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Nonviolenza. Femminile plurale. 203
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 203
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 22 Aug 2008 11:46:44 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 203 del 22 agosto 2008 In questo numero: 1. Lea Melandri: Senza 2. Giovanni Godio intervista Sandra Cisneros 3. Roberto Carnero intervista Erica Jong 4. Federico Bastiani intervista Naomi Klein 1. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: SENZA [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "Liberazione" del 13 agosto 2008 col titolo "Chi ricomincera' a lottare? quelli che sono 'senza'". Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] "Por donde saldra' el sol? Da dove sorgera' il sole? E' la speranza che vive nel cuore della notte a parlare in questa domanda degli indiani d'America. Come sanno gli indiani, la notte puo' essere lunga. Molto lunga talvolta. Una notte di cinque secoli, cosi' essi definiscono la colonizzazione, il genocidio, la quasi scomparsa del loro popolo. Noi, eredi di quell'Occidente che li ha sterminati, possiamo oggi fare nostro il loro interrogativo... La nostra e' un'epoca in crisi. E' scoccato da tempo il nuovo millennio, ma la miseria, la tristezza, la sofferenza del mondo non sono mai apparse in una luce tanto definitiva". Con un suggestivo richiamo alle "molteplici dimensioni dell'esistenza", senza le quali "la vita non puo' perdurare e dispiegarsi appieno", Miguel Benasayag e Angelique Del Rey chiudono le pagine di un libro (Elogio del conflitto, Feltrinelli) raro in un'epoca che sembra fatalmente attratta da logiche opposte, di semplificazione e di scontro, di chiusure identitarie e di rigetto, rispetto a tutto cio' che e' dissimile o che esce dall'ordine costituito. Ma quali sono le "ombre" che minacciano di precipitare l'Occidente "civilizzato" in una nuova barbarie? Contro quali "rischi" si accaniscono le politiche sicuritarie, le misure sempre piu' invasive di controllo con cui si pensa di poter immunizzare il corpo sociale da un pericolo diffuso e inafferrabile? Parlare di luci ed ombre, contraddizioni e conflitti che si radicano nella molteplicita' concreta di ogni vita, vuol dire andare oltre la denuncia di un sistema di potere costretto ad armarsi contro quegli scarti, rifiuti, eccedenze, materiali e umane, che esso stesso produce. Ogni sollecitazione alla protesta e all'impegno, che non voglia restare volontaristica, deve fare i conti oggi con una "mutazione antropologica" che richiede nuovi criteri interpretativi, per i quali, come ha detto Marco Revelli nell'intervista a "Liberazione" del 31 luglio 2008, "non ci aiutano ne' Lenin ne' Trotsky" ma "il fare da noi". Non dovrebbe essere difficile riconoscere che lo "straniero", il "povero", il "fuori norma", il migrante ridotto alle necessita' vitali, incarnano, portandolo in questo modo allo scoperto, il "rimosso" originario di una civilta' che, separando corpo e linguaggio, biologia e storia, ha costruito sbarramenti e frontiere fin dentro i corpi e la vita psichica, e posto le premesse perche' quella demarcazione andasse progressivamente a scomparire. La minaccia - come scrivono Benasayag e Del Rey - viene anche da dentro: "nuclei di razionalita' e saggezza vivono l'assedio di pulsioni e passioni non civilizzate... Si tratta di imparare a convivere con tutto cio' che abbiamo rimosso e abbandonato come un'anomalia inammissibile. Si tratta di capire in che modo l'essere umano, l'essere umano cosi' com'e', l'essere umano con il suo fondo di costitutiva oscurita', possa costruire le condizioni di un vivere comune malgrado il conflitto e anzi attraverso il conflitto, mettendo fine al sogno o all'incubo di chi vorrebbe eliminare tutto cio' che vi e', in lui, di ingovernabile". Se dominanti sono diventati la logica dell'utile e dell'efficacia, l'uomo dell'impresa e della produzione, se la norma ha messo radici nei vissuti piu' intimi dell'individuo, tanto da essere indotti a cercare il senso della vita in "immagini identificatorie della felicita'" - un'automobile, una vacanza, un paio di calzini, un dentifricio, ecc. -, significa che e' proprio questa riduttivita' estrema a fare oggi da ostacolo alla possibilita' di riconoscere altre dimensioni dell'umano. Il ritorno di cio' che e' stato escluso - i corpi, la vita dei singoli nella sua complessita' e interezza, passioni, fantasmi contraddittori - puo' tradursi in una inevitabile barbarie, ma puo' anche riaprire la strada al desiderio e al conflitto, alla possibilita' di ridefinire su basi meno astratte il legame sociale. La semplificazione, l'unidimensionalita', appartengono prioritariamente al sistema capitalistico, ma le politiche e i programmi della sinistra non ne sono esenti, dal momento che "muovono senza eccezione dal principio secondo il quale un progetto serio non puo' non fare i