[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Minime. 550
- Subject: Minime. 550
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 17 Aug 2008 01:12:07 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 550 del 17 agosto 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Ali Rashid ricorda Mahmoud Darwish 2. Edward Said: Della giustizia e della compassione 3. Bianca Garavelli intervista David Grossman 4. Paolo Perazzolo intervista Amos Oz 5. Paolo Perazzolo intervista Abraham Yehoshua 6. Riletture: Peretz Kidron (a cura di), Meglio carcerati che carcerieri 7. Riletture: Salwa Salem, Con il vento nei capelli 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. MEMORIA. ALI RASHID RICORDA MAHMOUD DARWISH [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 agosto 2008 col titolo "Palestina. La voce piu' bella" e il sommario "Mahmoud Darwish, il grande poeta palestinese scomparso, sintesi della storia del suo popolo". Ali Rashid e' stato a lungo il primo segretario della delegazione palestinese in Italia; poi parlamentare italiano, eletto alla Camera dei Deputati nelle elezioni dell'aprile 2006. Fine intellettuale di profonda cultura, conoscitore minuzioso degli aspetti storici, politici, economici e culturali della situazione nell'area mediorientale, esperto di questioni internazionali, acuto osservatore della cultura e della societa' italiana e protagonista dell'impegno civile e della cultura democratica nel nostro paese. E' figura di grande autorevolezza per rigore intellettuale e morale, ed e' una delle piu' qualificate voci della grande tradizione culturale laica palestinese. Suoi scritti appaiono sovente nel nostro paese sui principali quotidiani democratici e sulle maggiori riviste di cultura e politica. Mahmoud Darwish (1941-2008) e' considerato il maggior poeta palestinese del XX secolo, e uno straordinario lottatore per l'umanita'. Al suo ricordo abbiamo dedicato il n. 212 di "Voci e volti della nonviolenza", cui rinviamo. Materiali utili sono nel sito www.mahmouddarwish.com/arabic (in arabo) e www.mahmouddarwish.com/english (in inglese)] Quante vite in una vita sola, quanta forza in una persona sola, quante storie in una storia sola. Mahmoud Darwish era l'emblema della Palestina e la voce piu' bella del suo popolo. La sua grinta esprimeva e alimentava la forza di tutti i palestinesi e ora la sua morte, a lungo combattuta, esprime il graduale declino della rivoluzione e della sua generazione. Era uno degli ultimi capisaldi del movimento progressista non solo in Palestina, ma in tutta la regione. Da solo bastava a dimostrare che la sinistra e' ancora viva e occupa ancora grandi spazi nella coscienza del mondo arabo, era l'ultima frontiera prima dell'eclissi, l'ultimo faro nella notte. La sua e' una sintesi della nostra storia. E questa purtroppo non e' retorica. "A 7 anni smisi di giocare e ricordo bene come e perche': in una notte d'estate (...) fui improvvisamente svegliato da mia madre e mi trovai a correre con centinaia di contadini nei boschi, inseguito dalle pallottole. Quella notte ha messo fine alla mia infanzia, non chiedevo piu' nulla, ero diventato improvvisamente adulto. dopo piu' di un anno mi dissero che saremo tornati. Tornare a casa significava per me la fine della provocazione dei ragazzi libanesi che mi insultavano con l'epiteto umiliante di 'profugo'. dopo tanta fatica mi trovai in un certo villaggio. Che delusione! Non era il mio (...). Non capivo come avesse potuto essere distrutto un villaggio intero. Non capivo come fosse accaduto che il mio intero mondo fosse sparito, ne' chi fossero quelli che lo avevano annientato". Cosi' il poeta racconta la sua infanzia e la delusione diventa il ritmo che ha scandito la sua vita e quella della nostra intera generazione. E con la distruzione del suo villaggio, Al Barweh, il luogo nella sua identita', come tutte le vittime della pulizia etnica, assume una dimensione simbolica espressa attraverso riferimenti oggettivi al mondo interiore, gli ulivi, il mare, il cavallo, la casa, il pozzo, la terra. Il ricordo, il ritorno sono il desiderio impellente, il sogno tormentato di tutti gli esiliati: "Torniamo a casa. Conosci la strada, figliolo? - si' padre. A Oriente del carrubo sullo stradone, un gelsomino che attornia un cancello, impronte di luce sulla scala di pietra, un girasole scruta quello che c'e' dietro; nella corte un pozzo, un salice e un cavallo, e dietro il recinto un domani che sfoglia il nostro archivio. (...) portero' la nostalgia dal suo inizio e dal mio, percorrero' questo sentiero sino alla sua fine e alla mia". Nessuno prima di lui ha saputo gridare tutto il nostro dolore e la nostra nostalgia: "Ho nostalgia del pane di