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Voci e volti della nonviolenza. 216
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 216
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 18 Aug 2008 14:50:46 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 216 del 18 agosto 2008 In questo numero: 1. Silvia Vegetti Finzi: In piazza con mia figlia 2. Silvia Vegetti Finzi: La psicoanalisi oggi 3. Silvia Vegetti Finzi: Difficile paternita' 4. Silvia Vegetti Finzi: Bambini e televisione 5. Silvia Vegetti Finzi: Ascoltare il disagio 6. Silvia Vegetti Finzi: Luce 7. Silvia Vegetti Finzi: Transfert 8. Silvia Vegetti Finzi: Adolescenti da ascoltare 9. Silvia Vegetti Finzi: Uscite dal silenzio 10. Et coetera 1. SILVIA VEGETTI FINZI: IN PIAZZA CON MIA FIGLIA [Dal "Corriere della sera" del 15 gennaio 2006 col titolo "In piazza con mia figlia, 25 anni dopo"] Erano anni che non scarpinavo tanto per le vie di Milano, ma ne valeva la pena: siamo davvero "uscite dal silenzio". E non soltanto noi "veterofemministe", ma anche le piu' giovani e quelle di mezzo che avevano creduto che le nostre conquiste fossero per sempre e invece si sono accorte che dipendono dal volere altrui e da giochi che passano ben sopra le nostre teste. Ma e' inutile recriminare, l'importante e' ritrovarsi, sentire che l'identita' femminile e' un valore condiviso, che va affermato e difeso. Accanto a me mia figlia e le sue amiche: alcune, come Caterina, munite di bici con poltroncina per il bambino, altre con il passeggino da cui spuntava un faccino infreddolito, altre ancora aggrappate al telefonino per sapere dove incontrarsi, non poche con il proprio compagno. In prima fila un manipolo di poliziotti, in tenuta antisommossa nero integrale, faceva presagire chissa' quali scontri, ma il massimo di provocazione era un complessino jazz o balzi da canguro ritmati da "Chi non salta, Buttiglione e'". Rispetto agli anni '80, i cartelli si sono fatti piu' divertenti come: "La liberta' femminile e' la miglior ricetta che ci sia" o piu' concettuosi come "Se gli uomini potessero restare incinti, l'aborto diventerebbe un sacramento" oppure "Io ho potute scegliere una maternita' consapevole. Non permettero' che sia negata ai miei figli". Segno di un aggancio tra generazioni, di un passaggio di testimone che sinora era mancato ma che covava sotto la cenere della quotidiana fatica di vivere. Le facce belle, pulite e oneste facevano pensare a un altro popolo femminile, meno visibile delle figure sciorinate dalla televisione, ma piu' reale, piu' vero. Una mia amica ha camminato dalla Stazione sino in piazza Duomo a fianco della sua mamma di ottantacinque anni. E a chi le chiedeva: "ma ai suoi tempi?" l'indomita signora rispondeva asciutta: "I miei tempi sono questi". Tempi capaci di far scendere in piazza donne di tutte le eta' e di tante citta'! Sfilava lo striscione bilingue dell'Alto Adige e, poco dopo, quello piccolo piccolo di Ponza. C'erano, come una volta, quelli dei partiti della sinistra con le bandiere rosse, dei movimenti, delle associazioni ma scandivano una folla liquida che andava e veniva da un punto all'altro del corteo senza avvertire argini e barriere. L'omologazione nasceva piuttosto dall'essere contro, dire contro il governo sarebbe poco perche' l'esasperazione riguarda tante cose, grandi e piccole che proprio le donne, piu' reattive degli uomini, piu' insofferenti, possono coagulare in un progetto nuovo, capace di rinnovare la politica dal basso, dalla concretezza dei bisogni e dalla creativita' dei desideri. 2. SILVIA VEGETTI FINZI: LA PSICOANALISI OGGI [Dal "Corriere della sera" del 24 gennaio 2006 col titolo "Psicoanalisi e modernita'. Quel che Resta di Freud"] In occasione del centocinquantesimo anniversario della nascita di Sigmund Freud, le cui celebrazioni sono appena iniziate (Milano e' stata tra le prime a organizzare un convegno intitolato "Omaggio a Sigmund Freud", presso il Forum austriaco di cultura), molti si chiederanno: che cosa e' rimasto di un sapere che ha cosi' profondamente segnato l'identita' del secolo scorso? Tutto, visto che pensiamo ancora, anche senza volerlo, attraverso quelle categorie, utilizzando quei codici. Come sostiene Carlo Sini, la nostra antropologia potra' progredire soltanto riprendendo temi proposti da Freud, come il disagio della civilta' e l'oscura incidenza della pulsione di morte. Tuttavia la psicoanalisi non e' statica e dall'inizio del '900 molte cose sono cambiate. Permangono limiti invalicabili ma la sonda analitica, giunta a scandagliare il periodo preverbale della