei silenzi che dotti e maestri
ignorano per cieca fiducia nella loro rumorosa, onnipotente razionalita'
necrofila, razionalita' senza mistero. La rivoluzione della pace necessita
di un lavoro per far emergere e sanare traumi che la mente e tutto il corpo
hanno patito perfino a loro insaputa e che si manifestano poi come blocco
della speranza, spavento senza parola, vuoto dell'anima, per passare dalla
perdita inconsapevole e dall'angoscia talvolta senza nome alla ricerca di
senso e di speranza.
Le comunita' di base, che sono il mio riferimento, sono significative
esperienze di nonviolenza attiva. E l'essenziale di tali esperienze mi
sembra che si possa sintetizzare in questo: e' possibile penetrare nel
"sancta sanctorum", invaderlo, senza essere annientati. Il sacro puo'
realisticamente e concretamente essere sottratto alla mediazione del potere
della casta e del Tempio e riportato nella vita. Torna attuale la scommessa
della straordinaria esperienza di cui Gesu' fu animatore: e' possibile nelle
condizioni storiche attuali un nuovo incontro col mistero e col sacro, che
testimoni e riveli la sacralita' di tutto il creato e di ogni donna e uomo
senza piu' bisogno della separatezza del sacro e della sua gestione da parte
della casta. Il sacro puo' tornare a costituire l'alternativa rispetto alla
cultura dominante e la riserva di criticita' rispetto a tutte le
sacralizzazioni delle nostre provvisorieta'. E infine il conflitto, imposto
da ogni potere sacro o profano che si vede denudato e desacralizzato, puo'
essere gestito in forma positiva e creativa. Anche oggi, proprio oggi, la
morte puo' essere rovesciata in resurrezione.
Dopo il Concilio non si sono fatti molti passi avanti, c'e' stata
un'involuzione. Chiuse quasi tutte le strade per una riforma della Chiesa in
senso teologico e strutturale, si e' cercato di passare per l'unico percorso
possibile: le fessure di carattere sociale-politico-attivistico pastorale.
Ma in questo modo la societa' e' stata privata di un contributo importante
per immaginare e costruire un "mondo nuovo". L'autoritarismo, il
verticalismo, l'individualismo, il liberismo, l'imperialismo, con tutte le
conseguenze disastrose, fame, ingiustizie, guerre, trovano un loro radice
profonda negli assetti interni delle Chiese cristiane e nella stessa
sistematizzazione della fede cristiana.
Ora che "un mondo nuovo" e' tornato negli orizzonti e nei percorsi delle
nuove generazioni si puo' far mancare il contributo della ricerca di "mondi
religiosi ed ecclesiali nuovi"? O meglio, e' possibile un mondo nonviolento
senza lavorare anche per mondi religiosi ed ecclesiali intimamente e
strutturalmente nonviolenti?

6. VERSO IL 2 OTTOBRE. GIORGIO NEBBIA: LA VIOLENZA DELLE MERCI
[Ringraziamo Giorgio Nebbia (per contatti: nebbia at quipo.it) per questo
intervento]