mia madre/ del caffe' di mia madre/ delle sue carezze ho nostalgia. Cresce l'infanzia in me/ e m'innamoro della vita, mia vita/ se dovessi morire avrei vergogna/ del pianto di mia madre. Prendimi/ dovessi ritornare, scialle per la tua frangia, copri le mie ossa con erba/ fatta pura dal tuo passo/ legami/ con una ciocca di capelli/ con un filo dell'orlo della veste/ che io diventi Dio. Divento Dio se tocco il tuo cuore. (...) Sono invecchiato rendimi le stelle dell'infanzia/ fammi tornare/ come tornano gli uccelli/ al nido della tua attesa". E quando Marcel Khalife riusci' a comporre in canzone queste sue parole, nessuno dei diecimila presenti nel teatro di Beirut pote' trattenere le lacrime, ascoltando quello che diventera' un secondo inno nazionale per tutti gli esuli palestinesi in giro per il mondo. Era un inno nazionale per la vita, gridato da tutta una generazione. Ben diversa la situazione oggi, tempo in cui si glorifica la morte. E mi chiedo se senza amore per la vita si puo' esser degni di pensare il futuro. "Narrano nel mio paese. Narrano con tenerezza/ del mio amico che se ne e' andato/ non ci ha detto ci vediamo domani/ non ha detto addio a sua madre/ non ha lasciato una lettera/ che ravvivi le tenebre della sua notte. Ella si rivolgeva alla notte, alle stelle/ a Dio/ avete incrociato uno scomparso/ due stelle sono i suoi occhi, le mani due cesti di mirto/ il petto un guanciale per la luna/ il mio amico se n'era andato/ e tornato in un sudario". Altri protagonisti del suo tempo, come Edward Said, sono stati inghiottiti dall'esilio e non sono nemmeno tornati in un sudario. La Palestina e' cambiata, non assomiglia piu' a se stessa, ce ne sara' solo la meta' al suo funerale, la meta' stanca, smarrita, che non e' piu' in grado di recuperare la propria storia, ma ha bisogno dei simboli di una volta e fara' per lui un monumento a Ramallah, per decorare il proprio fallimento e tirare ancora un po' a campare. L'altra meta' e' figlia del degrado del nostro tempo, non si riconosce nella nostra storia, non ha piu' la nostra memoria. Con parole semplici Mahmoud Darwish aveva preso la distanza dalla guerra intestina che divide il suo popolo, e si vergognava. Cosa e' rimasto di noi e delle nostre sensazioni? E' stata per lui un'ennesima delusione quando gli ho raccontato della scomparsa della sinistra italiana dal Parlamento, per la prima volta nella storia della Repubblica, di una sinistra che non sa chi e' Mahmoud Darwish e non ha trovato il tempo per esprimere le sue condoglianze. Tempi duri ci attendono, sembra che il male non abbia fondo. Erano giuste le nostre intuizioni, ma non abbiamo avuto la forza, siamo inciampati nella nostra incoerenze e improvvisazioni, siamo scivolati su improbabili scorciatoie. "Orizzonte plumbeo sparso all'orizzonte/ strade di conchiglie rotanti in strade. Dall'oceano all'inferno, dall'inferno al Golfo/ da destra a destra, al centro/ ho visto solo una forca/ una forca con una sola corda per due milioni di teste (...)". Ma la speranza e' l'ultima a morire: pace, liberta' e giustizia in nome della nostra storia rimangono la nostra meta. 2. MAESTRI. EDWARD SAID: DELLA GIUSTIZIA E DELLA COMPASSIONE [Da Edward Said, Fine del processo di pace, Feltrinelli, Milano 2002, p. 265 (e' un frammento da un articolo del 2001). Edward Said, prestigioso intellettuale democratico palestinese, uno dei piu' grandi umanisti del secondo Novecento, era nato a Gerusalemme nel 1935, autore di molti libri, tradotti in 26 lingue, docente di letteratura comparate alla Columbia University di New York, a New York e' deceduto il 25 settembre 2003. Dal sito della casa editrice Fetrinelli rirpendiamo la seguente scheda: "Edward W. Said e' nato nel 1936 a Gerusalemme. Esiliato da adolescente in Egitto e poi negli Stati Uniti, e' stato professore di Inglese e di Letteratura Comparata alla Columbia University di New York. Formatosi a Princeton ed Harvard, Said ha insegnato in piu' di centocinquanta Universita' e scuole negli Stati Uniti, in Canada ed in Europa. I suoi scritti sono apparsi regolarmente sul 'Guardian' di Londra, 'Le Monde Diplomatique' ed il quotidiano in lingua araba 'al-Hayat'. Nel suo libro Orientalismo - pubblicato per la prima volta nel 1978 - ha analizzato l'insieme di stereotipi in cui l'Occidente ha chiuso l'Oriente, anzi, l'ha creato. Questo saggio ha conosciuto un successo mondiale ed e' piu' che mai di attualita' perche' rievoca la storia dei pregiudizi popolari anti-arabi e anti-islamici e rivela piu' generalmente il modo in cui l'Occidente ha percepito 'l'altro'. Edward W. Said ha sempre lottato per la dignita' del suo popolo e contro coloro che hanno demonizzato l'Islam. Ex socio del Consiglio