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Minime. 556
- Subject: Minime. 556
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 23 Aug 2008 00:55:26 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 556 del 23 agosto 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: L'Afghanistan e noi 2. "Peacereporter": Un'atra strage. 76 civili uccisi a Shindand 3. Emanuele Nannini: Strage di civili a Sangin 4. "Peacereporter": Un giorno qualunque di ordinari orrori ed infinite stragi 5. Hannah Arendt: L'educazione 6. Luciana Castellina: La nostra "primavera" 7. Carlo Carena presenta l'"Institutio oratoria" di Quintiliano 8. Maria Paola Guarducci presenta "Confessioni di una giocatrice d'azzardo" di Rayda Jacobs 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: L'AFGHANISTAN E NOI Non so se sia piu' abominevolmente disumana la guerra terrorista e stragista, imperialista e razzista, mafiosa e totalitaria in Afghanistan, o la nostra glaciale indifferenza che sanguinaria la alimenta. Perche' quella guerra e' anche il nostro paese che la sta conducendo, illegalmente, criminalmente. Perche' l'Italia fa parte della coalizione assassina, in violazione del diritto internazionale, in violazione della legalita' costituzionale. * Sarebbe cosi' semplice cogliere l'essenziale. Che uccidere e' male e salvare le vite e' bene. Che la guerra e' nemica dell'umanita'. Che la pace si costruisce con mezzi di pace. Che occorre il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti. Che una sola e' l'umanita'. Sarebbe cosi' semplice cogliere l'essenziale. Per noi italiani basterebbe la Costituzione della Repubblica Italiana a farci da guida e da norma: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". * Delle stragi afgane il nostro paese, il nostro ordinamento giuridico, il nostro ceto politico che per la partecipazione a quella guerra ha ripetutamente votato, sono pienamente corresponsabili. E sono pienamente corresponsabili anche tutti coloro che avendo nel nostro paese la possibilita' di opporsi a questo crimine e a questa follia continuano a tacere, continuano a tacere (o peggio, peggio), e cosi' contribuiscono al massacro. * Cessi la partecipazione italiana alla guerra afgana. Torni l'Italia al rispetto della legalita' costituzionale e del diritto internazionale. S'impegni l'Italia per far cessare la guerra. Cessi nel nostro paese la complicita' di massa con la politica hitleriana. 2. AFGHANISTAN. "PEACEREPORTER": UN'ALTRA STRAGE. 76 CIVILI UCCISI A SHINDAND [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo la seguente notizia del 22 agosto 2008 col titolo "Afghanistan, un'altra strage: 76 civili uccisi in raid aereo Usa a Herat"] Il ministero dell'Interno afgano ha dichiarato che il bombardamento aereo Usa della scorsa notte su Shindand, nella provincia occidentale di Herat (sotto comando italiano) non ha causato la morte di 30 talebani come annunciato dai comandi Nato, ma ha ucciso ben 76 civili, in maggioranza donne e bambini. Saeed Sharif, un anziano membro del locale consiglio tribale, aveva dichiarato che attorno alle due di notte le bombe hanno colpito un edificio affollato di fedeli riuniti per ascoltare una recitazione del Corano. Secondo un portavoce del ministero della Difesa afgano, il raid aereo e' stato ordinato per supportare le truppe Nato a terra che stavano conducendo un'operazione che aveva come obiettivo un comandante talebano, Mullah Sadiq, che secondo i comandi Usa stava preparando un attacco in grande stile contro la base Usa di Ghorian, tra Herat e il confine iraniano. 