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Voci e volti della nonviolenza. 237
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 237
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 29 Sep 2008 12:55:28 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 237 del 29 settembre 2008 In questo numero: 1. Verso il 2 ottobre, Giornata internazionale della nonviolenza 2. Elena Liotta: Donne, uomini e nuove alleanze 3. Cristiano Lucchi: Nella costruzione di un mondo piu' giusto 4. Daniele Lugli: Con Capitini nell'agosto del '63... 5. Enzo Mazzi: La nonviolenza e il sacro 6. Giorgio Nebbia: La violenza delle merci 7. Marco Palombo: Contro il razzismo 8. Sergio Paronetto: Il sogno dell'umanita' 9. Severino Saccardi: La lunga marcia dei diritti umani 10. Giovanni Sarubbi: Per un impegno concreto contro la violenza 11. Hannah Arendt: Il miracolo che preserva il mondo 12. Vandana Shiva: Guidati dalle donne contadine 13. Simone Weil: Il primo dovere 1. EDITORIALE. VERSO IL 2 OTTOBRE, GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA NONVIOLENZA Dallo scorso anno l'assemblea generale dell'Onu ha dichiarato "Giornata internazionale della nonviolenza" il 2 ottobre, anniversario della nascita di Gandhi. In questa occasione si svolgeranno molte iniziative anche in varie citta' italiane. Ovunque possibile si promuovano incontri, e particolarmente nelle scuole. 2. VERSO IL 2 OTTOBRE. ELENA LIOTTA: DONNE, UOMINI E NUOVE ALLEANZE [Ringraziamo Elena Liotta (per contatti: e_liotta at yahoo.it) per questo intervento] Le ricorrenze sono fatte per pensare, per riflettere - si spera non solo per una giornata - sul tema prescelto. Dare attenzione significa anche cercare di capire se e quanto le nostre idee si trovano in sintonia con la realta', esercitando l'autocritica come pratica nonviolenta. Anni fa, Hillman, psicoterapeuta e scrittore americano, intitolo' un suo libro Cento anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio. La prima difesa intellettuale che si mobilito' tra i colleghi fu: "Figuriamoci allora come sarebbe andato senza!". Certo, questo si puo' sempre dire, non essendoci modo di provarlo. Ma l'autocritica si interrompe subito. La nonviolenza inizia dal pensiero e dalla sua espressione sociale, comunicativa. Pensare di "avere sempre ragione" e' un atteggiamento di violenza cognitiva. Pochi sono davvero capaci di tenere a bada l'"aver ragione". Certo, si dice, meglio la violenza verbale di quella fisica e quindi si cerca di insegnare a discutere, a gestire i conflitti, invece che colpire, violare, ammazzare. Lo si fa educando, nella scuola, in famiglia, altrove. E poi ci sono le leggi. Ma non sembra funzionare piu' di tanto. Infatti la violenza degli adulti, oggetto di immediata imitazione da parte dei piccoli, e' uno stimolo onnipresente, sotto gli occhi di tutti nella forma macroscopica delle guerre e via via delle prepotenze di tutti i generi. Sara' banale ricordarlo, ma parlare di nonviolenza, incoraggiare a praticarla, elaborare sistemi per trasmetterla alle nuove generazioni, non ha purtroppo lo stesso impatto dell'opposta ondata di violenza, spesso irrazionale, esibita, esposta, pubblicizzata sugli ormai numerosi mass-media di cui disponiamo. Il fatto e' che la violenza - picchiare per primi - ha l'attrattiva della potenza, del controllo, e il fascino della vittoria sull'altro. Sentirsi in diritto di reagire con violenza a un attacco violento ha poi un'attrattiva ancora maggiore: poter sconfiggere il "cattivo" e diventare un eroe. La nostra civilta' - nei suoi aspetti migliori! - continua ad essere basata su questi miti: l'eroe, la ragione, la logica della forza e del giusto. Da dove potrebbe mai venire fuori la vera nonviolenza, quella che dovrebbe alimentare fin dalla nascita una sensibilita' diversa, nuova, forte, in cui la violenza "naturale" sia riassorbita da altri stili di relazione? Ma poi, qualcuno prova almeno a mettere in dubbio la naturalita' della violenza? I maestri non sono certo mancati e la possibilita' e' stata intravista dal genere umano e praticata da alcuni. Ma potremmo ugualmente dire: "duemila anni di cristianesimo e anche piu' di buddhismo e il mondo, se non va peggio, certo neanche va tanto bene, visto che il pianeta stesso e' a rischio". La nonviolenza e' un'attitudine, una sensibilita', un modo di vivere della mente, del cuore e del corpo che va scoperto, qualora non lo si abbia in dotazione per naturale temperamento; che puo' essere appreso qualora lo si voglia, con molta