Il movimento nonviolento si e' diffuso in Italia in un periodo straordinario
di speranze e di delusioni: nei primi anni Sessanta del Novecento un grande
movimento internazionale e popolare di protesta era riuscito a ottenere un
trattato che vietava le esplosioni, nell'atmosfera e negli oceani, delle
bombe nucleari che nei quindici anni precedenti avevano contaminato, con la
loro ricaduta radioattiva, tutta la biosfera; un sollevamento dell'opinione
pubblica e il libro di Rachel Carson, "Primavera  silenziosa" (del 1962),
avevano denunciato l'avvelenamento del cibo e delle acque con pesticidi e
sostanze tossiche. I fumi dei camini industriali, le citta' congestionate
dal traffico, i fiumi coperti di schiume, non erano piu' considerati i
segni - o l'inevitabile prezzo - del "progresso".
La nonviolenza di Gandhi e Capitini appariva la bandiera di un movimento non
soltanto per la pace e contro le armi, ma anche contro la violenza dei
rapporti commerciali, delle merci, dell'inquinamento, delle centrali
nucleari, della tecnica al servizio della morte, del lavoro che uccide. E
cosi' molti militanti della contestazione ecologica hanno riconosciuto nella
nonviolenza una nuova efficace forma di lotta e il distintivo delle due mani
che spezzano il fucile e' apparso su molti maglioni di coloro che marciavano
in difesa della natura e dell'ambiente.
E che ci sia bisogno di nonviolenza anche oggi dimostrano non soltanto le
infinite guerre locali, spesso sobillate dalle grandi potenze per la
conquista delle materie prime - del petrolio nel Medio Oriente e in Angola,
del rame in Cile, del cromo e cobalto nel Congo, dei fosfati nel territorio
del popolo Sarawi, eccetera - ma anche il crescente degrado ambientale,
figlio della violenza implicita nella conquista dei mercati, dei profitti,
nella lotta per vincere la concorrenza.
*
Coloro che si sono rallegrati per le prospettive del crollo del comunismo
nei paesi ex-socialisti, si trovano di fronte a 1.500 milioni (ci metto
dentro anche i cinesi) di persone scatenate anche loro nella corsa ai
consumi, ai profitti, alla volonta' di tenersi ben strette le bombe
nucleari, di devastare il territorio e l'ambiente come se questo fosse
l'inevitabile frutto delle delizie dell'albero del "mercato".
Sono queste delizie che assicurano una crescente poverta' e disoccupazione
nelle classi povere dei paesi ricchi, una crescente poverta' nei paesi
poveri, una crescente tensione fra ricchi e fra poveri, un peggioramento
della qualita' dell'aria, delle acque, del mare.
"Mercato", nel corrente significato della parola, significa aumento della
ricchezza di una minoranza attraverso l'imposizione di modelli violenti di
comportamento e di consumi, garantiti dall'aspirazione al possesso di
crescenti quantita' di merci. La societa' del "mercato" deve convincere i
"consumatori" che si esiste, si e' visibili, soltanto possedendo piu' merci,
dai mezzi di trasporto, a indumenti e modi di alimentazione, da strumenti di
comunicazione sempre piu' sofisticati: la pubblicita' e soprattutto la
televisione sono i veicoli efficacissimi di questo modello di violenza. La
violenza intrinseca nelle merci e negli oggetti offerti da questo "mercato"
impone qualsiasi sacrificio umano per il loro possesso. Il lavoro, che una
volta era liberazione dalla poverta' propria e solidarieta' e collaborazione
con altri, ha per solo fine il possesso del denaro.
Carlo Marx, nel terzo dei "Manoscritti" giovanili del 1844, quel piccolo
scritto, tradotto in italiano da Norberto Bobbio, scriveva che "nell'ambito
della proprieta' privata ogni uomo s'ingegna di procurare all'altro uomo un
nuovo bisogno, per costringerlo ad un nuovo sacrificio, per ridurlo ad una
nuova dipendenza e spingerlo ad un nuovo modo di godimento e quindi di
rovina economica. Con la massa degli oggetti cresce quindi la sfera degli
esseri estranei ai quali l'uomo e' soggiogato, ed ogni nuovo prodotto e' un
potenziamento del reciproco inganno e delle reciproche spogliazioni. L'uomo
diventa tanto piu' povero come uomo, ha tanto piu' bisogno del denaro, per
impadronirsi dell'essere ostile", il mondo, appunto, delle merci, degli
"oggetti".
*
Se il crescente possesso degli oggetti e' la fonte della violenza contro
altri esseri umani, contro i paesi che possiedono nel loro territorio
risorse naturali, economiche e materie prime, contro gli altri esseri
viventi, vegetali e animali, e contro la natura inanimata: aria, fiumi,
mare - allora fra gli impegni della nonviolenza va ben compreso il
cambiamento del rapporto fra gli esseri umani e le cose materiali.
I punti di lotta - se ne trovano infinite testimonianze negli scritti della
nonviolenza - sono una revisione critica dei nostri modi di produzione, la
contestazione (una vera obiezione di coscienza) della societa' dei consumi,
la proposta di nuovi modi di vita per noi, abitanti del Nord del mondo, e
per i nostri fratelli del Sud del mondo, la lotta contro la struttura
militare-industriale, la piu' alta espressione della violenza e dello
spreco.
Si tratta di trovare nuovi indicatori del valore, capaci di riconoscere che
valgono di piu' gli oggetti e le merci che, a parita' di servizio umano
offerto, consumano meno energia e meno risorse naturali, inquinano meno e
durano di piu', hanno un maggiore contenuto di lavoro umano; capaci di
distinguere gli oggetti e i servizi che sono essenziali e prioritari da
quelli che sono semplici occasioni di spreco ed hanno un maggiore
"contenuto" di violenza. Nuove scale di valori che impongono la riscrittura
dell'economia politica.