3. AFGHANISTAN. EMANUELE NANNINI: STRAGE DI CIVILI A SANGIN [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 22 agosto 2008 col titolo "Scene da un matrimonio: truppe inglesi fanno strage di civili. Afghanistan del sud: tank inglesi fanno strage di civili a Sangin, nella provincia di Helmand", il sommario "Lashkargah, giovedi' 21 agosto. Un neonato, quattro bambini, una ragazza e quattro donne, una di loro incinta. Tutti colpiti dalle schegge dei razzi che sono caduti sulla loro casa durante una festa di matrimonio, e ricoverati giovedi' mattina nel Centro chirurgico di Emergency a Lashkargah. I parenti delle vittime, che nei loro racconti riportano un imprecisato ma notevole numero di morti, denunciano: 'Sono stati i soldati inglesi'. Il racconto di un logista di Emergency" e la nota "I luoghi e i fatti descritti dai protagonisti sono stati riportati fedelmente. I nomi dei testimoni sono stati cambiati per proteggere la loro identita'". Emanuele Nannini e' un operatore di Emergency presente nel Centro chirurgico di Lashkargah, in Afghanistan] Questo e' il periodo migliore dell'anno per sposarsi, il grande caldo e' passato e i fiori colorano ancora il paesaggio. La festa inizia il mercoledi' e si va avanti per tre giorni ininterrottamente, uomini all'esterno, donne e bambini all'interno, rigorosamente separati. Bisogna affrettarsi, tra poco iniziera' il Ramadan. In un paese in guerra bisogna rinunciare a qualche usanza locale, come sparare in aria colpi di fucile per evitare di diventare un facile bersaglio, e la festa puo' avere inizio. Sono le 9,30 a Sangin, provincia di Helmand, sud dell'Afghanistan. Qualcosa e' andato storto: le precauzioni non sono bastate, il via vai di moto e macchine ha attirato l'attenzione. "E' stata una pattuglia di tank britannici - racconta un testimone - il primo razzo ha colpito una macchina che stava uscendo dalla casa dei festeggiati, gli altri sono stati tutti diretti verso l'edificio in cui si trovavano le donne e i bambini". Non c'e' tempo di pensare e di guardarsi indietro, la prima macchina con due bambine e una donna parte alla volta di Lashkargah, correndo contro il tempo. Dopo tre ore di viaggio il mullah Baseer arriva all'ospedale di Emergency: la moglie incinta di sei mesi, la figlia di tre anni e la nipote sono in gravi condizioni, ma sopravviveranno. Il vestito bianco della festa e' pieno di macchie di sangue, quello che ha visto gli si legge in faccia: "C'erano tre corpi di bambini dilaniati, le gambe erano da una parte e il busto da un'altra. Sono scappato troppo velocemente per rendermi conto di quello che stava succedendo e non volevo vedere nient'altro", racconta toccandosi la lunga barba bianca. Sabawoon, cugino dello sposo, arriva poco dopo con un'altra macchina con quattro feriti a bordo. La storia che racconta e il dramma nei suoi occhi sono sempre gli stessi: "Gli inglesi erano a due chilometri dal matrimonio e i razzi sono arrivati a poca distanza l'uno dall'altro, non c'e' stato il tempo di scappare e noi uomini all'esterno non abbiamo potuto fare nulla per salvare mogli e figlie". Con lui all'ospedale sono arrivate due zie della sposa, un bambino di tre anni e un neonato di pochi mesi. Hanno corso abbastanza velocemente contro il tempo. Sabawoon poco dopo sapra' che anche la zia, che e' stata immediatamente trasferita in sala operatoria, se la cavera'. Le informazioni corrono veloci, non si ha il tempo di farsi troppe domande che l'ultima macchina arriva al cancello. Wadaan e' alla guida, e' il figlio del mullah Baseer. Con lui in macchina altre due bambine e Bakhtawara, la madre dello sposo. Sono in ritardo, hanno preso una decisione difficile: anziche' correre direttamente all'ospedale di Lashkargah si sono fermati in una piccola clinica a Grishk, a un'ora di distanza dall'ospedale. Il tempo che hanno perso e' stato fatale: la madre dello sposo muore pochi minuti dopo essere entrata nel pronto soccorso. All'esterno dell'ospedale, Bakhtawar, Ghamay e Wadaan sono troppo stanchi per disperarsi e per piangere, insieme portano via il cadavere di Bakhtawara. Ancora vestito a festa. 