La domenica della nonviolenza. 180



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 180 del 7 settembre 2008

In questo numero:
1. Dacia Maraini: La societa' dei padri
2. Dacia Maraini: Il lavoro, i figli
3. Dacia Maraini: Come si costruisce un'invasione
4. Dacia Maraini: Scorie, ovvero bombe
5. Dacia Maraini: Il viaggio di Amara
6. Dacia Maraini: La lezione d'amore di Pippa Bacca
7. Dacia Maraini: Una scuola contro il disprezzo
8. Dacia Maraini: Le radici dell'odio
9. Dacia Maraini: Scrivere, leggere
10. Dacia Maraini: Il dolore degli altri

1. DACIA MARAINI: LA SOCIETA' DEI PADRI
[Dal "Corriere della sera" del 26 febbraio 2008 col titolo "E cosi' Apollo
rubo' i figli alle madri".
Dacia Maraini, nata a Firenze nel 1936, scrittrice, intellettuale
femminista, e' una delle figure piu' prestigiose della cultura democratica
italiana. Un breve profilo biografico e' in "Nonviolenza. Femminile plurale"
n. 47. Tra le opere di Dacia Maraini segnaliamo particolarmente: L'eta' del
malessere (1963); Crudelta' all'aria aperta (1966); Memorie di una ladra
(1973); Donne mie (1974); Fare teatro (1974); Donne in guerra (1975); (con
Piera Degli Esposti), Storia di Piera (1980); Isolina (1985); La lunga vita
di Marianna Ucria (1990); Bagheria (1993). Vari materiali di e su Dacia
Maraini sono disponibili nel sito www.dacia-maraini.it]

"Non e' la madre che crea / il figlio, come si pensa. / Ella e' solo nutrice
e niente altro, della creatura paterna / ...Soltanto chi getta il seme nella
terra fertile e' da considerarsi genitore. / La madre coltiva, ospite
all'ospite, il germoglio, / quando non l'abbia disperso un demone". Questa
frase messa in bocca ad Apollo da Eschilo, e pronunciata in un sacro spazio
teatrale nel 458 a.C. segna un punto di svolta che ha marcato la storia
della maternita' in Occidente. Presso i Pelasgi del II millennio, popolo
antenato dei greci, chi creava il mondo era la dea Eurinome, nel cui uovo
erano compresi tutti i mari, le montagne, i fiumi, le foreste del mondo.
Solo lei poteva fare maturare quell'uovo, romperne il guscio e spargere i
beni di cui avrebbero vissuto gli esseri umani. Apollo, il nuovo dio della
democrazia ateniese, invece sancisce un principio che avra' conseguenze
disastrose per le donne dei millenni a venire: non e' la madre che crea il
figlio. Il suo ventre e' da considerarsi solo un vaso che custodisce il seme
paterno. Ecco come nasce una societa' dei Padri. Persino la religione
cristiana, che e' stata rivoluzionaria nel riconoscere un'anima anche alle
donne, si e' tenuta, per quanto riguarda la gerarchia, ai principi
apollinei: nella Santa Trinita' non appare la figura materna. E quando Dio
decide di diventare padre, forma prima l'uomo a sua immagine e somiglianza,
poi prende una costole di Adamo e da quella fa nascere la donna. Insomma
capovolge la realta' per sancire una gerarchia inamovibile. Tutta la nostra
cultura viene da questi grandi e originari avvenimenti simbolici. Poi, il
laicismo, le rivoluzioni, l'illuminismo, i movimenti di emancipazione hanno
cercato di rompere il dogma, riconoscendo alle donne la partecipazione al
processo di riproduzione. Ma sempre sotto il controllo dei Padri e dentro le
leggi stabilite da loro. Il diritto alla riproduzione non si e' mai
trasformato in liberta' di riproduzione. E la rete millenaria dei divieti e'
profonda e radicata anche quando non viene scritta. Da li' derivano il culto
della verginita', la proibizione degli anticoncezionali, l'aborto
clandestino, l'ignoranza indotta e tante altre disperanti piaghe della
storia femminile. Se c'e' una cosa su cui le donne hanno competenza e' la
maternita': un processo che avviene nel loro corpo, di cui conoscono le pene
e le gioie profonde, i tempi e le trasformazioni, il peso e le
responsabilita'. Ma di questa competenza sono state espropriate e ogni
movimento di riappropriazione viene visto come un attentato alla morale. Il
processo procreativo si e' complicato da ultimo per le scoperte della
scienza: anticoncezionali meccanici e chimici, aborti chirurgici e chimici,
possibilita' di spiare e fotografare l'embrione nella sua formazione, mezzi
per fare crescere un feto anche in assenza del corpo materno. Ma tutto
questo, anziche' dare potere alle donne, le deruba ancora una volta dei loro
saperi profondi, per stabilire sui loro corpi cosa fare e non fare, secondo
principi assoluti stabiliti a tavolino da chi questi saperi non li conosce
affatto e non vuole neanche fare lo sforzo di immaginarli.