Nazionale Palestinese, fu un negoziatore 'nell'ombra' del conflitto arabo-israeliano. A causa della sua pubblica difesa dell'autodeterminazione palestinese, a Said e' stato impedito l'ingresso in Palestina per molti anni. Si e' opposto agli accordi di Oslo ed al potere di Yasser Arafat, che ha fatto vietare i suoi libri nei territori autonomi. Conosciuto tanto per la sua ricerca nel campo della letteratura comparata quanto per i suoi interventi politici incisivi, Said e' stato uno degli intellettuali piu' in vista negli Stati Uniti. La sua opera e' stata tradotta in quattordici lingue. E' morto a New York il 25 settembre 2003". Tra le opere di Edward W. Said segnaliamo: Orientalismo, Bollati Boringhieri, Torino 1991, poi Feltrinelli, Milano 1999; La questione palestinese. La tragedia di essere vittime delle vittime, Gamberetti, Roma 1995; Gli intellettuali e il potere, Feltrinelli, Milano 1995; Cultura e imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto coloniale dell'Occidente, Gamberetti, Roma 1998; Tra guerra e pace. Ritorno in Palestina-Israele, Feltrinelli, Milano 1998; Dire la verita'. La convivenza necessaria, Indice internazionale, Roma 1999; Sempre nel posto sbagliato, Feltrinelli, Milano 2000; Fine del processo di pace. Palestina/Israele dopo Oslo, Feltrinelli, Milano 2002; Il vicolo cieco di Israele, Datanews, Roma 2003; (con Daniel Barenboim), Paralleli e paradossi. Pensieri sulla musica, la politica e la societa', Il Saggiatore, Milano 2004; La pace possibile, Il Saggiatore, Milano 2005; Umanesimo e critica democratica. Cinque lezioni, Il Saggiatore, Milano 2007; Il mio diritto al ritorno. Intervista con Ari Shavit, "Ha'aretz Magazine", Tel Aviv 2000, Nottetempo, 2007; Nel segno dell'esilio. Riflessioni, letture e altri saggi, Feltrinelli, Milano 2008] E dal momento che il conflitto israelo-palestinese e' stato segnato da un progressivo calo di umanita', credo che alcuni significativi gesti simbolici di riconoscimento e di responsabilita', assunti forse sotto gli auspici di un Mandela o di un gruppo di uomini di pace dalle credenziali impeccabili, potrebbero servire a rimettere al centro della scena i temi della giustizia e della compassione. 3. RIFLESSIONE. BIANCA GARAVELLI INTERVISTA DAVID GROSSMAN [Dal mensile "Letture", n. 644, febbraio 2008 col titolo "Grossman: scrivere per vivere di piu'" e il sommario "Il conferimento del Premio internazionale 'Citta' di Vigevano 2007' e' stato un'ottima occasione per incontrare il noto scrittore israeliano, distintosi sempre per la capacita' di raccontare storie antiche in modo nuovo". Bianca Garavelli e' scrittrice e docente. Dal sito www.biancagaravelli.it riprendiamo la seguente notizia: "Bianca Garavelli e' nata a Vigevano, e attualmente svolge attivita' di ricerca presso l'Istituto di Italianistica dell'Universita' Cattolica del Sacro Cuore di Milano. E' narratrice, interprete di Dante e critica letteraria. Esordisce con la raccolta di poesie L'insonnia beata (Edizioni del Laboratorio, Modena, 1988, con la prefazione di Antonio Porta); nel 1990 pubblica il suo primo romanzo L'amico di Arianna (Alfredo Guida) a cui seguono nel 1997 Guerriero del Sogno (La Vita Felice, Milano), finalista al premio Montblanc, e nel 1999 il romanzo per ragazzi Il mistero di Gatta Bianca (Laterza, Bari). Nel 1996 pubblica per Bompiani (Milano) i due volumi antologici Leggere la poesia dell'Ottocento e Leggere la poesia del Novecento. Nel 2001 esce sempre per Bompiani l'edizione rinnovata del suo commento all'Inferno di Dante (prima edizione 1993, con la supervisione di Maria Corti), e il volume di Canti scelti della Commedia; nel 2002 i commenti al Purgatorio e al Paradiso. Nel 2006, in gennaio, sempre da Bompiani esce l'edizione di tutti i canti in volume unico (Editio Minor); in settembre La Divina Commedia. Canti scelti nella collana 'Pillole' della Bur Rizzoli. Cura per le Edizioni Medusa (Milano) i volumi di Etienne Gilson, Dante e Beatrice (2004) e La scuola delle Muse (2007), e cura e traduce dal francese antico Il Dibattito sul Romanzo della Rosa di Christine de Pizan, Jean Gerson e Jean de Montreuil (2006), e recentemente il Libro della pace sempre dell'autrice italo-francese quattrocentesca Christine de Pizan (2007). Tra il 1997 e il 2000 cura la collana "I Grandi Classici della Poesia" Fabbri, che esce nelle edicole, con i classici presentati da poeti contemporanei. Recentemente la sua attivita' narrativa si e' intensificata: con i romanzi Beatrice (Moretti & Vitali, Bergamo 2002), Il passo della dea (Passigli, Firenze 2005) e Amore a Cape Town (Avagliano, Roma 2006), con il quale si e' aggiudicata l'edizione 2007 del Premio "Angeli nel cielo del Cilento". Collabora