4. AFGHANISTAN. "PEACEREPORTER": UN GIORNO QUALUNQUE DI ORDINARI ORRORI ED INFINITE STRAGI [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo le seguenti brevi notizie del 22 agosto 2008] Ore 10,45 Razzo cade vicino all'aeroporto di Kabul Un razzo e' caduto nella notte nella zona attorno all'aeroporto internazionale di Kabul, in Afghanistan. Lo riferiscono fonti locali, secondo cui non ci sono stati danni o feriti. La zona e' strettamente controllata dalle forze della Nato e dell'esercito afgano. * Ore 10,54 Tre italiani feriti da esplosione a Kabul Una pattuglia di soldati italiani e' stata colpita questa mattina da un'esplosione non lontano da Kabul. Lo riferiscono fonti del contingente italiano, secondo cui tre soldati sono rimasti feriti in modo non grave. * Ore 11,19 Quattro dei dieci para' francesi uccisi a Surobi sono stati decapitati Quattro dei dieci para' francesi, uccisi martedi' 19 agosto nell'imboscata talebana di Surobi, sono stati decapitati mentre erano ancora vivi. Lo hanno riferito a "PeaceReporter" fonti occidentali a Kabul, aggiungendo che la stessa sorte era toccata a due dei nove soldati Usa uccisi dai guerriglieri lo scorso 13 luglio nella provincia orientale di Kunar. La versione ufficiale sull'imboscata di Surobi riferiva che i dieci militari francesi erano morti nel corso dello scontro a fuoco. * Ore 12,25 Tre soldati canadesi uccisi Il comando delle forze Nato in Afghanistan annuncia che tre militari del contingente canadese sono deceduti quando il loro veicolo ha urtato una mina nella provincia di Zhari. L'episodio e' accaduto lo scorso 20 agosto ma e' stato divulgato solo oggi. I soldati canadesi morti in Afghanistan dall'inizio della guerra sono 93. * Ore 13,54 Tank britannici fanno strage di civili ieri ad un matrimonio a Sangin Un neonato, quattro bambini, una ragazza e quattro donne, una di loro incinta. Tutti colpiti dalle schegge dei razzi che sono caduti sulla loro casa, durante una festa di matrimonio, e ricoverati il 22 agosto nel Centro chirurgico di Emergency a Lashkargah. I parenti delle vittime, che nei loro racconti riportano un imprecisato ma notevole numero di morti, denunciano: "Sono stati i soldati inglesi". * Ore 15,53 Sale a 41 il numero dei soldati Isaf morti nel mese di agosto Un militare della coalizione e' stato ucciso oggi dall'esplosione di un ordigno nell'est dell'Afghanistan. La sua nazionalita' non e' stata ancora resa nota. Sale a 41 il numero dei soldati Isaf morti nel mese di agosto. Il mese piu' sanguinoso dall'inizio della guerra e' stato lo scorso giugno, quando si sono registrate 49 perdite. * Ore 17,56 Bombardamento Usa fa strage di civili a Herat: 76 morti Il ministero dell'Interno afgano ha dichiarato che il bombardamento aereo Usa della scorsa notte su Shindand, nella provincia occidentale di Herat (sotto comando italiano) non ha causato la morte di 30 talebani come annunciato dai comandi Nato, ma ha ucciso ben 76 civili, in maggioranza donne e bambini. 5. MAESTRE. HANNAH ARENDT: L'EDUCAZIONE [Da Hannah Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1991, p. 255. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano 2006; i recentemente pubblicati Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] L'educazione e' il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilita' e salvarlo cosi' dalla rovina, che e' inevitabile senza il rinnovamento, senza l'arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell'educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balia di se stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione d'intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d'imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sara' comune a tutti. 6. MEMORIA. LUCIANA CASTELLINA: LA NOSTRA "PRIMAVERA" [Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 agosto 2008 col titolo "La nostra 'primavera'" Luciana Castellina, militante politica, promotrice dell'esperienza del "Manifesto", piu' volte parlamentare italiana ed europea, e' tra le figure piu' significative dell'impegno pacifista in Europa. La gran parte degli scritti di Luciana Castellina, testi di intervento politico e di giornalismo militante, e' dispersa in giornali e riviste, atti di convegni, dibattiti parlamentari; in volume segnaliamo particolarmente: Che c'e' in Amerika?, Bertani, Verona 1973; (a cura di), Il cammino dei movimenti, Intra Moenia, Napoli 2003; Cinquant'anni