vita, permette di comprendere e curare nuclei psicotici, disturbi psicosomatici, sindromi narcisistiche, un tempo esclusi dal suo perimetro. Il campo analitico indotto dal transfert e' ora in grado di cogliere le piu' sottili vibrazioni emotive e di trasformarle in narrazioni che prefigurano, al di la' del reale, gli scenari del possibile. In tal modo la dimensione del passato si proietta nel futuro, non per saturarlo di risposte, ma per offrirlo alla ricerca personale del paziente. A questo scopo la clinica valorizza gli aspetti creativi del lavoro che terapeuta e paziente conducono insieme, utilizzando, accanto alla parola che resta il principale strumento analitico, espressioni poetiche, grafiche, plastiche, musicali, foto e cinematografiche, particolarmente vicine alla sensibilita' contemporanea. Per dar figura all'onda delle emozioni, l'analisi non solo ricostruisce le esperienze passate ma, di fronte a ricordi irrecuperabili, "crea" i contenuti dell'inconscio, rendendoli in tal modo visibili, condivisibili e suscettibili di trasformazioni, come mostra l'ultimo, avvincente libro di Antonio Ferro, Tecnica e creativita'. Il lavoro analitico (Raffaello Cortina, pp. 160, euro 16). Ma la psicoanalisi, che procede attraverso la consapevolezza critica dei suoi obiettivi e dei suoi limiti, registra anche le variazioni indotte dai mutamenti sociali. Tra questi mi sembra determinante l'eclisse della figura autoritaria del padre a favore di posizioni paritetiche tra i genitori. Fermo restando il triangolo edipico che struttura la nostra mente, nella famiglia i sentimenti di amore e di odio si sono fatti piu' morbidi e i divieti meno imperiosi. Nella societa' patriarcale il figlio odiava il padre per le sue interdizioni e si sentiva in colpa per le fantasie aggressive che provava nei suoi confronti. Ora invece non e' tanto la colpa a tormentare i pensieri dei nostri adolescenti quanto il senso di inadeguatezza che nasce dal confronto con gli ideali irraggiungibili imposti dai mass media. Mentre un tempo il Super Io comandava "non devi", attualmente e' piuttosto l'Ideale dell'Io che sentenzia "non puoi, non ce la fai, non ce la puoi fare". Si ingenerano cosi' forme di depressione "narcisistica" difficili da curare perche' non dispongono, come la colpa, di elaborazioni culturali tramandate dalla tradizione quali la confessione, la penitenza e il perdono, ma lasciano chi ne soffre nella vergogna, un sentimento che non si cancella. Anche nel versante femminile dei rapporti edipici si riscontrano variazioni interessanti. Entrambi, maschi e femmine, trovano nella madre il primo oggetto d'amore ma un tempo le bambine si staccavano da lei e, rimproverandola di averle fatte nascer femmine, rivolgevano al padre le loro fantasie erotiche. Ora invece la figlia conserva nei confronti della madre gran parte dell'attaccamento iniziale e se, in una prima fase dell'adolescenza, dichiara "non voglio essere come lei", progressivamente l'assume come modello sino a ricalcarne per certi aspetti le orme. Una donna realizzata, che svolge un ruolo riconosciuto nella societa' e nella famiglia, puo' infatti a pieno titolo condurre quella funzione di guida nel transito dalla sfera privata a quella pubblica che un tempo era riservata al padre. Dal canto suo anche quest'ultimo sta recuperando ambiti che gli erano preclusi, arricchendo i suoi rapporti con i figli di nuovi, piu' teneri sentimenti. Sono variazioni importanti i cui effetti risultano evidenti se proiettate sulla mappa edipica con cui Freud rappresenta, in termini di geometria delle posizioni e di dinamica dei flussi, le nostre piu' precoci e determinanti relazioni. Per quanto indispensabile all'autocomprensione, la psicoanalisi non puo' tuttavia arroccarsi in uno splendido isolamento. Benche' le sia preclusa l'obiettivita' delle "scienze forti", essa risponde comunque a parametri di coerenza, di verificabilita', di confronto. Come scrive Freud nel 1913: "A lavoro psicoanalitico ultimato dobbiamo trovare un punto di contatto con la biologia...". E, diremmo ora, con le neuroscienze. Un compito tanto difficile quanto ineludibile. 