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Minime. 551
- Subject: Minime. 551
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 18 Aug 2008 00:47:45 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 551 del 18 agosto 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Come 2. Franco Fortini: Per un comizio 3. Curzia Ferrari ricorda Marina Cvetaeva 4. Riedizioni: Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. DOMANDE. COME Come si puo' contrastare la guerra se non si contrasta il riarmo? Come si puo' contrastare la guerra se non si contrasta il militarismo? Come si puo' contrastare la guerra se non si contrasta il nazionalismo? Come si puo' contrastare la guerra se non si contrasta il razzismo? * Come si puo' costruire la pace se non si contrasta la guerra? * Se non si contrasta la guerra come si puo' difendere la democrazia? 2. MAESTRI. FRANCO FORTINI: PER UN COMIZIO [Da Franco Fortini, Un giorno o l'altro, Quodlibet, Macerata 2006, p. 434. E' un testo del 1971. Franco Fortini (all'anagrafe Franco Lattes, Fortini e' il cognome della madre assunto come nom de plume) e' nato a Firenze nel 1917, antifascista, partecipa all'esperienza della repubblica partigiana in Val d'Ossola. Nel dopoguerra e' redattore del "Politecnico" di Vittorini; in seguito ha collaborato a varie riviste, da "Comunita'" a "Ragionamenti", da "Officina" ai "Quaderni rossi" ed ai "Quaderni piacentini", ad altre ancora. Ha lavorato nell'industria, nell'editoria, come traduttore e come insegnante. E' stato una delle persone piu' limpide e piu' lucide (e per questo piu' isolate) della sinistra italiana, un uomo di un rigore morale ed intellettuale pressoche' leggendario. E' scomparso nel 1994. Opere di Franco Fortini: per l'opera in versi sono fondamentali almeno le raccolte complessive Poesie scelte (1938-1973), Mondadori; Una volta per sempre. Poesie 1938-1973, Einaudi; Versi scelti. 1939-1989, Einaudi; cui si aggiungano l'ultima raccoltina Composita solvantur, Einaudi, e postuma la serie di Poesie inedite, sempre presso Einaudi. Testi narrativi sono Agonia di Natale (poi riedito col titolo Giovanni e le mani), Einaudi; e Sere in Valdossola, Mondadori, poi Marsilio. Tra i volumi di saggi, fondamentali sono: Asia Maggiore, Einaudi; Dieci inverni, Feltrinelli, poi De Donato; Tre testi per film, Edizioni Avanti!; Verifica dei poteri, Il Saggiatore, poi Garzanti, poi Einaudi; L'ospite ingrato, De Donato, poi una nuova edizione assai ampliata col titolo L'ospite ingrato. Primo e secondo, presso Marietti; I cani del Sinai, Einaudi; Ventiquattro voci per un dizionario di lettere, Il Saggiatore; Questioni di frontiera, Einaudi; I poeti del Novecento, Laterza; Insistenze, Garzanti; Saggi italiani. Nuovi saggi italiani, Garzanti (che riprende nel primo volume i Saggi italiani apparsi precedentemente presso De Donato); Extrema ratio, Garzanti; Attraverso Pasolini, Einaudi; e adesso il postumo incompiuto Un giorno o l'altro, Quodlibet, Macerata 2006. Si veda anche l'antologia fortiniana curata da Paolo Jachia, Non solo oggi, Editori Riuniti; la recente bella raccolta di interviste, Un dialogo ininterrotto, Bollati Boringhieri; e la raccolta di Saggi ed epigrammi, Mondadori, Milano 2003. Tra le opere su Franco Fortini in volume cfr. AA. VV., Uomini usciti di pianto in ragione, Manifestolibri, Roma 1996; Alfonso Berardinelli, Fortini, La Nuova Italia, Firenze 1974; Romano Luperini, La lotta mentale, Editori Riuniti, Roma 1986; Remo Pagnanelli, Fortini, Transeuropa, Jesi 1988; Daniele Balicco, Non parlo a tutti. Franco Fortini intellettuale politico, Manifestolibri, Roma 2006. Su Fortini hanno scritto molti protagonisti della cultura e dell'impegno civile; fondamentali sono i saggi fortiniani di Pier Vincenzo Mengaldo; la bibliogafia generale degli scritti di Franco Fortini e' in corso di stampa presso le edizioni Quodlibet a cura del Centro studi Franco Fortini; una bibliografia essenziale della critica e' nel succitato "Meridiano" mondadoriano pubblicato nel 2003] Mi auguro che una coscienza sempre piu' precisa di quel che succede al mondo e al nostro paese costringa un numero sempre piu' grande di uomini e di donne a unirsi per distruggere il potere degli assassini, degli sfruttatori, dei pubblici mentitori e per spezzare le armi dei loro complici. Non voglio dire nemmeno una parola per confermarvi in quello che gia' sapete. E' agli altri, a quelli che non sanno, che bisogna parlare. Bisogna parlare a quelli che fingono di non sapere. E parlare sapendo bene che gli uomini non si muovono ne' con le parole ne' con l'esempio, ma che solo di parole e di esempi possiamo disporre. Quindi bisogna sapere bene che cosa dire e che cosa fare. Saperlo assai meglio di quanto non lo si sia saputo in questi tre anni. La rabbia non basta. La ragione non basta. La verita' non basta. Se bastassero, non ci sarebbe bisogno di politica. E invece ce n'e' sempre piu' bisogno. Chi vuol salvarsi l'anima la perdera'. E invece e' necessario prepararsi a non perdere piu' nulla; che e' il primo modo di vincere. 