conti con la realta' economica dell'ordine mondiale, ordine in base al quale il sostrato di ogni cosa e' un sostrato di natura economica". La consapevolezza da cui riprendere a interrogare l'azione politica e' allora quella espressa molto chiaramente da Ulrich Beck ("La Repubblica" del 7 giugno 2008): "la propria vita e' quel mondo che contiene in se' tutti gli ambienti... occuparsi di se', porsi determinate domande (chi sono? cosa voglio? dove sto andando?) sono atteggiamenti che lo schema sinistra-destra interpreta come segni di perdita, rischio, caduta e fallimento o, in altre parole, come il peccato originale dell'individualismo. Sorgono allora altre domande: in che modo determinate dipendenze e interdipendenze che sono parti integranti della propria vita, possono interagire tra loro, elevarsi a responsabilita' e acquisire validita' sul piano politico e su quello privato? La vita propria e allo stesso tempo globale e' diventata l'orizzonte a partire dal quale in futuro occorrera' elaborare e giustificare il concetto di dimensione sociale". Gli scarti, le eccedenze indesiderate, i rifiuti urbani e umani, hanno preso non a caso una valenza che va al di la' del sistema mercantile e consumistico che li produce. Rappresentano, come ha scritto Guido Viale ("La Repubblica" del 23 maggio 2008), un modo di essere e di pensare - "accumulare cose che non ci servono e buttar via a casaccio tutto cio' che ci da' fastidio" -, sono il volto capovolto, negativo, del privilegio di cui ancora godiamo e che temiamo di perdere. Ma guardati dall'ombra che la storia si porta dietro, sono anche potenzialita' di vita che una lunga esclusione ha deformato, reso irriconoscibili. Partire da questo fondo oscuro, da cui le esperienze individuali e collettive emergono nella loro complessita' - contraddittorie, molteplici, conflittuali -, porta a ripensare il potere sia nel suo aspetto visibile, macroscopico, sia nelle sue ramificazioni diffuse, incorporate nei modi di pensare e di vivere del singolo e delle comunita', induce a una valutazione diversa del rapporto tra istituzioni e rapporti sociali, tra politica organizzata e movimenti: "Il ruolo centralizzatore delle istituzioni del macropotere ha contribuito ad alimentare l'idea che le istituzioni siano il luogo a partire dal quale viene diretta la vita di una societa', ma la realta' dei fatti e' ben diversa, e il meccanismo della centralizzazione, paradossalmente, non riserva alle istituzioni che una funzione solo periferica. Il macropotere non racchiude l'insieme del processo politico e tanto meno sociale. Non ne e' che un archivio o un'espressione seconda. Lungi dal racchiudere in se' la potenza del politico, ne e' piuttosto racchiuso, orientato, diretto. E' quindi attraverso modificazioni conflittuali dell'assetto dei micropoteri, che si realizzano i mutamenti piu' radicali dei modi di vita e dei meccanismi di riproduzione sociale". Pratiche di contropotere sono percio' non solo le associazioni, le ong, i comitati, ma i percorsi piu' diversi: dell'arte, della medicina, dell'educazione, ma anche dell'urbanistica e dello sport, processi molteplici in grado di "restituire la trama della societa' a livelli antropologici". Nessun preciso fronte politico, percio', nessuna avanguardia dotata di funzioni direttive, quale potrebbe essere il partito. Una realta' di questo tipo - osservano Benasayag e Del Rey - "non e' in genere ben accetta da parte dei militanti di stampo classico, che in essa vedono il rischio della dispersione". Eppure, e' proprio l'"azione circoscritta" che permette di vedere i conflitti che ci attraversano, e di riconoscere l'illusorieta' delle situazioni definitive. "Noi siamo strutturalmente vincolati ad agire e pensare in situazione, e, se e' vero che una situazione coincide sempre, sul piano intensivo, con una serie infinita, sul piano estensivo questo si traduce nella condanna ad agire sempre in condizioni di almeno parziale ignoranza, dato che non e' possibile prevedere lo sviluppo del sistema dinamico che nasce dall'articolazione reciproca di piu' situazioni". Il "modello forte" di pratica politica, che viene qui proposto, e' quello che sa tenere insieme la rinuncia alle soluzioni universali e la prospettiva unitaria entro cui disporre il molteplice delle nostre azioni. L'elogio del conflitto, al contrario delle logiche di guerra oggi diffuse - paura, invenzione, persecuzione del nemico -, e', percio', anche "elogio della vita" in tutte le sue manifestazioni. La tentazione di dare un "soggetto" al movimento reticolare che opera per la creazione di un'alternativa, fa la sua comparsa la' dove l'analisi si sofferma sulla forza trainante, "decisiva", che possono avere le lotte dei "senza": senza tetto, senza fissa dimora, senza lavoro, strati di popolazione sempre piu' violentemente messi al bando. Apparentemente, chi si viene a trovare in questa condizione desidera solo