pazienza; che puo' essere condiviso e coltivato insieme ad altri. Ma purtroppo non lo si puo' trasmettere geneticamente e cosi' ogni nuova generazione ricomincia daccapo. Ah, si', le leggi e la cultura. Dovrebbero essere loro a garantire la continuita', soprattutto nei sistemi democratici di cui l'umanita' si e' dotata per autogovernarsi. Ma sappiamo che anche le leggi si fanno e si disfano a seconda delle ideologie, esplicite o sotterranee che siano. E sappiamo pure che il denaro e' il vero motore, il riferimento unico e centrale della nostra civilta' dei consumi. Tutti gli orrori che abbiamo oggi sotto gli occhi fanno capo a un'economia del denaro. Occorre quindi, nel parlare di nonviolenza tener sempre presente lo sfondo su cui si cerca di operare, non per scoraggiarsi, ma per non farsi inutili illusioni su dove e come poter intervenire, ciascuno con le proprie competenze e possibilita'. * Io lavoro con le persone e li' cerco di trasmettere e far apprezzare il modo nonviolento. Si', farne apprezzare i vantaggi offuscati dall'aura di debolezza e di impotenza che avvolge la nonviolenza e il pacifismo, diciamo la bonta' in generale. Ai singoli e ai piccoli gruppi bisogna parlare del loro interesse e appena piu' intorno, non andando troppo lontano. Si puo' spiegare loro che la violenza ha dei costi, fisici e psichici. Come lo ha perseguire il potere e accumulare denaro. La violenza e il denaro possono appagare alcuni bisogni ma ne lasciano scoperti molti altri. Di fronte ai bisogni affettivi solo incalliti praticanti della violenza possono resistere. La maggior parte delle persone, uomini e donne, capiscono ancora i bisogni della sfera emotiva e di relazione e non a caso la crisi della famiglia, della coppia e la vita amorosa in generale, rimangono al centro di molta produzione culturale. La stessa identita' di genere e' da decenni in uno stato di perenne turbolenza. Sembra che ora stia toccando agli uomini entrare in crisi e aprirsi nuovi percorsi di liberta'. * Recentemente, parlando di violenza contro le donne, mi sono accorta che molte donne giovani, culturalmente preparate e consapevoli delle discriminazioni ancora in atto, non sentono il bisogno di appoggiarsi al femminismo, ne' quello storico ne' quello piu' recente. Vanno dirette al sodo della loro vita, come a suo tempo abbiamo fatto noi donne, nate nel primo dopoguerra, con le nostre realta' e i problemi di allora. Hanno voglia di impegnarsi, di esporsi, ma vogliono farlo insieme agli uomini che la pensano come loro, non solo tra donne e per le donne. Hanno chiara anche la responsabilita' e la compromissione di quelle donne che hanno sposato il sistema capitalistico e consumista, cioe' violento, e non sono ben disposte verso una sorellanza a priori. Se la violenza tra uomini e donne e verso i bambini e le bambine e' la spia piu' inquietante del livello generale di violenza di ciascuna cultura, sicuramente quella occidentale non puo' essere ancora un esempio di nonviolenza rispetto ad altre che vengono criticate. Pur essendo le sue leggi contrarie alla discriminazione di genere, vediamo quotidianamente quanto ancora prosperi la violenza in famiglia. E allora forse queste giovani donne che cercano una nuova alleanza con gli uomini, uomini nonviolenti, non sono sulla strada sbagliata e non appaiono affatto ingenue ne' deboli. Loro guardano a un obiettivo comune, una questione piu' grande che riguarda la vita di tutti e del nostro ambiente naturale e sociale. Il lascito femminista e' gia' incarnato nella loro sicurezza, nell'operato delle generazioni femminili precedenti le cui tracce sono nelle leggi e nelle modifiche del costume. * La realta' sociale va piu' in fretta non solo della scuola, ma anche della cultura alta e di quella mass-mediatica che seleziona a suo piacere di cosa occuparsi. Io entro in contatto con uomini e donne che sono molto piu' consapevoli e nonviolenti di quanto non appaia dai nostri sistemi e media comunicativi i cui modelli sono ormai troppo scaduti. Per tutte le giovani che tentano "la via della velina" che ne sono moltissime di piu' alle quali non viene neanche in mente. E' solo che ci viene presentata una realta' pubblicitaria degli interessi dominanti. Ma la realta' delle cose vere prima o poi precipita nella vita di tutti, nel bene e nel male. Questo mi fa sperare su una diffusione silenziosa e capillare della nonviolenza, nata proprio sulle sofferenze personali, sulle ansie e gli altri sintomi che affliggono ormai indifferentemente maschi e femmine di tutte le eta', che scoprono un nuovo diritto: quello di non riconoscersi in una societa' violenta e ossessionata dal denaro e dal successo. Questo e' il primo passo nella liberazione dalla violenza. Perche' diventi nonviolenza ci vuole anche la solidarieta' e la vicinanza degli altri che hanno scelto questa strada. 