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La domenica della nonviolenza. 183
- Subject: La domenica della nonviolenza. 183
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 28 Sep 2008 11:36:34 +0200
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 183 del 28 settembre 2008 In questo numero: 1. Verso il 2 ottobre, Giornata internazionale della nonviolenza 2. Luciano Benini: La risposta nonviolenta 3. Luciano Capitini: Il bene di tutti 4. Tiziano Cardosi: Non sia solo una ricorrenza 5. Maria D'Asaro: Un incontro con Lanza del Vasto 6. Alberto L'Abate: Gandhi e la pace 7. Paola Mancinelli: Storia di una grammatica zoppa 8. Silvano Tartarini: Una lettera e una poesia 9. Mao Valpiana: Nonviolenza politica 10. Mohandas Gandhi: Del primato delle donne nell'azione nonviolenta 1. EDITORIALE. VERSO IL 2 OTTOBRE, GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA NONVIOLENZA Dallo scorso anno l'assemblea generale dell'Onu ha dichiarato "Giornata internazionale della nonviolenza" il 2 ottobre, anniversario della nascita di Gandhi. In questa occasione si svolgeranno molte iniziative anche in varie citta' italiane. Ovunque possibile si promuovano incontri, e particolarmente nelle scuole. 2. VERSO IL 2 OTTOBRE. LUCIANO BENINI: LA RISPOSTA NONVIOLENTA [Ringraziamo Luciano Benini (per contatti: luciano.benini at tin.it) per questo intervento] Sembra sempre piu' urgente educare le nuove generazioni alla nonviolenza, addestrarsi alla nonviolenza, praticare la nonviolenza. La nonviolenza e' una scelta di fondo, strategica, che ti porta a guardare le cose con occhio diverso, che ti aiuta a trovare soluzioni diverse da quelle che sembrerebbero inevitabili. La nonviolenza entra in tutte le questioni del vivere quotidiano, non solo in quelle in cui e' piu' evidente la contrapposizione, come la guerra. Nella lotta alla criminalita' c'e' una risposta violenta e militare, quelle che il governo sta adottando in questi giorni, e c'e' una risposta nonviolenta: piu' educazione, piu' lavoro, piu' reti sociali. Nella questione energetica c'e' una risposta violenta, quella dell'energia accentrata e dura, come il nucleare, e una risposta nonviolenta, quella della sobrieta', del risparmio energetico, delle energie dolci e rinnovabili. Nei rapporti internazionali c'e' una risposta violenta, quella del sistema militare-industriale che impone un sistema economico ingiusto che produce fame e miseria, e c'e' una risposta nonviolenta, quella che tende a creare rapporti di collaborazione fra gli Stati, che porta a soluzioni in cui a tutti sia data la possibilita' di una vita dignitosa e nella quale siano assicurati i diritti fondamentali (cibo, acqua, salute, istruzioni, alloggio). Nell'amministrare una citta' c'e' una risposta violenta, quella che produce piu' cemento, piu' ghetti, piu' traffico, piu' inquinamento, che privatizza l'acqua e gli altri beni comuni, e c'e' una risposta nonviolenta, quella che cerca di valorizzare i rapporti sociali fra le persone, che favorisce la mobilita' pedonale e ciclabile, che adotta e favorisce l'uso di fonti energetiche dolci e rinnovabili, che mantiene sotto il controllo pubblico i beni comuni. Nella giornata della nonviolenza, indetta dall'Onu per il 2 ottobre, giorno della nascita di Gandhi, c'e' tutto questo: a noi, alle amministrazioni degli enti locali, alle associazioni, di far emergere la straordinaria ricchezza delle scelte nonviolente. 3. VERSO IL 2 OTTOBRE. LUCIANO CAPITINI: IL BENE DI TUTTI [Ringraziamo Luciano Capitini (per contatti: capitps at libero.it) per questo intervento] Il due ottobre un caro amico ed io saremo nella piazza di Pesaro - ove abitiamo - con una bandiera della pace ciascuno, anzi, con le bandiere della nonviolenza, quelle prodotte dal Movimento Nonviolento. Speriamo che in questa Italia, dove un assessore di Verona puo' insultare le bandiere della pace come simboli di sovversione, la nostra presenza venga percepita come una conferma che la nonviolenza vuole, in effetti, una rivoluzione, ma una rivoluzione in cui tutti sanno che il traguardo e', finalmente, il bene di tutti. 