al quotidiano "Avvenire", al mensile "Letture", al sito "Treccani scuola", e a "Testo", rivista di teoria e storia della letteratura e della critica. E' nella giuria dei premi di poesia "Metauro" (presidente Umberto Piersanti) e "Senigallia spiaggia di velluto" (presidente Alberto Bertoni) e del premio di narrativa "Tracce di territorio" (presidente Mino Milani)". David Grossman, nato a Gerusalemme nel 1954, e' uno dei maggiori scrittori contemporanei, da sempre impegnato per la pace e i diritti umani; suo figlio Uri e' morto nella guerra del 2006. Tra le opere di David Grossman: Vedi alla voce: amore (1986); Il libro della grammatica interiore (1991); Ci sono bambini a zigzag (1994); Che tu sia per me il coltello (1998); tutti presso Mondadori. Cfr. anche il libro-intervista curato da Matteo Bellinelli: David Grossman, La memoria della Shoah, Casagrande, Bellinzona 2000] Potrebbe essere solo un'occasione festosa e superficiale, la presenza di David Grossman a Vigevano, ma grazie alla sua capacita' di dialogare sinceramente con il pubblico diventa una riflessione sulla scrittura e sui doveri di uno scrittore verso l'umanita'. * - Bianca Garavelli: Quale percorso l'ha portato fino alla scrittura? - David Grossman: Uno scrittore e' qualcuno che soffre di claustrofobia e che attraverso le storie degli altri, le storie che tutti hanno vissuto, cerca di liberarsene. E per raccontare le storie che tutti scrivono da sempre dove cercare parole nuove. Questo lo porta a scoprire che c'e' un potere della parola, perche' le parole nuove sono il marchio dell'anima di uno scrittore, come l'elettricita' che scatta quando ha toccato qualcosa di vero. Infatti attraverso la lingua, se usata con attenzione, con creativita', si crea una sorta di corrente elettrica. I lettori piu' sensibili se ne accorgono, come i bambini, che hanno bisogno di sentirsi raccontare le fiabe sempre con le stesse precise parole: se ne cambi anche solo una si arrabbiano, per il loro bisogno di rassicurazione. Ma in fondo tutti noi abbiamo bisogno di storie da ascoltare prima di addormentarci. * - Bianca Garavelli: E come si destreggia un autore che scrive con "parole nuove" in una lingua cosi' antica come l'ebraico? - David Grossman: E' stato un miracolo la ricostituzione della lingua ebraica, mai veramente parlata nella quotidianita' per qualcosa come milleottocento anni. E' una lingua con una molteplicita' di strati antichissimi, che vivono ancora nella lingua che sto usando: persino nel linguaggio di strada c'e' l'eco di una struttura biblica. Si puo' dunque immaginare il piacere che si prova a mettere le mani in questa lingua. * - Bianca Garavelli: Lei ha cominciato a scrivere con storie per bambini. Com'e' questa esperienza? - David Grossman: Quando scrivo per i bambini divento anch'io bambino, e' come se aprissi un canale e mi sintonizzassi. Il bambino e' una creatura in sintonia con il futuro, tesa nello sforzo di capire cio' che non si puo' capire: che cos'e' la realta', il sogno, che cosa sono i rapporti familiari, cio' che e' giusto e cio' che e' sbagliato. E al tempo stesso e' tradito dalla propria incapacita' di capire. C'e' sempre un bambino congelato in noi e ogni volta provo a pormi in questa sua condizione di sorpresa assoluta. * - Bianca Garavelli: Invece in che modo essere israeliano influenza la sua scrittura? - David Grossman: C'e' sempre il rischio, per uno scrittore, di un'autolimitazione causata dalla realta' in cui vive. La prima reazione di fronte a una situazione come quella israeliana e' di semplificare, per riuscire a vivere a livello sopportabile una realta' insopportabile. Ma semplificare impedisce di esplorare la vita. Ora, io non capisco profondamente la politica, ma capisco bene cos'e' questo essere privati della vera vita. Scrivere invece e' vivere di piu': quando scrivo io vivo la vita dei miei personaggi. Come appare nel mio saggio Con gli occhi del nemico (traduzione di Elena Loewenthal e Alessandra Shomroni, Mondadori, 2007, pp. 115, euro 12), aprirmi anche alla "narrazione" dei palestinesi e' il miglior modo di esporre tutto me stesso alla complessita', permettendo che l'altro entri in me. 4. RIFLESSIONE. PAOLO PERAZZOLO INTERVISTA AMOS OZ [Dal mensile "Letture", n. 639, agosto-settembre 2007 col titolo "Amos Oz, ossia come ti rivaluto il compromesso" e il sommario "Affrontando il delicato tema della convivenza tra popoli e tra individui, lo scrittore israeliano insiste sull'arte del dialogo e dell'incontro con l'altro come pragmatico strumento per risolvere le situazioni di crisi". Paolo Perazzolo e' giornalista professionista, caposervizio di "Famiglia cristiana". Amos Oz, scrittore israeliano, nato a Gerusalemme nel 1939, militante pacifista. Opere di Amos Oz: Conoscere una donna, Guanda, Parma 1992; In terra d'Israele, Marietti, 1992; Fima, Bompiani, Milano 1997; Michael mio, Bompiani, Milano 1997; Soumchi, Mondadori, Milano 1997; Pantera in cantina, Bompiani, Milano 1999; Lo stesso mare, Feltrinelli, Milano 1999; Conoscere una donna, Feltrinelli, Milano 2000; Michael mio, Feltrinelli, Milano 2001; La scatola nera, Feltrinelli, Milano 2002; Una storia di amore e di tenebra, Feltrinelli, Milano 2003; Contro il fanatismo, Feltrinelli, Milano 2004; Non dire notte, Feltrinelli, Milano 2007; cfr. anche il libro-intervista a cura di Matteo Bellinelli, Amoz Oz, Il senso della pace, Casagrande, Bellinzona 2000. Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 marzo 2007 riportiamo anche la seguente breve scheda biografica: "Nato a Gerusalemme nel 1939, Oz e' stato tra i fondatori di 'Peace Now', il movimento che, a partire dal 1979, si e' battuto per la creazione di due stati indipendenti, Palestina e Israele, lungo i confini del 1967. Dal punto di vista politico, non si e' mai sottratto al confronto con temi e problemi legati al ritorno del fanatismo religioso nel contesto della modernita' (Contro il fanatismo, Feltrinelli 2004) o al sorgere di nuove immagini e rappresentazioni del 'nemico' (non a caso, per una felice scelta editoriale, un suo intenso scritto accompagna l'edizione italiana, per Feltrinelli Real Cinema, del film Orso d'oro a Berlino nel 2005, 'Paradise Now' firmato dal regista palestinese Hany Abu-Assad). Chi volesse conoscere la biografia di Amos Oz ha a disposizione il poderoso volume titolato Una storia di amore e di tenebra, in cui lo scrittore risale la storia della sua famiglia, il passaggio drammatico del suicidio della madre, e le vicende del nascente Stato di Israele, dalla fine del protettorato britannico"] L'espressione "uno dei piu' grandi scrittori del nostro tempo" e' talmente abusata da non risultare piu' credibile. Nel caso di Amos Oz, pero', la si puo' utilizzare senza timore di smentita, sapendo di mettere d'accordo critica e lettori. Da anni candidato al Nobel per la letteratura, lo scrittore israeliano e' nato a Gerusalemme nel 1939, vive ad Artad e insegna Letteratura all'Universita' Ben Gurion del Negev. Molte sono le sue opere degne di nota, che spaziano fra il romanzo, il saggio e il racconto per bambini. Fra i titoli imperdibili vanno ricordati almeno Conoscere una donna (2000), La scatola nera (2002), Una storia d'amore e di tenebra (2003), Contro il fanatismo (2004). Il suo ultimo testo ad essere tradotto in italiano e' Non dire notte (2007, pp. 202, euro 15), scritto nel 1994, pubblicato dalla Feltrinelli come tutti i libri citati in precedenza. In quest'ultimo romanzo si intrecciano due fra le tematiche piu' care allo scrittore: quella della relazione di coppia e quella del compromesso, cardine della sua filosofia. * - Paolo Perazzolo: "Dedica", la manifestazione di Pordenone incentrata su una grande personalita' della cultura, quest'anno ha deciso di celebrare lei e la sua opera. Titolo della manifestazione e' "Conflitti e compromessi": una buona sintesi del suo percorso letterario, non crede? - Amos Oz: Certamente. Per molti giovani idealisti il compromesso e' disonesto, una parola sporca, un esempio di opportunismo. Nel mio vocabolario, invece, l'opposto del compromesso sono il fanatismo e la morte. E posso parlare con cognizione di causa di compromessi, dal momento che sono sposato con la stessa donna da 47 anni. * - Paolo Perazzolo: La protagonista del suo ultimo romanzo, Noa, dice: "Dimenticare per perdonare e' un insopportabile cliche'". Il perdono e' necessario al compromesso? - Amos Oz: Io penso che l'uno non includa necessariamente l'altro. Compromesso significa incontrare l'altro a meta' strada, ne' piu' ne' meno: non e' necessario prima perdonarsi ne' sviscerare il passato, ognuno puo' mantenere le sue convinzioni, l'essenziale e' fare un passo verso l'altro. Chiedere di piu' e' troppo, irrealistico, inverosimile. Si finisce per non mettersi d'accordo su nulla. Per questo io non condivido lo slogan "Fate l'amore, non fate la guerra", ma gli preferisco "Fate la pace, non fate l'amore". Non c'e' bisogno di arrivare ad amare il proprio nemico, basta imparare a convivere civilmente, smettere di uccidersi e di infliggersi dolore. * - Paolo Perazzolo: Nei suoi libri lei ha creato molti e riusciti personaggi femminili. Scrivere delle donne l'ha aiutata a conoscerle? - Amos Oz: Fin da quando ero bambino sono sempre stato molto curioso delle donne, e non nel senso che si potrebbe immaginare. Cerco di pensare come una donna: non e' facile, ma e' bello provarci. Sono convinto che gli uomini