3. VERSO IL 2 OTTOBRE. CRISTIANO LUCCHI: NELLA COSTRUZIONE DI UN MONDO PIU' GIUSTO [Ringraziamo Cristiano Lucchi (per contatti: cristiano.lucchi at gmail.com) per questo intervento] Partecipare nel 2008 in Italia alla Giornata internazionale della nonviolenza assume un significato particolare. Mentre il Paese e' in dissoluzione - il governo Berlusconi sta letteralmente smontando pezzo per pezzo lo Stato nato dalla Costituzione del 1948 e l'opposizione non merita nemmeno questa definizione - e' compito di ogni cittadina e di ogni cittadino che si riconosce nei valori gandhiani della nonviolenza ricostruire un tessuto sociale e politico capace di invertire la tendenza attuale, figlia di un neoliberismo che affama il mondo e dei cui danni solo adesso la maggioranza della popolazione sembra accorgersi. Rimbocchiamoci le maniche quindi, iniziamo a costruire dal basso un nuovo senso di comunita', a partire dai vicini di casa e dai colleghi di lavoro. Solo cosi' sara' possibile ridare speranza a tutti noi nel proseguire nella costruzione di un mondo piu' giusto. 4. VERSO IL 2 OTTOBRE. DANIELE LUGLI: CON CAPITINI NELL'AGOSTO DEL '63... [Ringraziamo Daniele Lugli (per contatti: daniele.lugli at libero.it) per questo intervento] La giornata internazionale della nonviolenza e' stata fissata in coincidenza con la nascita di Gandhi, e giustamente. Gandhi e la nonviolenza arrivano a me attraverso Capitini, in particolare nei giorni intensi dell'agosto del '63 al seminario internazionale sulle tecniche della nonviolenza. Sulle tecniche aveva portata l'attenzione Capitini, ricordando sempre che facevano parte di un metodo. Di questo ci parlo' e ritrovo le sue parole in una lettera di quei giorni. "Il metodo nonviolento e' applicabile alle lotte, perche' lottare bisogna (anche se si tiene a non distruggere gli avversari). C'e' da fare un'opposizione attiva, con un metodo insistente, e paziente, pubblico e collettivo. Gandhi ha detto: Mi sembra che prima o poi le masse europee dovranno ricorrere alla nonviolenza, se vogliono ottenere la liberazione. Nella societa' i ricchi non possono ottenere la ricchezza senza la collaborazione dei poveri. Se questa consapevolezza penetrasse e si diffondesse tra i poveri, essi diventerebbero forti e imparerebbero a liberarsi con la nonviolenza dalle schiaccianti ineguaglianze che li hanno portati al limite della fame. La cosa e' tanto piu' importante oggi...". Proprio cosi': e' tanto piu' importante oggi. 5. VERSO IL 2 OTTOBRE. ENZO MAZZI: LA NONVIOLENZA E IL SACRO [Ringraziamo Enzo Mazzi (per contatti: emazzi at videosoft.it) per questo intervento] Ormai si sta diffondendo piu' velocemente di quanto non si creda la convinzione che la crisi senza sbocco dell'attuale "ordine mondiale" rende ingovernabile e irrazionale il sistema basato sulla violenza e sulla guerra. L'utopia della nonviolenza ha percorso i millenni ma sempre relegata nell'iperuranio dei profeti e delle anime belle. Non c'era scampo: la sopravvivenza della specie chiedeva la gestione della violenza attraverso il sacrificio e la guerra. E infatti lo stesso cristianesimo, nato come complessa e coerente esperienza di nonviolenza, alternativa alla cultura del Tempio, del sacrificio, della guerra, nell'affermarsi e per affermarsi come religione dell'Impero ha dovuto tornare a far propria la cultura del sacrificio e della guerra. La societa' umana, fino da tempi remotissimi, qualcuno dice dal neolitico, e' organizzata in funzione del sacrificio e della guerra. Ce lo dicono gli studiosi dei popoli cosiddetti primitivi. Ce lo dicono ugualmente gli studiosi delle societa' evolute. Tanto che Hegel come si sa considerava la guerra come il massimo momento espressivo dello Stato. La cultura della guerra e' sistemica. Pervade cioe' tutti gli aspetti del convivere. E non solo quelli di cui siamo consapevoli. Penetra il nostro profondo, le regioni dell'inconscio, sia l'inconscio individuale sia sociale. Questa e' stata considerata fino al secolo scorso l'unica razionalita' possibile. Ma oggi? Dilaga, sempre meno di quanto la nostra impazienza vorrebbe, la consapevolezza che la vera razionalita' non e' piu' la guerra ma e' proprio la