3. SILVIA VEGETTI FINZI: DIFFICILE PATERNITA' [Dal "Corriere della sera" del 24 marzo 2006 col titolo "La paternita' difficile. L'indipendenza e' un miraggio"] Al contrario di quanto e' accaduto in altre citta', a Milano la "festa del papa'" e' passata quasi inosservata. In parte per l'avversione ai festeggiamenti di chi s'identifica col lavoro, in parte perche' la paternita' e' diventata una nota dolente per molti, troppi uomini. Adulti destinati a restare figli perche' lo scambio generazionale e' rinviato sempre piu' in la': a data da destinarsi. Ma il destino non c'entra. E' piuttosto la societa' che ostacola in mille modi il coronamento dell'"adultita'" rappresentato dalla nascita di un bambino. Nella nostra citta', le persone tra i 35 e i 44 anni che sono diventate genitori sono il 15% in meno che nel resto del Paese e l'8% in meno persino rispetto a Roma, che pure ha tutti i problemi di una grande metropoli. Per quanto riguarda in particolare gli uomini intorno ai quarant'anni, solo il 48% ha figli. E gli altri? Nella mitologia delle commedie brillanti sono scapoli d'oro che non si fanno mancare niente: vivono in loft da sballo, vestono trendy, frequentano i locali piu' esclusivi e non si capisce mai bene che lavoro fanno, guadagnano comunque moltissimo. Purtroppo questi semidei sono pochi e quasi invisibili perche' il tram non lo prendono mai, ignorano le code agli sportelli e rifuggono i bar-paninerie della pausa pranzo. La maggior parte dei quarantenni "non padri" ha pero' un'altra storia. Molti vivono ancora nella casa di famiglia, anche se, come dicono le mamme, la considerano "un albergo". Oppure si sono trovati un monolocale, magari sui Navigli, ove trascorrere l'eta' di mezzo, quando non si e' piu' dipendenti e non si e' ancora indipendenti. Si', perche' l'indipendenza e' diventata un miraggio: i lavori sono per lo piu' precari, gli stipendi striminziti, gli appartamenti carissimi, le compagne sempre meno allettate da convivenze grigie e immobili come chiatte sulla Darsena. Accade cosi' che gli amici di un tempo si dividono a meta'. Il 50% con figli si ritrova con altri genitori, altrettanto orgogliosi e affranti dalle creature. Uomini pronti a cambiar pannolini e a partecipare ai minuziosi confronti sulle abilita' e le meraviglie dei rispettivi piccini. Il restante 50% invece a malapena ricorda di essere stato bambino. Non ne vuol sapere nulla di pappe, dentini, esantemi e scuole piu' o meno materne. Ormai il fatto di avere o non avere figli divide a tal punto gli uomini che il muro di Berlino non era niente. Peccato perche' sarebbe bello se diventassero tutti insieme papa', prima di essere "quasi nonni". 4. SILVIA VEGETTI FINZI: BAMBINI E TELEVISIONE [Dal "Corriere della sera" del 18 aprile 2006 col titolo "Liberiamoli con un libro o un gioco"] Mai come in questo periodo di vacanze scolastiche straordinariamente lunghe il rapporto tra i bambini e la televisione si dimostra cosi' problematico: bambini parcheggiati davanti al piccolo schermo, ipnotizzati dal susseguirsi di figure incomprensibili, bambini terrorizzati da messaggi di dolore e di morte che non dovrebbero neppure sfiorarli. Come aiutare i genitori a gestire nel modo migliore questa inevitabile presenza domestica? Anzitutto evitando gli atteggiamenti estremi, tanto quelli demonizzanti quanto quelli passivi, che affidano all'avventata gestione dei piu' piccoli l'uso del telecomando. No, il potere televisivo spetta agli adulti che lo amministrano, si spera, non in base ai loro interessi, ma a vantaggio dei bambini, della loro intelligenza, del loro piacere. Se li vedete immobili, con gli occhi fissi al piccolo schermo, quasi in stato stuporoso, proponetegli qualche altro intrattenimento - un libro, un disegno, un gioco - perche' le figure prive di significato e di senso costituiscono un deposito di materiale che alimenta paure e incubi. Ma attenzione, se i piu' grandicelli hanno seguito un film non adatto a loro e li scoprite avvinti da una storia paurosa, non spegnete di botto il televisore dato che una brusca interruzione della comunicazione suscita un'ansia fluttuante particolarmente difficile da superare. Meglio attendere con loro la conclusione degli eventi perche' solo a quel punto e' possibile raggiungere la pacificazione delle emozioni. Se non approvate la morale del racconto, parlatene con i ragazzi, ascoltate il loro parere ed esplicitate il vostro. Anche utilizzando l'arma dell'ironia, la migliore contro la stupidita' di tanti spettacoli d'intrattenimento. Accade infine che i bambini recepiscano notizie terribili, come sequestri e delitti. Certo sarebbe meglio tenerli al riparo da simili tragedie ma, se non e' stato possibile, non resta che umanizzare l'evento dandogli parola, rendendolo dicibile e per cio' stesso condivisibile. In questo le favole, con la loro millenaria saggezza, possono esserci d'aiuto perche' proiettano il male in un tempo e in uno spazio lontani e mentre spaventano rassicurano, garantendoci che alla fine i buoni trionfano e i cattivi vengono puniti, sempre. Proprio cio' che i bambini si attendono per crescere in un mondo che tiene in serbo per loro tante promesse e tante insidie. 