La domenica della nonviolenza. 177



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 177 del 17 agosto 2008

In questo numero:
Antonio Spadaro ricorda Flannery O'Connor

MEMORIA. ANTONIO SPADARO RICORDA FLANNERY O'CONNOR
[Dal mensile "Letture", n. 609, agosto-settembre 2004 col titolo "Flannery
O'Connor" e il sommario "A quarant'anni dalla morte la scrittrice americana
scuote ancora le coscienze dei lettori con il suo cristianesimo tragico e
paradossale, avverso a quella cultura che ha eliminato il mistero e ha
addomesticato la disperazione"]

Il 3 agosto di quarant'anni fa moriva a 39 anni Flannery O'Connor. Era nata
a Savannah, in Georgia, il giorno dell'Annunciazione, cioe' il 25 marzo, del
1925. La scrittrice considerava sua patria la zona pedemontana della Georgia
e la parte est del Tennessee, quella terra che ha generato i Southerners,
cioe' scrittori quali Erskine Caldwell, Carson McCullers, Tennessee
Williams, William Faulkner. Ci ha lasciato ventisette racconti e due
romanzi: Wise Blood ("La saggezza nel sangue") del 1952, da cui John Huston
nel 1979 trasse un film omonimo, definito nel dizionario dei film Morandini
"divertente e terribile", e The Violent Bear It Away ("Il cielo e' dei
violenti") del 1960. All'opera narrativa vanno aggiunte le lettere e le
prose occasionali di Mistery and Manners. La sua opera dunque non e'
immensa, ma e' bastata a farla diventare una scrittrice di culto. Molti i
riconoscimenti ricevuti in vita: vinse tre volte l'O'Henry Award e ricevette
due lauree ad honorem. Nel 1988 la sua opera narrativa e una selezione di
quella epistolare e saggistica e' stata pubblicata nella prestigiosa collana
della "Library of America". Oltre ai grandi del passato, questo onore fino a
quel momento era stato riservato solamente a William Faulkner. Le sue poche
pagine dunque l'hanno fatta apprezzare come un'icona, un "mostro sacro", un
modello. Del resto, che cosa c'e' in comune tra Bruce Springsteen e Nick
Cave, registi quali John Huston e Quentin Tarantino, scrittori come Raymond
Carver, Elizabeth Bishop e l'australiano Tim Winton o tra i nostri Luca
Doninelli e Carola Susani? Nulla, forse. Tranne Flannery O'Connor, letta,
amata, imitata da tutti loro.
All'interno di una lettera del 17 gennaio 1956 lei si descrive efficacemente
in un ricordo biografico dagli echi biblici: "Ho fatto i primi sei anni di
scuola dalle suore. [...] Fra gli otto e i dodici anni avevo l'abitudine di
chiudermi ogni tanto a chiave in una stanza e facendo una faccia feroce (e
cattiva), vorticavo torno torno coi pugni serrati scazzottando l'angelo. Si
trattava dell'angelo custode del quale, secondo le suore, tutti eravamo
provvisti. Non ti mollava un attimo. Lo disprezzavo da morire. Sono convinta
di avergli addirittura mollato un calcione finendo lunga distesa". Il senso
di quest'immagine va ben al di la' del momento al quale risale come
esperienza vissuta, fino ad essere chiave di lettura della sua esistenza di
scrittrice: Flannery O'Connor rimase una bambina che scazzottava con
l'angelo custode che non la mollava un attimo. Ce lo conferma un suo saggio,
frutto di una conferenza tenuta alcuni mesi prima della morte, nel quale
sostiene che lo scrittore deve lottare "come Giacobbe con l'angelo [...]. La
stesura di un romanzo degno di questo nome e' una sorta di duello
personale".
Ma tale visione pugilistica va precisata e definita meglio per scoprire alla
fine come questo "scazzottare l'angelo" (socking the angel) non sia che il
travaglio di un parto drammatico e folgorante, privo di ogni ninnolo
consolante o fiocco agghindato. Da questa lotta nasce l'arte della O'Connor,
che scrive in maniera netta, quasi perentoria: "Io, per arte, intendo
scrivere qualcosa che in se' ha valore e funziona (works in itself)". Il
testo funziona se e' attiva questa lotta (che viene nominata in vari modi:
wrestle, encounter, il verbo to sock proprio dello slang). Se un testo non
"funziona" allora e' estraneo all'arte. Si tratta allora di illustrare
almeno alcuni dei livelli ai quali l'opera "lavora" e risulta efficace.