7. VERSO IL 2 OTTOBRE. MARCO PALOMBO: CONTRO IL RAZZISMO
[Ringraziamo Marco Palombo (per contatti: elbano9 at yahoo.it) per questo
intervento]

Il mio 2 ottobre 2008 lo dedico alla lotta nonviolenta contro il razzismo
che in questi ultimi tempi e' professato e praticato anche dalle istituzioni
locali di centrosinistra e, in maniera molto piu' violenta ed inaccettabile,
dalle istituzioni nazionali e locali di destra.
Gandhi e King hanno dimostrato la superiorita' della nonviolenza
nell'opposizione alle discriminazioni razziali e noi, con i nostri limiti,
dobbiamo indicare con decisione la "conflittualita' nonviolenta" come unica
strada vincente per superare la situazione attuale che vede stragi di
migranti in mare, privazione della liberta' a persone che non hanno compiuto
nessuna azione malvagia, piccoli gesti di ostilita' quotidiana e,
addirittura, omicidi che non hanno alcuna motivazione se non il colore della
pelle.
Chi si considera persona amica della nonviolenza si muova come meglio crede
ma ricordi che anche l'azione piu' piccola ha una sua utilita'.

8. VERSO IL 2 OTTOBRE. SERGIO PARONETTO: IL SOGNO DELL'UMANITA'
[Ringraziamo Sergio Paronetto (per contatti: paxchristi_paronetto at yahoo.com)
per questo intervento]

Per me quest'anno la giornata della nonviolenza vede al centro Martin Luther
King, di cui abbiamo ricordato il quarantesimo anniversario
dell'uccisione.Il suo sogno e' tra noi e con noi, concreto perche'
possibilita' storica. Storia aperta. La pace Ë nuova nascita. Il futuro non
puo' essere proiezione del passato, "un duplicato della vecchia epoca", egli
scrive. Il passato (violento) non e' un destino. Il sogno di pace e' piu'
che futuro, e' ad-venire, una realta' veniente, la radice piantata nel
futuro come principio speranza (King viene dal futuro come tutti i testimoni
di pace). Il futuro di un uomo inedito (Ernst Bloch, Ernesto Balducci),
l'eutopia (Tonino Bello), una realta' liberata (Aldo Capitini, Paulo
Freire), un movimento di amicizia liberatrice (Leonidas Proano), profezia in
atto (Primo Mazzolari, Benedetto Calati), essere come dono-nascita (Hannah
Arendt, Maria Zambrano, Diana Sartori), passione di Dio (Juergen Moltmann),
amore politico (Roberto Mancini) o, appunto, "potere dell'amore".
*
Ricordo una sua struggente riflessione: "Tanti fra i nostri antenati
cantavano canti di liberta' e sognavano il giorno in cui sarebbero potuti
uscire dalla schiavitu', dalla lunga notte dell'ingiustizia...  E cantavano
cosi' perche' avevano un sogno grande e potente; ma molti di loro sono morti
senza vederlo realizzato... La lotta c'e' sempre. Facciamo dichiarazioni
contro la guerra, protestiamo, ma e' come se con la testa volessimo
abbattere un muro di cemento: sembra che non serva a nessuno. E molto
spesso, mentre si cerca di costruire il tempio della pace, si rimane soli;
si resta scoraggiati; si resta smarriti. Ebbene, cosi' e' la vita. E quel
che mi rende felice e' che attraverso la prospettiva del tempo riesco a
sentire le loro grida: 'Forse non sara' per oggi, forse non sara' per
domani, ma e' bene che sia nel tuo cuore. E' bene che tu ci provi'. Magari
non riuscirai a vederlo. Il sogno puo' anche non realizzarsi, ma e' comunque
un bene che tu abbia un desiderio da realizzare. E' bene che sia nel tuo
cuore... Sono stanco della violenza, ne ho vista troppa... Non intendo
lasciare che sia l'oppressore a prescrivermi il metodo che devo usare. Non
intendo abbassarmi al suo livello; voglio elevarmi a un livello superiore...
L'umanita' si aspetta qualcosa di diverso dalla cieca imitazione del
passato. Non potrebbe darsi che l'uomo nuovo di cui il mondo ha bisogno
fosse l'uomo nonviolento?".
*
Oggi il suo successore nella chiesa battista di Atlanta, Raphael Warnak,
giovane teologo nato l'anno della morte di King, afferma che "il suo sogno
continua, perche' era ed e' impegno, lotta, e dove c'e' lotta nonviolenta il
sogno continua pieno di significato per tutti".
Ognuno di noi puo' ospitare il suo sogno, che e' il sogno dell'umanita' e il
sogno di Dio per l'umanita'.