nonviolenza. Lo dice la "lotta quotidiana mondiale per la trasformazione". Lo dicono anche tanti intellettuali che a modo loro riflettono su quella lotta. Solo a titolo di esempio riporto il pensiero di Hannah Arendt. Ne La disobbedienza civile, citata da Giuseppe Bronzini nella recente pubblicazione I diritti del popolo-mondo, scrive che la violenza e il potere non coincidono piu', anzi tendono a escludersi. E intende chiaramente il potere come razionalita' e legittimita'. La capacita' di incenerire il mondo intero non corrisponde piu' agli scopi di razionalita' per i quali il sistema della violenza-sacrificio-guerra e' nato. Occorre creare nuove istituzioni, un nuova legittimazione per il potere, un nuova razionalita' o se si vuole un nuovo ordine sociale e politico, e per far questo non c'e' che il metodo nonviolento. La violenza - dice ancora la profuga ebrea - e' paradossalmente piu' coerente con una politica riformista che mira a obbiettivi immediati, piuttosto che con una politica trasformatrice globale. * La mia conclusione e' che la nonviolenza, o la pace se si vuole usare questa parola come equivalente di nonviolenza, in modo speculare alla guerra, e' una cultura e non solo un evento, e' un sistema complessivo di organizzazione della societa'. La transizione dalla cultura di guerra alla cultura di pace e' dunque un processo rivoluzionario. Investe tutti campi del convivere, non solo quelli economici e politici ma anche quelli simbolici. Investe l'arte, le religioni, il mondo del sacro. Il dominio del sacro e' una delle piu' insidiose e distruttive radici della violenza. L'esodo dal sacro necessita di un lavoro su noi stessi, sul nostro profondo, oltre le frontiere delle consapevolezze e perfino oltre i limiti del sogno, ai confini dei grandi silenzi, silenzi nostri e soprattutto della gente umile, della gente da sempre repressa, incapace perfino di sognare, ai confini del silenzio di donne e uomini dove l'inconscio si apre all'ignoto. Ai confini di quel silenzio che in noi, come in un utero pregno, cova nascite di mondi nuovi. Sul crinale di quei silenzi che dotti e maestri ignorano per cieca fiducia nella loro rumorosa, onnipotente razionalita' necrofila, razionalita' senza mistero. La rivoluzione della pace necessita di un lavoro per far emergere e sanare traumi che la mente e tutto il corpo hanno patito perfino a loro insaputa e che si manifestano poi come blocco della speranza, spavento senza parola, vuoto dell'anima, per passare dalla perdita inconsapevole e dall'angoscia talvolta senza nome alla ricerca di senso e di speranza. Le comunita' di base, che sono il mio riferimento, sono significative esperienze di nonviolenza attiva. E l'essenziale di tali esperienze mi sembra che si possa sintetizzare in questo: e' possibile penetrare nel "sancta sanctorum", invaderlo, senza essere annientati. Il sacro puo' realisticamente e concretamente essere sottratto alla mediazione del potere della casta e del Tempio e riportato nella vita. Torna attuale la scommessa della straordinaria esperienza di cui Gesu' fu animatore: e' possibile nelle condizioni storiche attuali un nuovo incontro col mistero e col sacro, che testimoni e riveli la sacralita' di tutto il creato e di ogni donna e uomo senza piu' bisogno della separatezza del sacro e della sua gestione da parte della casta. Il sacro puo' tornare a costituire l'alternativa rispetto alla cultura dominante e la riserva di criticita' rispetto a tutte le sacralizzazioni delle nostre provvisorieta'. E infine il conflitto, imposto da ogni potere sacro o profano che si vede denudato e desacralizzato, puo' essere gestito in forma positiva e creativa. Anche oggi, proprio oggi, la morte puo' essere rovesciata in resurrezione. Dopo il Concilio non si sono fatti molti passi avanti, c'e' stata un'involuzione. Chiuse quasi tutte le strade per una riforma della Chiesa in senso teologico e strutturale, si e' cercato di passare per l'unico percorso possibile: le fessure di carattere sociale-politico-attivistico pastorale. Ma in questo modo la societa' e' stata privata di un contributo importante per immaginare e costruire un "mondo nuovo". L'autoritarismo, il verticalismo, l'individualismo, il liberismo, l'imperialismo, con tutte le conseguenze disastrose, fame, ingiustizie, guerre, trovano un loro radice profonda negli assetti interni delle Chiese cristiane e nella stessa sistematizzazione della fede cristiana. Ora che "un mondo nuovo" e' tornato negli orizzonti e nei percorsi delle nuove generazioni si puo' far mancare il contributo della ricerca di "mondi religiosi ed ecclesiali nuovi"? O meglio, e' possibile un mondo nonviolento senza lavorare anche per mondi religiosi ed ecclesiali intimamente e strutturalmente nonviolenti? 6. VERSO IL 2 OTTOBRE. GIORGIO NEBBIA: LA VIOLENZA DELLE MERCI [Ringraziamo Giorgio Nebbia (per contatti: nebbia at quipo.it) per questo intervento] Il movimento nonviolento si e' diffuso in Italia in un periodo straordinario di speranze e di delusioni: nei primi anni Sessanta del Novecento un grande movimento internazionale e popolare di protesta era riuscito a ottenere un trattato che vietava le esplosioni, nell'atmosfera e negli oceani, delle bombe nucleari che nei quindici anni precedenti avevano contaminato, con la loro ricaduta radioattiva, tutta la biosfera; un sollevamento dell'opinione pubblica e il libro di Rachel Carson, "Primavera silenziosa" (del 1962), avevano denunciato l'avvelenamento del cibo e delle acque con pesticidi e sostanze tossiche. I fumi dei camini industriali, le citta' congestionate dal traffico, i fiumi coperti di schiume, non erano piu' considerati i segni - o l'inevitabile prezzo - del "progresso". La nonviolenza di Gandhi e Capitini appariva la bandiera di un movimento non soltanto per la pace e contro le armi, ma anche contro la violenza dei rapporti commerciali, delle merci, dell'inquinamento, delle centrali nucleari, della tecnica al servizio della morte, del lavoro che uccide. E cosi' molti militanti della contestazione ecologica hanno riconosciuto nella nonviolenza una nuova efficace forma di lotta e il distintivo delle due mani che spezzano il fucile e' apparso su molti maglioni di coloro che marciavano in difesa della natura e dell'ambiente. E che ci sia bisogno di nonviolenza anche oggi dimostrano non soltanto le infinite guerre locali, spesso sobillate dalle grandi potenze per la conquista delle materie prime - del petrolio nel Medio Oriente e in Angola, del rame in Cile, del cromo e cobalto nel Congo, dei fosfati nel territorio del popolo Sarawi, eccetera - ma anche il crescente degrado ambientale, figlio della violenza implicita nella conquista dei mercati, dei profitti, nella lotta per vincere la concorrenza. * Coloro che si sono rallegrati per le prospettive del crollo del comunismo nei paesi ex-socialisti, si trovano di fronte a 1.500 milioni (ci metto dentro anche i cinesi) di persone scatenate anche loro nella corsa ai consumi, ai profitti, alla volonta' di tenersi ben strette le bombe nucleari, di devastare il territorio e l'ambiente come se questo fosse l'inevitabile frutto delle delizie dell'albero del "mercato". Sono queste delizie che assicurano una crescente poverta' e disoccupazione nelle classi povere dei paesi ricchi, una crescente poverta' nei paesi poveri, una crescente tensione fra ricchi e fra poveri, un peggioramento della qualita' dell'aria, delle acque, del mare. "Mercato", nel corrente significato della parola, significa aumento della ricchezza di una minoranza attraverso l'imposizione di modelli violenti di comportamento e di consumi, garantiti dall'aspirazione al possesso di crescenti quantita' di merci. La societa' del "mercato" deve convincere i "consumatori" che si esiste, si e' visibili, soltanto possedendo piu' merci, dai mezzi di trasporto, a indumenti e modi di alimentazione, da strumenti di comunicazione sempre piu' sofisticati: la pubblicita' e soprattutto la televisione sono i veicoli efficacissimi di questo modello di violenza. La violenza intrinseca nelle merci e negli oggetti offerti da questo "mercato" impone qualsiasi sacrificio umano per il loro possesso. Il lavoro, che una volta era liberazione dalla poverta' propria e solidarieta' e collaborazione con altri, ha per solo fine il possesso del denaro. Carlo Marx, nel terzo dei "Manoscritti" giovanili del 1844, quel piccolo scritto, tradotto in italiano da Norberto Bobbio, scriveva che "nell'ambito della proprieta' privata ogni uomo s'ingegna di procurare all'altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo ad un nuovo sacrificio, per ridurlo ad una nuova dipendenza e spingerlo ad un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica. Con la massa degli oggetti cresce quindi la sfera degli esseri estranei ai quali l'uomo e' soggiogato, ed ogni nuovo prodotto e' un potenziamento del reciproco inganno e delle reciproche spogliazioni. L'uomo diventa tanto piu' povero come uomo, ha tanto piu' bisogno del denaro, per impadronirsi dell'essere ostile", il