cio' che gli manca e che gli integrati gia' possiedono. A differenza dei proletari, delle donne, delle minoranze nazionali e sessuali, mancherebbe a queste nuove figure del disagio sociale quella "promessa" che li fa eccedere rispetto agli ambiti di appartenenza, per investire, esplicitamente o implicitamente, l'intera societa'. Occorre percio' "costruire uno zoccolo comune delle varie figure dei 'senza': categoria che va riconquistata a gruppi di diverso genere, la cui definizione non deve peraltro rinviare solamente alla privazione di un certo bene". E' questo allargamento di una condizione che riguarda oggi i protagonisti piu' diversi del vivere sociale - dal migrante al ricercatore che difende la sua scienza contro l'esigenza utilitaristica delle scienze odierne, dall'artista che rifiuta di svendere il suo desiderio di creazione all'insegnante, al disoccupato -, che va a collocare i "senza" nel cuore di un passaggio nodale del nostro tempo, "incarnando il punto in cui la promessa della modernita' si rovescia nel divenire 'senza' della popolazione". Questi movimenti mostrano, con la loro stessa esistenza, quello che e' il difetto macroscopico del sistema, cioe' l'impossibilita' della sua estensione universale. La "materialita' del nuovo secolo", per usare una espressione di Marco Revelli, trova effettivamente in questo, come in altri saggi di Benasayag, uno sguardo originale, capace di portare allo scoperto le molteplici, contraddittorie facce di un potere che intreccia produzione e modi di vita, relazioni sociali e vissuti personali, sessualita' e politica. Di conseguenza, si fanno piu' chiari anche i molti, diversi percorsi attraverso cui si manifestano segni di ribellione, dissenso, conflitto e resistenza: dalle frontiere interne della societa' ai confini interiori dell'individuo, dalla norma che interviene dall'esterno sulle nostre vite a quella che agisce, invisibile, come imperativo incorporato. Da questo orizzonte, che sposta i confini della politica spingendola fino "alle radici dell'umano", si apre la prospettiva, sia pure a lungo termine, di movimenti multiformi, collegamenti insospettati, capacita' creative che gia' il '68 aveva fatto intuire, nel momento in cui aveva posto come elementi indisgiungibili del processo rivoluzionario: corpo, individuo e legame sociale. 2. RIFLESSIONE. GIOVANNI GODIO INTERVISTA SANDRA CISNEROS [Dal mensile "Letture", n. 640, ottobre 2007 col titolo "Sandra Cisneros, una voce per chi non ha voce" e il sommario "Americana di origini messicane, l'autrice di La casa di Mango Street fa dell'impegno sociale un suo tratto distintivo, convinta che anche 'usando la penna si puo' cambiare la vita delle persone'". Giovanni Godio, giornalista pubblicista, vive e lavora a Torino, dove e' nato nel 1968: laureato in lettere, ha lavorato a lungo nel non profit come addetto stampa e giornalista per poi passare al settore dell'editoria educativa, e collabora con testate a diffusione nazionale e locale su argomenti sociali e culturali; nel campo dell'informazione sociale ha curato alcuni saggi o sezioni monografiche di saggi per gli editori Sperling & Kupfer, Feltrinelli, La Meridiana ed Ediesse; in particolare, negli anni ha seguito i temi della poverta' economica, della sicurezza sul lavoro, dell'handicap, della salute mentale, della salvaguardia ambientale, delle spiritualita' "di confine" (le cosiddette "nuove religioni"), ma anche della condizione dei minori e delle politiche giovanili (un interesse, quest'ultimo, legato a una lunga esperienza nel movimento educativo dell'Agesci). Tra le opere di Giovanni Godio: Il coraggio di una vita normale. Speranze, delusioni e conquiste: lunga lotta delle famiglie dei disabili intellettivi e relazionali, Sperling & Kupfer, 1999; (con Marcello Rodino), Che bravi ragazzi! I minori nell'Italia che sara', La Meridiana, 2002. Sandra Cisneros (Chicago 1954), poetessa, saggista, narratrice, e' una delle figure maggiori della letteratura chicana. Dal sito www.festivaletteratura.it riprendiamo la seguente scheda: "Sandra Cisneros e' nata a Chicago nel 1954 da padre messicano e madre chicana, terza di sette fratelli e unica figlia femmina. Attualmente vive a San Antonio, in Texas. E' considerata una delle maggiori scrittrici di letteratura chicana e portavoce di spicco degli immigrati messicani negli Stati Uniti. Oltre a numerosi saggi e articoli per giornali e riviste, e' autrice del bestseller La casa in Mango Street, di tre libri di poesie (Bad Boys, My Wicked Wicked Ways e Loose Woman), una raccolta di racconti (Woman Hollering Creek and Other Stories) e un libro per bambini (Hairs/Pelitos). Molti dei suoi racconti o estratti delle sue opere sono stati pubblicati in antologie e volumi di storia della letteratura. Ha anche lavorato nelle scuole superiori come insegnante e assistente scolastica, ha tenuto corsi di scrittura creativa e un ciclo di conferenze