4. VERSO IL 2 OTTOBRE. TIZIANO CARDOSI: NON SIA SOLO UNA RICORRENZA [Ringraziamo Tiziano Cardosi (per contatti: tcardosi at tiscali.it) per questo intervento] Non amo particolarmente le "giornate" in cui si ricorda qualcosa; l'oggetto della ricorrenza si relega in una teca come se dovesse essere da preservare da corruzione o da morte. Somiglia troppo spesso a commemorazione. Io aspiro ad una nonviolenza che sia strumento di lotta e di azione di ogni giorno, ogni giorno deve essere ricorrenza di nonviolenza. Oggi si parla troppo di nonviolenza come a-violenza. Anche un vetro rotto o una parola forte diventano scandalo di violenza sulle bocche di troppi ipocriti. Sogno una nonviolenza che sia strumento di lotta di tutti, scuola di vita e di convivenza, progetto quotidiano di un altro mondo possibile, relazioni di amicizia, di stima, di amore con quelli che, accanto a noi, costruiscono l'immagine di un futuro di giustizia. Penso la nonviolenza come strumento di concretizzazione di quella omnicrazia di cui Capitini ci ha lasciato testimonianza. Oggi fuggo da chi pensa la nonviolenza ergendosi a giudice degli altri che cercano una speranza. Io so che gli esseri umani, se non condizionati da paure artificiali o dalle distorsioni di un potere che e' dominio, sono naturalmente capaci di agire la nonviolenza. Gli ultimi, i piu' poveri in tutto il mondo, ce lo testimoniano ogni giorno, dovunque; basta saperlo vedere. Aborro uomini di potere che si ergono a giudici usando il criterio della nonviolenza nei confronti degli avversari o dei loro critici: so che mascherano di ipocrisia la violenza che ringhia in ogni loro azione. Oggi si parla troppo di nonviolenza, troppo spesso a sproposito. Spero che il 2 ottobre sia giornata in cui prepareremo un 3, un 4, un 5 ottobre di azioni nonviolente. 5. VERSO IL 2 OTTOBRE. MARIA D'ASARO: UN INCONTRO CON LANZA DEL VASTO [Ringraziamo Maria D'Asaro (per contatti: maridasaro at libero.it) per questo intervento] Lontana primavera del 1976: in un prestigioso educandato palermitano un'acerba ragazzina al penultimo anno di liceo, anziche' ascoltare la solita lezione di greco o di filosofia, viene convocata con le sue compagne nel grande salone della scuola dove la direttrice presenta un uomo con splendidi occhi chiari, altissimo, ieratico, vestito con una tunica cucita a mano, la cui figura emana un grandissimo fascino. Quell'uomo era Lanza del Vasto, fondatore in Europa della nonviolenta Comunita' dell'Arca, discepolo di Gandhi, che lo ribattezzo' Shantidas "servitore di pace". La ragazzina ero io. Risale ad allora il mio innamoramento, il mio interesse profondo per la nonviolenza. Ho cominciato a leggere, a riflettere, a informarmi, a pensare: Lanza del Vasto intanto, e subito Gandhi, e Capitini, e Marthin Luther King. E le riflessioni di Jean Marie Muller, di Johan Galtung, di Giuliano Pontara. E le attuazioni pratiche di don Milani e di Alex Langer. E di Danilo Dolci, nella mia difficile terra. E la testimonianza coraggiosa di Dietrich Bonhoeffer e di Franz Jaegerstaetter. Nel buio dell'attuale momento storico, forse con freschezza e convinzione maggiore dei miei diciotto anni di allora, credo che la politica, la pedagogia, l'etica, persino l'economia e la tecnologia, o saranno profondamente e autenticamente nonviolente o non saranno affatto. La dimensione nonviolenta, che si fonda sulla fede nella profonda unita' del genere umano, e' in grado di indicare creativamente nuovi cammini e nuove relazioni tra le persone, tra gli uomini e le donne e la natura, tra l'umanita' e una possibile dimensione spirituale. Credo che la nonviolenza sia l'indispensabile chiave di volta per la fondazione di un rinnovato umanesimo, che progetti nuovi modelli di vita e una nuova etica della cittadinanza, basata su un rapporto armonico con la natura e gli altri esseri viventi. In questa prospettiva, mi auguro che celebrare il 2 ottobre, anniversario della nascita di Gandhi, la "Giornata internazionale della nonviolenza", sia l'occasione propizia - soprattutto nelle scuole e nei media, luoghi dove si incide maggiormente sull'immaginario collettivo - per coltivare i semi fecondi della visione e della pratica nonviolenta. 6. VERSO IL 2 OTTOBRE. ALBERTO L'ABATE: GANDHI E LA PACE [Ringraziamo Alberto L'Abate (per contatti: labate at unifi.it) per averci messo a disposizione questo suo testo inedito] Il 2 ottobre, giornata internazionale per la nonviolenza, e' l'anniversario della nascita di Gandhi. E' quindi opportuno parlare di lui ed anche di come la cultura occidentale ha recepito il suo pensiero e la sua attivita'. In India, in tutti i musei gandhiani, e' possibile vedere la scritta "my life is my message", che riassume perfettamente come in Gandhi non sia possibile scindere il pensiero da quello che ha fatto: sono due elementi interconnessi. Per moltissimi anni Gandhi e' stato una persona relegata in una cultura diversa dalla nostra: significativa, a questo proposito, e' la definizione che ne aveva dato Winston Churchill, che lo aveva chiamato "fachiro", proprio perche' vestiva poveramente, con un telo bianco avvolto