*
L'infinito come trama del reale
La O'Connor scrive perche' vede il mondo. Seppure l'espressione possa
apparire banale, le cose stanno proprio cosi'. La scrittrice ha una visione
del reale, non dei labirinti della psicologia: "La narrativa riguarda tutto
cio' che e' umano e noi siamo polvere, dunque se disdegnate d'impolverarvi,
non dovreste tentar di scrivere narrativa". Da qui un prezioso avvertimento:
non e' possibile suscitare emozione con testi che trasudano emozione ne'
suscitare pensieri riempiendo le pagine di considerazioni e riflessioni. A
queste cose "bisogna dar corpo, creare un mondo dotato di peso e di
spessore": scrivere narrativa non e' questione di "dire cose", ma di "farle
vedere" al lettore, di mostrarle: "mostri le cose e non avra' bisogno di
dirle", consiglia in una lettera a Ben Griffith, che gli aveva inviato un
racconto.
Se un personaggio ha un carattere legnoso, deve avere una gamba di legno. Se
la personalita' cambia, allora deve arrivare un ladro a rubarle quella
gamba, come avviene in Good Country People ("Brava gente di campagna"). In
questo racconto una dottoressa in filosofia viene derubata dalla propria
gamba di legno da un venditore di bibbie. La donna non crede in niente, e il
lettore avverte che la gamba di legno, man mano che le pagine scorrono,
accumula significato e corrisponde all'anima "legnosa" della sua
proprietaria. Quando il venditore la ruba, il lettore s'accorge che si e'
portato via una parte della personalita' della ragazza, svelandole il suo
piu' intimo tormento. Commenta la scrittrice, riflettendo sul suo lavoro:
"Se volete, potete anche dire che la gamba di legno e' un simbolo. Ma e'
innanzitutto una gamba di legno, e proprio in quanto tale e' assolutamente
indispensabile al racconto. Ha una sua collocazione sul piano letterale
della storia, ma agisce in profondita', oltre che in superficie. Il racconto
puo' cosi' espandersi in ogni direzione, e sfuggire in tal modo al suo
destino di poverta'".
La concretezza dunque e' una delle basi forti della poetica della O'Connor.
Personaggi e avvenimenti hanno un aspetto che colpisce la percezione, sono
incarnati e materiali: "Il mondo dello scrittore di narrativa e' colmo di
materia", mentre spesso si crede che siano le emozioni tumultuose o le idee
grandiose a fare un racconto. Nient'affatto: con i concetti astratti e i
presupposti teorici non si fanno storie; le cose che vediamo, ascoltiamo,
annusiamo e tocchiamo ci condizionano molto prima che iniziamo a credere in
qualcosa che sia astratto e dunque la caratteristica principale, e piu'
evidente, della narrativa "e' quella d'affrontare la realta' tramite cio'
che si puo' vedere, sentire, odorare, gustare, toccare. E' questa una cosa
che non si puo' imparare solo con la testa; va appresa come un'abitudine,
come un modo abituale di guardare le cose". E questa abitudine deve mettere
radici profonde in tutta la personalita' dell'artista. E' la materia e la
concretezza della vita che danno realta' al mistero del nostro essere nel
mondo, come la O'Connor scrive in una bella lettera del 10 marzo 1956.
Da qui ecco il compito che la scrittrice riconosce a se stessa: concepire
l'infinita trama del finito, nella sua assoluta contingenza e nella sua
precisione: "Il fondamento morale della Poesia e' il nominare in maniera
accurata le cose di Dio [...] rendere quanta piu' giustizia possibile
all'universo visibile" perche' esso "e' un riflesso di quello invisibile". E
questa, in termini teologici, si potrebbe definire "visione sacramentale".
La O'Connor sa che, in quanto scrittrice, il suo gesto di vergare parole su
un foglio non significa esprimere una serie di intuizioni psicologiche, ma
molto concretamente dar vita a un mondo. Lo stesso Dio e la dimensione
spirituale hanno una consistenza materiale o, meglio, "sacramentale". Dio e'
un dato dell'esperienza, non un'intuizione della mente o dello spirito:
nello splendido racconto The Turkey e' addirittura reso in figura di un
tacchino (da cui il titolo) a cui un undicenne sta dando la caccia, mentre
nel racconto A View of the Woods ("La veduta del bosco") Cristo e'
rappresentato da un bosco in cui "i pini, visti di fianco avevano l'aria di
camminare sull'acqua".
In questo senso appare lucidissima la scrittrice Joyce Carol Oates quando
afferma in un'intervista: "Mi dicono che sono stata influenzata da Flannery
O'Connor, ma lei e' cosi' religiosa e i suoi lavori vanno considerati lavori
religiosi, mentre nei miei libri c'e' soltanto il mondo naturale: la
religione e' una manifestazione psicologica di poteri profondi,
immaginazione profonda, di poteri misteriosi che ci accompagnano sempre". La
Oates sceglie i circuiti mentali, la O'Connor le trame del reale, per cui
non e' il materiale a spiritualizzarsi, ma lo spirituale a materializzarsi,
secondo il principio dell'Incarnazione. E cio' fa a pugni con ogni forma di
psicologizzazione o mera simbolizzazione. Una volta la scrittrice si trovo'
a cena da Mary McCarthy, altra nota penna dei suoi anni, che le disse di
considerare l'Eucaristia solamente come un "simbolo". La risposta della
O'Connor fu netta: "Be', se e' un simbolo, che vada al diavolo" (Well, if
it's a symbol, to hell with it). Dunque il mistero dell'esistenza nelle
pagine della O'Connor si manifesta non per evanescenza o puro rinvio o
comunque per sottrazione di materia, ma sotto forma di materia piu' densa:
"Non sono scrittrice dell'impercettibile, io", scrisse a una sua
corrispondente.