presso l'Universita' della California a Berkeley. Numerosi e significativi riconoscimenti costellano la sua carriera, tra questi la prestigiosa borsa di studio della MacArthur Foundation nel 1995; il premio Texas Medal of the Arts nel 2003; una laurea ad honorem in Studi Umanistici dall'Universita' Loyola di Chicago nel 2002 e un'altra in Lettere dall'Universita' Statale di New York nel l993; due borse di studio dal National Endowment of the Arts per la narrativa e la poesia. I suoi libri sono stati tradotti in piu' di dodici lingue tra cui spagnolo, francese, tedesco, italiano, olandese, norvegese, giapponese, cinese, turco e, recentemente, greco, thai e serbo-croato"] "Volevo fare un libro che fosse accessibile a chiunque, a un autista d'autobus, a un operaio o a un ragazzo. Un'opera di letteratura, si', ma costruita per capitoletti ed episodi brevi, in modo che si possa aprirla e iniziarla da una pagina qualsiasi, magari per leggerla a qualcun altro". Sandra Cisneros presenta cosi' La casa di Mango Street, un "romanzo" minimale appena tradotto da La Nuova Frontiera (pp. 128, euro 14): negli Usa questo piccolo libro era stato pubblicato per la prima volta nel 1982, ai margini del mercato editoriale, ma nel 1991 e' stato riscoperto da Vintage (Random House), che ne ha fatto un colpo grosso da tre milioni di copie. L'autrice, che e' nata a Chicago nel 1954, oggi e' tra le maggiori scrittrici "chicane" (i chicanos sono i cittadini statunitensi nati in Messico o di famiglia messicana, nda), vive a San Antonio, Texas, ed e' impegnata in prima persona a fianco della sua gente. E come autori di riferimento cita la scrittrice engagee Elena Poniatowska (nota in Messico per un libro inchiesta sul massacro della "notte di Tlatelolco" del 1968) e Nicanor Parra, il poeta cileno dell'"antipoesia" nato nel 1914. All'ultima Fiera del libro di Torino Sandra Cisneros ha portato la nostalgia per "una patria che non esiste", il Messico rimpianto e idealizzato dal padre, e ha parlato, con passione civile, di una scrittura "che deve cambiare la vita di chi ci sta vicino". Lasciando nel suo pubblico una traccia di commosso stupore per il fatto che gli Stati Uniti riescano ancora a esprimere e ad amare, in questa eta' ferrea, intellettuali come lei. Oltre alla Casa di Mango Street (il diario curioso, ironico e amaro di Esperanza, una ragazzina che cresce in un barrio di Chicago), il lettore italiano puo' leggere di Sandra Cisneros l'esuberante e fluviale Caramelo (La Nuova Frontiera, 2004, pp. 472, euro 18,50), con le storie di una famiglia di latinos al di qua e al di la' del Rio Grande, e i ritratti ancora una volta al femminile de Il fosso della strillona (sempre La Nuova Frontiera, 2005, pp. 170, euro 14,50). * - Giovanni Godio: Sandra Cisneros, lei ama parlare di "chicanismo". Di che cosa si tratta? - Sandra Cisneros: "Chicanismo" e' un po' come femminismo. Non e' che se sei una donna sei per forza femminista, e che se sei mexican american sei chicanista. Chi e' nato negli Stati Uniti da una famiglia d'origine messicana a volte vive un'esistenza profondamente "colonizzata". Ma se diventa consapevole della storia e dell'oppressione vissuta dagli immigrati, e decide di fare resistenza, di impegnarsi per la comunita', di scrivere libri per il cambiamento sociale, ecco che fa del chicanismo. * - Giovanni Godio: Oggi, a 25 anni di distanza dalla prima uscita della Casa di Mango Street, gli Stati Uniti sono un buon Paese per gli immigrati latinos? - Sandra Cisneros: Credo che nessun Paese al mondo oggi sia un buon Paese per gli immigrati. Soprattutto dopo l'11 settembre 2001, e "grazie" specialmente al nostro Governo e ai nostri politici (penso in particolare al Partito repubblicano), che hanno diffuso sempre piu' paura nella societa'. Il presidente Bush ha un rapporto ambiguo con gli immigrati, ma il suo partito ha fomentato un'ondata di nazionalismo contro tutto cio' che e' immigrato. * - Giovanni Godio: Sandra Cisneros ha qualche autore di riferimento? - Sandra Cisneros: Si', la messicana Elena Poniatowska: e' una splendida e nobile signora, generosa con i suoi lettori e con tutti coloro che incontra. E' di familia buena, ma si e' impegnata per i piu' poveri tra i poveri, per l'educazione e per il cambiamento sociale. Poteva scegliere, poteva approfittare di un'esistenza da privilegiata degna della sua classe sociale, ma non lo ha fatto. Anzi, per le sue scelte ha corso dei rischi, specialmente in occasione delle recenti elezioni, quando si e' schierata con il Partito della rivoluzione democratica (il partito del candidato di sinistra Lopez Obrador, sconfitto alle discusse presidenziali del 2006, nda). Per me Elena Poniatowska e' un autentico modello: una vita spesa al servizio della societa'. * - Giovanni Godio: Torniamo alla scrittura: lei ha rimproverato alle universita' americane di perpetuare una letteratura carica di formalismi