intorno al corpo. Questa frase di Churchill mette l'accento sull'immagine di Gandhi come persona che appartiene ad una cultura diversa, e percio' confina le sue azioni ed i suoi comportamenti in una cultura extra nos, ritenendoli estranei e impraticabili nella cultura occidentale. Questa immagine stereotipata di Gandhi e' rimasta presente nella nostra cultura fino a pochi anni fa. Attualmente si assiste invece ad una notevole riabilitazione del pensiero e del messaggio gandhiano, come confermano anche le iniziative attuate in Italia in occasione del sessantenario dalla morte. Altri segnali della rivalutazione del pensiero di Gandhi sono dati dalla pubblicazione di numerosi libri su e di Gandhi, documentari sulla sua vita, etc. Da segnalare, in particolare, la ripubblicazione, e la distribuzione da parte del giornale "L'Unita'", di 30.000 copie del bellissimo libro di Giuliano Pontata, L'Antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo. Puo' essere interessante cercare di cogliere le ragioni di questa riabilitazione, di questa rivalutazione del pensiero gandhiano nella nostra cultura. L'ipotesi secondo me piu' consistente e' il fatto che Gandhi mette in discussione uno dei dogmi fondamentali della nostra politica, che deriva da una erronea e distorta lettura di Machiavelli: il principio che "il fine giustifica i mezzi" - un principio cardine della linea politica tuttora prevalente - connesso all'altro basilare principio della politica occidentale, "si vis pacem para bellum". La guerra viene quindi considerata come elemento utile, valido e indispensabile per salvare la pace. Il messaggio gandhiano si pone agli antipodi rispetto a questa visione ed a questa pratica della politica. Si pensi al suo detto: "il mezzo sta al fine come il seme sta all'albero". Cio' significa che se vuoi la pace, devi piantare un seme di pace: da questo messaggio deriva un cambiamento radicale del principio latino del "si vis pacem para bellum", che si trasforma appunto nel principio, fatto proprio anche da Ernesto Balducci, "se vuoi la pace prepara la pace". A questa nuova formulazione, Gandhi aggiunge una specificazione: lavora per la nonviolenza, perche' la nonviolenza viene considerata lo strumento fondamentale per la pace. Nel corso della sua vita Gandhi ha scritto moltissimo, e particolarmente interessanti sono i suoi scritti epistolari che vanno ad aggiungersi alla sua attivita' di pubblicista. Va infatti ricordato che Gandhi fu anche direttore di due giornali: il primo, nel periodo della sua permanenza in Sudafrica, il secondo in India. Da questi testi si possono ricavare gli elementi strutturali del pensiero gandhiano. In particolare, e' possibile individuare due elementi fondamentali in rapporto alla pace: la distinzione tra nonviolenza del debole e nonviolenza del forte; l'importanza del progetto costruttivo e della ricerca di soluzioni sovraordinate. * Leggendo la Bhagavad Gita, un testo sacro indu', ci si puo' rendere conto che si tratta di un racconto di guerra in cui Arjuna non ha il coraggio di combattere perche' dall'altra parte ci sono dei suoi parenti. Si rivolge quindi al dio chiedendo che cosa deve fare, e il dio risponde che deve combattere perche' e' dalla parte del giusto. Se questo testo viene assunto come base per la pace e la nonviolenza, si trovano punti non congruenti. Massimo Cacciari, ad esempio, interpreta questo testo proprio come una giustificazione della guerra, in particolare alla guerra giusta (si potrebbe dire "per fini umanitari"). Gandhi trae invece da questo testo due insegnamenti diversi: il primo, che bisogna combattere contro l'ingiustizia, che abbiamo il dovere morale di agire per modificare le situazioni di sfruttamento e di sopraffazione; ma questo non implica per lui l'uso della violenza e delle armi, ma solo quella della nonviolenza del forte: la nonviolenza del forte e' la lotta di chi non soggiace all'ingiustizia, di chi non accetta passivamente di assistere alla perpetrazione di ingiustizie. Come ha rilevato Johan Galtung in uno dei migliori libri scritti su Gandhi, Gandhi oggi, nel capitolo sulle regole del comportamento conflittuale, per Gandhi e' fondamentale e necessario distinguere tra ruolo e persona: bisogna salvare la persona, perche' la persona e' sacra - e qui possiamo rintracciare la consonanza col pensiero quacchero, per il quale in ogni uomo c'e' una scintilla della divinita' -, ma si deve combattere contro il suo ruolo di sfruttatore, di portatore di ingiustizia e di criminalita'. E' quindi necessario trovare forme di lotta per salvare l'avversario senza pero' impedire di lottare