d'Europa. Una lettura antiretorica, Utet, Torino 2006] Il quarantennale del '68 inteso come movimento e quello dell'intervento delle truppe del Patto di Varsavia a Praga coincidono; e nelle celebrazioni si confondono, tanto da dare l'idea che ci fosse un nesso stretto fra i due eventi. Ci fu, in effetti, ma non fu affatto esplicito. Ad esser investita in pieno dalla vicenda cecoslovacca fu, in realta', solo quella parte del movimento che poi si collego' con il gruppo che allora era ancora nel Pci e che poi dal partito fu radiato, proprio per via di Praga e per le sue eccessive simpatie per la protesta studentesca. Quello che dette vita al "Manifesto": rivista prima, organizzazione politica e quotidiano poi. Questo. Fu cosi' perche' la tragedia di quell'agosto di 40 anni fa fu soprattutto dei comunisti: erano loro quelli che avevano sperato in una autoriforma del sistema socialista, che avevano con trepidazione seguito passo passo le mosse di Dubcek e poi ascoltato turbati le minacce con cui Mosca le aveva accolte, seguito col fiato sospeso il fragile compromesso di Cerna, sottoscritto a bordo di un treno fermo nella stazione della piccola localita' alla frontiera orientale della Cecoslovacchia, sui binari seduto un drappello di operai a segnalare che se Brezhnev avesse voluto tradurre prigioniero in Urss il segretario del loro partito lo avrebbero impedito bloccando il convoglio con i loro corpi. Loro che furono sconvolti quando giunse la notizia, quella mattina del 21 agosto, che i carri armati con la stella rossa erano entrati a Praga nello sgomento dei cittadini ancora increduli, fra loro molti di coloro che 23 anni prima li avevano applauditi come liberatori. Per gli altri, i non comunisti, la vicenda fu diversa: per la destra Dubcek era poco piu' di una variante comunque da condannare, al pari del comunismo che si ostinava a proclamare. Sui muri di Praga, l'indomani dell'invasione, non era forse uscita la scritta ironica ma significativa, che invocava non il presidente degli Stati Uniti, ma il capo della rivoluzione bolscevica: "Lenin svegliati, Brezhnev e' impazzito!"? Per gli altri, i nuovi compagni che da un po' di mesi avevano dato vita alla protesta giovanile, la vicenda praghese era lontana: sul comunismo sovietico non avevano mai puntato, essendo nati quando era gia' degenerato. Non avevano percio' mai sofferto delusioni e neppure mai sperato che di li' potesse venire un'indicazione valida. Di Dubcek, anzi, e in particolare del suo ministro dell'economia, Ota Sik, diffidavano: troppo di destra. Tutt'al piu' qualche simpatia generazionale per capelloni e chitarristi che con la "primavera" avevano cominciato a circolare anche per le vie di Praga. Di questa indifferenza fanno prova, oltre la nostra memoria, le pubblicazioni di allora, e non solo del movimento italiano: se si eccettua un accenno in un'intervista di Rudi Dutschke, al problema non fu offerta alcuna attenzione (se ci fu, fu postuma). Quando arrivarono oltre cortina le tesi del XIV Congresso che il Pc cecoslovacco, gia' clandestino, aveva tenuto all'interno della grande fabbrica siderurgica Ckd, protetto dai picchetti operai contro la possibile irruzione degli occupanti sovietici e dei loro alleati locali - l'ala del partito fedele a Mosca - le ignorarono tutti. Fu solo "Il manifesto" a pubblicarle in uno dei suoi primi numeri; e non poteva che essere cosi': al grosso dei primi sessantottini non interessavano e il Pci non poteva interessarsene perche' col Pcus, pur critico, non aveva ancora rotto (e anzi a rompere ci mise altri dieci anni e piu'). Cosi' come ignorati dagli uni e dagli altri restarono i compagni di Dubcek, molti dei quali finirono esuli. Zdenek Mlynar, Jiri Pelikan, Anthonin Liehm, per citare solo alcuni, in Italia ebbero un solo rifugio: la redazione del "Manifesto", piazza del Grillo prima, poi via Tomacelli. Anche per questo nella memoria ufficiale quanto accadde in quell'agosto di 40 anni fa e' stato alla fine rubricato come l'aggressione comunista a una rivolta promossa dai