5. SILVIA VEGETTI FINZI: ASCOLTARE IL DISAGIO [Dal "Corriere della sera" del 6 maggio 2006 col titolo "Reagire al disagio"] L'apertura, presso l'ospedale Fatebenefratelli di Milano, di un reparto dedicato ai giovani che tentano il suicidio risponde a una vera e propria emergenza regionale. Sono infatti circa 1.500 i tentativi di suicidio messi in atto da persone di eta' compresa tra gli 11 e i 24 anni, un periodo della vita che rientra ormai sotto la dizione "adolescenza". Sappiamo che questo gesto, che va dalla semplice messa in scena sino a minacciare il limite estremo della vita, e' un modo per esprimere un malessere che non trova parole per dirsi, una richiesta di aiuto che dispera di essere ascoltata e compresa. In realta', questi ragazzi non vogliono morire, cercano soltanto di non soffrire, di sottrarsi a una situazione che risulta, ai loro occhi, intollerabile. Eppure i motivi, quando vengono successivamente rievocati, non appaiono cosi' gravi da indurre a sopprimere se stessi e a infliggere alle persone care un dolore devastante. Tra le cause piu' frequenti vi sono le delusioni amorose, gli insuccessi scolastici, il sentirsi brutti, soli, incompresi, perdenti. Poiche' nessuna e' di per se stessa sufficiente, nella maggior parte dei casi i tentati suicidi restano incomprensibili. L'enigma innesca la caccia al colpevole: i genitori, gli insegnanti, i coetanei, la societa'? Ma la risposta non si trova nella traiettoria lineare causa-effetto perche' il desiderio di morire, o meglio di non esistere piu', e' la conseguenza di un gioco complesso di motivazioni, che possiamo soltanto presumere. Piu' utile sarebbe piuttosto prevenire, operando sulle modalita' con cui gli adulti interagiscono con i piu' giovani. La loro condizione e' cambiata rispetto alle generazioni precedenti: i legami comunitari si sono allentati, la famiglia e' in crisi, il presente frettoloso e superficiale, il futuro privo di promesse. Mentre un tempo il percorso verso la maturita' veniva scandito da precise ricorrenze sociali: i calzoni lunghi per lui, le scarpe col tacco alto per lei, gli esami di diploma, la festa dei diciott'anni; per i maschi, il servizio di leva e per tutti il fidanzamento, il matrimonio, i figli. Ma la liberta' conquistata spaventa, induce alla fuga se l'ansia che produce non viene elaborata, espressa, condivisa, superata insieme. Accade allora che, non avendo mai affrontato rischi, non essendosi mai messi alla prova, i giovani evochino, con la logica assoluta del "tutto o niente", il rischio estremo, la morte, e che lo affrontino come l'unica possibilita' di sfidare la vita. L'emergenza ci invita a cogliere con piu' attenzione e sensibilita' anche i minimi segnali di disagio e di malessere perche', dopo, potrebbe essere troppo tardi. 6. SILVIA VEGETTI FINZI: LUCE [Dal "Corriere della sera" del 29 settembre 2006 col titolo "L'esperienza di Villa Luce. Le donne e la violenza"] Quest'estate il cielo sopra la citta' e' apparso spesso buio alle donne di Milano che hanno sentito minacciate, da feroci atti di violenza, le condizioni stesse del vivere insieme: la fiducia e la speranza. Eppure non possiamo dimenticare che Milano ha una tradizione nobilissima di accoglienza, solidarieta' e assistenza che non puo' essere cancellata da espressioni, seppur motivate, di paura e di sdegno. Se volgiamo in alto lo sguardo possiamo infatti scorgere una stella che, propiziata dall'allora arcivescovo Carlo Maria Martini, brilla da venticinque anni: Villa Luce. Si tratta di un insieme di comunita' educative che accoglie, su segnalazione del Tribunale per i minorenni, adolescenti in crisi aiutandole a compiere un percorso di crescita che rapporti familiari carenti o sbagliati hanno prematuramente interrotto. Qui ragazze sole, in fuga persino da se stesse, trovano un luogo dove abitare nel senso di sentirsi riconosciute per quello che sono e per quello che potranno essere. Al recupero del passato corrisponde la progettazione di un futuro personale, a misura delle capacita' e delle potenzialita' di ciascuna. Questo processo, che non e' solo riparativo ma creativo, mette al mondo, con una sorta di "seconda nascita", un soggetto nuovo, capace di coniugare l'autonomia con l'interdipendenza, la cognizione del dolore con la gratitudine. Con il tempo la stella di Villa Luce e' diventata una galassia, un insieme di piccole comunita' educative contrassegnate da nomi di stella