3. MEMORIA. CURZIA FERRARI RICORDA MARINA CVETAEVA [Dal mensile "Letture", n. 643, gennaio 2008 col titolo "Marina Cvetaeva" e il sommario "Quella della poetessa russa e' stata una vita dominata dal pensiero ossessivo di sentirsi inadeguata di fronte alle necessita' materiali e quotidiane, e la sua opera poetica riflette esemplarmente il senso tragico della vita". Curzia Ferrari, scrittrice e giornalista, critica d'arte, slavista, autrice di biografie, ha pubblicato numerosi testi tradotti in tutte le principali lingue. Tra le opere di Curzia Ferrari: Rita. Vita e miracoli della santa di Cascia, Camunia, 1988; Il vagabondo e le stelle. Vita di Massimo Gorkij, De Agostini, 1990; Il convertito di Loyola. L'esperienza religiosa di Sant'Ignazio, Edb, 1990; L'amoroso nulla. Vita del beato Innocenzo da Berzo, Morcelliana, 1993; Magnificat, La Vita Felice, 1996; Angela Merici. Tra Dio e il secolo, Morcelliana, 1998; Santa Rita da Cascia. Vita e miracoli, Gribaudi, 1999; Donne e Madonne. Le sacre maternita' di Giovanni Bellini, Ancora, 2000; Il cavaliere nero. Il romanzo di Ignazio di Loyola, San Paolo Edizioni, 2001; Gorkij. Fra la critica e il dogma, Editori Riuniti, 2002; Il mondo femminile di Francesco d'Assisi, Ancora, 2003; A fuochi spenti nel buio, Aragno, 2004; Quadro velato. Il romanzo di Margherita da Cortona, Ancora, 2005; Fondotinta, Aragno, 2006; Isadora, Viennepierre, 2007; (con Giovanni Lodetti), Un cielo dipinto di rossonero, Ancora, 2007; Dio nel silenzio, apri la solitudine, Ancora, 2008. Marina Cvetaeva (Mosca 1892 - Elabug 1941) e' una delle maggiori poetesse del Novecento, e una delle testimoni piu' intense delle sue tragedie] "Ho incontrato molti poeti nella mia vita - si puo' leggere nelle memorie di Ilya Ehrenburg - e conosco il prezzo che l'artista paga alla propria passione. Ma, se non sbaglio, nei miei ricordi non esiste un'immagine piu' tragica di quella di Marina". Questo giudizio e' stato condiviso da molti di coloro che hanno frequentato Marina Cvetaeva, e ne hanno tardivamente individuato il ruolo primario nell'ambito della poesia novecentesca russa (e non solo), innalzandola al livello di Majakovskij, di Pasternak, dell'Achmatova, nei confronti del cui linguaggio fu certamente piu' innovativa. Lo stesso Ehrenburg aggiunge che nell'esistenza di questa donna tutto appare incerto, dondolante, illusorio: le idee politiche, i giudizi critici, i drammi personali, le date degli spostamenti: tutto tranne la poesia, libera da tendenze e da scuole. Assoluta. Marina Ivanovna Cvetaeva nasce a Mosca nel 1892, figlia di un insegnante di filosofia e di una pianista della scuola di Rubinstein, che le iniettera' il virus della musica (di poi elemento integrante della sua poesia), ma che la educhera' in modo rigorosissimo, quasi schiavistico. Solo pianoforte, nient'altro. Notata la sua vocazione alla scrittura, le nega anche la carta. E' noto che dal momento in cui si mise in contrasto con la famiglia, in eta' di adolescente, la sua vita interpersonale fu una lotta continua, tanto che aveva coniato quasi un motto: "Con leggerezza pensami, con leggerezza dimenticami" e a proposito del suo rapporto con la pittrice Natalja Gonciarova, inspiegabilmente raffreddatosi, scrivera' un pensiero che vale per tutte le sue relazioni: "Forse io non merito un amore duraturo, c'e' qualcosa in me che lacera tutti i miei rapporti. Nulla sopravvive. Non ho impresso un segno abbastanza profondo, non sono diventata necessaria". La convinzione della propria inadeguatezza alle situazioni esistenziali, alla ferialita', a tutto cio' che appartiene "al mondo dei corpi" domina i carteggi di Marina, la sua poesia, il suo modo di essere, il suo bisogno d'amore e insieme di lontananza. "Quando amate una persona, avete sempre voglia che se ne vada per poter sognare di lei", scrive; e il tema della separazione degli innamorati si presenta piu' volte nella sua opera, a cominciare dal poema I due che la Cvetaeva invia a Pasternak da Parigi nel 1921. Si sposa tuttavia giovanissima, il 27 gennaio 1912; il viaggio di nozze e' previsto in Italia, a Nervi, con puntate in