contro il suo ruolo di sfruttatore, di usurpatore, Questa e' per Gandhi la lotta nonviolenta: il satyagraha, la lotta con la forza della verita' e dell'amore. Nonviolenza non ha quindi una accezione negativa, non e' qualcosa di privativo come appare nella lingua italiana, ma qualcosa di positivo: la lotta con la forza dell'amore e della verita'. Il secondo insegnamento che Gandhi ricava dalla Bhagavad Gita e' che bisogna lottare anche contro se stessi. L'invito di Arjuna, per Gandhi, e' un invito a lottare anche contro quello che c'e' in noi stessi che, in un certo senso, legittima la violenza e le ingiustizie dell'avversario; si tratta quindi di modificare noi stessi in modo tale da non giustificare la risposta violenta dell'avversario. In questa lotta e' quindi necessario purificarci per eliminare quegli elementi che giustificano il comportamento dell'avversario che si intende combattere. * Un altro aspetto fondamentale del pensiero gandhiano in relazione alla nonviolenza del forte e' l'importanza del progetto costruttivo. A questo proposito, vorrei ricordare che Antonio Gramsci nei Quaderni del carcere dedica alcune pagine a Gandhi. Gramsci non aveva una conoscenza diretta dei testi gandhiani, ma conosceva Gandhi attraverso la mediazione della lettura del testo di Romain Rolland su Gandhi. In Gramsci si puo' reperire un'idea che presenta piu' di una consonanza con il progetto costruttivo gandhiano: secondo Gramsci, la vecchia societa' si distrugge costruendo la nuova; le due attivita' - della costruzione di una nuova societa' e di rottura ed eliminazione delle scorie della vecchia - sono due fasi concomitanti. L'idea gramsciana che solo costruendo una nuova societa' si distrugge la vecchia, esprime esattamente l'idea di Gandhi: l'importanza estrema del progetto costruttivo, del cercare positivamente di costruire un nuovo tipo di societa', nuove strutture, nuove persone - e in questo processo di costruzione di nuove persone l'educazione svolge un ruolo fondamentale - per dare vita ad una societa' diversa. In questo processo di cambiamento riveste un'importanza fondamentale la ricerca di quelli che in linguaggio gandhiano si chiamano gli obiettivi sovraordinati. In una societa', soprattutto tra elementi che lottano tra loro, ci sono spesso obiettivi sovraordinati, ossia obiettivi che sono comuni ai due avversari, che siano persone o gruppi sociali o nazioni; ed e' su questi obiettivi, che possono unire coloro che sono in conflitto, che bisogna lavorare per cercare di costruire una societa' diversa. Quindi, il progetto costruttivo, il progetto positivo, e' visto come un elemento fondamentale della nonviolenza. * Il terzo punto su cui vorrei richiamare l'attenzione e' la complementarieta' di questi due aspetti. Gli epigoni di Gandhi spesso si dedicano alla lotta nonviolenta, senza tener presente il progetto costruttivo, trasformando cosi' le lotte in tecniche pure, senza considerare i principi che erano alla base della vita e del messaggio gandhiano; oppure si dedicano al momento costruttivo senza tener presente che il lavoro di solidarieta' sociale senza lottare contro le cause dell'ingiustizia rischia di trasformarsi in un lavoro da "tappabuchi", da rammendatori sociali. Questi due elementi, invece, rappresentano due momenti interconnessi e non si puo' tralasciare l'uno senza rinnegare l'altro. Si tratta di una connessione che possiamo rintracciare anche nell'opera dell'Abbe' Pierre, quando dice: "Aiuta chi ha bisogno ma lotta contro le cause della sua miseria; lotta contro le cause della miseria ma aiuta subito anche chi ha bisogno: l'una e l'altra azione non possono separarsi senza rinnegarsi". * Come emerge con chiarezza dallo studio del pensiero di Gandhi, il Mahatma pone alla base del suo lavoro due principi fondamentali: il primo e' il principio di reciprocita', il secondo e' l'umanizzazione del conflitto. Il principio di reciprocita' non e' stato inventato da Gandhi, ma e' stato elaborato dai sociologi del conflitto. Questo principio dice che se io aumento il mio livello di violenza contro il mio avversario, questi tendera', a sua volta, ad aumentare il suo livello di violenza. Il principio di reciprocita' spiega, ad esempio, la spirale della corsa al riarmo nucleare che ha caratterizzato le relazioni tra le due superpotenze nella seconda meta' del XX secolo. Questo principio vale anche nel senso opposto: Reagan, non riuscendo a portare avanti le cosiddette guerre stellari perche' il suo parlamento non gli dava i soldi necessari, ed anche perche' il movimento antinucleare di tutto il mondo gli dava filo da torcere, decise di cambiare la strategia che fino allora aveva portato avanti (la guerra del bene contro il male) e cerco' degli accordi con i russi che, con l'andata al potere in Russia di Gorbaciov, si concretizzarono in un primo accordo per la riduzione delle armi nucleari a lunga gittata. Il processo di disarmo innescato dalle due superpotenze negli anni '80 e' l'esempio tipico di de-scalata del conflitto che tiene conto del principio di reciprocita'. C'e' pero' un'eccezione al principio di reciprocita': quando l'avversario e' convinto che la de-scalata della controparte sia dovuto ad una sua debolezza, al fatto che questi ha paura dello scontro. In tal caso, se l'avversario ritiene che la riduzione della violenza sia un segno di debolezza o di paura, egli tendera' ad aumentare il proprio livello di violenza, per sconfiggere definitivamente l'avversario. Gandhi aveva perfettamente coscienza di questo principio. Una influenza determinante nell'elaborazione di questo principio e' stata, probabilmente, la lettura di uno scritto di C. Marsh Case, un sociologo quacchero che aveva fatto una ricerca sulla ruolo coercitivo della nonviolenza. Gandhi, infatti, avanzava le sue proposte di accordo con l'avversario sempre dopo lotte nonviolente vincenti. Quando aveva dimostrato all'avversario che la nonviolenza era forte e vincente, allora Gandhi offriva le possibilita' di soluzioni onorevoli sia per gli indiani da lui guidati, sia per la controparte, permettendo cosi' all'avversario di uscire da una situazione imbarazzante senza essere umiliato. Il secondo elemento rintracciabile nel pensiero gandhiano e' l'umanizzazione del conflitto. Umanizzazione del conflitto non significa negare il conflitto: il conflitto di per se' non e' negativo, non si tratta di eliminarlo, perche' il conflitto e' alla base del cambiamento, della crescita; si tratta piuttosto di trasformare il conflitto in confronto, umanizzare il conflitto, sviluppando le forme di lotta nonviolenta che vanno dalla noncollaborazione al male, alla disobbedienza civile, dall'obiezione di coscienza alle lotte nonviolente di massa: scioperi, boicottaggi, etc. Anche il progetto costruttivo e la ricerca di obiettivi sovraordinati servono ad umanizzare il conflitto perche' non implicano la distruzione dell'avversario, ma ricercano piuttosto punti di accordo. * In termini piu' generali, cio' significa che si deve eliminare la guerra, bisogna cercare di prevederla e di prevenirla; e si devono ricercare forme di lotta e di difesa nonviolenta. Il primo punto del programma di difesa nonviolenta era per Gandhi l'attuazione di una politica estera che non creasse nemici, aperta agli altri; da questo punto di vista l'idea di Gandhi era quella che si dovesse eliminare gli eserciti armati per dar vita, invece, a corpi di pace, veri e propri eserciti di pace, disarmati ed addestrati all'uso delle tecniche nonviolente. C'e' attualmente, a livello internazionale, una iniziativa per dar vita a corpi di pace, di questo tipo, per intervenire sia prima che un conflitto sia esploso, per prevenirne l'esplosione e cercare percio' di evitarlo; sia durante il conflitto sia per interromperlo attraverso l'interposizione nonviolenta tra i due contendenti, sia per cercare soluzioni che possano portare alla sua fine in senso positivo; sia infine dopo il conflitto armato, per aiutare il processo di riconciliazione tra gli ex nemici. Un altro lavoro, sulle linee delle prime idee e lavori di Gandhi, e' quello della trasformazione dei conflitti squilibrati in conflitti equilibrati: cio' significa che si deve aiutare la parte piu' debole a prendere coscienza del conflitto ed a far emergere, far venire alla luce, il conflitto latente. Quest'ultimo aspetto e' probabilmente quello che meno e' stato recepito dai lettori di Gandhi, e sul quale ha giustamente richiamato l'attenzione Galtung nel suo libro Gandhi oggi. Galtung sottolinea, infatti, che in una situazione di squilibrio, la prima fase del lavoro da fare e' di tipo dissociativo. Non si possono prendere accordi con l'avversario se lui e' forte e io sono debole, perche' la mediazione e la negoziazione con un avversario piu' forte, in una situazione dominante, determina necessariamente un vantaggio per chi ha piu' potere. Il momento dissociativo prevede dunque una forma di empowerment, la costruzione del potere del gruppo piu' debole in modo da arrivare a potersi confrontare in una situazione di equilibrio. * Considerando la societa' attuale alla luce del messaggio di Gandhi possiamo osservare la distanza che ci separa dalla societa' preconizzata da Gandhi. Tuttavia, non dobbiamo neppure sottovalutare quello che si e' gia' ottenuto e quello che si sta ottenendo. Il XX secolo e' stato anche il secolo delle grandi lotte nonviolente di massa che hanno liberato interi popoli: si pensi, ad esempio, all'indipendenza dell'India, ottenuta proprio attraverso la conversione dell'avversario. L'India ha ottenuto l'indipendenza quando Churchill e' caduto; la lotta di indipendenza di Gandhi ha permesso al partito laburista di andare al potere, ha cioe' aiutato la conversione dell'avversario perche' ha dato una mano ai laburisti, senza comunque schierarsi dalla loro parte, a portare avanti un progetto - in cui era prevista anche l'indipendenza dell'India - opposto a quello coloniale del partito conservatore. La lotta nonviolenta di Gandhi e' stato un elemento importante proprio per la conversione della leadership politica laburista inglese: una conferma del principio gandhiano di non uccidere l'avversario, ma cercare di convertirlo. Un altro esempio di lotte nonviolente di massa e di interposizione nonviolenta e' la caduta della dittatura di Marcos nelle Filippine: piu' di centomila civili disarmati hanno difeso i militari scissionisti interponendosi in modo nonviolento tra loro e gli altri soldati dell'esercito rimasti fedeli a Marcos, facendo desistere questi ultimi dal loro proposito, e riuscendo a portare molti di loro dalla propria parte. Un altro esempio significativo e' il superamento di forme istituzionalizzate di segregazione razziale negli Stati Uniti: il razzismo continua a sussistere oggi, ma non esistono piu' forme istituzionalizzate di segregazione razziale. Infine, il crollo dei regimi comunisti dei Paesi dell'Est puo' essere considerato come un esempio di lotte non-violente - o almeno non armate - di massa; ne' appare casuale che l'unico Paese in cui ci siano stati conflitti armati e morti sia stato proprio la Romania, dove c'era un regime del tutto corrotto, ma che era in realta' filo-occidentale. A livello istituzionale un'apertura alla cultura della nonviolenza espressa dal pensiero gandhiano puo' essere rintracciata nello statuto delle Nazioni Unite, nel quale la guerra non e' vista come qualcosa di positivo, ma come una realta' da superare. E proprio in questo contesto si e' sviluppata anche una riflessione sui diritti umani e sulla pace come diritto universale. Un altro esempio positivo e' la creazione, sempre all'interno delle Nazioni Unite, dei corpi di interposizione; in questo caso specifico non si tratta di forme di interposizione nonviolenta, ma a basso livello di violenza: i caschi blu di peacekeeping, armati di armi volte esclusivamente all'autodifesa. Il peacekeeping ha dato in questi anni numerosi risultati; esso e' molto diverso dal peaceenforcing, che oggi tende purtroppo ad essere maggiormente accreditato, non tanto dalle Nazioni Unite quanto piuttosto da alcune delle grandi potenze che dominano il Consiglio di sicurezza ristretto di questo organismo e che spesso trattano quest'ultimo come una marionetta, che si deve piegare al loro potere (ricattandolo spesso, con i problemi del finanziamento: non ti diamo i soldi che ti dobbiamo se non fai questa risoluzione o quest'altra). Un altro elemento storico che va nella direzione della nonviolenza gandhiana e' la consapevolezza, sempre piu' diffusa, che la guerra va prevenuta. Da questo punto di vista sembra importante ricordare che a livello europeo, grazie alla pressione di organizzazioni non governative, e' stato attivato un sistema di early warning, di individuazione precoce dei conflitti in modo da prevenire un loro eventuale scoppio; e' stato inoltre istituito un comitato per la prevenzione dei conflitti a livello europeo. Inoltre, anche se poco noti e poco studiati, si registrano numerosi casi di interposizione nonviolenta che hanno avuto risultati positivi in vari Paesi: Algeria, Cina, Arabia Saudita, Filippine. Vorrei richiamare l'attenzione anche sulla proposta - avanzata da Alex Langer, e ancora non attuata - di istituire corpi non armati di pace all'interno dell'Europa: una proposta che e' stata da me presentata nel 1996 al Parlamento europeo, e che avrebbe potuto, se attuata, portare a prevenire la guerra del Kossovo ma che non e' stata recepita. Un altro elemento positivo e' l'approvazione in Italia di una legge che afferma che nel nostro Paese bisogna incominciare a pensare ad una difesa nonviolenta, che la difesa nonviolenta - come conferma una sentenza della Corte costituzionale di alcuni anni fa - fa parte costitutiva della nostra difesa. Questa legge ha aperto, quando ancora esisteva il servizio militare