*
Il mistero espansivo del mondo
Nel territorio del diavolo. Sul mistero di scrivere - edizione italiana dei
saggi della O'Connor, lo evidenzia con estrema chiarezza: in queste pagine
non si parla del "mestiere di scrivere", come si sente nei laboratori di
scrittura, ma del "mistero di scrivere". La O'Connor punta al mistero. La
sua visione del reale, pur concretissima, non e' mai da ecole du regard,
cioe' scuola di uno sguardo algido e sterile. La narrazione ha per lei
sempre un carattere "espansivo" e lo sguardo dello scrittore e' fecondo,
pregno, capace di far maturare i semi di mistero che e' in grado di
cogliere.
Lo scrittore dunque e' chiamato ad avere una visione anagogica della
realta', cioe' capace di accorgersi che in un'immagine o in una situazione
sono in gioco i diversi livelli del reale. La O'Connor richiama lo schema
dei commentatori medioevali della Sacra Scrittura, che rinvenivano nella
lettura i sensi letterale, morale e anagogico. A suo giudizio lo scrittore
deve far propri questi tre livelli di lettura del mondo e la conseguente
"prospettiva ampliata della scena umana". Dunque in un buon romanzo "accade
sempre di piu' di quanto riusciamo a cogliere sul momento, accade di piu' di
quanto salti all'occhio". Il "di piu'" tende all'infinito, alla
inesauribilita'. Lo scrittore prima vede in maniera superficiale, ma "la sua
angolazione visiva e' tale che comincia a vedere prima di arrivare alla
superficie e continua a vedere dopo averla oltrepassata". In questa tensione
di approfondimento visivo lo scrittore se ne sta a "fissare senza andare
subito al dunque. Piu' a lungo guardate un oggetto e piu' mondo ci vedrete
dentro". Nello sguardo di chi scrive deve esserci "un granello di
stupidita'" (a certain grain of stupidity), che lo conduca a "imbambolarsi"
(to stare). E' proprio cosi' che prende corpo un profondo senso
dell'ascolto, del rispetto e dell'obbedienza nei confronti della realta' e
del "mistero della nostra posizione sulla terra".
A questo livello si colloca il senso dell'imprevisto o, addirittura, del
grottesco perche' nella storia narrata puo' accadere di tutto. La violenza
gratuita, il bizzarro e il grottesco, il misto di comicita' e orrore non
sono un adeguamento o una semplice condivisione dei canoni estetici della
tradizione della narrativa del Sud degli Stati Uniti: sono uno strumento
conoscitivo, una lente di lettura. Essi sono funzionali alla forzatura,
anche teologica, dello sguardo di un lettore "duro d'orecchi" e "di vista
debole". E' come se la scrittrice desse uno schiaffo al lettore,
scompigliando la sua intenzionalita' visiva nel momento in cui sposta il
volto, angolandolo di sbieco. Cio' che salta subito per aria e' quel "buon
senso" vagamente laico, razionale e illuministico degli "intellettuali" che
tanto ammorba la vera ispirazione.
Basti pensare a un racconto quale The Lame Shall Enter First ("Gli storpi
entreranno per primi") per cogliere tutta l'antipatia per l'illuminismo
umanista. Il protagonista e' il direttore del centro ricreativo comunale, un
tal Sheppard che il sabato lavora senza compenso al riformatorio. E' vedovo
con un figlio, Norton, che a suo parere e' fondamentalmente egoista. Un
giorno Sheppard decide di accogliere in casa Rufus Johnson, un ragazzino che
era stato nel riformatorio e che egli aveva desiderio di redimere. Imbevuto
di nozioni psico-sociologiche e di un umanitarismo filantropico, e' convinto
che il male possa essere vinto con un'educazione laica capace di sviluppare
l'intelligenza. Johnson pero' non fa che sfuggire dai suoi schemi e cio'
avviene in pagine splendide che toccano i nervi della condizione umana.
Johnson coinvolge in questa sua ribellione anche Norton. Sheppard ne uscira'
sconfitto: si accorgera' di aver "rimpinzato il suo vuoto di opere buone
come un ingordo" e cosi' di aver solo coltivato la propria immagine ideale
che adesso si sgonfia per lasciare solo uno schermo nero. Il racconto si
chiude in maniera terrificante: Norton si impicca per la sofferenza causata
dalla morte prematura della madre, rivelando tragicamente la cecita' di
Sheppard per il dolore del figlio.