Francia e poco dopo si accorge di essere incinta. Una maternita' importante, che la Cvetaeva descrive nelle pagine di un piccolo diario di 13 pagine dedicato ad Ariadna, detta Alja, in cui la madre si specchia prismaticamente sotto lo sguardo incantevole del suo diciannovenne marito e di un gattino, prima nel vicolo moscovita Ekateriskij e poi altrove, sempre altrove, perche' tutto in Marina sembra frutto di una corsa, di un inseguimento, di una fuga. A tredici anni aveva gia' scritto poesie, e nel 1910 pubblicato il suo primo libro Album serale che aveva fatto gridare al miracolo un osservatore attento come Maksimilian Volosin. Il marito, Sergej Efron, e' un amico di adolescenza, suo fervido ammiratore, suo primo editore e, di professione, cadetto nell'esercito. Agli iniziali bagliori rivoluzionari, quando il reggimento Volynski esce per primo dalle caserme e si appunta la stella rossa sul petto, lui si arruola nella guardia bianca di Denikin. Gli Efron, cui e' nata una seconda figlia, Irina, morta da piccola in un istituto, debbono separarsi. Sergej, perseguitato, ripara in Germania, dove lei lo raggiunge poco dopo con Ariadna, iniziando un pellegrinaggio per l'Europa che la portera' da Berlino a Praga a Parigi, di nuovo in Urss nell'estate del 1939: poi, seguendo una delle molte carovane di emigranti che si spostavano da una regione all'altra in cerca di sopravvivenza, eccola finire con il figlio Georgij, nato nel 1925, a Elabuga, capitale della Repubblica socialista sovietica autonoma tatara. Elabuga e Marina: binomio inscindibile. Il gancio cui si impicca il 31 agosto 1941 entrera' nei versi di molti poeti fino a Evtusenko che nel '71 va in pellegrinaggio a vedere quel chiodo, quasi una reliquia custodita da una vecchietta che abita la casa dove visse e mori' l'infelice, non lontano dalle acque vorticose del fiume Kama - "chiodo, non gancio: a faccette, pesante, / chiodo da gioghi e attrezzi per la pesca". Allora la Cvetaeva, ignota all'ufficialita', era ormai riconosciuta, sul piano internazionale, come una delle maggiori poetesse del primo cinquantennio del Novecento. * Sola contro tutti Eterna la sua lotta con la societa'. Nessuna disposizione alle regole del gioco. Diplomazia zero. Stravagante per i "bianchi". Inaffidabile per i "rossi" (dieci anni dopo la sua morte, la prima timida pubblicazione dei suoi versi abbaglianti fu dichiarata "rozzo errore politico"). Orrore per la dipendenza dall'epoca, dai gruppi, dalle conventicole. Passione per l'ebraismo (una delle sue ultime poesie si intitola Motivo biblico, e in essa si grida al popolo di stare sveglio "per il diritto e per la liberta' - sanguinosa battaglia: / Dio lo sa - moriremo o vinceremo [...] Maledizione a colui che nella sua ora dormiva!". Primordiale nelle sue manifestazioni. Irruente nei suoi amori: a 16 anni si sarebbe fatta mettere al rogo per Sarah Bernhardt, a 18 per il bonapartismo. Il Paese piu' amato: la Germania: "Musica, natura, poesia. Germania [...] Sola contro tutti. Heroica". Carattere sfrontato, arduo, capace di ribellioni violente, e - di converso - di sopportazioni e immolazioni da Golgota. E' fatta di poesia, dall'eta' di sei anni, quando comincia a compitare e la madre, che morira' molto giovane lasciando in lei, malgrado le "sevizie" intellettuali, una "voragine", la indirizza verso libri "alti": scrivere non doveva, ma leggere si' - Puskin, ad esempio, che finira' per adorare - tutto, meno l'Oneghin che il luogo comune vuole come il vertice della produzione del grande artista. E' sfuggente. Ha un fisico da maschietto, capelli corti (in genere, angolosa, volto attraente ma fatto per la penombra, l'ambiguita'. Lei esiste come mezzo per volare altrove; tant'e' vero che non chiamera' "sangue del suo sangue" il marito, ad esempio, o uno degli indecifrati amanti che ebbe, ma la prosa di Pasternak o la poesia di Rilke: e tutte le pagine circa i suoi viaggi sono a un tempo reali e allegoriche. Gia' nella prima Cvetaeva e' presente questo senso di verita' e di alienazione, che molti fanno risalire al suo studio appassionato di Blok (padre dell'intero corpo della poesia contemporanea russa): la novita' e' pero' che in lei esistono vari filoni, strati che si sovrappongono nel giro di poche parole. La cosa nominata e' subito essenza di se stessa, voce, musica, sogno: "Il mio sonno non e' riposo, ma azione, rappresentazione, di cui sono spettatrice e attrice [...]", scriveva nel '24. Era il suo modo per penetrare nell'oggetto, per immaginarlo diverso e per accettarlo nella sua verita'. Pasternak ha lasciato nella sua Autobiografia