come Andromeda, Libra, Orione o Pegaso. Sparse nel territorio cittadino, queste comunita' rimangono unite dal comune riferimento all'idea ispiratrice e nella concreta realizzazione del progetto educativo promosso, con le Suore di Gesu' Redentore e un gruppo di laici, da madre Teresa Gospar che dell'impresa e' l'anima e la memoria storica. Sinora abbiamo parlato delle ragazze di Villa Luce ma nel libro Ciao, sono Luce (Scheiwiller), a cura di Anna Mangiarotti, sono loro a parlare di se', a raccontarci vite che che, essendosi realizzate lungo itinerari difficili e complessi, si rivelano ricche di riflessioni e di insegnamenti per tutti. Forse l'aspetto piu' sorprendente di questa piccola, grande storia di Milano, che vale la pena di conoscere a fondo, e' che la disperazione puo' tramutarsi in speranza quando incontra chi l'accoglie nella sua casa e nella sua anima. Se ne discutera' lunedÏ 2 ottobre alle 18, presso la Libreria Accademia (corso di Porta Vittoria 14, Milano). 7. SILVIA VEGETTI FINZI: TRANSFERT [Dal "Corriere della sera" del 4 ottobre 2006 col titolo "Psicoanalisi e nuovi orizzonti. Il transfert e' come un film"] L'offerta di psicoterapie e' ormai cosi' ricca e variegata che si rende necessaria una mappa per orientarsi. Uno dei riferimenti piu' sicuri e' costituito dalla Societa' Italiana di Psicoanalisi (Spi), che rappresenta la piu' convalidata genealogia freudiana. Molti temono che un'istituzione cosi' ufficiale si sia arroccata nella difesa dell'ortodossia e della corporazione. Ma se c'e' un merito della psicoanalisi e' la sua capacita' di interrogarsi, di mettersi in crisi, di formulare, pur nel costante riferimento ai capisaldi della disciplina, metodi e obiettivi nuovi. Un secolo di ascolto clinico non e' trascorso invano e la consapevolezza raggiunta e' tale da indurre un raffronto, in corrispondenza al centocinquantesimo anniversario della nascita di Freud, tra le origini della psicoanalisi e i suoi attuali sviluppi. L'occasione e' stata fornita dal XIII Congresso nazionale della Spi, appena svoltosi a Siena, sul tema: "Il transfert. Cambiamenti nella teoria e nella pratica clinica". Le due relazioni principali, quella storica affidata a Stefania Turilazzi Manfredi, psicoanalista fiorentina di vasta e raffinata cultura, e quella clinica attribuita ad Antonino Ferro, didatta dell'Istituto di Milano, hanno permesso di valutare i mutamenti intervenuti negli ultimi anni rispetto alla tradizione. Ferro rappresenta, in questo momento, una figura centrale nel campo psicoanalitico internazionale, come attestano le traduzioni delle sue numerose opere in quasi tutte le lingue occidentali. In questo momento privilegiare il tema del transfert e' stata, come hanno argomentato in apertura il presidente della Societa' Fernando Riolo e la responsabile scientifica Anna Ferruta, una scelta coraggiosa perche' il transfert, inteso come scambio incrociato di pensieri, parole, affetti ed emozioni tra analista e paziente, costituisce al tempo stesso il motore e il combustibile della cura freudiana. Certo il transfert funziona anche fuori dallo studio psicoanalitico e, con maggiore o minore intensita', alimenta tutte le nostre relazioni. Ma lo psicoanalista ha un occhio in piu' in quanto monitorizza contemporaneamente il paziente, se stesso e gli scambi reciproci. L'importanza di questo dispositivo e' tale che si puo' organizzare la storia della psicoanalisi intorno alle sue successive elaborazioni e trasformazioni. Mentre Freud lo considerava soprattutto un veicolo per riportare nel presente dell'analisi esperienze del passato non metabolizzate, rendendole cosi' disponibili a una successiva elaborazione, le ultime tendenze si soffermano piuttosto sull'apertura al futuro che tale dinamica comporta. Nella "cucina" analitica di Ferro troviamo pertanto, oltre all'interpretazione e alla ricomposizione della memoria, che conservano un indubbio potere euristico e terapeutico, anche nuove ricette per trasformare, insieme ai pensieri, l'assetto della mente, contenuto e contenitore. Ad esempio, di fronte agli effetti negativi di un trauma infantile, non basta rievocarlo e scioglierlo in una narrazione che lo renda pensabile, dicibile e condivisibile. Non e' sufficiente che la psicoanalisi ripari i danni subiti dal paziente se puo' ottenere, con nuovi dispositivi, che il suo apparato psichico, ricostituito, metta in atto capacita' inespresse, realizzi potenzialita' insperate. Per raggiungere risultati cosi' radicali e' pero' necessario che il radar analitico ampli il suo raggio d'intercettazione sino a captare sensazioni oscure, emozioni grezze, vissuti che non hanno mai raggiunto la mente, che non sono mai divenuti pensiero. Mauro Mancia, psicoanalista e neurofisiologo, li colloca nella memoria implicita dove sono depositate sensazioni precocissime, suscitate dal contatto del neonato con il corpo e la voce della madre. Prive di rappresentazione, quelle emozioni non sono mai state memorizzate. Tuttavia urgono nel sogno e nel transfert e possono essere recuperate alla cura se l'analista coglie l'"intonazione musicale" con cui si esprimono e la trasforma in una "fiaba", capace d'integrare le lacune della biografia. Secondo Ferro, per recuperare emozioni non legate al ricordo si puo' utilizzare qualsiasi mezzo espressivo: la parola, la musica, il disegno, il gesto, il fumetto, il film e non importa se essi non riportano la storia reale del paziente perche' oggetto della psicoanalisi sono gli stati della mente, non del mondo. "In ultima istanza il transfert e' la forza che porta ciascuno a mettere in scena un dramma che sara' poi sciolto in modi imprevedibili". Lo schermo sul quale si proiettano le emozioni da configurare e' costituito dalla mente dell'analista che, dopo aver accolto materiali amorfi, pezzi di pensieri e brandelli di affetti, li monta in un filmato inedito, girato dal pensiero onirico del giorno e della notte. Il risultato di questo lavoro condiviso sara' inatteso, sorprendente, unico, cosi' com'e' irripetibile ogni opera d'arte. A proposito di metafora cinematografica, il premio "Cesare Musatti" e' stato attribuito quest'anno al regista Bernardo Bertolucci. 8. SILVIA VEGETTI FINZI: ADOLESCENTI DA ASCOLTARE [Dal "Corriere della sera" del 9 novembre 2006 col titolo "Casa della cultura. La voce dei nostri ragazzi contro disagio e falsi modelli"] D'autunno, quando a Milano fervono piu' che mai le iniziative culturali, il portoncino rosso della Casa della cultura si apre per accogliere insegnanti e genitori desiderosi di confrontarsi, tra di loro e con gli esperti, sui problemi degli adolescenti. Problemi eterni e sempre nuovi nella misura in cui le generazioni si susseguono recando con se' elementi di tradizione e di innovazione. Ma dall'anno scorso, su proposta di Elena Rosci, le cose sono cambiate: intervengono anche i ragazzi, dal palco, come protagonisti dell'incontro. E' una piccola rivoluzione dal momento che si parla molto "dei" ragazzi, ma poco "con" i ragazzi. Invece loro hanno molte cose da dire e, se li ascoltiamo, possiamo conoscerli meglio e raggiungerli la' dove si trovano, nel travaglio di sentimenti contrastanti che solo piu' tardi, nell'eta' adulta, troveranno il loro equilibrio. Di solito gli educatori temono gli eccessi giovanili e cercano di esorcizzarli impegnando gli adolescenti nella scuola e nello sport. Da una parte si chiede loro di esercitare l'intelletto, dall'altra il corpo, restando l'affettivita' relegata in una terra di nessuno. Ma se non si attivano le emozioni tutto rimane lettera morta e i ragazzi eseguono i compiti richiesti con passivita', con noia o con atteggiamenti provocatori. Molti adulti ritengono che questo stato di cose sia inevitabile ma non e' cosi'. Lo provano i risultati ottenuti lo scorso anno quando studenti di vari istituti superiori, coordinati dai loro insegnanti, hanno prodotto audiovisivi e performance teatrali per rappresentare i loro problemi. Lo hanno fatto con forza, sensibilita', ironia superiori a ogni previsione. E i compagni, dalla platea, hanno partecipato con un tifo da stadio. Quando mai in un luogo consacrato alla cultura alta e all'impegno politico si erano visti volti cosi' freschi, udito voci tanto allegre e acerbe? Anche gli insegnanti sembravano trasfigurati dalla possibilita' di abbandonare le strettoie del ruolo per collaborare a un'impresa comune. Visto il successo dell'iniziativa, l'esperimento continua con maggior consapevolezza, con una scelta piu' mirata degli argomenti e degli scopi. Anche quest'anno sono di scena i sentimenti, le passioni direi: la vergogna, la noia, l'amore e la speranza. Due sentimenti negativi e due positivi ma tutti contenenti fermenti e potenzialita'. Oggi alla Casa della cultura si parlera', con insegnanti e allievi dell'Agnesi, di "vergogna", un vissuto che si credeva ormai superato dalla permissivita' della societa' moderna e che invece tormenta ancora gli adolescenti, costretti a confrontarsi con i modelli proposti dai mass-media, con personaggi idealizzati capaci di indurre sensi di inadeguatezza e di impotenza in chi rimane solo. 9. SILVIA VEGETTI FINZI: USCITE DAL SILENZIO [Dal "Corriere della sera" del 25 novembre 2006 col titolo "La protesta delle donne"] L'estate e' terminata, se ricordate, con una sequenza impressionante di casi di violenza alle donne. Non e' la prima volta che fatti del genere scuotono l'opinione pubblica suscitando commenti allarmati, appelli alle autorita', proposte piu' o meno efficaci. Di solito, passata l'emergenza, tutto torna come prima. Ma questa volta il clima e' cambiato: una mobilitazione ponderata e condivisa fa ben sperare nel futuro. Non e' un caso che dopo 13 anni torni in scena al Teatro Strehler "La lunga vita di Marianna Ucria", storia di una bambina resa muta dalla violenza dello zio, dal noto romanzo di Dacia Maraini. La proposta avanzata dalla ministra alle Pari opportunita' Barbara Pollastrini di costituire un Osservatorio sulla violenza di genere sembra andar proprio in questo senso, purche' non sia un'istituzione burocratica ma ascolti l'esperienza delle donne e accolga le loro proposte. Sappiamo che non serve inasprire le pene, pattugliare il territorio e installare sos ai semafori se non si lavora per modificare l'ambiente pubblico e privato, per mutare i rapporti tra i sessi. Tra il provvedimento contingente e l'utopia della convivenza perfetta si apre lo spazio della riflessione, della progettazione, dell'educazione degli adulti e delle nuove generazioni. Una citta' sicura e' una citta' aperta e viva, ove si possa transitare giorno e notte senza paura perche' le strade sono illuminate, circolano mezzi pubblici, i posteggi sono custoditi, i vigili di zona disponibili, i cittadini attenti. Una citta' dove, non solo in centro, si offrono a tutti luoghi di aggregazione. Ma poiche' la maggior parte di abusi e violenze sessuali a donne e bambini si consumano in famiglia, e' opportuno formare gli operatori a riconoscerne i sintomi e ad aiutare le vittime a guarire e a ricominciare una nuova vita. A questo scopo si e' mobilitato il Centro soccorso violenza sessuale della Clinica Mangiagalli, di cui e' responsabile la ginecologa Alessandra Kustermann, con un convegno sul tema: "Dieci anni di soccorso violenza sessuale: che cosa e' cambiato?". L'occasione permette di tracciare un bilancio dell'attivita' del Centro e di proporre agli operatori sanitari un modello multidisciplinare d'intervento perche', se in un primo momento sono fondamentali medici e infermieri, si richiedono poi altre competenze come quelle psicologiche, sociali e legali. L'obiettivo e' distruggere gli stereotipi secondo cui la violenza sessuale sarebbe un evento raro, limitato alle ore notturne e commesso in ambienti degradati, da soggetti devianti o marginali. Oppure che la vittima sia una donna giovane, bella, provocante e spregiudicata. E' essenziale invece affermare la liberta' e il diritto di dire "no" ad approcci sessuali indesiderati. Anche se la vittima ha accettato l'invito a salire in macchina o a entrare in casa dell'aggressore, non e' lei la colpevole e chi la soccorre deve aiutarla senza giudicarla. Fermo restando questo principio, mi sembra tuttavia opportuno insegnare alle ragazzine, a casa e a scuola, una certa prudenza. In ogni caso e' fondamentale concentrare l'attenzione sull'aggressore, se si vuole che la vittima esca dal silenzio e denunci le violenze subite. Quelle che lo fanno sono la punta dell'iceberg perche' mille remore le inducono a inventare improbabili incidenti domestici. Per questo e' importante che si impari a riconoscere i segnali indirettamente espressi dal corpo e dalla psiche. Il logo dell'associazione "Usciamo dal silenzio", ideato dalle donne che, dopo la grande manifestazione del 14 gennaio, non hanno mai smesso d'incontrarsi per promuovere la liberta' femminile, si e' capovolto nella formula "Uscite dal silenzio". Un appello rivolto alle autorita' perche' formulino proposte da realizzare subito, insieme, ricomponendo il divario che separa la politica dalla cittadinanza. 