2. DACIA MARAINI: IL LAVORO, I FIGLI
[Dal "Corriere della sera" dell'11 marzo 2008 col titolo "Fanno piu' figli
le donne che lavorano" e il sottotitolo "Ma il bambino non e' considerato un
bene e nessuno le aiuta"]

Sono solo 50,8% le donne che lavorano in Italia. La piu' bassa percentuale
in Europa. Basti pensare che in Svezia sono il 70%. Ma la notizia che
avrebbe dovuto fare scalpore, rimasta purtroppo semiclandestina, e' quella
pubblicata da "Famiglia cristiana": le donne che lavorano fanno piu' figli.
Si pensava il contrario. Si scriveva il contrario. Il luogo comune a cui
ancora molti moralisti si aggrappano vuole che le donne libere di dedicarsi
ai figli rimanendo a casa abbiamo piu' voglia di allargare la famiglia.
Invece non e' cosi'. Lo dicono studi specializzati. Lo analizza un libro, Il
fattore D, di Maurizio Ferrera docente di Teoria e politiche dello Stato
sociale dell'universita' degli studi di Milano, edito da Mondadori. Dovunque
le donne dispongono di un lavoro e di uno stipendio proprio, si accingono
con piu' responsabilita' a diventare madri: in Svezia il tasso di fertilita'
raggiunge l'1,6%, in Francia dove lavorano sei donne su dieci il tasso di
fecondita' e' salito a 2 figli per donna, mentre l'Italia e' rimasta
all'1,3%. Ma allora cosa vogliono le donne? si chiedono i giornalisti di
"Famiglia cristiana". E la risposta viene dalle molte intervistate:
imprenditrici, operaie, sindacaliste. Lavoro e figli, questa e' la
richiesta. Evidentemente cambiano anche i desideri e i progetti al
femminile. Cio' che le nuove donne trovano umiliante e anacronistico e'
l'essere costrette a scegliere. Cosa che purtroppo succede ancora ampiamente
in Italia, dove mettere al mondo un bambino ha costi eccessivi e il peso
dell'allevamento ricade quasi tutto sulle spalle delle madri. Le ragazze
delle nuove generazioni danno il meglio di se' negli studi. Sono bravissime
nelle facolta' universitarie, anche quelle frequentate fino a poco tempo fa
solo da uomini. Il nodo viene al pettine nel momento in cui queste ragazze
con brillanti studi alle spalle si sposano e decidono di mettere su
famiglia. Immediatamente scoprono che e' difficilissimo conciliare la cura
di una maternita' con gli orari di lavoro. Sempre che trovino un lavoro,
cosa che sta diventando sempre piu' ardua. Se non hanno una madre amorevole
disposta a sacrificarsi giorno e notte, dovranno ricorrere a un asilo. Ma
salvo alcune zone fortunate del nostro Paese in cui gli asili sono comunali
e gratuiti ma hanno orari non conciliabili e sono praticamente a numero
chiuso, gli altri, quelli privati, costano cari e dove trovare i soldi?
Quando, facendo i conti, si scopre che lo stipendio del marito viene
pesantemente decurtato dalle spese per la cura del figlio, di solito la
giovane madre decide di restare a casa rinunciando alla sua professione.
Conosco personalmente una giovane donna tenace che per non perdere il lavoro
ha dovuto nascondere fino all'ultimo la sua gravidanza. Si e' presa il
periodo di vacanza per andare a partorire e oggi fa una vita d'inferno: ha
dovuto svezzare anzitempo il suo bambino, allattandolo solo in certi orari
per non incorrere nel licenziamento. Questo succede nell'Italia del 2008. E
non si tratta di un caso isolato. Ancora non passa per la mente dei nostri
datori di lavoro e della nostra classe dirigente che un figlio e' un bene
pubblico prima che privato, e le donne che si accingono a diventare madri
vanno aiutate, ma non con la retorica.

3. DACIA MARAINI: COME SI COSTRUISCE UN'INVASIONE
[Dal "Corriere della sera" del 25 marzo 2008 col titolo "Come si costruisce
un'invasione" e il sommario "Frontiere in discussione, poi il discredito. E
si arriva a quel che accade a Lhasa"]