e di stereotipi, mentre essa dovrebbe "raccontare cio' che e' vero", per "cambiare il mondo". Ma questo "vero" in che modo lo si impara, in che modo lo si distilla in libri come La casa di Mango Street o Caramelo? - Sandra Cisneros: All'universita' ho scoperto, da sola, autori come Nicanor Parra e la sua "anti-poesia": persone come lui mi hanno dato una direzione e la voglia di impegnarmi. Ma quando sono andata a lavorare in una zona povera di Chicago, popolata da immigrati, i miei studenti mi hanno insegnato di piu'. Prima avevo imparato a essere insoddisfatta, ma non sapevo che cosa fare di questa insoddisfazione. Poi laggiu' ho incontrato dei giovani e delle giovani la cui vita era molto piu' difficile della mia. E ho iniziato a popolare i miei libri con i miei studenti. * - Giovanni Godio: La sua Esperanza conclude La casa di Mango Street con questa promessa: "Un giorno diro' addio a Mango Street. Sono troppo forte perche' mi possa trattenere qui per sempre... Vicini e amici diranno: che ne e' stato di quella Esperanza? Che fine ha fatto con tutti quei libri e quelle carte? Non si renderanno conto che me ne sono andata per tornare. Per quelli che mi sono lasciata dietro. Per quelli che non ce la fanno a scappare"... - Sandra Cisneros: Vede, io avevo capito che la casa stava andando a fuoco, che bisognava fare qualcosa, e in fretta. E portare un po' d'acqua nelle mani per me era comporre dei bozzetti, dei ritratti, ma anche insegnare letteratura ai miei ragazzi, incoraggiarli a continuare gli studi, consigliarli sul controllo delle nascite. Era quello che potevo fare e l'ho fatto. * - Giovanni Godio: Lei e' l'anima anche di un "Macondo Writing Workshop". Che cos'e'? - Sandra Cisneros: Un raduno annuale a San Antonio per autori che, come diciamo, lavorano per il cambiamento sociale sui "territori di frontiera" della geografia, della cultura, della societa' e della spiritualita'. Il nome, naturalmente, si ispira alla citta' di Cent'anni di solitudine. Ho iniziato invitando a un workshop di scrittura alcuni autori professionali, e oggi dal punto di vista giuridico siamo una fondazione con un centinaio di aderenti: invito giornalisti, romanzieri, drammaturghi, autori di spettacolo, cineasti e li mescolo fra loro, per eta' e per specializzazioni differenti. Sono persone che condividono il fatto di avere gia' alle spalle una storia di servizio alla societa', ma li raduno perche', insieme, imparino a lavorare con maggiore incisivita', e perche' il loro scrivere non rimanga un gesto solitario. Alcuni sono latinos, alcuni statunitensi, altri cinesi, ma tutti pensano che usando la penna si puo' cambiare la vita delle persone. 3. RIFLESSIONE. ROBERTO CARNERO INTERVISTA ERICA JONG [Dal mensile "Letture", n. 636, aprile 2007, col titolo "Erica Jong, lo scandalo della scrittura" e il sommario "Storica e discussa autrice di culto del movimento femminista, nella sua autobiografia la scrittrice americana espone anche il suo rapporto con la narrativa. E, a sorpresa, attribuisce grande importanza al senso del pudore...". Roberto Carnero e' docente di Letteratura e cultura dell'Italia contemporanea all'Universita' di Milano. Erica Jong e' una delle piu' note scrittrici americane. Dalla Wikipedia, edizione italiana, riprendiamo per stralci la seguente scheda: "Erica Jong (nata Mann) (New York City, 1942) e' una scrittrice, saggista, poetessa ed educatrice statunitense. Laureatasi nel 1963 al Barnard College, con un master in letteratura inglese del XVIII secolo alla Columbia University (1965), Erica Jong e' conosciuta soprattutto per il suo primo romanzo, Paura di volare (1973). Erica Jong e' cresciuta a New York, figlia di Seymour Mann (nato Nathan Weisman), un musicista ebreo di origini polacche, e della sua prima moglie, Eda Mirsky, una pittrice e disegnatrice di tessuti la cui famiglia era immigrata negli Stati Uniti dall'Inghilterra e prima ancora dalla Russia. Erica Jong inizia la sua attivita' letteraria nel 1971 con una raccolta di poesie dal titolo Frutta e verdura (1973) ma conquista la popolarita' nel 1974 con il suo primo romanzo Paura di volare nel quale vengono messi in risalto i temi del femminismo degli anni Sessanta vissuti dalla protagonista Isadora Wing. Nei due romanzi, Come salvarsi la vita del 1977 e in Paracaduti e baci del 1984, la storia di Isidora assume un carattere maggiormente autobiografico, protagonista dei romanzi una scrittrice che ha avuto grande successo nel mondo dei media. Risale al 1980 il romanzo Fanny dove riscrive in modo arguto ed erudito le vicende di Fanny Hill che erano state narrate da John Cleland nel capolavoro della narrativa erotica del Settecento con il titolo Fanny Hill: or, the Memoirs of a Woman of Pleasure. Le opere successive sono tutte incentrate sul mondo femminile e per lo piu' a carattere autobiografico come il saggio del 1981 Streghe, Il mio primo divorzio del 1984, Serenissima