liberali, quasi che ad ispirarla fosse stato uno dei nostri occidentali governi e non invece, come fu, un tentativo di comunisti, e anzi della legittima leadership del Pcc, per salvare il progetto comunista. Un tentativo troppo tardivo, quando l'Urss era ormai quella irrecuperabile di Brezhnev. Ma che forse sarebbe stato ancora possibile se una diversa scelta fosse stata fatta dai partiti comunisti occidentali che, non solo in Italia, erano ancora relativamente forti e avrebbero potuto cosi' offrire un punto di riferimento alle nuove energie che dal '68 emergevano. E che stavano avanzando, spesso piu' come intuizione che con piena consapevolezza, una critica radicale al capitalismo, di cui il movimento avvertiva con anticipo la crisi, per la sua incapacita' di garantire soddisfazione ai nuovi bisogni qualitativi emergenti e di dare risposta alle sfide che la sua distorta modernita' stava producendo. Anche il movimento del '68 - ecco il nesso oggettivo - aveva contribuito, con le sue lotte poi non solo studentesche ma anche operaie, a mutare i rapporti di forza internazionali. Come la vittoria vietnamita che gia' si delineava; e quella di altri paesi di uno schieramento di Bandung non ancora sotterrato. Non era irrealistico, in quella stagione, pensare a una critica da sinistra al comunismo realizzato, entusiasmarsi per quanto a Praga si stava cercando di fare. Vent'anni dopo quella critica ha fatalmente assunto un altro segno. Questo tentativo - un'alternativa al modello sovietico, ma sempre comunista - e' stata la ragion d'essere del "Manifesto". Anche in altri paesi ci fu, in effetti, chi, per via di Praga, ruppe con i rispettivi partiti comunisti. Ma in generale furono frange. L'esperienza italiana, sia perche' aveva alle spalle il retroterra ricco degli anni '60 e un Pc molto speciale, sia perche' la dissidenza interna al partito riusci' a incontrarsi con una parte significativa del '68, e' stata un'eccezione. Neppure noi, lo sappiamo, siamo andati molto lontano. Ma in questo quarantennale di Praga, che per tanti versi e' stata il nostro atto di nascita, credo possiamo dire che la nostra storia e' stata utile. A tutti. Perche' ha tenuto in vita l'ipotesi di un comunismo diverso (per questo, anche, non si e' sentito il bisogno di rimuovere la dicitura della nostra testata: "quotidiano comunista"). Almeno fino ad ora. Adesso non so. Esprimo questa incertezza quando penso a tante cose a cui di questi tempi pensiamo tutti. Ma anche alla desolazione di veder cosa e' diventata la Cekia di oggi, il piu' di destra e beceramente asservito a Bush dei membri dell'Unione Europea. Un paese dove le organizzazioni comuniste - peraltro piu' forti che altrove - vengono denunciate come illegali, proprio per via di quella parola "comunista", ormai illecita. Senza che venga ricordato che comunista erano Dubcek e i suoi compagni della "primavera di Praga". Per questo non mi pare appropriato dire - come molti oggi suggeriscono - che il '68 praghese e' stato la prova generale dell'89. Non era questa la democrazia cui la "primavera" aveva puntato. 7. LIBRI. CARLO CARENA PRESENTA L'"INSTITUTIO ORATORIA" DI QUINTILIANO [Dal quotidiano "Il sole - 24 ore" del 27 gennaio 2002 col titolo "Al Vir Bonus bastano poche parole" e il sommario "Un'edizione rinnovata e curata filologicamente del classico manuale di retorica di Quintiliano". Carlo Carena, prestigioso studioso dei classici, docente universitario, saggista, ha curato per Einaudi la collana "I Millenni" dal 1965 al 1985 e per lo stesso editore ha tradotto e curato tra l'altro le Vite parallele di Plutarco, le Lettere di Paolo, la raccolta dei Poeti latini della decadenza, Le confessioni e La citta' di Dio di Agostino, L'elogio della follia di Erasmo, i Pensieri di Pascal; per la Utet le Opere di Virgilio; per l'Istituto Poligrafico dello Stato le Satire e le Epistole di Orazio; ha inoltre tradotto opere di Erodoto, Eschilo, Senofonte, Plauto ed altri classici. Suoi interventi critici su poeti contemporanei sono apparsi in convegni e in