obbligatorio, la possibilita' agli obiettori di coscienza in servizio civile di andare a svolgere il loro servizio, o parte di esso, in situazioni di conflitto all'estero: in Kosovo, ad esempio, ci sono stati obiettori di coscienza al servizio civile, autorizzati dal Ministero degli Esteri a svolgere parte del loro servizio in mezzo a quel conflitto. Ed ora sta aprendo la stessa possibilita' ai volontari del servizio civile. * La diffusione e l'affermarsi di una cultura nonviolenta presuppongono una politica diversa da parte del nostro e di altri governi, e cioe' quella che e' stata definita la sicurezza comune, ossia la sicurezza che si raggiunge con gli altri e non contro gli altri, e che tende a soppiantare una nozione e una pratica di sicurezza considerate esclusivamente come "sicurezza da". Presuppongono il venir meno di alcuni tabu' culturali: vorrei, a questo proposito, richiamare l'attenzione sul fatto che molti testi significativi - tra cui quello su cooperazione e conflitto di Margareth Mead - non circolano nel mercato librario ed editoriale italiano. La nonviolenza e la pace non sono un'utopia, sono obiettivi raggiungibili; e' pero' necessario un grosso lavoro per cambiare la cultura, per educare in modo diverso i bambini e i ragazzi, e in questo e' fondamentale il ruolo degli insegnanti e della scuola. 7. VERSO IL 2 OTTOBRE. PAOLA MANCINELLI: STORIA DI UNA GRAMMATICA ZOPPA [Ringraziamo Paola Mancinelli (per contatti: mancinellipaola at libero.it) per questo intervento] Per parlare di nonviolenza usero', questa volta, una metafora di tipo linguistico, come forse si evince dal titolo. E se, come dice Heidegger, il linguaggio e' la casa dell'essere, la questione non e' oziosa. Ne va invece di una dimensione filosofica alla base di un'intera Weltanschauung. Un privativo precede la parola violenza, suffisso immutabile, piccola locuzione che dice, pero', l'incapacita' del linguaggio ad esprimere una dimensione che in teoria rappresenta il possibile sempre in agguato a sovvertire i piani di una realta' pensata solo come manipolabile, riducibile ad un commercium routinario. Effettivamente, il piano ontologico, almeno in alcuni modelli assunti nell'ambito della filosofia occidentale (mi si perdoni l'allusione al mondo filosofico, ma non si puo' non fare i conti con la propria provenienza), dice di una non contraddizione che, in ogni caso, riduce ad uniformita' il pensato ed il pensabile e, pur ammettendo l'analogia dell'essere che si dice in molti modi, riesce appena a balbettare il diversum, non prima di averlo superato e riassunto. Questa digressione, semplicemente per mettere in luce che quando il linguaggio non sa dire l'alterita' se non per opposizione all'identita', opposizione che necessariamente deve preludere ad un superamento, assume il conflitto come radice e si traduce in vis (forza) su cui attagliare persino la ragione. Del resto, la cosa ha una ricaduta anche nella prassi: si vis pacem para bellum. * Quando si e' giunti a comprendere la conseguenza della ragione totalitaria, la sua forza distruttrice, la tentazione del sovvertimento del diverso per mezzo di una scienza adulterata e divenuta ideologica in virtu' del connubio con il potere, si e' compreso pero' che non si aveva il linguaggio per parlare di pace, almeno non altro linguaggio che quello dei trattati e dei negoziati conseguenti alle stragi belliche. Cosi' la nonviolenza e' divenuta semplicemente la negazione della violenza, non avendo un suo statuto proprio, e con tale privativo si e' voluto tra-durre nella nostra visione del mondo quella concernente un'altra modalita' semantica come quella del satyagraha. Si e' dimenticato pero' che Gandhi ha sottolineato tutta la forza propositiva e costruttiva di questa parola, la quale esprime un concetto fondamentale come quello di una verita' che ha una forza propria e che non deve essere propugnata con offensive, quello di una dignita' umana che gia' di per se' invita alla responsabilita', che derivava dalla conoscenza del mondo biblico, in nome di una giustizia in tanto universale in quanto capace di salvaguardare la dignita' di ognuno; diremmo anzi la dignita' delle differenze. Infine si e' dimenticato troppo spesso di scorgere nel termine gandhiano un principio di universalita' che non puo' non tenere conto di come la massima espressione di ogni norma ed azione e' quella che vede nell'umanita' del singolo il modello di ogni umanita', come ben dimostra la cultura biblica, nelle suggestive scritture profetiche, ove i carmi del servo di Jhwh isaiani rappresentano un'emblematica condizione umana di cui farsi