del 1987, La ballata di ogni donna del 1990, Paura dei cinquanta del 1994, Inventare la memoria: romanzo di madri e figlie del 1997. Nel 2003 pubblica Il salto di Saffo, ricostruendo la vita della poetessa di Lesbo Saffo sulla base delle poche notizie disponibili sulla sua vita, approfondendole con l'immaginazione e ricreando una storia introspettiva e al tempo stesso avventurosa. L'ultima opera pubblicata in Italia da Bompiani nel 2006 e' Sedurre il demonio, la sua autobiografia. Opere di Erica Jong: a) romanzi: Paura di volare (Fear Of Flying) (1973); Come salvarsi la vita (How To Save Your Own Life) (1977); Fanny (Fanny, Being The True History of the Adventures of Fanny Hackabout-Jones) (1980); Paracaduti e baci (Parachutes & Kisses) (1984); Serenissima (Shylock's Daughter)(1987); La ballata di ogni donna (Any Woman's Blues) (1990); Inventare la memoria: romanzo di madri e figlie (Inventing Memory: a Novel of Mothers and Daughters) (1997); Il salto di Saffo (Sappho's Leap) (2003); b) saggi e testi autobiografici: Streghe (romanzo) (Witches) (1981, 1997, 1999); Il mio primo divorzio (Megan's Book of Divorce)(1984,1996); The Devil at Large: Erica Jong on Henry Miller (1993); Paura dei cinquanta (Fear of Fifty: A Midlife Memoir) (1994); Che cosa vogliono le donne? (What Do Women Want? Bread Roses Sex Power) (1998); Sedurre il demonio: scritti della mia vita (Seducing the Demon : Writing for My Life) (2006); Bad Girls: 26 Writers Misbehave essay, "My Dirty Secret" (2007); c) poesie: Frutta e verdura (Fruits & Vegetables) (1971, 1997); Half-Lives (1973); Loveroot (1975); At The Edge Of The Body (1979); Ordinary Miracles (1983); Becoming Light: New And Selected (1991)] I suoi libri fanno sempre discutere. Negli Stati Uniti, a ogni nuova uscita, e' attaccata dalla destra politica e religiosa. I contenuti delle sue opere sono, infatti, problematici, per la tendenza programmatica a scandalizzare il lettore benpensante. Cosi' accade anche nel suo ultimo volume, Sedurre il demonio (traduzione di Tilde Riva, Bompiani, 2006, pp. 262, euro 16). Parliamo di Erica Jong, una delle piu' note scrittrici americane contemporanee. Nata a New York nel 1942, esponente di spicco del movimento di liberazione sessuale e femminista, il suo successo di narratrice e' iniziato nel 1975 con il romanzo Paura di volare, vero libro di culto per un'intera generazione di donne (e non solo). La sua carriera di narratrice e' poi proseguita con altri libri, tutti best seller internazionali, tra cui ricordiamo Come salvarsi la vita, Fanny, Paracadute & baci, Ballata di ogni donna, Ricordero' domani, Cosa vogliono le donne e Il salto di Saffo, in Italia editi da Bompiani. Un po' sopiti i furori giovanili, oggi Erica Jong e' un'elegante signora di mezza eta' che vive tra New York, il Connecticut e il Vermont, con il marito e la figlia. Nella scrittura, pero', torna ancora il tono spigliato e disinibito degli esordi. Sedurre il demonio, ad esempio, racconta, senza mezzi termini, le principali tappe della vita dell'autrice, con un linguaggio concreto e senza rinunciare alla rappresentazione di situazioni a volte anche scabrose (per questo il libro e' adatto a un lettore maturo). Si tratta, infatti, di un'autobiografia, per quanto inizialmente il progetto fosse quello di scrivere una sorta di manuale di scrittura creativa per aspiranti narratori. Tra i tanti temi toccati, c'e' la famiglia, la relazione tra creativita' artistica e consumo di droghe (di cui, peraltro, la Jong dice di aver fatto sempre un uso molto parco), lo show business del sistema globale dell'informazione, la politica (americana ma non solo) e il suo rapporto con la felicita' (o, piu' spesso, con l'infelicita') degli individui. Tutti argomenti sui quali l'autrice espone tesi originali, spesso controverse, ma sempre capaci di provocare l'intelligenza del lettore. Abbiamo incontrato Erica Jong nell'ambito del festival "pordenonelegge.it", dove ha presentato in anteprima al pubblico italiano questa sua ultima fatica letteraria. * - Roberto Carnero: Signora Jong, perche' Sedurre il demonio? - Erica Jong: Piu' che al "demonio", cioe' a Satana, il titolo allude al "demone", a qualcosa di soprannaturale che rappresenta la creativita' e la passione. Creativita' e passione sono due cose molto vicine. * - Roberto Carnero: Come e' nata l'idea di questo libro? - Erica Jong: Ho cominciato a comporlo come un libro sulla scrittura, dedicato a chi voglia intraprendere questo mestiere. Presto, pero', il lavoro ha assunto tutt'altra direzione. Di divagazione in divagazione, di ricordo in ricordo, il filo del discorso mi ha portata lontana. E l'opera, cosi', e' diventata una sorta di autobiografia che procede per schegge e frammenti. * - Roberto Carnero: Dunque un testo in cui ha deciso di raccontare, come si dice, tutta la verita' e nient'altro che la verita'... - Erica Jong: Sull'idea di verita' e' imperniata