riviste. Presiede il Premio internazionale Monselice per la traduzione letteraria e scientifica; collabora ai supplementi culturali del 'Sole - 24 ore' e del 'Corriere del Ticino'"] Osservava Leopardi (Zibaldone, n. 2916) che gli antichi avevano ben altro culto della parola e dello stile rispetto a noi: noi non conosciamo nemmeno "tutte le squisitezze degli artifizi e degli accorgimenti che gli antichi insegnavano comunemente e adoperavano, e che si possono vedere negli scritti rettorici di Cicerone e di Quintiliano". Era l'eta' romantica ed esporre questo implicito rimpianto o proporre questa implicita ricetta, anche se poi corretta dalla modernita' leopardiana, non era alla moda. Le grandi eta' moderne delle tecniche scolastiche del parlare e dello scrivere erano state quelle di tre o quattro secoli prima. Petrarca conosceva ancora frammentariamente Quintiliano ma gia' lo amava; e quando Poggio Bracciolini per ingannare la noia del Concilio di Costanza ando' a San Gallo e in fondo alla torre di quel monastero, in uno stato "indegno di un libro", tra muffe e polvere, trovo' il manoscritto completo dell'Institutio oratoria dell'antico professore, fu un clamore epocale. Si colse il valore nuovo e meraviglioso del suo modello di educazione dell'oratore, ma anche dell'uomo, ed esso non ha cessato di ispirare fino a oggi, o almeno a ieri, la struttura scolastica e l'ideale umano dell'Occidente. Marco Fabio Quintiliano venne a Roma dalla natia Spagna prima come studente poi per vent'anni come insegnante stipendiato prima da Vespasiano poi dai suoi figli Tito e Domiziano. Fu il primo professore statale e sostenne sempre il valore della scuola pubblica. Ma non ebbe una vita molto felice e per poco le sventure non piegarono le sue forze e la sua devozione alla letteratura. Prima perse la moglie diciannovenne, poi due figli ancora piccoli, "e dunque l'unica scelta da parte mia sarebbe stata che gettassi questo sciagurato lavoro e quanto c'e' in me di creazione letteraria su quel rogo prematuro, tra le fiamme che avrebbero consumato fino all'ultimo le mie viscere". Detto questo nel Proemio al sesto libro della sua opera, egli continuo' tuttavia per altri sei e concluse l'intero ciclo della formazione di un oratore, dalle fasce alla tribuna. Il suo fu definito "un classicismo riformato". Giudicando anch'egli, come il suo contemporaneo Tacito, che l'oratoria fosse in declino, sopraffatta dalla filosofia e ridotta al "piacere malsano della moderna affettazione", a giochetti di parole senza principi saldi (Seneca aveva asserito che non ci sono regole fisse e che le mode trasformano in continuazione lo stile), Quintiliano volle formare i veri e degni uomini di Stato, gli oratori, in una concezione globale dell'humanitas tipica dell'antica Roma. Educare degli oratori vuol dire educare dei galantuomini per il bene pubblico. Non per nulla il trattato s'intitola Institutio, "istruzione, educazione del buon oratore"; e almeno il primo dei grandi blocchi in cui e' diviso delinea l'educazione primaria completa, e' un trattato di pedagogia che comprende oltre alla grammatica la musica e altre arti liberali, e soprattutto la morale o almeno il comportamento. Solo dopo entra nel vasto fiume dei vari compartimenti della retorica: ossia la ricerca e l'ordinamento del materiale da trattare, quindi lo stile, i mezzi e il modo con cui esporlo. Tradotto in termini moderni, e cosi' come fu inteso e tradotto in pratica dal Rinascimento, l'ideale e' quello dell'uomo virtuoso e colto capace di presentare le sue idee in modo brillante ed efficace. E qui forse spunta una possibilita' di recupero del ponderoso trattato di Quintiliano, se non nella sostanza, almeno in un'idea. Lo fa notare Adriano Pennacini nell'introduzione alla nuova edizione che dell'Institutio oratoria ci da' la Pleiade Einaudi (Quintiliano, Institutio oratoria, edizione col testo latino a cura di A. Pennacini e M. S. Cementano, A. Falco, R. Granatelli, A. M. Milazzo, F. Parodi Scotti, T. Piscitelli, M. Squillante, R. Valenti, M. Vallozza, V. Viparelli, D. Vottero, Torino 