il sigillo piu' alto a proposito dei versi scritti da Marina prima del 1916, quando appunto ricevette da Parigi I due: "[...] La verita' e' che bisognava saperla leggere attentamente. Quando lo feci, rimasi senza respiro per quell'abisso di purezza e di forza che mi si spalancava dinanzi. [...] In breve: non e' sacrilegio dire che, ad eccezione di Annenskij, di Blok, e con qualche riserva per Andrei Belyj, la Cvetaeva prima maniera era precisamente cio' che avrebbero voluto essere e non furono tutti gli altri simbolisti presi assieme. Subito conquisto' con la forte liricita' della forma, vissuta intimamente, non fioca ed esile, ma potentemente stringata e concisa, non col fiato grosso ad ogni verso; ma capace di abbracciare senza mai interrompere il ritmo, con un periodare ampio e solenne, intere serie di strofe". E aggiunge, presagendo il legame spirituale che ne sarebbe nato: "Scoprii in quelle caratteristiche una sorta di affinita' tra me e lei". Come Pasternak - con il quale il paragone sara' continuo - anche Marina vivra' di sbieco la vita dell'Avanguardia sovietica: un po' sulla frontiera della Vandea russa e un po' nel grido dell'epopea rivoluzionaria, da "cronista"; mai partecipe, con il cuore impegnato solo nella perfezione poetica che perseguira' con disperata tenacia, con furia, con un processo estenuante basato sulla melodia, sulla spezzettatura, sui segnali acustici, una ricerca senza fine per far combaciare il contenuto all'estetica, il suono all'immagine. Per cui non e' azzardato affermare che le poesie di Marina sono delle vere e proprie pagine musicali. * Un umiliante regno terrestre Si e' detto di Blok come del massimo fra i simbolisti russi, il vero poeta di confine tra il vecchio e il nuovo, quello che mentre aveva in stampa le liriche della Bellissima Dama, ipostasi della divinita', si vide rovesciare le carte dalla rivoluzione del 1905. Allora depose ogni mito e intui' che l'unico elemento fondante della poesia era la purezza linguistica al servizio della fede e delle sue dissonanze (non della religione) per cui il poeta diventa metafora di se stesso. Ma si puo' considerare la Cvetaeva una simbolista? Per Blok nutriva un'adorazione. Lo vide soltanto due volte, da lontano, e non oso' accostarlo. Quando mori', nel 1921, scrisse all'Achmatova: "Sento la morte di Blok come un'elevazione". Nel '16 gli aveva dedicato delle strofe che andarono a formare il ciclo Versi per Blok. Questa e' la prima sestina: Il tuo nome e' una rondine nella mano, il tuo nome e' un ghiacciolo sulla lingua. Un solo unico movimento delle labbra. Il tuo nome sono cinque lettere. Una pallina afferrata al volo, un sonaglio d'argento nella bocca. Aveva gia' all'attivo cinque drammi in versi: Insonnia, Stenka Razin, Versi per Sonecka, Psiche e il ciclo All'Achmatova. Le due poetesse si conosceranno solo nell'agosto del 1940 per i buoni uffici di Pasternak, che' Anna sembrava restia a ricevere quella vagabonda che, pure, come lei, aveva pagato e stava pagando un prezzo altissimo allo stalinismo. Gli incontri, che furono due, scavalcarono invece il limite della cortesia: durarono una giornata intera, innaffiati da bevute e risate che si udivano di la' dall'uscio. Nessuno seppe mai che cosa si dissero, a parte la definizione della padrona di casa, quando l'ospite se ne ando': "La Cvetaeva? Una donna spumeggiante". L'Achmatova era gia' stata incasellata come acmeista, contava su una storia consacrata, era stata la gaia peccatrice dei ritrovi pietroburghesi al tempo del cubofuturismo; mentre in Marina non c'era nulla che potesse indurre i critici a seriamente chiamarla simbolista, il suo humus culturale e' composito, anela a una purezza perduta. Per lei cadono in pezzi gli incastri inventati dai critici. Con una sigla linguistica inedita, sfracella il verso, usa linee, ripetizioni ed esclamativi, imita i colpi, gli spari, i suoni, le esclamazioni del popolo, e' cupa e solare. Grida. Impreca. Un piccolo esempio da Versi per la Cecoslovacchia, invasa dalle truppe naziste: O vergine, tu piu' di tutte rosea, fra verdeggianti monti - Germania! Germania! Germania! Ignominia! In antico - con le favole ci annebbiavi, adesso - con i tank ti sei mossa. Il debito e' con chiunque abbia "preso di mira" la parola, e non importa se si chiama Majakovskij che e' un poeta tematico, o con Pasternak nel quale l'azione "e' pari all'azione del sogno". Lei sa, e lo scrive, che Majakovskij e' traducibile in prosa, mentre Pasternak e' sempre poesia, anche nella prosa. Ma entrambi, come lei stessa, imbracciano perennemente un fucile per "prendere