che cercano di immedesimarsi nelle donne, e viceversa, siano migliori amanti, migliori mariti o mogli, migliori genitori. D'altra parte l'essenza stessa della letteratura sta nell'immaginare l'altro, nel domandarsi "Che cosa farei se fossi lui?". * - Paolo Perazzolo: In questo senso la letteratura e' una forma di compromesso... - Amos Oz: Sicuramente. Un fanatico non si mette nei panni dell'altro, ma cerca di cambiarlo, di renderlo il piu' possibile uguale a se stesso. * - Paolo Perazzolo: Un altro Leitmotiv delle sue opere e' il rapporto di coppia: in che misura e' giusto interpretarlo come una metafora del rapporto fra popoli diversi? - Amos Oz: Con i miei libri, e in particolare con l'ultimo, Non dire notte, non avevo intenzione di creare una metafora o un'allegoria, non pensavo ai blocchi contrapposti di Israele e Palestina. Possiamo invece sostenere che anche questo e' un libro che si basa sul compromesso, quale unica via d'uscita dalle situazioni di crisi, sia private che pubbliche: in tal senso esiste un collegamento fra le dinamiche di coppia e le relazioni fra le nazioni. Da questo punto di vista, Non dire notte - ma lo stesso vale per altri miei testi - e' un romanzo metapolitico. * - Paolo Perazzolo: Sembra che l'80% degli israeliani e dei palestinesi sia pronto a riconoscere il diritto dell'altro popolo ad avere uno Stato: che cosa impedisce allora di arrivare alla pace? - Amos Oz: Non so se esattamente l'80% delle due popolazioni, ma di sicuro la maggioranza vuole far pace e accetta l'idea di vivere accanto all'altro, ciascuno in un proprio Stato. Certo, il giorno in cui si arrivera' a questo risultato la gente non scendera' in piazza, ne' la considerera' una soluzione equa e felice, tuttavia e' finalmente maturata la coscienza che e' necessario compiere questo passo. Se ancora non e' avvenuto, e' a causa della pochezza delle leadership delle due nazioni. * - Paolo Perazzolo: Lei ha definito Non dire notte una musica da camera: sarebbe d'accordo nel definire Una storia d'amore e di tenebra, una delle sue opere piu' complesse e impegnative, come una sinfonia? - Amos Oz: E' una definizione appropriata. Il mio ultimo lavoro e' paragonabile a una musica da camera perche' racconta una storia intima, quella di una coppia che vive in una citta' provinciale e claustrofobica, del loro allontanarsi e riavvicinarsi. * - Paolo Perazzolo: La citta' in cui si muovono, Tel Kedar, e' a stretto contatto con il deserto, come Arad, il luogo in cui lei risiede... - Amos Oz: Entrambe sono citta' di provincia, entrambe guardano da vicino il deserto, ma io evito di trasferire nelle pagine modelli della vita reale. Sono consapevole dei guai in cui mi caccerei se inserissi nei libri personaggi attinti dalla mia esperienza. * - Paolo Perazzolo: Nel libro si affronta il tema del bene: fatto piuttosto raro in letteratura... - Amos Oz: ... che e' sempre stata piu' affascinata dal tema del male. Il lettore stesso lo trova piu' interessante. In realta' il mio romanzo parla di paradossi, in particolare di come la ricerca del bene si possa trasformare in una forma di controllo degli altri e in una droga psicologica. I protagonisti sono cosi' immersi nei loro progetti da diventarne fanatici. * - Paolo Perazzolo: Insieme ad altri grandi scrittori del suo Paese, da tempo ha affiancato all'attivita' letteraria un forte impegno civile, teso a favorire il dialogo con i palestinesi. Quanto conta la parola di un intellettuale? - Amos Oz: L'influenza sulle menti e sulle opinioni altrui e' una cosa misteriosa e indecifrabile. E' impossibile misurare la capacita' di modificare le idee, perche' non sappiamo che cosa accada nel cervello delle persone. Spesso, poi, non ammettiamo di aver cambiato parere: mi e' capitato di scrivere articoli in cui esprimevo determinate convinzioni, in netto contrasto con l'operato di alcuni. Ebbene, quelle stesse persone che erano oggetto delle mie critiche venivano poi a congratularsi con me, dicendomi che sull'argomento avevano la stessa identica posizione, che avevo ragione su tutto... Ad ogni modo, anche se sapessi che nessuno tiene in considerazione cio' che dico, non smetterei di battermi per le cose in cui credo. 