La storia ci insegna che quando un Paese potente vuole fagocitarne uno meno
potente, prima di tutto mette in discussione le sue frontiere. Prende a
dubitare pubblicamente della legittimita' della sua esistenza. Rilegge il
passato a modo suo, pretende di avere diritti aviti su quel territorio.
Naturalmente si scontrera' con il sentimento nazionale e identitario del
piccolo popolo vicino, che comincera' a protestare. Le proteste saranno
immediatamente considerate ostilita' vere e proprie dal Paese piu' potente e
piu' grosso che gridera' al pericolo di aggressione. Intanto diffondera' il
discredito internazionale: mettera' in ridicolo le usanze del Paese piu'
povero, disprezzera' la sua religione, critichera' le sue capacita' di
crescita, dimostrando che si tratta di un popolo pigro, incapace di
sviluppo. Ma a questo punto, in aperta contraddizione con le precedenti
informazioni circa l'incapacita' e la sostanziale arretratezza e passivita'
del piccolo Paese, il grande Paese gridera' che esso si sta preparando per
aggredirlo. Con quali mezzi non viene detto. Ma fara' presto a montare una
campagna capillare per dimostrare che il popolo degli incapaci trama
nell'ombra per infiltrarsi fra i capaci, che la potenzialita' distruttiva
del piccolo Paese si fa ogni giorno piu' evidente. Si gridera' a piu voci
che quel piccolo popolo aspirante all'indipendenza e' una spina nel fianco,
un veleno che corrode e pervade il popolo dei giusti. Si insinuera' che,
nonostante l'amore fraterno, nonostante i sentimenti democratici, o forse
proprio in nome di quelli, diventa necessario arrestare le mire
espansionistiche del piccolo Paese. Non ci vorra' molto a convincere la
popolazione del grande Paese, attraverso i giornali che riportano una sola
voce - le voci contrarie essendo state bandite e ogni critica essendo
considerata tradimento -, della necessita' di una punizione severa. Ecco
come si arriva, un gradino per volta, alla preparazione psicologica e
militare (di cui la gente sa poco) per l'invasione, o per la repressione del
piccolo Paese, chiamato "fratello traditore", che sara' compiuta col
consenso della popolazione intera, ingannata e indottrinata a sufficienza.
Si tratta di un processo talmente risaputo e riconoscibile che ci sembra
impossibile possa ancora funzionare. E invece ogni volta viene ripetuto come
se fosse la prima e ancora oggi popoli interi abboccano come pesci all'amo.
Il caso degli Usa versus Iraq e' esemplare. In questa arte del
capovolgimento della verita', in questa pratica della aggressione scambiata
per difesa, la perfezione l'hanno raggiunta soprattutto i nazisti.
Bravissimi nel montare processi alle intenzioni contro popoli dei cui beni
volevano impadronirsi. Tutto questo oggi sta succedendo nel Tibet. E la
verita' va detta. Va ricordato il processo di demonizzazione dell'avversario
presente in tutti i piani di controllo e assoggettazione di un popolo. Gli
organismi internazionali dovrebbero essere piu' avveduti e piu' severi.
Dovrebbero difendere i Paesi deboli che vengono schiacciati da quelli piu'
ricchi e potenti. Le cose sono visibili agli occhi di tutti. L'ingiustizia
non ha bisogno di processi legali per rivelarsi come tale.

4. DACIA MARAINI: SCORIE, OVVERO BOMBE
[Dal "Corriere della sera" dell'8 aprile 2008 col titolo "L'energia
nucleare: problema di scorie" e il sommario "Gli esperti: alle prossime
generazioni lasciamo bombe nel sottosuolo"]

Dialogo di una scrittrice preoccupata con un amico esperto di Monaco di
Baviera. "Perche' secondo te la Cina si incaponisce su un piccolo Paese
povero arrampicato sulle montagne?". "Il Tibet possiede miniere di uranio".
"La Cina sta costruendo centrali nucleari?". "Assieme alla Corea, all'India
e alla Finlandia: sono i soli Paesi al mondo a puntare ancora sul nucleare".
"E gli altri Paesi?". "Per darti un'idea: in America, 103 reattori nucleari
producono solo un quinto dell'elettricita' necessaria. L'America ha 300
milioni di abitanti e l'Italia 60. Questo significa che l'Italia, per
produrre un quinto dell'energia, dovrebbe costruire 20 reattori nucleari. I
calcoli li ha fatti la rivista americana 'Science'". "Qual e' il problema
del nucleare?". "Le scorie. C'e' gia' un tipo di reattore che ricicla gli
attinidi contenuti nel combustibile, ma rende assai poco e nessuno lo vuole.
I reattori di quarta generazione sono esenti da incidenti, ma non risolvono
la questione dei residui". "Perche' non si riesce a sapere dove vengono
stoccate le scorie?". "I luoghi di seppellimento sono tenuti segreti per
paura che qualcuno rubi il plutonio per fare bombe". "Quanto tempo serve per
costruire una centrale?". "Piu' o meno 7 anni, ma spesso diventano 10
perche' la scelta dei luoghi, i permessi richiesti portano via tempo".
"Sapendo che in Italia ogni opera pubblica richiede il doppio del tempo,
quanto ci vorrebbe per costruire una centrale da noi?". "A giudicare
dall'incapacita' italiana di eliminare i rifiuti comuni e' difficile
rispondere, ma per ottimismo ipotizziamo una quindicina di anni". "In questi
anni non si sara' trovato un sistema migliore?". "Gia' esistono i
termogeneratori di Rubbia che pero' in Italia sono poco considerati. Si
stanno costruendo in Spagna e in Germania e in America". "In cosa
consistono?". "Si lavora su specchi concavi che portano un liquido di
soluzione salina a 380 gradi. Questa soluzione alimenta uno scambiatore di
calore che produce vapore. Il vapore viene convogliato in un generatore che
produce energia elettrica. Il progetto elimina i costi dello stoccaggio
delle scorie, ma chiaramente non fa guadagnare soldi ai grandi monopoli
mondiali del carbone, dell'acciaio e del petrolchimico". "Ma e' vero che
l'uranio finira' entro il secolo, come il petrolio?". "Con esattezza non si
sa. Ma tieni presente un'altra cosa: oggi l'uranio costa 100 dollari a
libbra. Un aumento delle centrali cinesi e indiane fara' salire il costo
dell'uranio e anche del petrolio e quindi il prezzo dell'elettricita'. Per
non parlare del costo sociale: nessuna industria privata e' in grado di
sostenere le spese di costruzione e mantenimento di una centrale. E' lo
Stato che deve caricarsi di tutto, ovvero i cittadini che vedrebbero
aumentare le tasse. Carl F. Von Weizsaecker, direttore dell'Istituto Max
Planck, ha detto che la questione delle scorie e' irrisolvibile. Sono bombe
che noi lasciamo alle prossime generazioni. Solo il plutonio ha una emivita
di 250.000 anni. E noi stiamo infarcendo il sottosuolo di scorie che
potrebbero, anche per un semplice terremoto, distruggere interi Paesi e ogni
forma di vita per migliaia di anni...".