9. VERSO IL 2 OTTOBRE. SEVERINO SACCARDI: LA LUNGA MARCIA DEI DIRITTI UMANI
[Ringraziamo Severino Saccardi (per contatti: s.saccardi at aliceposta.it) per
questo intervento]

Credo che sia importante una giornata dedicata alla riflessione sulla
nonviolenza, in un momento in cui perfino la quotidianita', con i suoi
"raptus" e la crescente brutalita', che si rivela in tanti episodi
"inspiegabili", e' in crescita esponenziale.
Sono in crescita le "patologie del nostro tempo". Per contrastarne la forza
e la pervasivita', c'e' da lavorare all'elaborazione di un nuovo rapporto
fra cultura della pace e cultura del conflitto. Non e' il conflitto, in se',
come manifestazione e confronto, anche aspro, delle diversita' ad essere
negativo. E' la sua espressione violenta, aggressiva e distruttiva. Bisogna,
dunque, lavorare ad una canalizzazione, ad una smilitarizzazione, ad una
civilizzazione delle espressioni e delle motivazioni dei conflitti, cui
vanno, nella  piena esplicitazione delle opposte ragioni in campo,
individuati sbocchi pacifici.
Eros e Thanatos, come insegnava Freud, sono destinati a convivere a lungo,
nella vita e nella storia. Bisogna espandere culturalmente la forza unitiva
e lo spazio dell'Eros non rimuovendo o negando la zona in ombra (il
Thanatos), ma puntando a coglierne le ragioni interne di esistenza,
indirizzandole verso un processo di graduale incivilimento dell'umanita'.
Una canalizzazione pacifica, non violenta, dei motivi e delle "ragioni" che
generano i conflitti (la cui aprioristica negazione, oltre ad essere
irrealistica, corrisponde ad una visione tendenzialmente totalizzante della
realta'): e' l'orizzonte in cui inscrivere il lavoro della cultura della
pace, della nonviolenza e dei diritti.
Pace e nonviolenza, mi piace d'altra parte sottolinearlo una volta di piu',
non corrispndono a passivita'. Non c'e' accettazione dello status quo (e
delle sue iniquita', che sono generatrici di conflitti distruttivi)
nell'autentica cultura di pace. Nonviolenza - e' il grande insegnamento di
Gandhi, ma anche di Ernesto Balducci - e' anzi impegno attivo, pacifico, ma
instancabile a cambiare il mondo.
C'e' un grande bisogno di recuperare questa lezione. Nel sessantesimo
anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, constatiamo
ogni giorno quanto c'e' da fare ancora per diffondere ed affermare nel mondo
i diritti civili, i diritti politici, i diritti sociali. Viviamo in un mondo
sempre piu' unito e sempre piu' diviso.
Ripensare all'esperienza delle grandi figure e personalita' che, nel
Novecento, il "secolo breve" delle ambivalenze (secolo della massima
distruttivita', o "secolo del sangue", ma anche secolo in cui, come mai,
hanno camminato la cultura della pace e dei diritti), hanno lavorato a
costruire un mondo migliore, piu' giusto e piu' libero, ci da' forza.
Va consegnata ai giovani, con un lavoro educativo di lunga lena, la lezione
di Dietrich  Bonheffer, del "Mahatma" Gandhi, di Martin Luther King, di
Andrej Sacharov, di Nelson Mandela, di don Lorenzo Milani, di Ernesto
Balducci e Giorgio La Pira.
La "lunga marcia dei diritti umani" (e' un'espressione di Balducci)
continua.

10. VERSO IL 2 OTTOBRE. GIOVANNI SARUBBI: PER UN IMPEGNO CONCRETO CONTRO LA
VIOLENZA
[Ringraziamo Giovanni Sarubbi (per contatti: redazione at ildialogo.org) pe
questo intervento]