5. RIFLESSIONE. PAOLO PERAZZOLO INTERVISTA ABRAHAM YEHOSHUA [Dal mensile "Letture", n. 646, aprile 2008 col titolo "Da Yehoshua alla famiglia, con amore" e il sommario "Nel suo ultimo romanzo Fuoco amico lo scrittore israeliano focalizza la sua attenzione sui rapporti intrafamiliari, mantenendo pero' sullo sfondo le difficili ma necessarie relazioni tra Israele e il mondo arabo". Avraham (Abraham) B. Yehoshua, scrittore israeliano nato a Gerusalemme nel 1936, docente di letteratura comparata all'Universita' di Haifa, e' impegnato per la pace e i diritti umani. Tra le opere di Abraham B. Yehoshua: i suoi romanzi sono: L'amante (1977), Un divorzio tardivo (1982), Cinque stagioni (1987), Il signor Mani (1990), Ritorno dall'India (1994), Viaggio alla fine del millennio (1997), La sposa liberata (2002), Tre giorni e un bambino (2003), Il responsabile delle risorse umane (2004), Fuoco amico (2008), tradotti in Italia da Einaudi, che ha anche pubblicato Il lettore allo specchio (2003), Tutti i racconti (1999), i saggi Il potere terribile di una piccola colpa, Etica e letteratura (2000), la commedia Possesso (2001), gli articoli Diario di una pace fredda (1996) e il saggio Antisemitismo e sionismo (2004). Presso altri editori italiani sono apparsi: Il poeta continua a tacere, La Giuntina, Firenze 1987, poi anche Mondadori e Leonardo; Elogio della normalita', La Giuntina, Firenze 1991; Ebreo, israeliano, sionista: concetti da precisare, Edizioni e/o, Roma 2000 (saggio estratto da Elogio della normalita')] L'ultima opera di Abraham Yehoshua si presenta con un terribile ossimoro racchiuso nel titolo: Fuoco amico (traduzione di Alessandra Shomroni, Einaudi, 2008, pp. 404, euro 19). Quel fuoco che dovrebbe essere diretto sempre e soltanto verso il nemico, questa volta si e' abbattuto su una delle persone che dovrebbe proteggere. Infatti il protagonista nascosto del romanzo e' un ragazzo che non c'e' piu', falcidiato erroneamente dal fuoco dell'esercito israeliano in cui prestava servizio. La sua assenza pervade in maniera sotterranea tutta la vicenda, perche' ha lasciato un segno profondo nell'animo di tutti coloro che lo conoscevano. E', insomma, un lutto non elaborato a condizionare pensieri e azioni di tutti i protagonisti del libro. Che, nonostante tutto, ha un tono piacevole, allegro a tratti, imperniato com'e' sul dialogo a distanza fra una vecchia ma affiatata coppia, costretta a stare lontana per una settimana. Da questo particolare partiamo nel nostro colloquio con il grande scrittore israeliano, amatissimo in Italia, instancabile tessitore di una possibilita' di convivenza con il popolo palestinese. * - Paolo Perazzolo: Si ha l'impressione che lei si sia divertito molto a scrivere Fuoco amico... - Abraham Yehoshua: Il romanzo precedente, Il responsabile delle risorse umane, era decisamente piu' malinconico e triste. Questo e' piu' felice. * - Paolo Perazzolo: Dipende dal fatto che Fuoco amico puo' essere letto come un tributo alla famiglia in quanto tale, come risulta anche dalla dedica ("Alla famiglia, con amore")? - Abraham Yehoshua: Certo. D'altra parte la famiglia e' sempre stata per me il punto di partenza da cui guardare e studiare il mondo. In particolare, sono sempre stato interessato ad approfondire la relazione fra l'uomo e la donna all'interno della coppia: e', questa, la relazione piu' profonda, difficile e rischiosa che io conosca, in quanto non la si puo' dare per acquisita una volta per tutte. Fra fratelli o fra genitori e figli esistono relazioni con un fondamento biologico, naturale; nella coppia, invece, accade che due estranei si uniscono e devono, da un lato, condividere gli aspetti piu' pratici e quotidiani della vita, dall'altro prendere decisioni di grande portata morale. * - Paolo Perazzolo: Ogni famiglia e ogni coppia, pero', hanno un lato oscuro, dei segreti, come lei racconta e dimostra nel romanzo... - Abraham Yehoshua: Tutto e' soggetto al cambiamento, ma il rapporto di coppia e il nucleo familiare costituiscono il fondamento imprescindibile per l'essere umano, come pure per quello animale. Ai due protagonisti del mio libro capita di doversi separare per una settimana. Pur essendo lontanissimi in senso fisico, il lettore constata che restano vicinissimi dal punto di vista psicologico: l'uno pensa sempre a quello che sta facendo l'altra. E quando finalmente si ritroveranno insieme, si renderanno conto che lui, rimasto in Israele a seguire il lavoro, i figli e i nipoti, ha lottato per la vita; mentre lei, volata in Africa per commemorare la morte della sorella con il cognato, ha lottato contro la morte. Ecco, pur trovandosi sulle sponde opposte dell'oceano, hanno in fin dei conti condotto la stessa battaglia. * - Paolo Perazzolo: Il duetto fra moglie e marito imprime ritmo al romanzo, come pure il movimento fra Israele e Africa... - Abraham Yehoshua: In questo modo riesco a mettere in connessione elementi che, di per se', sarebbero separati. Amotz Yaari, il protagonista maschile, si trova a dover affrontare il problema dei venti che si sono insinuati nell'ascensore di un palazzo da lui progettato, provocando sibili e ululati spaventosi. Questi venti rappresentano gli spiriti delle vittime delle