5. DACIA MARAINI: IL VIAGGIO DI AMARA
[Dal "Corriere della sera" del 10 aprile 2008 col titolo "Gli occhi
incontrano l'oscurita'" e il sottotitolo "Il brano. Al confine tra Austria e
Cecoslovacchia"]

E' un treno lento che arranca sulle rotaie. Si dirige verso Nord. Amara se
ne sta seduta composta, in preda a una sorta di eccitazione sonnolenta. Il
primo lungo viaggio della sua vita. Un treno che si ferma a ogni stazione,
ha i sedili decorati da centrini fatti a mano e puzza di capra bollita e di
sapone al permanganato. Sono gli odori della Guerra fredda che ha diviso i
Paesi dell'Ovest da quelli dell'Est, segregandoli con muri, fili spinati e
soldati armati di fucile. "La separazione ha visto affermarsi un comunismo
sospettoso e aggressivo. E dall'altra parte un anticomunismo altrettanto
sospettoso e irruente. Alla fine una parte non sa niente dell'altra.
Vogliamo raccontare ai nostri lettori come si vive veramente oltre la
cortina di ferro? cosa rimane delle sofferenze della seconda guerra
mondiale? cosa del ricordo della Shoah?". E' la voce del direttore del suo
giornale che le raccomanda di osservare i dettagli, di parlare con le
persone, di rendere conto della vita quotidiana di coloro che stanno
nell'Est dell'Europa e poi scrivere. Il direttore e' un uomo giovane e
bello, completamente calvo. Le ha regalato un sorriso seducente
nell'aggiungere che la paga degli articoli sara' bassissima. (...) Il treno
e' stato bloccato per ore alla frontiera fra l'Italia e l'Austria, e ora si
trova al confine fra l'Austria e la Cecoslovacchia. I militari si sono
impossessati dei passaporti e hanno lasciato gli sparuti passeggeri dentro i
vagoni chiusi a chiave, al buio, con una sola minuscola luce di servizio. La
locomotiva sbuffa impaziente, pronta a partire, ma e' trattenuta da qualcosa
di piu' energico di un motore: la forza oscura e tenace, irriflessiva e
ottusa della burocrazia di frontiera. La notte e' scesa senza che i
viaggiatori se ne accorgessero. Fuori non si sentono che i passi dei
soldati. Fa caldo nel vagone sprangato. Con Amara viaggiano due uomini e una
giovane madre che tiene in braccio una neonata. Il piu' anziano fra i due
uomini, che indossa una giacca a vento celeste, abbassa a fatica il vetro
cigolante. Nell'allungare le braccia mostra ai polsi dei braccialetti di
pelliccia. Una folata di vento fresco entra allegra nella vettura. Amara si
affaccia per tirare su col naso un poco di aria pulita. Gli occhi incontrano
solo l'oscurita' di una notte senza stelle. Lontano, sulla destra, spasimano
delle minuscole luci. Un paese? Non si sentono cani abbaiare, ne' asini
ragliare. Sembra di stare sospesi nel vuoto. Un soldato urla. Si avvicina al
vagone e batte col calcio del fucile sul finestrino abbassato. E' proibito
tenere i vetri aperti! Non sono previsti varchi ne' fessure verso l'esterno
su quel treno che tenta di sgusciare, piu' che da un Paese all'altro, da una
civilta' all'altra, da una ideologia all'altra, da una mentalita' all'altra.

6. DACIA MARAINI: LA LEZIONE D'AMORE DI PIPPA BACCA
[Dal "Corriere della sera" del 22 aprile 2008 col titolo "La lezione d'amore
di Pippa Bacca"]

Tredici stupri al giorno. E uno su trenta finisce con l'uccisione della
violentata. Cosa succede nella testa di un uomo che pretende di fare l'amore
con una donna quando lei non vuole? Si parla sempre di "mistero femminile",
ma credo che la sessualita' maschile sia molto piu' misteriosa. Ho
telefonato in casa Manzoni per dire quanto mi sia dispiaciuto sapere della
morte brutale di Pippa Bacca. Vederla in bianco, col sorriso umile e
gentile, pronta ad affrontare le strade del mondo portando una parola di
pace e di allegria, mi ha commossa. Ho parlato con la sorella Rosalia che si
occupa della fondazione dello zio, Piero Manzoni. Mi ha risposto subito,
gentile e disponibile. Le ho chiesto se Pippa avesse mai avuto paura. "I
pericoli non stanno sulle strade, non piu' che dentro le case. Anch'io,
anche le mie sorelle, abbiamo fatto autostop per anni e continueremo a
farlo". Pippa aveva 33 anni. Era una sognatrice? Una ingenua? "No, ma aveva
una forma di purezza che contagiava chi l'avvicinava". Com'era sua sorella,
me la descrive? "Era piena di energia, vivace, allegra, disordinata, ma
rigorosa. Faceva tante cose diverse: amava l'opera, il cinema, ma anche lo
sport, andava in piscina, le piaceva ballare, cantava in coro". E da quando
aveva deciso di vestirsi da sposa? "Da piu' di un anno". Che significato
aveva per lei questa scelta? "La sposa e' una donna che si affida all'uomo
che ama, ma anche al viaggio. Portava i tacchi, diceva che nella
femminilita' c'e' una parte di dolore. Assumeva su di se' un poco del dolore
delle donne". La sposa poi partorira' e allevera' i figli, anche questa
fatica voleva esprimere? "Non a caso attraversava paesi feriti dalla
guerra". Che idea aveva del matrimonio, Pippa? "Non lo considerava lo scopo
della vita di una donna. Ma non pensi a ideologie. Quel vestito era
soprattutto un simbolo di gioia". Dove dormiva quando viaggiava? "C'e' una
societa', la Servas, che trova camere in famiglia per i pellegrini. Si
affidava spesso a loro. O ad amici di amici". Quanti vestiti da sposa teneva
in valigia? "Uno solo. Ogni tanto lo lavava. Si era portata dietro la
lisciva fatta con la cenere. Aveva chiesto agli amici di bruciare degli
oggetti di legno e con quella cenere si era fatta la lisciva". E cosa altro
portava nel bagaglio? "Una macchina fotografica, la biancheria di ricambio e
molte bamboline di stoffa fatte da lei e dalle amiche". Perche' le
bamboline? "Le regalava. Per ringraziare chi le dava un passaggio, chi la
ospitava". Ne avra' dato una all'uomo che l'ha uccisa? "Probabilmente si'.
Non era sospettosa". E' facile immaginarla: una piccola Charlot dagli occhi
dolci che si allontana lungo una strada. Anziche' la bombetta e il bastone,
portava un goffo e semplice vestito da sposa. Voleva credere che con fiducia
e generosita' si ottiene fiducia e generosita'. Non teneva a dimostrare
niente, ne' a convincere o a predicare. Voleva essere nel mondo e
conoscerlo. Ha teso la mano e ha trovato un coltello. Ma guai a pensare che
per quel coltello le donne debbano smettere di girare per il mondo.
Piuttosto perche' non cominciare a interrogarsi, ma seriamente, sul mistero
di una certa sessualita' maschile che ritiene l'erotismo un processo di
dolore e di morte?

7. DACIA MARAINI: UNA SCUOLA CONTRO IL DISPREZZO
[Dal "Corriere della sera" del 6 maggio 2008 col titolo "La scuola
conflittuale" e il sommario "Lo scontro continuo tra insegnanti e alunni e'
deleterio per l'istruzione"]

Ricevo molte lettere sulla scuola, sia a casa che sul mio forum. Molti
attribuiscono i guai dell'insegnamento allo sfascio della nazione : "La
scuola e' lo specchio della societa' e nella scuola si riversano tutti i
mali e tutti i problemi dell'Italia. Molti insegnanti miei colleghi dicono
'La colpa e' dei genitori' e i genitori dicono 'La colpa e' degli
insegnanti'. Nella scuola regna una grande conflittualita', che e' deleteria
per gli alunni e gli insegnanti. D'altra parte tutta l'Italia e' un Paese
molto conflittuale", scrive A. Costantin, una insegnante dalle idee chiare e
precise. Qualcuno attribuisce i guasti della scuola al '68. Che ne pensa la
rappresentante della Wia, ovvero la Welfare international association? "E'
vero che il '68 ha scardinato alcuni principi quali la meritocrazia, ma
bisogna anche considerare il fatto che negli ultimi decenni, a causa della
confusione sulla scuola, tutta la rigidita' e severita' del sistema
scolastico si sono riversate sulle scuole primarie e medie, al punto che se
un alunno del liceo esce da scuola alle 13, un bambino delle elementari esce
alle 14 o alle 17, per poi continuare a fare i compiti a casa, a volte fino
alle 11 di notte". Altri scrivono insistendo sul fatto che cio' che fa la
scuola per formare l'individuo, viene poi disfatto dalle famiglie, sempre
pronte a mettersi contro l'insegnante, dalla parte del figlio pelandrone. Ma
e' vero che la situazione e' cosi' grave come dicono i giornali? "Bisogna
partire dal fatto che in Italia i salari sono i piu' bassi d'Europa perche'
manca la sicurezza sociale. Mentre gli italiani per campare sono costretti
ad accettare qualsiasi forma di lavoro, rischioso, sottopagato e in nero,
nei Paesi dove la sicurezza sociale funziona, la gente accetta solo lavori
in regola e ben retribuiti, quindi i salari sono piu' alti (il nesso fra
welfare e salari e' spiegato in modo approfondito nei libri di Selma James,
la famosa consulente Onu)". E il bullismo di cui riferiscono le cronache?
Qui in molti rispondono,come Maria Giorano e Tullio Gentile che, li' dove si
trovano dei buoni insegnanti - e per buoni si intendono uomini e donne che
mettono passione e generosita' nel loro lavoro, che conoscono la materia di
cui parlano e danno un esempio di impegno e partecipazione - non si
presentano casi di bullismo. Li' dove invece gli insegnanti si mostrano
assenti e demotivati, dove manca la curiosita' verso nuove idee, il bullismo
fiorisce. Si tratta infatti di creare alternative a un modello che la nostra
onnipresente televisione tende a diffondere: il mito dei soldi, della forza,
dei privilegi conquistati con l'astuzia, che si accompagna al disprezzo
verso i piu' deboli, verso i diversi, verso chi non ce la fa.
Importantissimo e' offrire un punto di riferimento interno alla scuola e
tenere fermo il polso, non facendo uso di cattivi voti e ricatti, ma con
l'esempio, la fascinazione della cultura e l'intelligenza dei rapporti. Non
sempre un insegnante preparato sa contagiare gli allievi. Spesso manca la
capacita' di comunicare. E soprattutto l'interesse per il proprio lavoro.
Nell'abbandono nascono le peggiori manifestazioni di prepotenza e
sopraffazione.

8. DACIA MARAINI: LE RADICI DELL'ODIO
[Dal "Corriere della sera" del 15 maggio 2008 col titolo "La faccia perbene
dei giovani torturatori"]

E' difficile perfino raccontarle certe storie, tanto sono efferate e
gratuite. Dimostrano una tale mancanza di sentimento da risultare poco
credibili. Una ragazzina dalla faccia triste che frequenta la scuola di una
piccola citta' siciliana, Niscemi. Dei compagni di scuola, giovanissimi
amici con cui usciva. Tutto nella norma. Lorena si innamora di uno di loro.
Ma il giovanottello preferisce tenersi sui bordi di un erotismo vizioso e
sadico. Un giorno la ragazza scopre di essere incinta. E invece di
rivolgersi ai genitori, o alle amiche, affronta con coraggio i suoi
amorosi-carnefici. Si apparta con loro per dichiarare "sono incinta di uno
di voi". Ma non sa di chi. Quando Filumena Marturano dice a Domenico Soriano
che uno dei figli e' suo ma non gli spiega quale, l'uomo si vergogna e
capisce di avere agito male. Filumena la coraggiosa sa che, pur di salvare
suo figlio, Domenico accettera' gli altri. De Filippo pensava di descrivere
il massimo dell'egoismo maschile. Non gli veniva neanche in mente che il
guappo Soriano potesse strangolare Filumena e gettarla in una roggia. Invece
a Niscemi, quando Lorena afferma che non sa di chi sia quel figlio che
vorrebbe nascere, i tre amici si rivoltano contro di lei come se fosse la
peggiore delle nemiche. La picchiano, la legano, la seviziano, la
strangolano e poi la gettano in un pozzo. Questo e' successo il 30 aprile
scorso e nessuno, nella buona tradizione omertosa siciliana, ha visto ne'
sentito niente. Come mai gli amici del bar tacevano? Per solidarieta'? Ma
perche' tutti provano solidarieta' verso i ragazzi e non verso la ragazza? E
le amiche di Lorena? Le compagne di scuole? Anche loro solidali coi maschi?
Ma tanta gratuita', perche'? Tanta furia, come? In realta' non c'e' niente
di gratuito. Quando non si capiscono le ragioni di un comportamento vuol
dire che non siamo capaci di scendere in profondita'. C'e' in questo delitto
una connotazione culturale che ci sfugge, qualcosa di difficile da
interpretare. Sembrerebbe un odio che affonda le radici in zone oscure e
taciute del tessuto connettivo del paese. Potrebbe trattarsi dell'antico
odio verso la femmina della specie? L'odio verso una diversita' sentita come
sfuggente e pericolosa? Verso la Eva che ha suggerito ad Adamo di mangiare
la mela proibita? Assomiglia anche pero' stranamente al risentimento che i
nazisti provavano nei riguardi degli ebrei. Per i loro occhi accecati
dall'acredine il corpo di una ragazza si trasformava nel portatore di una
immagine: quella di una razza nemica, da annientare. Ma qui, cio' che
inquieta e' la rapida mutazione: il modo in cui dei bravi ragazzi si
trasformano in furenti macellai. Da dove viene la paura verso un sesso
esposto alla rapina? Difficile dire se siano piu' devastanti nella loro
influenza le antiche abitudini mentali di un paese misogino, oppure se sia
l'influenza di quegli stupidi modelli televisivi che si basano sulla
esaltazione del piu' furbo, del piu' cinico, del piu' forte, del piu' ricco.
Negando una volta per tutte, in mezzo ai lustrini e alle baldorie, le
ragioni dei piu' deboli, dei piu' esposti, dei piu' fiduciosi. La faccia
dagli occhi confidenti della giovanissima Lorena ci guarda oggi dai giornali
come chiedendosi sorpresa cosa le sia successo. La sua mente di ragazzina
innocente non poteva prevedere la macelleria. Non poteva prevedere la
trasformazione di tre giovani, magari un poco perversi, ma certamente bravi
figli di papa', in assassini e torturatori. Per quella faccia, per le tante
facce di ragazze fiduciose e vogliose di vivere che vengono continuamente e
con brutalita' messe a tacere, abbiamo il dovere di riflettere sulla
diffusione della violenza che sta diventando nella testa dei piu' giovani
una norma di comportamento.