Il romanzo Il cielo e' dei violenti presenta una dinamica simile:
l'avvenimento che scuote la sicurezza intellettuale del protagonista Ryber,
un insegnante dagli innovativi metodi educativi, e' la morte del figlio per
mano di un ragazzo che egli aveva preso in casa per "aiutarlo", ma in
realta' per dimostrare la sua superiorita' rispetto allo zio del ragazzo,
selvatico profeta eremita. Mentre Ryber tenta di controllare col suo
razionalismo il comportamento del ragazzo, questi si ribella, trovando la
sua liberta' grazie ad azioni di grande violenza. Il senso e' che il vecchio
zio ha posto in suo nipote un seme indistruttibile perche' divino e presente
in ogni uomo. E' come un marchio a fuoco e non c'e' modo per eliminarlo.
Tentare di farlo conduce al parossismo.
L'ironia per gli intellettuali spinge la O'Connor anche ad affermare che la
mente che sa apprezzare meglio un romanzo non sara' la piu' istruita, ma
quella disposta "ad approfondire il senso del mistero attraverso il contatto
con la realta', e il proprio senso della realta' attraverso il contatto con
il mistero". Il significato "intellettuale" della storia, a questo punto,
non puo' essere mai al di la' della storia stessa che viene raccontata: e'
la stessa storia, in quanto esperienza e non astrazione. "Il romanziere
[...] dimostra qualcosa che non si puo' dimostrare in un altro modo se non
con un romanzo intero": il significato non e' mai astratto, ma vissuto.
Esiste un modello preciso, un modello in cui l'assoluto e' stato reso
concreto: la Bibbia. Non si fanno storie senza una Storia di riferimento e
nel Sud protestante, scrive la O'Connor, la Bibbia svolge questo ruolo:
"Fornire una storia di dimensioni mitiche, una storia che appartenga a
tutti, nella quale chiunque possa riconoscere la mano di Dio e la sua
discesa. Il genio ebraico nel rendere concreto l'assoluto ha condizionato il
modo di vedere le cose della gente del Sud. E' questa una delle ragioni per
cui il Sud e' terra di racconti". La scrittrice dunque e' convinta che
"nulla garantira' il futuro della narrativa cattolica quanto la rinascita
della tradizione biblica". Infatti la nostra reazione nei confronti della
vita sara' ben diversa "se ci hanno inoculato soltanto una definizione della
fede o se abbiamo tremato insieme ad Abramo che levava il coltello su
Isacco". Il racconto biblico puo' arricchire l'immaginazione e far crescere
in capacita' di intuizione. Purtroppo, lamenta la scrittrice, la Sacra
Scrittura "non ha fatto breccia nel profondo della nostra coscienza, ne'
condizionato le nostre reazioni all'esperienza".
Nel saggio Novelist and Believer ("Narratore e credente"), il vizio della
cultura che ha eliminato il mistero e ha addomesticato la disperazione, non
e' affatto l'ateismo di uno Steinbeck, quanto piuttosto coloro che ammettono
l'esistenza di un essere divino che non ha niente a che fare con la materia
e con la storia, che dunque non puo' essere conosciuto analogicamente o
ricevuto sacramentalmente. Allora "l'uomo vaga [...] cercando di raggiungere
un Dio che non puo' avvicinare, un Dio impotente ad avvicinarlo". Il campo
semantico della parola "mistero" per la O'Connor non e' affatto quello che
comprende anche termini come vago, indistinto, impreciso, indeterminato...
*
Il dramma della liberta'
La O'Connor era appassionata di san Tommaso d'Aquino ("io sono una tomista
di terzo grado", affermava), del gesuita francese Teilhard de Chardin (da
lei considerato il maggiore scrittore non romanziere), del filosofo Jacques
Maritain e dei mistici quali Teresa d'Avila e Giovanni della Croce
("rispetto a lui sono uno zero", scrisse). Questa passione teologica e'
certamente alla radice dell'argomento principale della narrativa della
O'Connor: "L'azione della grazia in un territorio tenuto in gran parte dal
diavolo". La dimensione di mistero di cui fin qui abbiamo parlato si
concentra essenzialmente nel mistero della liberta' dell'uomo e della
personalita'. Proprio questo e' il territorio del dramma del bene e del
male, della salvezza e della perdizione, della grazia e del diavolo: "Nei
miei racconti il lettore trovera' che il diavolo getta le basi necessarie
affinche' la grazia sia efficace".