mondo, appunto, delle merci, degli "oggetti". * Se il crescente possesso degli oggetti e' la fonte della violenza contro altri esseri umani, contro i paesi che possiedono nel loro territorio risorse naturali, economiche e materie prime, contro gli altri esseri viventi, vegetali e animali, e contro la natura inanimata: aria, fiumi, mare - allora fra gli impegni della nonviolenza va ben compreso il cambiamento del rapporto fra gli esseri umani e le cose materiali. I punti di lotta - se ne trovano infinite testimonianze negli scritti della nonviolenza - sono una revisione critica dei nostri modi di produzione, la contestazione (una vera obiezione di coscienza) della societa' dei consumi, la proposta di nuovi modi di vita per noi, abitanti del Nord del mondo, e per i nostri fratelli del Sud del mondo, la lotta contro la struttura militare-industriale, la piu' alta espressione della violenza e dello spreco. Si tratta di trovare nuovi indicatori del valore, capaci di riconoscere che valgono di piu' gli oggetti e le merci che, a parita' di servizio umano offerto, consumano meno energia e meno risorse naturali, inquinano meno e durano di piu', hanno un maggiore contenuto di lavoro umano; capaci di distinguere gli oggetti e i servizi che sono essenziali e prioritari da quelli che sono semplici occasioni di spreco ed hanno un maggiore "contenuto" di violenza. Nuove scale di valori che impongono la riscrittura dell'economia politica. 7. VERSO IL 2 OTTOBRE. MARCO PALOMBO: CONTRO IL RAZZISMO [Ringraziamo Marco Palombo (per contatti: elbano9 at yahoo.it) per questo intervento] Il mio 2 ottobre 2008 lo dedico alla lotta nonviolenta contro il razzismo che in questi ultimi tempi e' professato e praticato anche dalle istituzioni locali di centrosinistra e, in maniera molto piu' violenta ed inaccettabile, dalle istituzioni nazionali e locali di destra. Gandhi e King hanno dimostrato la superiorita' della nonviolenza nell'opposizione alle discriminazioni razziali e noi, con i nostri limiti, dobbiamo indicare con decisione la "conflittualita' nonviolenta" come unica strada vincente per superare la situazione attuale che vede stragi di migranti in mare, privazione della liberta' a persone che non hanno compiuto nessuna azione malvagia, piccoli gesti di ostilita' quotidiana e, addirittura, omicidi che non hanno alcuna motivazione se non il colore della pelle. Chi si considera persona amica della nonviolenza si muova come meglio crede ma ricordi che anche l'azione piu' piccola ha una sua utilita'. 8. VERSO IL 2 OTTOBRE. SERGIO PARONETTO: IL SOGNO DELL'UMANITA' [Ringraziamo Sergio Paronetto (per contatti: paxchristi_paronetto at yahoo.com) per questo intervento] Per me quest'anno la giornata della nonviolenza vede al centro Martin Luther King, di cui abbiamo ricordato il quarantesimo anniversario dell'uccisione.Il suo sogno e' tra noi e con noi, concreto perche' possibilita' storica. Storia aperta. La pace Ë nuova nascita. Il futuro non puo' essere proiezione del passato, "un duplicato della vecchia epoca", egli scrive. Il passato (violento) non e' un destino. Il sogno di pace e' piu' che futuro, e' ad-venire, una realta' veniente, la radice piantata nel futuro come principio speranza (King viene dal futuro come tutti i testimoni di pace). Il futuro di un uomo inedito (Ernst Bloch, Ernesto Balducci), l'eutopia (Tonino Bello), una realta' liberata (Aldo Capitini, Paulo Freire), un movimento di amicizia liberatrice (Leonidas Proano), profezia in atto (Primo Mazzolari, Benedetto Calati), essere come dono-nascita (Hannah Arendt, Maria Zambrano, Diana Sartori), passione di Dio (Juergen Moltmann), amore politico (Roberto Mancini) o, appunto, "potere dell'amore". * Ricordo una sua struggente riflessione: "Tanti fra i nostri antenati cantavano canti di liberta' e sognavano il giorno in cui sarebbero potuti uscire dalla schiavitu', dalla lunga notte dell'ingiustizia... E cantavano cosi' perche' avevano un sogno grande e potente; ma molti di loro sono morti senza vederlo realizzato... La lotta c'e' sempre. Facciamo dichiarazioni contro la guerra, protestiamo, ma e' come se con la testa volessimo abbattere un muro di cemento: sembra che non serva a nessuno. E molto spesso, mentre si cerca di costruire il tempio della pace, si rimane soli; si resta scoraggiati; si resta smarriti. Ebbene, cosi' e' la vita. E quel che mi rende felice e' che attraverso la prospettiva del tempo riesco a sentire le loro grida: 'Forse non sara' per oggi, forse non sara' per domani, ma