tutta la mia ricerca letteraria. Del resto non e' affatto detto che un'autobiografia sia piu' veritiera di un romanzo. Spesso quando lo scrittore inventa, cioe' fa della fiction, finisce, indirettamente, con il dire piu' cose su se stesso di quando si mette allo specchio per parlare consapevolmente di se'. Poi, certo, in un romanzo dobbiamo costruire un plot, una trama, e quindi, anche quando la materia sia autobiografica, siamo costretti a selezionare certi eventi rispetto ad altri, a enfatizzarne alcuni che nella realta' sono stati meno significativi e a ridurne altri magari piu' rilevanti. Altrimenti scadiamo in quel minimalismo insopportabile, per quanto e' noioso, in cui i piu' banali fatti quotidiani sono raccontati in esatta successione. Nel caso di questo mio ultimo libro, mi sono sentita piu' libera di seguire il filo dei miei ricordi, poiche' non si tratta di un romanzo e, di conseguenza, non avevo esigenze di plot. Questo perche', nonostante tutte le belle cose che tendiamo a raccontarci, spesso la vita non ha una trama. * - Roberto Carnero: I suoi libri sono da molti considerati scandalosi per una tematica sessuale espressa in modo molto diretto. Che cos'e' per lei il pudore? Semplicemente un valore superato, un retaggio del passato? - Erica Jong: Assolutamente no. Penso anzi che sia una questione molto importante. Per me il pudore e' il senso dell'integrita' e della dignita' della persona, di ogni persona. La cosa peggiore che possa accadere a un essere umano e' la limitazione della sovranita' sul proprio corpo, sessualita' compresa. Lo stupro e' proprio questo: un'invasione, una presa di possesso del tuo corpo da parte di qualcun altro. La gravita' dello stupro e', per me, pari a quella dell'omicidio. Purtroppo da sempre le donne sono state vittime di aggressioni di questo tipo. Il movimento femminista aveva tra i suoi obiettivi proprio quello di ridare integrita' al corpo della donna, nei termini di una gestione autonoma della sua fisicita'. Spogliarsi o scegliere il modo di vivere la propria sessualita' non e' in contrasto con il pudore. Oggi, purtroppo, le donne sono ancora oggetto di abusi, e con loro i bambini. Lo leggiamo nelle cronache dei giornali e lo vediamo alla tv. La guerra, poi, non fa che incrementare situazioni di questo tipo. Donne e bambini ne sono le prime vittime. Il pudore, invece, si accompagna alla gentilezza, all'attenzione verso le altre persone. La Torah dice che la gentilezza e' la piu' alta forma di saggezza. * - Roberto Carnero: Qual e' stato il ruolo storico del femminismo? - Erica Jong: Ha insegnato che non si possono separare gli uomini dalle donne. E grazie al femminismo mi sembra che gli uomini siano diventati migliori. * - Roberto Carnero: Quali sono stati i suoi maestri di scrittura? - Erica Jong: Molti e piuttosto vari. Philip Roth, che aveva dodici anni piu' di me, mi ha aiutata a raggiungere un maggiore livello di onesta' nella scrittura. Da Sylvia Plath ho imparato che anche una donna, e una scrittrice, poteva permettersi di essere arrabbiata. Invece suo marito, Ted Hughes, era un dongiovanni compulsivo e mi corteggio' in tutti i modi. Ma io non lo assecondai. Poi scrissi una lettera immaginaria a Sylvia, che nel frattempo si era suicidata, per spiegarle i motivi per i quali non mi ero concessa a Ted. * - Roberto Carnero: Come valuta oggi, a trent'anni di distanza, Paura di volare, il libro che diede inizio al suo successo in tutto il mondo? - Erica Jong: Mi piace tuttora lo spirito di quel libro. Quando mi capita di rileggerlo, mi sorprendo a pensare: "Mio Dio, quanto ero giovane!". E' un libro pieno di entusiasmo, di coraggio, di fiducia nel mondo. Quando l'ho scritto non sapevo ancora quanto le persone potessero essere meschine. Allora avevo una straordinaria capacita' di mettermi nei guai. Ma se non mi fossi impelagata in quelle situazioni impossibili, non avrei avuto la materia per la mia scrittura. Quindi e' stato bene cosi'. 4. RIFLESSIONE. FEDERICO BASTIANI INTERVISTA NAOMI KLEIN [Dal mensile "Letture", n. 644, febbraio 2008 col titolo "Naomi Klein 'choccata' dal capitalismo" e il sommario "L'autrice di No Logo torna in libreria e 'raddoppia' la critica contro la globalizzazione con Shock Economy, corrosivo pamphlet che intende mettere alla berlina le distorsioni sociali del capitalismo selvaggio". Federico Bastiani e' un giornalista impegnato per i diritti umani; dal sito www.federicobastiani.org riprendiamo la seguente scheda di autopresentazione: "nato nel 1977, giornalista freelance avvicinato al giornalismo quasi per caso. Mi sono laureato in Economia aziendale all'Universita' di Pisa ma sapevo che la mia strada non erano i conti delle grandi aziende, c'era in me il desiderio di raccontare storie, di far conoscere situazioni, personaggi, realta' che spesso i mezzi d'informazione trascurano. Durante il mio primo viaggio in Argentina nel 2001 ho