Il romanzo La saggezza nel sangue rivela questa dinamica in tutte le sue
pagine. Alla fine degli anni '40, tornato al paese natale della Georgia,
solo al mondo, il protagonista Hazel Motes, detto Haze, reduce di guerra, si
rivela un fanatico predicatore della Chiesa senza Cristo. Egli resta
coinvolto in vicende grottesche e paradossali, che fanno comprendere come
piu' un uomo fugge da Cristo, piu' e' afferrato dalla grazia. Haze si
rivolge a una signora che viaggia nel suo stesso vagone: "'Io credo in Gesu'
secondo lei?' domando' Haze sporgendosi verso la donna e quasi parlando come
se avesse il fiato grosso. 'E invece non ci crederei neanche se Lui
esistesse. Neanche se Lui fosse su questo treno'". Ma egli ha un sigillo
ereditario: suo nonno "aveva fatto il predicatore itinerante, era un vecchio
lunatico che girava in macchina per tre contee con Gesu' nascosto nella
testa come un pungiglione". E Gesu' sara' un pungiglione anche nella testa
di Haze, come lo stesso nonno aveva previsto: "Gesu' non gli avrebbe mai
permesso di scordare ch'era redento. Cosa credeva di ricavare dalle sue
colpe, il peccatore? Gesu' se lo sarebbe preso, alla fine!". Haze vuole
rifuggire da Gesu' sin da bambino: "C'era gia' in lui il profondo nero
inespresso convincimento che il mezzo per evitare Gesu' consistesse
nell'evitare il peccato". Parole paradossali, ma che dicono come
l'esperienza della grazia puo' brillare su uno sfondo scuro. Egli pero'
legge solo la Bibbia e a dodici anni decide di fare il predicatore. Ma cosa
predichera'? "Nulla conta oltre al fatto che Gesu' non esiste". Un ateo?
Niente affatto. Un uomo che vive una dialettica paradossale, grottesca, sub
contraria specie, ma proprio per questo radicale con la chiamata alla
santita'. Per avere il senso del mistero occorre avere il senso del male.
Sembra dunque che il senso del male sia anzi garanzia del nostro senso del
mistero e del rapporto con la grazia. Dunque il diavolo diventa, in qualche
modo, "una necessita' drammatica".
E' il dramma a far funzionare le storie. Il dramma qui essenzialmente e'
quello dell'accettazione o del rifiuto della grazia: c'e' un momento, in una
buona narrazione, nel quale si puo' avvertire la presenza della grazia come
in attesa di essere accettata o rifiutata, anche se il lettore puo' non
coglierlo. La scrittrice riconosce che i propri racconti parlano
"dell'azione che la grazia esercita su un personaggio poco disposto ad
assecondarla". I suoi personaggi spesso conducono una vita misurata, nella
quale ogni cosa e' al suo posto. Essi hanno costruito delle barriere di
difesa che solo la violenza puo' demolire. La grazia non ha i tratti candidi
e amorevoli che le si attribuiscono normalmente, non sempre e' gentile. Per
agire "in un territorio tenuto in gran parte dal diavolo", a volte, essa
deve essere violenta. Scrive la O'Connor in una lettera del 4 febbraio 1960:
"Sono giunta al punto di pensare intensamente circa il modo di presentare
l'amore e la carita', o sarebbe meglio ancora dire grazia; l'amore
suggerisce tenerezza, mentre la grazia puo' essere violenta o potrebbe dover
competere con il tipo di male che io posso concretamente compiere". Insomma
la grazia non e' "graziosa" e gli effetti della sua presenza sembrano essere
non un miglioramento della bonta' delle persone, ma paradossalmente perfino
un deterioramento.
Spesso i suoi personaggi hanno davanti solo due strade: la profezia o il
fallimento. E spesso la profezia si abbina, biblicamente, a una sorta di
pazzia, a uno squilibrio fondamentale e fondante per il quale, come leggiamo
ne Il cielo e' dei violenti (la traduzione letterale del titolo sarebbe
pero' piu' seccamente: "Il violento se lo porta via"), il profeta "quando
non riusciva a sopportare il Signore un momento di piu', si prendeva la
sbronza". Il problema vero insomma e' quello teologico del rapporto tra la
grazia e la natura. Come ha notato giustamente Harold Bloom, sembra quasi
che sia possibile essere veramente brave persone solo se qualcuno sia li'
pronto a spararci in ogni momento della nostra vita, o ad affogarci
battezzandoci.
Scrivendo a suor Mariella Gable, la O'Connor spiega la sua predilezione per
predicatori fanatici e profeti selvatici (backwoods prophets): "Secondo
molti protestanti che conosco, i monaci e le suore sono fanatici, e della
peggior specie. E secondo molti monaci e suore che conosco, i miei profeti
protestanti sono fanatici. A mio modo di vedere, l'unica differenza fra
costoro e' che se sei cattolico e credi con tanta intensita', entri in
convento e nessuno sente piu' parlare di te; mentre se sei protestante e
credi con altrettanta intensita', non puoi entrare in nessun convento e te
ne vai in giro per il mondo a ficcarti in ogni sorta di guai, attirandoti
sul capo le ire di chi non crede piu' a niente. E' anche per questo che mi
riesce meglio scrivere dei credenti protestanti che di quelli cattolici:
perche' esprimono la loro fede in varie forme drammatiche di un'evidenza per
me abbastanza facile da cogliere". Questo genera una narrativa che la
O'Connor definisce "strana" e "perversa" e che non offre nessun ritratto
delle esperienze religiose a noi familiari, pur rimanendo "cattolica".
Neanche l'editore italiano di Mistery and Manners - da ringraziare per
averci restituito la perla che e' questo libro - ha resistito alle bizze
della O'Connor e ha provato a "normalizzarla". Nel sito internet della casa
editrice minimum fax infatti si legge, a proposito del libro, una frase
esatta. Ma non fino in fondo: "L'autrice mette apertamente in campo la sua
profonda religiosita' cattolica senza mai sconfinare nel fanatismo o nella
bigotteria - e anzi rifiutando ogni degenerazione moralistica - e ci offre
esempi cristallini di teoria letteraria in cui i concetti di grazia e di
mistero acquistano forza e fascino per qualunque lettore". Perfetta la prima
e l'ultima parte dell'affermazione, ma errata la parte mediana: e' proprio
il rifiuto della degenerazione moralistica a far sconfinare in continuazione
i personaggi dei romanzi della O'Connor nel fanatismo e nella bigotteria.
La prospettiva drammatica della scrittrice non restringe affatto il campo
visivo sul reale, anzi lo amplia perche' a questo punto, come ella stessa
scrive, "gli scrittori che vedono alla luce della loro fede cristiana
saranno, di questi tempi, i piu' fini osservatori del grottesco, del
perverso e dell'inaccettabile" perche' "non vi sara' niente nella vita di
troppo grottesco, o troppo 'non-cattolico', da non poter fornire materiale"
per il loro lavoro. Infatti "e' quando la sua fede e' debole, non quando e'
forte, che il singolo avra' paura di un'onesta rappresentazione romanzesca
della vita; e allorche' sussiste la tendenza a incasellare lo spirituale e a
farlo risiedere in un certo tipo di vita soltanto, il soprannaturale e'
destinato a poco a poco a perdersi". Cosi' nell'ambito della visione
anagogica esiste un significato della violenza che lo lega direttamente al
mistero della grazia. Infatti l'avvenimento della grazia non e' estraneo
alla natura, ma e' pur sempre un irrompere nella vita dell'uomo di una
realta' differente rispetto ai suoi criteri. La liberta' che accetta la
grazia implica un salto, un risveglio repentino o brusco. La violenza, per
la O'Connor, rende possibile questo passaggio e prepara all'affermarsi della
grazia. Del resto l'esplicita epigrafe biblica de Il cielo e' dei violenti,
saltata nell'edizione italiana, ne e' una chiara spia: "Dai giorni di
Giovanni Battista ad ora, il regno del cielo soffre violenza, e il violento
se ne impadronisce" (Mt 11, 12).
La O'Connor e' dunque sensibile agli aspetti piu' drammatici e paradossali
dell'incisivita' della grazia: nei suoi racconti i criminali fanno discorsi
di valore teologico e, ad esempio, il nichilismo di un personaggio come
Hazel Motes "lo riporta alla realta' della sua Redenzione". Invece il male
si annida nelle menti piu' innocenti e negli ambienti piu' tranquilli.
*
La scelta del possibile
I personaggi della O'Connor sembrano a ogni istante sul punto di compiere
qualunque azione: nelle pagine della scrittrice non ci si puo' fidare della
logica e della coerenza. L'imprevedibilita' non e' una tecnica, ma si
potrebbe dire la condizione metafisica di ogni narrazione che "funzioni". Al
romanzo, ci suggerisce la scrittrice, siamo tenuti a chiedere soltanto che
intensifichi il mistero della liberta'. Chi invece, come la maggior parte
degli uomini d'oggi, e' figlio del determinismo storico o psicologico, si
aspetta dei comportamenti consequenziali: dal libertino un'azione da
libertino, dal devoto un'azione devota, dal filantropo un'azione generosa, e
cosi' dal cattivo un'azione malvagia.
Nelle opere della O'Connor questa logica non tiene e non ci si puo' affidare
al discernimento di una opzione morale fondamentale. I personaggi sono
sempre e in ogni momento tutti allineati al principio di tutte le loro
possibilita'. Cosi' la salvezza puo' venire da un assassino e, invece, un
cieco egoismo essere l'espressione di un filantropo umanista. Cio' che
sembra essere rispettato e' un procedimento a tre tempi, messo in luce da G.
Prampolini nel Dizionario della letteratura mondiale del '900 curato da F.
L. Galati: "1. C'e' una persona che vive senza preoccuparsi della salvezza
dell'anima; 2. Un evento della sua vita quotidiana le schiude la conoscenza
profonda di se'; 3. O essa coglie tale occasione e riconosce in umilta' la
necessita' della redenzione, avviandosi cosi' sulla via della salvezza; o se
la lascia sfuggire, e decreta la propria dannazione". Se questa
tripartizione cosi' espressa puo' essere rigida e corre il rischio di
risultare troppo psicologica nella terminologia utilizzata, d'altra parte
rende esplicito il ritmo della dinamica interna della narrazione
oconnoriana. Ad avviare questa dinamica e' "un'azione assolutamente
inattesa, eppure assolutamente credibile" che "indica sempre l'offerta della
grazia. E spesso e' un'azione della quale il diavolo e' stato strumento
involontario".
Cio' che invece si deve escludere a priori dalle pagine della O'Connor e'
cio' che e' divenuto sinonimo - e la scrittrice lo afferma con rammarico -
del termine cristiano e cioe' il golden heart, il "cuore d'oro", che e' "un
bell'impiccio" (a positive interference) quando si scrive narrativa. Se
cosi' salta uno dei presupposti per un sicuro happy end tradizionale,
d'altra parte assistiamo ad aperture a sorpresa, a improvvisi ribaltamenti
di altrettante improvvise tragedie. In racconti come A Good Man Is Hard to
Find ("Un brav'uomo e' difficile da trovare"), dove la conclusione sembra
rimanere chiusa nel buio piu' assoluto e definitivo, e' possibile scorgere
con chiarezza una via d'uscita, un punto di luce che indica la possibilita'
di uscire dal tunnel. In questo senso, dunque, per la O'Connor la scrittura
e' il terreno nel quale accade il tragico propriamente cristiano, che non e'
il tragico che conclude col vicolo cieco, con l'impossibilita' di tutte le
possibilita'. E' invece il dramma della liberta' (e delle sue infinite
possibilita') che si confronta col mistero della grazia, sempre inatteso e
imprevedibile. Il campo della letteratura spalancato dalle pagine di
Flannery O'Connor non e' mai quello del mero probabile, ma quello ben piu'
esteso e ricco del possibile.
*
Quella passione per galline e pavoni
1925 Nasce il 25 marzo a Savannah, Georgia, figlia unica di genitori di
origine irlandese.
1931 Viene iscritta alla "St. Vincent's Grammar School" delle irlandesi
Suore della Misericordia. La sua passione e' ammaestrare galline.
1937 Il padre scopre di essere malato di lupus erythematosus.
1938 La famiglia si trasferisce ad Atlanta per motivi di lavoro. A causa di
varie difficolta', con la madre si trasferisce a Milledgeville nella casa
dei nonni materni. Il padre le raggiunge nei week-end.
1941 Muore il padre. Flannery rivela una precisa vocazione letteraria,
scrivendo vignette, recensioni e poesie per il giornale della scuola
sperimentale che frequenta, la Peabody High School.
1942 Si iscrive al Georgia State College for Women. Scrive racconti e poesie
per la rivista del college "The Corinthian".
1945 Si iscrive alla State University of Iowa, dove frequenta i corsi di
scrittura di Paul Engle. Ricevera' il "Master of Fine Arts" due anni dopo.
Legge Poe, Joyce, Faulkner e Kafka. Prende l'abitudine di andare a messa
tutti i giorni. Comincia a scrivere il romanzo Wise Blood.
1948 La Yaddo Foundation la invita a trascorrere due mesi a Saratoga Springs
(New York) insieme ad altri scrittori quali Robert Lowell ed Elisabeth
Hardwick.
1949 Lascia Yaddo e si reca a New York con Lowell e la Hardwick. Qui inizia
l'amicizia, che durera' tutta la vita, con il poeta e traduttore Robert
Fitzgerald e sua moglie Sally, i quali, dopo la morte della scrittrice,
diventeranno i curatori della sua opera.
1950 Subisce il primo di tanti interventi chirurgici. Firma il contratto con
l'editore Harcourt, Brace and Co. per la pubblicazione di Wise Blood.
L'editor che la segue e' Robert Giroux.
1951 Le diagnosticano il lupus e deve ricoverarsi ad Atlanta. Poi si
trasferira' definitivamente a Milledgeville con la madre. Le stara' accanto
nella redazione del romanzo Caroline Tate Gordon.
1952 Esce Wise Blood, accolto dall'indignazione degli abitanti di
Milledgeville. Pubblica vari racconti e comincia ad allevare pavoni.
1953 Si innamora di Erik Kangkjarer, ma la storia finira' presto con la sua
partenza per la Danimarca.
1955 Esce la raccolta di racconti A Good Man Is Hard to Find. Riceve la
prima lettera di A., una donna di Atlanta la cui identita' rimarra'
misteriosa. Lo scambio epistolare durera' tutta la vita. La salute peggiora
e deve usare le stampelle per camminare.
1956 Lascia la Harcourt per passare alla Farrar, Strauss and Giroux,
seguendo Robert Giroux.
1957-58 Accompagnata dalla madre, parte per l'Europa. Partecipa a un'udienza
papale in Vaticano e compie un pellegrinaggio a Lourdes.
1959-1960 Tiene una serie di conferenze sulla scrittura e pubblica un nuovo
romanzo, The Violent Bear It Away. La malattia si aggrava.