carico. * Vorrei immaginare un linguaggio che dica l'alterita' come ne e' capace quello di Dio: relazione originaria al principio di ogni cosa, come ben sottolinea Martin Buber, e come ben sottende il dato cristiano, ove il Verbo si dona in un ascolto accogliente e dove il Deus revelatus si manifesta in un deittico affidando completamente la Sua identita' all'alterita' del Figlio: "Questi e' il mio Figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto". Solo in questo spazio relazionale tutte le parole umane potrebbero ricostituire una grammatica nuova priva della tentazione di una differenza escludente, ricco invece di una affermazione ospitale, dato che la lingua stessa e' spazio ospitale, essa stessa ekumene da inventare nella fatica del quotidiano e nei giorni dell'uomo. Non vi sarebbe, cosi', la possibilita' di declinare nel paradigma della volonta' di potenza e di dominio le civilta', le forme politiche, le popolazioni che ci interpellano sic et simpliciter con la loro diversa possibilita' di esistenza suggerendo un nuovo e vero umanesimo planetario. Chissa' che non potrebbe essere questa locuzione sostituto piu' pieno e autentico di nonviolenza? 8. VERSO IL 2 OTTOBRE. SILVANO TARTARINI: UNA LETTERA E UNA POESIA [Ringraziamo Silvano Tartarini (per contatti: berrettibianchi at virgilio.it) per questo intervento] Forse non sono molto adatto a parlare di nonviolenza, dato che anch'io, come troppi altri, non sono che un povero violento che tenacemente cerca di non esserlo e non sempre ci riesco. So solo che se gli uomini abitassero lontani l'uno dall'altro finirebbero per amarsi teneramente sempre, ma noi, uomini e donne, viviamo appiccicati come sardine e cosi' non siamo ancora riusciti a trovare un modo per abolire la violenza che ci circonda e, spesso, ci prende, anche se non vorremmo. Ovviamente, bisogna continuare a insistere, contro ogni difficolta', con l'informazione e l'esempio. E qui mi rendo conto che sul piano dell'esempio quotidiano, purtroppo, sono molto carente. Insieme a tanti altri, mi occupo di Corpi civili di pace, ma ancora la politica e, soprattutto, la maggioranza delle persone non li prende sul serio. I tanti altri ed io continuiamo a crederci. Forse, la nostra nonviolenza e' in questo crederci. Cosi', senza meriti, mi piace mandarti questa breve poesia che scrissi tanti anni fa, quando ancora non conoscevo nemmeno la parola nonviolenza, ma la nonviolenza, invece, sapeva che c'era qualcuno da salvare da qualche parte. * Sassi Si tengono i sassi nelle mani si tirano oggi poi domani poi si stringono le mani sui sassi di ieri e di oggi e domani finiti i sassi restano le mani le mani vuote che bussano ai sassi. 9. VERSO IL 2 OTTOBRE. MAO VALPIANA: NONVIOLENZA POLITICA [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: mao at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento] Celebrare la giornata internazionale della nonviolenza, in occasione dell'anniversario della nascita di Mohandas K. Gandhi, e' cosa buona e giusta. E' infatti con Gandhi che nasce la nonviolenza moderna. Certo, essa e' sempre esistita, e' "antica come le montagne", ma prima del Mahatma era sempre stata intesa come via personale alla salvezza, come codice individuale, come precetto valido per l'individuo. E' solo con la straordinaria esperienza gandhiana, prima in Sudafrica e poi in India, che la nonviolenza diventa politica, strumento collettivo di liberazione. La nonviolenza e' stata la vera, grande, unica, rivoluzione del XX secolo. Le ideologie del Novecento si sono frantumate alla prova della storia, sono state sepolte nelle tragedie dei campi di sterminio e nei gulag, sono morte nei massacri della prima e della seconda guerra mondiale. Solo la nonviolenza resta ad indicare una nuova via, a partire dal ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Celebriamo la giornata della nonviolenza con l'imperativo assoluto di rifiutare ogni guerra e gli strumenti che la rendono possibile. 10. MAESTRI. MOHANDAS GANDHI: DEL PRIMATO DELLE DONNE NELL'AZIONE NONVIOLENTA [Da Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza,Einaudi, Torino 1973, 1996, p. 206. Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini, L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006; Giuliano Pontara, L'antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega, Torino 2006] Se la nonviolenza e' la legge della nostra esistenza, il futuro e' delle donne. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 183 del 28 settembre 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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