di mira" la parola. Dunque che cosa succede della poesia cosi' singolare della peregrinante Marina? Lo sappiamo, in parte, dalla corrispondenza che per un anno intero, il 1926, intrattiene con Pasternak e con Rainer Maria Rilke. Rilke fu il primo a scomparire, e la Cvetaeva volle che quelle lettere venissero pubblicate "tra cinquant'anni, quando tutto questo sara' passato, passato del tutto, e i corpi saranno polvere, e l'inchiostro sbiadito [...] quando non mi saranno piu' necessarie le lettere di Rilke perche' avro' tutto Rilke". Le impacchetto' e, negli ultimi mesi della sua vita, legate insieme a quelle di Pasternak, le consegno' alle Edizioni letterarie di Stato. Rilke e Pasternak si conoscevano, avendo il poeta praghese frequentato a lungo la Russia in compagnia di Lou Andreas Salome'. Marina, invece, rimase per lui soltanto una fotografia. La fotografia di una donna che lo aveva alzato nei cieli, gli scriveva ti amo e baciami, e gli giurava che lo avrebbe tenuto per sempre con se' "nel regno eterno". Per lei Rilke era la poesia fatta respiro, "soffio angelico", l'ideale dell'amore e della separazione. Gli manda qualche verso: "Ci sfioriamo. Con che cosa? Con le ali". In quel carteggio c'e' il germe di molti poemi, c'e' la ribellione di Marina per la vita che a Parigi le tocca condurre, la vita di sempre, del resto, che' lei non ha mai fatto parte di case editrici ne' lavorato presso giornali, ne' avuto cattedre. "Che cosa ho visto nella mia vita? Tutta la mia giovinezza (dal 1917) e' stata soltanto lavoro nero. Mosca? Praga? Parigi? St. Gilles? Dappertutto lo stesso. Dappertutto fornelli, scopa, stracci, soldi (la loro assenza). Eterna mancanza del tempo. Nessuna delle tue amiche e conoscenti vive cosi', potrebbe vivere cosi'. Non spazzare, non pulire: ecco il regno promesso. Si', perche' troppo umiliante e' il mio regno terrestre" (sbrigava lavori domestici presso alcune famiglie). Misurato anche lo spazio, sebbene bastasse cosi' poco alla sua silhouette. Leggiamo, quasi una cronaca: Del tavolo l'angolo - e il gomito. Subbuglio, stop! Cuore, placati! Gomito - e fronte. Gomito - e pensiero. Giovinezza - amare, Vecchiaia - scaldarsi. Non c'e' tempo - per essere. Non c'e' posto per dove mettersi. Ha ricordato la figlia Ariadna che quando la afferrava il demone della scrittura, diventava sorda e cieca verso tutto. Usava la penna di legno con il pennino sottile, all'antica. Mai la stilografica. Si cuciva i quaderni da sola. Fumava molto e beveva caffe'. A volte lavorava fino a notte tarda, inchiodata. Poi, quando chiudeva il quaderno, "apriva la porta della sua stanza a tutte le preoccupazioni e a tutte le pene della giornata". Ariadna, che pure era dotata di notevole talento artistico nel campo della pittura, rinuncio' a se stessa per dedicarsi a salvare e ricomporre l'archivio della madre, recuperare i suoi carteggi e le pagine memoriali su di lei: tutto questo dopo essere stata detenuta per anni in un campo di lavoro come prigioniera politica. E dire che era tornata volontariamente in Urss il 15 marzo 1937, convinta della bonta' degli scopi rivoluzionari, perche' - secondo lei - i progetti dei dissidenti bianchi erano stati sprecati, non avevano prodotto alcun risultato. Purtroppo era avvenuto che Sergej Efron avesse fondato a Parigi un'associazione dedita al controspionaggio sovietico; ma il Nkdv, al cui vertice nel '38 era salito Beria, non aveva creduto alle buone intenzioni dell'ex ufficiale di Denikin. Efron fu ricondotto a Mosca, con Marina che, appesa al suo braccio, gli ripeteva il giuramento matrimoniale: "Ti seguiro' come un cane". Ariadna era gia' stata portata via, e poco dopo, dall'affollata dacia di Bol'sevo in cui si erano rintanati insieme a una comunita' di disperati, spari' anche Efron per il quale la figlia confesso' e ritratto' diverse volte crimini mai avvenuti. Da quel momento le lettere di Marina, inviate nei vari campi di concentramento dove si trovavano i suoi cari, parlano solo di pacchi contenenti indumenti, scarpe di tricheco ("il tricheco e' robusto, non si consuma facilmente"), stivali di feltro, scialli, carote essiccate ("a immergerle nell'acqua bollente rinvengono, Alja ricordati che contengono vitamine..."), berretti che coprono le orecchie, palto' imbottiti. Continua a spedire involucri e fagotti a Sergej anche quando e' gia' stato fucilato nella famigerata prigione di Butyrki. Era il 1941. C'era la guerra. Marina chiese aiuto a Pasternak, in nome della loro comunione di spiriti: ma il suo appello, stranamente, cadde nel vuoto. * Quattro alfieri per una regina