10. ET COETERA Silvia Vegetti Finzi (Brescia 1938), psicologa, pedagogista, psicoterapeuta, docente universitaria, saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Su Silvia Vegetti Finzi dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente notizia biografica: "Silvia Vegetti Finzi e' nata a Brescia il 5 ottobre 1938. Laureatasi in pedagogia, si e' specializzata in psicologia clinica presso l'Istituto di psicologia dell'Universita' cattolica di Milano. All'inizio degli anni '70 ha partecipato a una vasta ricerca internazionale, progettata dalle Associazioni Iard e Van Leer, sulle cause del disadattamento scolastico. Inoltre ha lavorato come psicoterapeuta dell'infanzia e della famiglia nelle istituzioni pubbliche. Dal 1975 e' entrata a far parte del Dipartimento di Filosofia dell'Universita' di Pavia ove attualmente insegna psicologia dinamica. Dagli anni '80 partecipa al movimento femminista, collaborando con l'Universita' delle donne 'Virginia Woolf' di Roma e con il Centro documentazione donne di Firenze. Nel 1990 e' tra i fondatori della Consulta (laica) di bioetica. Dal 1986 e' pubblicista del 'Corriere della Sera' e successivamente anche di 'Io donna' e di 'Insieme"' Fa parte del comitato scientifico delle riviste: 'Bio-logica', 'Adultita'', 'Imago ricercae', nonche' dell'Istituto Gramsci di Roma, della 'Casa della cultura' di Milano, della 'Libera universita' dell'autobiografia' di Anghiari. Collabora inoltre con le riviste filosofiche 'Aut Aut' e 'Iride'. Molti suoi scritti sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco e spagnolo. E' membro dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, della Societa' italiana di psicologia; della Societe' internationale d'histoire de la psychoanalyse. Nel 1998 ha ricevuto, per i suoi scritti di psicoanalisi, il premio nazionale 'Cesare Musatti', e per quelli di bioetica il premio nazionale 'Giuseppina Teodori'. Sposata con lo storico della filosofia antica Mario Vegetti, ha due figli adulti, Valentina e Matteo. Gli interessi di Silvia Vegetti Finzi seguono quattro filoni: il primo e' volto a ricostruire una genealogia della psicoanalisi da Freud ai giorni nostri, intesa non solo come storia del movimento psicoanalitico ma anche come storia della cultura; il secondo, una archelogia dell'immaginario femminile, intende recuperare nell'inconscio individuale e nella storia delle espressioni culturali, elementi di identita' femminile e materna cancellati dal prevalere delle forme simboliche maschili: a questo scopo ha analizzato i sogni e i sintomi delle bambine, i miti delle origini, i riti di iniziazione femminile nella Grecia classica, le metafore della scienza, l'iconografia delle Grandi Madri; il terzo delinea uno sviluppo psicologico, dall'infanzia all'adolescenza, che tenga conto anche degli apporti psicoanalitici. Si propone inoltre di mettere a disposizione, tramite una corretta divulgazione, la sensibilita' e il sapere delle discipline psicologiche ai genitori e agli insegnanti; il quarto, infine, si interroga sulla maternita' e sugli effetti delle biotecnologie, cercando di dar voce all'esperienza e alla sapienza delle donne in ordine al generare". Tra le opere di Silvia Vegetti Finzi: (a cura di), Il bambino nella psicoanalisi, Zanichelli, Bologna 1976; (con L. Bellomo), Bambini a tempo pieno, Il Mulino, Bologna 1978; (con altri), Verso il luogo delle origini, La Tartaruga, Milano 1982; Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano 1986; La ricerca delle donne (1987); Bioetica, 1989; Il bambino della notte. Divenire donna, divenire madre, Mondadori, Milano 1990; (a cura di), Psicoanalisi al femminile, Laterza, Roma-Bari 1992; Il romanzo della famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme, Mondadori, Milano 1992; (con altri), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari 1993; (con Anna Maria Battistin), A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall'attesa ai cinque anni, Mondadori, Milano 1994; Freud e la nascita della psicoanalisi, 1994; (con Marina Catenazzi), Psicoanalisi ed educazione sessuale, Laterza, Roma-Bari 1995; (con altri), Psicoanalisi ed identita' di genere, Laterza, Roma-Bari 1995; (con Anna Maria Battistin), I bambini sono cambiati. La psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni, Mondadori, Milano 1996; (con Silvia Lagorio, Lella Ravasi), Se noi siamo la terra. Identita' femminile e negazione della maternita', Il Saggiatore, Milano 1996; (con altri), Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano 1996; Volere un figlio. La nuova maternita' fra natura e scienza, Mondadori, Milano 1997; (con altri), Storia delle passioni, Laterza, Roma-Bari 1997; Il fantasma del patriarcato, Alma Edizioni, 1997; (con altri), Fedi e violenze, Rosenberg & Sellier, 1997; (con Anna Maria Battistin), L'eta' incerta. I nuovi adolescenti, Mondadori, Milano, 2000; Parlar d'amore, Rizzoli, Milano 2003; Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme, Fabbri, Milano 2004; Quando i genitori si dividono, Mondadori, Milano 2005. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 216 del 18 agosto 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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