e' bene che sia nel tuo cuore. E' bene che tu ci provi'. Magari non riuscirai a vederlo. Il sogno puo' anche non realizzarsi, ma e' comunque un bene che tu abbia un desiderio da realizzare. E' bene che sia nel tuo cuore... Sono stanco della violenza, ne ho vista troppa... Non intendo lasciare che sia l'oppressore a prescrivermi il metodo che devo usare. Non intendo abbassarmi al suo livello; voglio elevarmi a un livello superiore... L'umanita' si aspetta qualcosa di diverso dalla cieca imitazione del passato. Non potrebbe darsi che l'uomo nuovo di cui il mondo ha bisogno fosse l'uomo nonviolento?". * Oggi il suo successore nella chiesa battista di Atlanta, Raphael Warnak, giovane teologo nato l'anno della morte di King, afferma che "il suo sogno continua, perche' era ed e' impegno, lotta, e dove c'e' lotta nonviolenta il sogno continua pieno di significato per tutti". Ognuno di noi puo' ospitare il suo sogno, che e' il sogno dell'umanita' e il sogno di Dio per l'umanita'. 9. VERSO IL 2 OTTOBRE. SEVERINO SACCARDI: LA LUNGA MARCIA DEI DIRITTI UMANI [Ringraziamo Severino Saccardi (per contatti: s.saccardi at aliceposta.it) per questo intervento] Credo che sia importante una giornata dedicata alla riflessione sulla nonviolenza, in un momento in cui perfino la quotidianita', con i suoi "raptus" e la crescente brutalita', che si rivela in tanti episodi "inspiegabili", e' in crescita esponenziale. Sono in crescita le "patologie del nostro tempo". Per contrastarne la forza e la pervasivita', c'e' da lavorare all'elaborazione di un nuovo rapporto fra cultura della pace e cultura del conflitto. Non e' il conflitto, in se', come manifestazione e confronto, anche aspro, delle diversita' ad essere negativo. E' la sua espressione violenta, aggressiva e distruttiva. Bisogna, dunque, lavorare ad una canalizzazione, ad una smilitarizzazione, ad una civilizzazione delle espressioni e delle motivazioni dei conflitti, cui vanno, nella piena esplicitazione delle opposte ragioni in campo, individuati sbocchi pacifici. Eros e Thanatos, come insegnava Freud, sono destinati a convivere a lungo, nella vita e nella storia. Bisogna espandere culturalmente la forza unitiva e lo spazio dell'Eros non rimuovendo o negando la zona in ombra (il Thanatos), ma puntando a coglierne le ragioni interne di esistenza, indirizzandole verso un processo di graduale incivilimento dell'umanita'. Una canalizzazione pacifica, non violenta, dei motivi e delle "ragioni" che generano i conflitti (la cui aprioristica negazione, oltre ad essere irrealistica, corrisponde ad una visione tendenzialmente totalizzante della realta'): e' l'orizzonte in cui inscrivere il lavoro della cultura della pace, della nonviolenza e dei diritti. Pace e nonviolenza, mi piace d'altra parte sottolinearlo una volta di piu', non corrispndono a passivita'. Non c'e' accettazione dello status quo (e delle sue iniquita', che sono generatrici di conflitti distruttivi) nell'autentica cultura di pace. Nonviolenza - e' il grande insegnamento di Gandhi, ma anche di Ernesto Balducci - e' anzi impegno attivo, pacifico, ma instancabile a cambiare il mondo. C'e' un grande bisogno di recuperare questa lezione. Nel sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, constatiamo ogni giorno quanto c'e' da fare ancora per diffondere ed affermare nel mondo i diritti civili, i diritti politici, i diritti sociali. Viviamo in un mondo sempre piu' unito e sempre piu' diviso. Ripensare all'esperienza delle grandi figure e personalita' che, nel Novecento, il "secolo breve" delle ambivalenze (secolo della massima distruttivita', o "secolo del sangue", ma anche secolo in cui, come mai, hanno camminato la cultura della pace e dei diritti), hanno lavorato a costruire un mondo migliore, piu' giusto e piu' libero, ci da' forza. Va consegnata ai giovani, con un lavoro educativo di lunga lena, la lezione di Dietrich Bonheffer, del "Mahatma" Gandhi, di Martin Luther King, di Andrej Sacharov, di Nelson Mandela, di don Lorenzo Milani, di Ernesto Balducci e Giorgio La Pira. La "lunga marcia dei diritti umani" (e' un'espressione di Balducci) continua. 