Che cosa costa essere poeta e' il tema dominante di tutti coloro che si occuparono di Marina. Poeta sempre, anche nella prosa, tutto cio' che questa donna scrisse non ha niente da dividere con i documenti storico-letterari che molti ci hanno lasciato. Mentre era in esilio, traccio' i profili di quattro personaggi da lei amati: Majakovskij, Pasternak, Belyj, Volosin: il metro di misura e' per tutti l'atteggiamento nei confronti della Russia, vista attraverso la loro opera, sondata fino "all'estremita' del cuore". Il brano su Maksimilian Volosin, morto nel '32, appare come un ritratto perfetto, costruito con le minuzie necessarie a elevare un monumento. Maks, che visse anche lui a Parigi, e' "riedificato" con "il mucchio grigio delle pietre comuni" - sassolini, granelli di cemento, schegge di mattoni - quelle cose cui e' abituata da sempre. In quanto a Belyj, credo che nessuno ci abbia lasciato memoria piu' accorata, trattandosi di una persona schiva, dedita all'antroposofia e a contemplazioni solitarie del creato, tanto che mori' in un Paese lontano per un'insolazione. Scomparso due anni dopo Volosin, Marina ci conferma la predilezione per le lontananze, anche quelle della morte; non a caso affermava di percepire frammenti di notizie e saluti dagli amici che non c'erano piu'. Majakovskij e' la prosa, il compagno che da' del tu a tutti - anche se gira con la sua automobile parigina mentre gli altri vanno, scalcagnati, a piedi - "perche' il Proletariato puo' pubblicare solo con due volti". E' stato il primo uomo nuovo, il primo uomo del futuro, lo ha guardato come l'artefice giornaliero di rapporti inediti, ha patito per la sua morte insieme agli operai, ma lui era gia' icona, gli altri ancora vivi. La gente che striscia nella pelle del dolore, "come Laocoonte", dice Marina, non ha dimensione. L'icona si', e si allarga sempre piu' nel tempo. Anche se non cambia mai. Si esaurisce nel se'. Di Pasternak esalta l'inesauribilita'. E' la creatura, dice lei, "piu' indifesa, lunatica, mediatica" che conosca; fra lui e l'oggetto, il nulla. Parla forse di se stessa? L'illimitatezza del piede di lui e' probabilmente la sua. Entrambi, in fondo, non hanno bisogno di niente. E su questa tematica del dare e dell'avere c'e' una poesia molto strana di Marina, scritta nel '36, quando viveva nella Savoia francese, a proposito del dono di parole e del conforto morale dato al giovane poeta tisico Anatolij Steiger, un'esperienza assolutamente negativa per l'indifferenza con cui il suo offrirsi venne ricevuto. Con l'orizzonte ti abbraccio dei monti, con la corona di granito delle rocce, (ti trattengo in conversazione perche' tu respiri piu' leggero, dorma piu' sodo) con le braccia di pelliccia dell'edera... (Sai: l'edera che abbraccia la pietra - con centoquattro mani e torrenti?) Ma non sono caprifoglio ne' edera - io! E' poco la caverna, e' poco la spelonca - Potessi, ti prenderei nella caverna - dell'utero. Potessi - prenderei. Conclusione - la solita: "Tutto cio' che ho io e' superfluo". Poteva sprecare un catalogo enorme di strumenti espressivi, poteva mettere il cuore al servizio di una perizia tecnica strabiliante: ma non poteva attirare nessuno nel suo vortice, e ne era cosi' convinta che ogni entusiasmo, ogni iniziativa diviene, nelle sue mani, una mistura di delusione e di tragedia. Bisogna spazzare la leggenda secondo cui questa donna portasse con se' una sorta di malaugurio: si tratta di quei soprusi che avanzano, chissa' perche', legati a tracciati prefissi dovuti alle dicerie del tempo. Pare si trascinasse questo cattivo frutto dell'invidia dal tempo di Parigi, quando alcuni emigrati russi avevano fondato il circolo "Il crocicchio", e lei era troppo interiormente ricca per aderire ai "riti" di una comunita', alle strettoie soffocanti di conversazioni che l'annoiavano. La citta' in cui Marina produsse con maggior fervore qualitativo fu Praga, che senti' cara e consanguinea (basterebbe il celebre poema L'ammazzatopi del 1925, in cui riprende la favola tedesca del pifferaio di Hamelin). Il Paese che si ebbe la sua massima ammirazione - come si e' detto - la Germania. E la Russia? La Russia e' la madre che non la ascolta, da cui si sente lontana anche per il viluppo etnico-linguistico-culturale, patrimonio e disgrazia della sua esistenza, dal quale e' tatuata. * Anna versus Marina Si stabiliscono spesso confronti fra l'Achmatova e la Cvetaeva - ma le due donne erano cosi' diverse in tutto che il discorso non regge. Bruna, bella e appariscente la prima, concretamente passionale e capace di tentare gli uomini anche in tarda eta': soggiogava. Le due prime quartine che da Berlino, nel 1923, la Cvetaeva le dedico' recitano cosi': Non puoi restare indietro. Io sono il galeotto. Tu sei la scorta. Un solo destino. E un comune foglio di via ci e' dato Nel vuoto senza contenuto. Ma la mia indole e' tranquilla! Ma sono chiari i miei occhi! Lasciami dunque, mia scorta, fare due passi fino a quel pino! Era del tutto idealista Marina, fedele al marito anche se ebbe qualche amante, ma per distrazione, Kostantin Rodzevic a Praga, una tale Sofija Parnok, poetessa di nessuna importanza, Natalja Gonciarova, pronipote di Puskin, "magnifica come Elena di Troia" (l'unica che avrebbe potuto diventare il suo doppio mitico), incontri volanti e subito dimenticati. Diverse anche le scritture dei due geni poetici femminili della Russia. Marina crea sulle tracce dell'orecchio musicale, ogni parola e' una nota, le sue poesie sono tracciate sul pentagramma e della partitura hanno anche l'aspetto, piene come sono di segni inconsueti, fino allora, al verso: tagli, segmenti, pause, quasi un invisibile direttore d'orchestra alzasse la bacchetta e ordinasse gli andanti, i piano, i pianissimo, i colpi delle batterie, il rimbombo dei tamburi. "Il libro deve essere 'eseguito' dal lettore come una sonata - esigeva -, i segni sono le note. Sta al lettore realizzare o deformare". Cosi' la qualita', la quantita', la durata sono affidate proprio al lettore. Sebbene da parte sua si impongano prescrizioni. La linea, ad esempio, richiede un respiro protratto. L'esclamativo - un'accelerazione. Lei non conosce l'asciuttezza dell'Achmatova, la sua mirabile sintesi. Ma Anna non ha parentela con gli angeli e demoni di Marina, da cui sgorga quell'inferno e quel paradiso dalla struttura cosi' perfetta e cosi' ampia per le tematiche, da farci supporre che con i suoi versi volesse inglobare il mondo. In lei si incontrano e si scontrano infatti motivi storici, contemporanei, quotidiani, leggendari, teatrali, mitici, biblici, nel '39 poesie di ribellione verso la guerra: Non demoni - dietro il frate non dolore - dietro il genio, non zolla d'una lavina, non onda di un'alluvione, non rosso incendio di bosco, non lepre - per boscaglie, non salici - sotto l'uragano - dietro il Fuhrer - furie! E nella poesia Il popolo l'urlo finale dove rabbia e pieta' si confondono: Dio! - Se anche tu sei - come il popolo che io amo, non dargli fra i santi la pace - ma fra i viventi dagli la vita! Il genio di Achmatova e' stato accantonato nell'epoca delle grandi purghe, colpiti e calpestati i suoi affetti, altissimo e' stato il conto pagato alla repressione - ma con le traduzioni e con l'aiuto di piu' o meno gratificanti legami amicali - e' riuscita a sopravvivere anche nella bufera del regime, e infine non le sono mancati riconoscimenti. Alla Cvetaeva che gia' nel '21 cantava: "Giovinezza mia! Mia estranea / giovinezza! Mia scarpina spaiata! / Giovinezza mia! Non ti richiamo indietro./ - Per me sei stata soma e fardello", non e' rimasto che il chiodo di Elabuga e il sogno che Dio, nell'aldila', la esonerasse dalla mansione di lavapiatti, l'ultima offertale dalla vita. * Per Blok, per Puskin e per il figlio Malgrado i continui cambiamenti di Paese e di domicilio, la Cvetaeva lavoro' moltissimo, le sue poesie sono tradotte, in maniera antologica o come Opera omnia in molte lingue, la sua vita e' stata oggetto di vari studi e alcuni tentativi biografici, ai quali pero' ancora molto sfugge. Lavori principali. I due (1912), fra il 1916 e il 1920 i cicli Insonnia, Versi per Blok, Versi per Sonecka, Psiche e il poema Stenka Razin. Del 1931 sono i Versi per Puskin e del '39 i Versi per il figlio (che morira' in guerra combattendo contro i nazisti). Epitaffio e Motivo biblico appartengono alle ultime opere. Incontri comprende profili di poeti. Importante la sua corrispondenza con Rilke e con Pasternak. Quando le sue opere apparvero, segnarono una rivoluzione nel mondo della scrittura poetica. In italiano. Di Marina Cvetaeva: Poesie (Feltrinelli, 2007); Il poeta e altre poesie (Via del Vento, 2006); Sonno e vita, sogni e amore (Polistampa, 2005); Il racconto di Sonecka (La Tartaruga, 2002); Parole che non avevo mai udite... Trentuno lettere d'amore di Marina Cvetaeva a K. Rodzevic (Panozzo, 2002); Dopo la Russia (Mondadori, 2001); Phoenix (Archinto, 2001); Alja, piccola ombra (Mondadori, 2000), Il lato oscuro dell'amore. Liriche di Marina Cvetaeva (Panozzo, 2000); Il ragazzo (Le Lettere, 2000); Incontri con Majakovskij, Pasternak, Belyi, Volosin (La Tartaruga, 2000); L'amica (Panozzo, 1998); Lettere ad Ariadna Berg (1934-1939) (Archinto, 1998); Natal'ja Goncarova. Vita e creazione (Einaudi, 1995); Deserti luoghi. Lettere 1925-1941 (Adelphi, 1989); Il poeta e il tempo (Adelphi, 1984). Su Marina Cvetaeva: Viktoria Schweitzer, Marina Cvetaeva. I giorni e le opere (Mondadori, 2006); Henri Troyat, Marina Cvetaeva. L'eterna ribelle (Le Lettere, 2002); Dominique Desanti, La storia di Marina. Romanzo verita' su Marina Cvetaeva (1892-1941) (Mursia, 1996). E molto interessante per il rapporto che lego' madre e figlia: Ariadna Efron, Marina Cvetaeva, mia madre (La Tartaruga, 2003). * Un doloroso peregrinare Marina Ivanovna Cvetaeva nasce a Mosca nel 1892. La madre, Marija Mejn, vorrebbe farne una pianista, la inchioda ore e ore al pianoforte, oggetto di cui, cresciuta, si liberera' con grande sollievo. Con lei imparera' a leggere i grandi classici; ma, notata la sua vocazione alla scrittura, la madre-padrona arrivera' a negarle anche la carta. Ebbe tuttavia la meglio la sua caparbieta', aiutata in questo da Sergej Efron, un bellissimo ragazzo, cadetto e poi ufficiale, che per lei si trasformera' in editore. Si sposarono ed ebbero tre figli, la seconda dei quali, Irina, non sopravvisse agli stenti e mori', ancora piccola, in un istituto. Allineatosi Efron con la Guardia bianca, la vita della famigliola fu, infatti, un continuo doloroso peregrinare. Provvedeva al sostentamento soprattutto Marina facendo i mestieri piu' umili. In seguito a un equivoco, la storia degli Efron fini' in tragedia. Marina si tolse la vita a 49 anni, dopo essere tornata in Urss e averne riassunto la cittadinanza. Il marito era gia' stato fucilato, a sua insaputa, nel famigerato carcere di Butyrki, mentre la figlia giaceva in un campo di concentramento. Si deve a lei, ad Ariadna Efron, la piccola Alja, se e' stato ricostruito - fin dove possibile - l'archivio di Marina, salvate molte sue opere. Ha dedicato l'intera vita, una volta rimessa in liberta', a rendere divulgato e apprezzato il genio fatale della sua infelice madre. Risuonano le parole che le ha dedicato mentre la guardava nella culla quando aveva un anno e due mesi e mezzo (e' impressionante questa contabilita'): Alja! Piccola ombra sull'orizzonte sconfinato. Dico invano: 'Non toccate!' Presto arrivera' il giorno. Caro triste e grande giorno, quando dalla vita di sempre tutta ti strapperai con lo sguardo e con l'anima. 4. RIEDIZIONI. GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL: ENCICLOPEDIA DELLE SCIENZE FILOSOFICHE IN COMPENDIO Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Laterza, Roma-Bari 2002, Mondadori, Milano 2008, pp. CVII + 658, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Nella classica traduzione di Benedetto Croce, ricordo ancora l'impressione che mi fece in gioventu': tanto la Fenomenologia dello spirito mi era parsa un lampo e un incendio, un appello alla rivoluzione, tanto questo edificio mi parve un progetto e un processo ad un tempo burocratico e folle, labirintico e spettrale, totalitario e delirante, kafkiano e borgesiano, l'unico correlativo oggettivo della Torre di Babele nella storia della cultura occidentale. Un libro a cui puoi confrontare solo Le citta' invisibili di Calvino - o le prigioni di Piranesi. Se non m'inganno, piu' o meno nello stesso torno di tempo leggevo il Trattato di psicopatologia di Minkowski ed andavo dicendomi che li' erano gli strumenti per interpretare il lato interno del sistema hegeliano; ma insieme: che vi era del metodo in quel sistema, ed era il metodo da cui nacque la Prima Internazionale e la nostra ancora non spenta speranza. Oggi che sono vecchio e stanco mi piacerebbe rileggere Hegel come fosse Hoelderlin, o Mikhail Tal. Ed anche tornare a quel Croce che ci fu maestro segreto, di prosa chiara e di netto pensare. Ed invece eccoci ancora qui a dover perdere il nostro sempre piu' scarso tempo a combattere contro la sempiternamente risorgente ciurma dei razzisti e degli sfruttatori, dei mafiosi e dei guerrafondai... Che vita sprecata che e' stata la mia. Questa opinione di Annibale Scarparo raccogliemmo or non e' guari all'osteria di Iaiotto, in un'afosa vinosa notte di carte e presagi affogando la malattia del ritorno - dell'eterno ritorno - nel trincare e trincare ancora. E ve ne e' forse traccia, grumosa e sfocata e beninteso di raddoppiata dialettica visione o finzione burlesca e umoralistica, nelle righe trascritte teste'. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 551 del 18 agosto 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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