1962 Inizia a scrivere un romanzo mai completato, Why Do the Heathen Rage?
1964 Le viene diagnosticato un fibroma. Viene operata, ma subentrano varie
complicazioni. Continua a lavorare, ma il 2 agosto entra in coma. Muore il
giorno successivo e viene sepolta accanto al padre.
1965 Esce la raccolta di racconti Everything That Rises Must Converge.
1969 Viene pubblicata una raccolta di saggi e conferenze sotto il titolo di
Mistery and Manners.
1979 Viene pubblicata una selezione delle lettere col titolo di The Habit of
Being.
1988 La "Library of America" pubblica una raccolta delle sue opere.
*
La saggezza nel sangue e nei libri
In lingua originale
Flannery O'Connor: Collected Works, a cura di S. Fitzgerald, New York, "The
Library of America", 1988 (contiene i romanzi, i racconti e una selezione di
saggi e di lettere).
Romanzi: Wise Blood, Harcourt, Brace & Co., New York 1952. The Violent Bear
It Away, Farrar, Strauss and Giroux, New York 1960.
Racconti: A Good Man Is Hard to Find and Other Stories, Harcourt, Brace &
Co., New York 1955. Everything That Rises Must Converge, Farrar, Strauss and
Giroux, New York 1965. The Complete Stories, Farrar, Strauss and Giroux, New
York 1971.
Saggi: Mistery and Manners, a cura di S. e R. Fitzgerald, Farrar, Strauss
and Giroux, New York 1969 (contiene la raccolta dei saggi). A Memory of Mary
Ann, Farrar, Strauss and Giroux, New York 1961 (saggio su una bambina di
dodici anni afflitta da un tumore facciale, scritto su richiesta della
superiora di un ospedale cattolico di Atlanta).
Lettere: The Habit of Being: Letters of Flannery O'Connor, a cura di S. e R.
Fitzgerald, Farrar, Strauss and Giroux, New York 1979 (contiene una ampia
selezione delle lettere).
Interviste: Conversation with Flannery O'Connor, a cura di R.M. Magee,
University Press of Mississippi, Jackson 1987.
*
In traduzione italiana (solo le edizioni piu' recenti)
Romanzi: La saggezza nel sangue, Garzanti, Milano 2002. Il cielo e' dei
violenti, Einaudi, Torino 1998.
Racconti: Tutti i racconti, 2 voll., Bompiani, Milano 2001.
Lettere: Sola a presidiare la fortezza. Lettere, Einaudi, Torino 2001
(traduzione parziale dell'edizione americana).
Saggi: Nel territorio del diavolo. Sul mistero di scrivere, minimum fax,
Roma 2003 (traduzione parziale dell'edizione americana).
Antologia: La schiena di Parker. Scritti e racconti, a cura di D. Rondoni e
M.S. Falagiani, Rizzoli, MIlano 1998 (antologia di saggi, lettere e
racconti).
*
Sull'opera della O'Connor
La bibliografia critica in lingua inglese e' molto estesa. Qui ci limitiamo
a segnalare due titoli molto utili a livello introduttivo: M.E. Whitt,
Understanding Flannery O'Connor, University of South Carolina Press,
Columbia 1995; G.A. Kilcourse, Flannery O'Connor's Religious Imagination. A
World with Everything Off Balance, Paulist Press, New York 2001.
In lingua italiana l'unico contributo in volume al momento e': A.
Clericuzio, Grottesco americano. I racconti di Flannery O'Connor, Diabasis,
Reggio Emilia 2003. Tra i vari articoli o saggi raccolti in volume
ricordiamo, oltre alle introduzioni alle opere, il IV numero del 1998 della
rivista "Il Nuovo Areopago", dedicato alla scrittrice, e il capitolo X dal
titolo "Flannery O'Connor. Alla ricerca dell'uomo decaduto e redento" del
volume: F. Castelli, Nel grembo dell'Ignoto. La letteratura moderna come
ricerca dell'Assoluto, vol. I, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2001.
In Internet sono presenti oltre 60.000 pagine che la citano (di cui 900 in
italiano). Tra i siti di maggiore interesse in lingua inglese segnaliamo i
seguenti: http://library.gcsu.edu/~sc/foc.html della Russell Library, ricco
di collegamenti a risorse ulteriori; www.andalusiafarm.org della "The
Flannery O'Connor - Andalusia Foundation"; http://mediaspecialist.org
gestito da Brian Collie, studioso della scrittrice. A partire da questi
indirizzi e' possibile accedere a molte altre risorse reperibili in Rete.
Portano il nome della scrittrice americana una rete di laboratori di lettura
che fanno capo all'associazione BombaCarta (www.bombacarta.it) e una scuola
di scrittura creativa del Centro culturale milanese
(www.cmc.milano.it/oldcmc/httpdocs/home2.html).

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 177 del 17 agosto 2008

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