10. VERSO IL 2 OTTOBRE. GIOVANNI SARUBBI: PER UN IMPEGNO CONCRETO CONTRO LA VIOLENZA [Ringraziamo Giovanni Sarubbi (per contatti: redazione at ildialogo.org) pe questo intervento] Confesso di guardare con grande sospetto ad iniziative come quella della Giornata internazionale della nonviolenza che provengono da istituzioni come l'Onu che non sono riuscite ad impedire la guerra mondiale nella quale l'umanita' attualmente si trova. Una guerra mondiale che la grande maggioranza dei cittadini dei paesi occidentali non percepisce come tale perche' combattuta lontano dalle proprie terre. Sento cosi' molto distante la data del 2 ottobre dichiarata dall'Onu Giornata internazionale della nonviolenza, nella data di nascita di Gandhi. La nonviolenza la si deve praticare e non semplicemente proclamare a parole. La nonviolenza deve diventare pratica quotidiana in tutti i rapporti sociali e politici ad ogni livello nazionale ed internazionale. Sono gia' alcuni millenni che l'umanita' ha a che fare con chi utilizza qualsiasi idea, anche quelle nate contro se stesso, pur di continuare a mantenere inalterato il proprio potere politico, economico, religioso e militare. Cosi', per esempio, abbiamo assistito nel passato all'uso di Gesu' di Nazareth per fargli benedire cose che lui mai avrebbe benedetto oppure recentemente all'uso del femminismo contro le donne o del pacifismo contro la pace e ora anche della nonviolenza contro la nonviolenza. Certo mi si dira' meglio che niente. Meglio avere una ricorrenza da celebrare durante la quale poter parlare di nonviolenza che non averne alcuna. E sara' certamente anche utile che si utilizzi tale occasione per dire qualcosa di positivo. Ma non credo che alla nonviolenza servano celebrazioni, riti, liturgie che alla fine confinano la nonviolenza fra gli specialisti, gli studiosi, coloro che hanno potuto approfondire gli scritti di questo o quello scrittore o attivista o martire mentre alla gente viene riservata ogni giorno violenza su violenza. Da un lato le celebrazioni idealiste della nonviolenza, dall'altro la vita violenta di tutti i giorni: cosa credete che prevarra' nella testa della gente? Dico queste cose perche' sono molto amareggiato per lo stato di cose che stiamo vivendo nel nostro paese e nel mondo. A volte, nei momenti di sconforto, penso che non crediamo veramente in quello che diciamo e non siamo disponibili a rinunciare a nessuna delle nostre tante comodita'. Scrivo queste note dopo aver partecipato in mattinata ad una manifestazione di migranti svoltasi a Caserta fra il generale disinteresse della citta', con la paura ed il disprezzo che era ben visibile sul volto di moltissima gente che assisteva al passaggio del corteo formato al novantanove per cento di soli africani. E allora mi auguro che si colga l'occasione del 2 ottobre per fare iniziative concrete contro la violenza che quotidianamente sta imbarbarendo i nostri rapporti sociali. Non una vuota celebrazione, non fiumi di parole ma un concreto impegno contro la violenza che in questo momento si sta scatenando contro i migranti o che ci vede partecipare alla guerra in Afghanistan, in Libano o in altre parti del mondo. Gandhi, Martin Luther King e tanti altri martiri della nonviolenza il loro contributo concreto all'umanita' lo hanno dato fino in fondo e senza riserve. Spetta a noi ora fare altrettanto. 11. MAESTRE. HANNAH ARENDT: IL MIRACOLO CHE PRESERVA IL MONDO [Da Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1964, 1988, 1994, p. 182. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano 2006; i recentemente pubblicati Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona For ti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Il miracolo che preserva il mondo, la sfera delle faccende umane, dalla sua normale, "naturale" rovina e' in definitiva il fatto della natalita', in cui e' ontologicamente radicata la facolta' di agire. 12. MAESTRE. VANDANA SHIVA: GUIDATI DALLE DONNE CONTADINE [Da Vandana Shiva, Terra madre, Utet, Torino 2002, p. 179. Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003; Le nuove guerre della globalizzazione, Utet, Torino 2005; Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006; India spezzata, Il Saggiatore, Milano 2008] I movimenti ecologici guidati dalle donne contadine creano alternative equilibrate non solo per le donne, ma per l'intera societa'. 13. MAESTRE. SIMONE WEIL: IL PRIMO DOVERE [Da Simone Weil, Lezioni di filosofia, Adelphi, Milano 1999, p. 155. Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Eadem, Simone Weil. Un'intima estraneita', Citta' Aperta, Troina (Enna) 2006; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] Il primo dovere che si impone e' quello di non mentire. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 237 del 29 settembre 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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