l'opportunita' ed il piacere di incontrare le Madri di Plaza de Mayo, di trascorrere con loro un giovedi', uno dei tanti, dedicato a ricordare gli oltre 30.000 desaparecidos scomparsi durante la dittatura militare degli anni Settanta. Sul volo di ritorno scrivo il mio primo articolo "Un giovedi' come tanti" per raccontare quella giornata piena di emozioni e per condividerla con gli altri. Da quel giorno non ho piu' smesso di scrivere. Ho iniziato a collaborare poco dopo con il Centro di Documentazione delle Donne di Bologna le quali mi affidarono uno spazio chiamato "Donne senza confini": ogni mese dedicavo uno spazio ad un personaggio femminile dei nostri giorni, un personaggio che si distingueva per il suo impegno per i diritti umani, la politica, lo sport, la cultura. Collaboro inoltre con quotidiani come City, settimanali come Left, Diario, mensili come Letture, Volontari per lo Sviluppo, Leggendaria, Amnesty International, Profili ed alcuni siti internet...". Naomi Klein, giornalista e saggista, e' l'autrice di No logo (un libro giornalistico-saggistico che ha avuto una circolazione e un'influenza assai ampia), ed e' vivace militante, testimone e studiosa del "movimento dei movimenti" che si batte contro guerra e ingiustizie globali; nel 2004 ha realizzato, con il regista Avi Lewis, The Take - La presa, un documentario presentato a Venezia e premiato al festival dell'American Film Institute di Los Angeles. Opere di Naomi Klein: Mo logo, Baldini & Castoldi, Milano 2001, 2007; Recinti e finestre, Baldini & Castoldi, Milano 2003; Shock economy, Rizzoli, Milano 2007] Classe 1970, Naomi Klein e' una giornalista, documentarista e attivista canadese diventata famosa nel mondo per il suo saggio No Logo, considerato il manifesto del movimento "no global". Tornata in libreria in Italia con Shock Economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri (Rizzoli, pp. 621, euro 20,50), ha pure presenziato nel nostro paese, rendendo ghiotta l'occasione per un'intervista. * - Federico Bastiani: Cos'e' la "shock economy"? - Naomi Klein: Il momento migliore per attuare dei cambiamenti radicali in un Paese e' sempre all'indomani di uno shock. Milton Friedman, Nobel per l'economia e padre del pensiero neoliberista, diceva che solo una crisi vera o percepita come tale puo' far diventare quello che e' considerato politicamente impossibile politicamente inevitabile. * - Federico Bastiani: Si riferisce all'11 settembre? - Naomi Klein: Non solo. Margaret Thatcher utilizzo' la guerra con l'Argentina nel 1982 per imporre le sue scelte neoliberiste fatte di privatizzazioni e tagli allo stato sociale. Le catastrofi possono essere un'opportunita' per il neoliberismo come e' accaduto dopo l'uragano Katrina a New Orleans. Grazie a questa tragedia sono sorti nuovi ospedali privati, l'edilizia popolare e' stata spazzata via da grandi resort di lusso e la scuola pubblica sostituita da quella privata. Si e' creato nuovo business. * - Federico Bastiani: Nel libro parla anche di elettroshock. Che legame c'e' con il neoliberismo? - Naomi Klein: La tortura e' un ottimo strumento per imporre quello che si vuole. I "Chicago boys", gli economisti cresciuti alla corte di Milton Friedman, a Washington hanno potuto sperimentare le loro ricette negli anni Settanta in Sudamerica. Governi democraticamente eletti come nel Cile di Allende sono stati rimossi da feroci dittature che hanno seguito alla lettera i "consigli" di Washington e per far questo non hanno esitato a ricorrere alla tortura. Quando un Paese ha paura non puo' ribellarsi. * - Federico Bastiani: Pero' non puo' negare che la globalizzazione e le teorie neoliberiste abbiamo in trent'anni creato piu' ricchezza a livello mondiale. - Naomi Klein: Non lo nego, pero' il 30-40% della popolazione mondiale e' rimasto escluso da questo processo di ricchezza, quindi c'e' qualcosa che non funziona. * - Federico Bastiani: Lo "shock" del terrorismo puo' essere causa dell'affievolimento del movimento "no global"? - Naomi Klein: Penso di si', la lotta al terrorismo ha reso le scelte dei governanti politicamente inevitabili e chi protesta e' considerato un nemico della societa'. * - Federico Bastiani: Lei pensa che possa esistere veramente un capitalismo etico? - Naomi Klein: Il capitalismo ha bisogno di rifarsi un po' il trucco. La cosa importante e' non lasciare il capitalismo nelle mani di chi ha come solo e unico scopo il denaro, e la politica e' importante per questo. * - Federico Bastiani: In un certo senso anche Naomi Klein deve ringraziare l'amministrazione Bush: le vendite dei suoi libri sono sempre eccellenti. - Naomi Klein: Effettivamente grazie a Bush anche io mi sono creata il mio mercato (sorride): grazie, Presidente! ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 203 del 22 agosto 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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