9. DACIA MARAINI: SCRIVERE, LEGGERE
[Dal "Corriere della sera" del 17 maggio 2008 col titolo "Critici da fast
food: trattano i romanzi come auto da vendere" e il sommario "Orizzonti. Un
dibattito, etico ed estetico, che investe tutta Europa. Cosi' la
globalizzazione cambia la scrittura. E la lettura"]

Perche' si scrive? Di cosa si scrive? Cambia la scrittura in tempi di
globalizzazione? E la tecnologia muta la scrittura? O addirittura la rende
superflua? Se n'e' discusso, e intensamente, in due grandi appuntamenti
annuali che riguardano i libri e chi li scrive. Parlo del "Salon du livre"
di Ginevra e della "Solothurner Literaturtage" (Berna) che da anni fanno
incontrare autori provenienti dai Paesi piu' diversi. "Il mondo e' in
agonia - ha urlato un giovane scrittore iscritto al Pen Club (associazione
di solito frequentata da anziani scrittori moderati) - e noi stiamo qui a
girarci i pollici sulla letteratura!". Come diceva Sartre, e' difficile
parlare di poesie mentre i bambini muoiono di fame. Ma lui stesso poi ha
ammesso che si tratta di un falso problema. Magari la letteratura avesse
tanto potere! In realta' la narrativa ha funzioni molto piu' limitate: per
esempio porgere piaceri alternativi a quelli sempre piu' dozzinali che
propone la cultura di massa. A volte, pero', si scopre che questi piaceri
possono condurre a una buona disposizione di spirito, e quindi creare dei
cittadini responsabili. Il che non e' poco. Di questi piaceri, estetici ed
etici, si sono nutrite migliaia di persone che in questi giorni sono rimaste
in piedi per ore, ascoltando scrittori americani, francesi, inglesi,
svizzeri, che leggevano i loro testi o discutevano dei grandi temi del
momento. Le emozioni piu' intense sono venute dagli autori che si
sottoponevano, con qualche trepidazione, al giudizio del pubblico leggendo
le loro opere, come ho fatto anch'io. Per fortuna la gente era tanta e non
mostrava segni di impazienza. Anzi, soprattutto nelle citta' di lingua
tedesca, l'abitudine all'ascolto dei testi letterari ha proporzioni per noi
inimmaginabili. Romanzi, poesie, letti ad alta voce tengono il pubblico
inchiodato alle sedie. Mentre in una sala studiosi e teorici si chiedevano
se scrivere poesia in un mondo sempre piu' tecnologizzato e distratto abbia
ancora un senso, in un'altra sala che da' sul fiume Aare, fra i gridi
primaverili degli uccelli acquatici, i poeti, cocciutamente, hanno
continuato a leggere. Michel Viala, Lisa Elsasser, Dubravko Pusek, Jochen
Kelter. Avrei voluto abbracciarli. Se non fosse per questi giocolieri della
parola che reinventano il linguaggio trasformandolo in una gioia per
l'orecchio, stanco di tanti luoghi comuni, cosa faremmo? Ma allora perche' i
libri di poesia sono cosi' difficili da vendere? Dobbiamo ritenere che in
tempi di scrittura diffusa, la poesia piace soprattutto quando si fa orale?
Chi legge Dante se non gli scolari costretti dagli insegnanti? Eppure quando
Roberto Benigni o anche Vittorio Sermonti recitano Dante in una piazza, la
gente accorre. Che si stia andando verso una societa' incapace di leggere e
di prestare attenzione alla scrittura? E la critica letteraria in tutto
questo - e' stato il tema di un dibattito che ha visto riuniti alcuni
prestigiosi studiosi di lingua francese e tedesca - serve ancora da guida?
Ha delle sue idee, conserva una funzione e quale? Suo compito non dovrebbe
essere quello di leggere, scegliere e segnalare libri di qualita'? Purtroppo
parlare di libri diventa sempre piu' difficile, perche' qualsiasi
pettegolezzo televisivo ha la precedenza sulle pagine della cultura,
perche', come ha denunciato lo sconsolato Fabio Pusterle, poeta e
intellettuale brillante che vive fra Como e Lugano, siamo nella completa
decadenza del discorso letterario. I romanzi si stanno trasformando in
prodotti, trattati piu' o meno come automobili da pubblicizzare e vendere su
un mercato sempre piu' asfittico. Si cerca di piazzare il libro, non di
capirlo, a nessuno importa niente di conoscere o analizzare libri, per
questo la critica ha perso ogni prestigio, facendosi complice degli editori
che pensano solo al ricavato in denaro. La conseguenza prevedibile e' che i
problemi di forma scadono e vengono sostituiti dai puri contenuti. Fabio
Pusterle, la cui poesia discorsiva, dalle forti tensioni dechirichiane, a me
piace molto, e' stato decisamente drastico. Piu' drastico ancora pero' e'
stato il critico di Lausanne, Daniel Maggetti, che ha denunciato la
banalizzazione della letteratura: "Possibile che la democratizzazione degli
studi porti a questa desolante piattezza?", si e' chiesto, aggiungendo:
"Eppure noi volevamo ben altro. Ci siamo battuti perche' la cultura fosse
alla portata di tutti, sperando di raffinare i gusti della gente, non di
ridurre tutti i palati al livello dei fast food". Il critico zurighese
Adolph Muschg, dopo avere scherzato sullo scarso numero dei lettori di libri
di poesie, ha corretto in qualche modo la visione catastrofica della
situazione letteraria, proponendo di trasferirsi tutti su Internet, "il solo
luogo dove la letteratura sfugge alle leggi di mercato". Li' dove le riviste
letterarie nascono come funghi. Pare proprio che i giovani scrittori e i
tanti lettori si rivolgano piu' volentieri al web che alle riviste cartacee.
A Ginevra si e' ascoltato persino l'ex ministro della cultura Jack Lang, in
dibattito con lo scintillante, vivissimo polemista bernese Jean Ziegler,
quello che ha osato attaccare i banchieri svizzeri e per questo e' stato
denigrato e perseguitato. Il tema era: "Cosa e' rimasto del '68?". Per
Ziegler, il '68 ci ha portati a un pelo dalla rivoluzione, quella
preconizzata da Marx: una rivoluzione senza armi, che parte dagli operai e
da un nuovo modo di produrre le merci. Per Lang, la contraddizione del '68
sta nei suoi risultati: da una parte la grande trasformazione dell'individuo
e dei suoi rapporti col potere e dall'altra l'immobilita' del sistema
economico. Tutti e due gli oratori, comunque, hanno convenuto che i frutti
buoni sono stati superiori a quelli caduti per terra senza maturare. Ma ora?
Nuove ombre, dicono, girano per l'Europa. Che sia il momento di
esorcizzarle?

10. DACIA MARAINI: IL DOLORE DEGLI ALTRI
[Dal "Corriere della sera" del 20 maggio 2008 col titolo "Quegli stranieri
facili capri espiatori"]

Nelle nostre scuole cresce la disaffezione e la violenza di gruppo: ogni
giorno veniamo a sapere di nuove efferatezze compiute da ragazzi italiani
contro altri ragazzi o ragazze italiane. Nelle nostre famiglie si diffonde
la violenza contro le donne e contro i bambini. Ebbene, invece di cercare il
perche' di tanta ferocia familiare e di tanta violenza fra i sessi, si va a
caccia di un capro espiatorio. E il capro espiatorio e' stato ben presto
trovato: sono i Rom. Che vengono accusati di tutti i mali possibili: vivono
in promiscuita', nella sporcizia, si dedicano a piccoli furti e traffici
illeciti, i padri mandano i figli a chiedere l'elemosina, hanno la brutta
abitudine di picchiare le mogli e i figli. Quale miglior capro espiatorio si
poteva trovare? Anche il piu' bravo cristiano puo' dire di essere stato
avvicinato una volta da un bambino sudicio con la mano tesa, da una donna
che voleva infinocchiarlo e derubarlo. Facile dire che tutti i furti nelle
case sono opera loro. E date le premesse, perche' non attribuire loro le
aggressioni, le rapine, gli scippi? Manca solo che li accusiamo di essere
eretici e li mandiamo al rogo, come ha fatto la Chiesa in tempi lontani.
Oppure li buttiamo in un campo di sterminio, come hanno fatto i nazisti. Ora
certamente qualcuno si alzera' e mi accusera' di buonismo. Parola
passepartout con cui si bolla chi osa dire una parola di buonsenso. Certo
gli ismi sono sempre criticabili: invece di psicologia, psicologismo; invece
di sociologia, sociologismo; invece di moralita', moralismo e cosi' via. Ci
sono delle parole che fungono da nascondiglio. Suonano bene, piacciono,
prendono a circolare, ma se si cerca di capire meglio, ci si rende conto che
non significano assolutamente nulla. Servono a mascherare il vuoto della
capacita' di osservazione e definizione. La parola buonismo sul vocabolario
Zingarelli non esiste. Mentre di moralismo si dice: "E' moralista chi
giudica ogni azione da un punto di vista astrattamente morale". Come fa la
Chiesa oggi con l'aborto. Spesso si usa la parola buonismo per non adoperare
la parola bonta'. Chi se le sentirebbe di accusare qualcuno di bonta'? Anche
se a volte si dice "e' troppo buono" per indicare uno che si fa prendere in
giro, si fa imbrogliare. Quindi e' scemo. Il contrario di furbo, il valore
piu' amato e riconosciuto dagli italiani. Secondo questo criterio, chi prova
pieta', compassione o solidarieta' verso i diversi e' considerato un
"buono", ovvero un fesso. E qual e' il rovescio di buonista? Cattivista?
Generalmente si da' al buonismo il significato di antiquato, ingenuo,
stucchevole, forse anche ipocrita. E si contrappongono ad esso i termini "in
gamba", detto dagli adulti e "fico" dai giovani. Ovvero persone che hanno
saldo il senso della realta', della concretezza, rispondono ai pericoli che
incombono sulla famiglia e sulla comunita' con fermezza d'animo, senza farsi
tentare dalla pieta'. Mai un dubbio che sotto al realismo machiavellico si
nasconda un grande egoismo e uno strisciante razzismo. Chi prova
solidarieta' verso i diversi, verso gli sprovveduti, verso coloro che sono
ai margini, per me non e' ne' buono ne' buonista, ha solo un poco di
immaginazione. Sapere immaginare il dolore altrui non e' segno di gran
cuore, ma di vitalita' e ricchezza di pensiero.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 180 del 7 settembre 2008

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