2001, 2 voll., pp. LXXXVI, 1092, 1096; euro 129,11). Nel corso del XX secolo - insiste Pennacini - la retorica e' stata riscoperta non solo come strategia generale della comunicazione linguistica ma anche come tecnica dell'elaborazione di un discorso mirato a convincere e a persuadere o, e sempre piu', alla produzione di messaggi, verbali o figurativi. Pretendere che il manuale per i produttori di filmetti e di spot televisivi, o il libro di testo per le scuole e scuolette di tecniche della comunicazione per soggetti ignari e incapaci di porgere in pubblico sia il vecchio Quintiliano, sarebbe eccessivo; anche perche' c'e' da temere che servano di piu' i suoi consigli spiccioli sulla buona pronuncia o sul gesto suadente che non il suo progetto globale. Pero' una riflessione storica egli la produce. In fondo, questa civilta' meccanica e cibernetica e' rimasta in dominio della parola e dell'immagine, del trucco della cultura; ci si bea ancora ai piedi di una tribuna a sentire e a guardare chi e' dicendi peritus - ma forse non vir bonus. Comunque sia, almeno un consiglio utile Quintiliano lo da' agli scrittori e agli editori. Subito all'inizio, nella lettera al suo editore Trifone egli dice: "Io ritenevo che questi miei libri non fossero ancora giunti al punto giusto di maturazione: per comporli, come sai, ho impiegato poco piu' di due anni, e questo tempo l'ho dedicato non tanto a scrivere, ma piuttosto alla ricerca del materiale quasi infinito e alla lettura di innumerevoli autori. Avvalendomi poi del consiglio di Orazio, che nell'Ars poetica suggerisce che non si affretti mai la pubblicazione di un'opera e che essa 'sia tenuta nascosta fino al nono anno', davo riposo ai libri da me scritti affinche' raffreddatosi un po' l'entusiasmo creativo li riprendessi con piu' severita'". 8. LIBRI. MARIA PAOLA GUARDUCCI PRESENTA "CONFESSIONI DI UNA GIOCATRICE D'AZZARDO" DI RAYDA JACOBS [Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 agosto 2008 col titolo "Un gioco nascosto tra la cenere e il velo" e il sommario "Il nuovo Sudafrica alla prova del romanzo". Maria Paola Guarducci e' docente di letteratura africana anglofona all'Universita' della Calabria. Rayda Jacobs e' una scrittrice sudafricana: dal sito della casa editrice Goree riprendiamo la sgeuente scheda: "Nata a Cape Town, comincia a scrivere a soli 12 anni. Nel 1968 emigra in Canada per rientrare in Sudafrica nel 1995. Nel 1994, in Canada, esce il suo primo libro, il ciclo di racconti autobiografici The Middle Children. Il suo primo romanzo, Eyes of the Sky (1996) vince il premio Herman Charles Bosman per la narrativa in inglese. Pubblica altri tre romanzi, The Slave Book (1998), Sachs Street (2001) e Confessions of a Gambler (2003), al quale vanno il premio del Sunday Times per la narrativa e l'Herman Charles Bosman Award. Nel 2004 e' uscito Postcards from South Africa, in cui torna la figura di Sabah, gia' protagonista di The Middle Children. Rayda lavora anche per giornali, radio e televisione, occupandosi prevalentemente di questioni di identita' religiosa e culturale. Ha prodotto tre documentari su questi argomenti"] Quarto romanzo della scrittrice, giornalista, regista e attrice Rayda Jacobs, classe 1947, originaria della comunita' islamica di Cape Town e vissuta a lungo in Canada, il bestseller sudafricano Confessioni di una giocatrice d'azzardo (trad. di Filippo Nasuti, Del Vecchio Editore, pp. 251, euro 16) arriva nelle nostre librerie preceduto da una serie di successi - due dei piu' prestigiosi premi letterari sudafricani, lo Herman Charles Bosman Award e il Sunday Times Literary Award - mentre un film omonimo, sceneggiato dalla sua trama, era stato presentato nel dicembre scorso in anteprima mondiale al Dubai International Film Festival, e vedeva la stessa Jacobs figurare come attrice protagonista e co-regista, assieme alla connazionale Amanda Lane. Nonostante abbia cominciato a scrivere da adolescente, Rayda Jacobs pubblico' il suo primo libro, il ciclo di racconti autobiografici The Middle Children, solo nel 1994, inserendosi nel solco aperto dall'altra scrittrice della diaspora sudafricana Zoe Wicomb, con il bellissimo Cenere sulla mia manica (trad. di Maria Teresa Carbone, Edizioni Lavoro, 1993). Nel descrivere la pratica del playing white sotto l'apartheid - una pratica che consisteva nello spacciarsi per bianchi approfittando della carnagione chiara allo scopo di avere accesso a lavori e opportunita' altrimenti precluse - sia Zoe Wicomb che Rayda Jacobs mettono su carta il travaglio interiore delle loro protagoniste e alter ego "meticce", costrette a tradire famiglia e comunita' per guadagnarsi un futuro decente. Un futuro immaginato comunque fuori dai confini del Sudafrica. I successivi romanzi di Rayda Jacobs si sono sempre piu' focalizzati sulla questione islamica e sui complicati rapporti tra le differenti culture del Sudafrica, un paese che e' stato teatro dei primi incontri e dei primi scontri tra le comunita' dei settlers bianchi, degli asiatici - arrivati in orgine come manodopera a basso costo per le piantagioni locali - e degli africani. A questi temi, cruciali negli anni dell'apartheid e ancora oggi di forte attualita', Jacobs ha dedicato trasmissioni radiofoniche e documentari televisivi centrati sul legame quanto mai complesso tra religione, tradizioni e culture. Un legame molto forte nel paese, nonostante il lascito culturale e le separazioni imposte dalle leggi e dal governo dei bianchi. Musulmana, quarantanove anni, quattro figli adulti e un divorzio alle spalle, Abeeda Ariefdien e' sia la protagonista che la voce narrante di Confessioni di una giocatrice d'azzardo. Alle prese con un figlio omosessuale che sta morendo di aids, con un ex marito abulico, con il vittimismo di una sorella del cui compagno Abeeda e' innamorata (e ricambiata) e con due amiche non sempre capaci di attenzione nei suoi confronti, la donna racconta con lucidita' e senza falsi moralismi la propria discesa negli inferi del gioco d'azzardo. Per puro caso, Abeeda verra' trascinata nella spirale di una dipendenza dalla quale ne' l'improvvisa morte del figlio, ne' il suo profondo sentimento religioso riusciranno a liberarla. Descritto negli aspetti patologici piu' deteriori, ma anche negli istanti di piacere che e' in grado di regalare al giocatore, il vizio schiude innanzi a Abeeda un terreno nel quale potra' scoprire insospettati lati del proprio se'. Nasce da qui la "nuova identita'" che, a poco a poco, la porta a convivere con un mondo pieno di fatti, cose, situazioni e una vita interiore segnata dalla solitudine. Da una parte, Abeeda e' una donna che brucia denaro al casino' con crescente e disinvolta competenza. Dall'altra e' una religiosa che si nasconde dietro due veli e continua a pregare Dio perche' non vuole rinunciare al suo conforto. Il gioco d'azzardo e' un segreto che Abeeda riesce a coltivare accanto alla sua normalita' di donna, madre, figlia, sorella, amante, anche se la pervasivita' del vizio si insinuera' a poco a poco nelle pieghe della vita quotidiana occupando tutti gli spazi e acuendo, anziche' lenire, il dramma della sua solitudine. Affrontando con toni leggeri questioni profonde, la Jacobs descrive una storia privata di amore e malattia, presentandola attraverso un intreccio in cui si innestano, senza banalita', anche motivi pubblici legati alla questione femminile, ai rapporti familiari, al confronto tra islam e cristianesimo. Non mancano, ovviamente, riflessioni sull'apartheid e la dilagante criminalita' di un paese all'apparenza liberatosi dall'incubo del razzismo. Passando dal presente al passato, attraverso rapidissimi e improvvisi flashback, la voce di Abeeda riesce a trovare il giusto equilibrio tra il lato tragico e quello comico che caratterizzano la sua esistenza e quella degli altri personaggi che prendono parte alla storia. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 556 del 23 agosto 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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