Confesso di guardare con grande sospetto ad iniziative come quella della
Giornata internazionale della nonviolenza che provengono da istituzioni come
l'Onu che non sono riuscite ad impedire la guerra mondiale nella quale
l'umanita' attualmente si trova. Una guerra mondiale che la grande
maggioranza dei cittadini dei paesi occidentali non percepisce come tale
perche' combattuta lontano dalle proprie terre.
Sento cosi' molto distante la data del 2 ottobre dichiarata dall'Onu
Giornata internazionale della nonviolenza, nella data di nascita di Gandhi.
La nonviolenza la si deve praticare e non semplicemente proclamare a parole.
La nonviolenza deve diventare pratica quotidiana in tutti i rapporti sociali
e politici ad ogni livello nazionale ed internazionale.
Sono gia' alcuni millenni che l'umanita' ha a che fare con chi utilizza
qualsiasi idea, anche quelle nate contro se stesso, pur di continuare a
mantenere inalterato il proprio potere politico, economico, religioso e
militare. Cosi', per esempio, abbiamo assistito nel passato all'uso di Gesu'
di Nazareth per fargli benedire cose che lui mai avrebbe benedetto oppure
recentemente all'uso del femminismo contro le donne o del pacifismo contro
la pace e ora anche della nonviolenza contro la nonviolenza.
Certo mi si dira' meglio che niente. Meglio avere una ricorrenza da
celebrare durante la quale poter parlare di nonviolenza che non averne
alcuna. E sara' certamente anche utile che si utilizzi tale occasione per
dire qualcosa di positivo. Ma non credo che alla nonviolenza servano
celebrazioni, riti, liturgie che alla fine confinano la nonviolenza fra gli
specialisti, gli studiosi, coloro che hanno potuto approfondire gli scritti
di questo o quello scrittore o attivista o martire mentre alla gente viene
riservata ogni giorno violenza su violenza. Da un lato le celebrazioni
idealiste della nonviolenza, dall'altro la vita violenta di tutti i giorni:
cosa credete che prevarra' nella testa della gente?
Dico queste cose perche' sono molto amareggiato per lo stato di cose che
stiamo vivendo nel nostro paese e nel mondo. A volte, nei momenti di
sconforto, penso che non crediamo veramente in quello che diciamo e non
siamo disponibili a rinunciare a nessuna delle nostre tante comodita'.
Scrivo queste note dopo aver partecipato in mattinata ad una manifestazione
di migranti svoltasi a Caserta fra il generale disinteresse della citta',
con la paura ed il disprezzo che era ben visibile sul volto di moltissima
gente che assisteva al passaggio del corteo formato al novantanove per cento
di soli africani.
E allora mi auguro che si colga l'occasione del 2 ottobre per fare
iniziative concrete contro la violenza che quotidianamente sta imbarbarendo
i nostri rapporti sociali. Non una vuota celebrazione, non fiumi di parole
ma un concreto impegno contro la violenza che in questo momento si sta
scatenando contro i migranti o che ci vede partecipare alla guerra in
Afghanistan, in Libano o in altre parti del mondo. Gandhi, Martin Luther
King e tanti altri martiri della nonviolenza il loro contributo concreto
all'umanita' lo hanno dato fino in fondo e senza riserve. Spetta a noi ora
fare altrettanto.

11. MAESTRE. HANNAH ARENDT: IL MIRACOLO CHE PRESERVA IL MONDO
[Da Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1964, 1988, 1994, p. 182.
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo
l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen
(1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita'
e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano
2006; i recentemente pubblicati Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007. Opere su
Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl,
Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici:
Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito,
L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996;
Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti,
Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona For
ti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi
politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994;
Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia
Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due
piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato
iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei
Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

Il miracolo che preserva il mondo, la sfera delle faccende umane, dalla sua
normale, "naturale" rovina e' in definitiva il fatto della natalita', in cui
e' ontologicamente radicata la facolta' di agire.

12. MAESTRE. VANDANA SHIVA: GUIDATI DALLE DONNE CONTADINE
[Da Vandana Shiva, Terra madre, Utet, Torino 2002, p. 179.
Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti
istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni
Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa
dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di
riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli,
di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia
di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti
pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo,
Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino
1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze,
DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta
di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano
2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003; Le nuove guerre della
globalizzazione, Utet, Torino 2005; Il bene comune della Terra, Feltrinelli,
Milano 2006; India spezzata, Il Saggiatore, Milano 2008]

I movimenti ecologici guidati dalle donne contadine creano alternative
equilibrate non solo per le donne, ma per l'intera societa'.

13. MAESTRE. SIMONE WEIL: IL PRIMO DOVERE
[Da Simone Weil, Lezioni di filosofia, Adelphi, Milano 1999, p. 155.
Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa,
militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria,
operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti,
lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a
lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione,
sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna
come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della
Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora:
radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del
1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe
imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli
o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come
vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil:
tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti
pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici
(e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti
le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione
italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La
condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita',
SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni
precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e
dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi),
Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali
i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo
Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna
1997; Eadem, Simone Weil. Un'intima estraneita', Citta' Aperta, Troina
(Enna) 2006; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia,
Milano 1994]

Il primo dovere che si impone e' quello di non mentire.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 237 del 29 settembre 2008

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