guerre e dell'intifada che non trovano riposo; le quali, a loro volta, trovano corrispondenza nella fede animista della ragazza sudanese che accoglie Daniela, la moglie di Amotz, in Africa. Cosi' si chiude il cerchio: la fede della ragazza africana si trasferisce metaforicamente negli ululati del vento a Tel Aviv. Ricordo che ruach in ebraico significa vento, ma anche spirito, e ruach refaim e' lo spirito dei morti, il fantasma. * - Paolo Perazzolo: In effetti si ha l'impressione che lei abbia cosparso di simboli e metafore il racconto. Che dire, per fare un altro esempio, dell'elefante dall'occhio ciclopico che il marito della sorella fa vedere a Daniela? - Abraham Yehoshua: Il suo difetto genetico - possiede un solo gigantesco occhio - chiama in causa la disperazione di Yirmiyahu, il cognato di Daniela e Amotz. Piu' che dalla scomparsa della moglie, e' stato distrutto dalla morte accidentale del figlio, caduto per un banale errore durante un'esercitazione militare. La sua reazione e' estrema: vuole cancellare la sua identita', fare tabula rasa della sua memoria ebraica, dimenticarne passato e presente, cominciare una vita nuova. In altri termini, cio' che cerca e' un mutamento genetico. * - Paolo Perazzolo: L'idea di raccontare la perdita di un figlio e' in qualche modo legata a cio' che e' accaduto al suo collega e amico David Grossman? - Abraham Yehoshua: No. Naturalmente ho cercato di essere vicino a Grossman dopo il terribile lutto che l'ha colpito, ma quando e' avvenuto il fatto il mio romanzo era gia' in fase di stesura avanzata. Il punto e' che il dolore che tocca Yirmiyahu e' in qualche modo ancora piu' profondo, in quanto inspiegabile. Ogni guerra porta con se' morti terribili, ma almeno imputabili a un nemico, a un conflitto. Qui, invece, e' il "fuoco amico" a colpire e non resta nemmeno la consolazione di accusare qualcuno, di trovare un colpevole o un capro espiatorio. Allora si scatena una tempesta di domande senza risposta: era necessario? Chi e' il colpevole? Non poteva essere evitato? Yirmiyahu non si da' pace, tornera' piu' volte nel luogo dove il figlio ha trovato la morte, con la speranza di ottenere almeno una parola di conforto, se non di ammirazione, da parte dei palestinesi, dal momento che il figlio e' caduto per un gesto di gentilezza, di umanita' nei loro confronti. Invece sbattera' contro l'incomprensione e l'odio: come puo' pretendere di venire qui a chiedere compassione per suo figlio, gli dice la ragazza palestinese che incontra, quando state occupando le nostre case e la nostra terra? * - Paolo Perazzolo: Queste parole e questa situazione possono suonare come un'accusa nei confronti di Israele e della sua politica... - Abraham Yehoshua: No, esprimono soltanto la tragicita' di una realta', in cui non c'e' piu' posto per la comprensione reciproca. * - Paolo Perazzolo: Le polemiche seguite all'invito di Israele come ospite d'onore all'edizione annuale della Fiera del libro di Torino, come pure la scoperta di una lista dei professori universitari amici degli ebrei, sono sintomi del ritorno di una qualche forma di antisemitismo? - Abraham Yehoshua: In alcuni miei saggi ho affrontato la questione, sostenendo che l'antisemitismo e' un sentimento permanente, fondato non tanto sull'effettivo comportamento degli ebrei, bensi' sulla peculiare natura dell'identita' ebraica, che e' virtuale, immaginaria, non essendo radicata in realta' come il territorio o la lingua. Nel mondo, oggi, dopo la Shoah, l'ostilita' contro il popolo ebraico non e' piu' accettata. La gente si vergogna di ripetere vecchi slogan. Quel che resta e' un atteggiamento ipercritico rivolto contro lo Stato d'Israele, in conseguenza del quale lo si accusa di atrocita' di cui non e' responsabile. 6. RILETTURE. PERETZ KIDRON (A CURA DI): MEGLIO CARCERATI CHE CARCERIERI Peretz Kidron (a cura di), Meglio carcerati che carcerieri. I refuseniks israeliani raccontano la loro storia, Manifestolibri, Roma 2003, pp. 156, euro 16. Una raccolta di testimonianze e documenti di soldati israeliani che obiettano all'occupazione dei territori palestinesi. 7. RILETTURE. SALWA SALEM: CON IL VENTO NEI CAPELLI Salwa Salem, Con il vento nei capelli. Una palestinese racconta, Giunti, Firenze 1993, 2001, pp. 190, euro 8,50. L'intensa testimonianza di Salwa Salem (1940-1992). A cura di Laura Maritano, con una nota di Elisabetta Donini. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 550 del 17 agosto 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Voci e volti della nonviolenza. 215
- Next by Date: La domenica della nonviolenza. 177
- Previous by thread: Voci e volti della nonviolenza. 215
- Next by thread: La domenica della nonviolenza. 177
- Indice: