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Voci e volti della nonviolenza. 205
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 205
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 26 Jul 2008 13:17:27 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 205 del 26 luglio 2008 In questo numero: 1. Luciano Bonfrate: Prudenza 2. Sergio Bartolommei: Quando la vita 3. Emma Fattorini: I grandi dilemmi bioetici e le concrete esperienze esistenziali 4. Enzo Mazzi: La vita e il sacro 5. Adriano Prosperi: La moderna danza macabra 6. Severino Vardacampi: Della lotta contro la morte e della difesa della dignita' umana nel morire 1. EDITORIALE. LUCIANO BONFRATE: PRUDENZA Chi ha letto E non disse nemmeno una parola, forse il libro piu' grande del grande maestro nostro Heinrich Boell, ricordera' quel leitmotiv delle conversazioni lungo la linea telefonica della curia: "Prudenza". Chi ha letto Mohandas Gandhi o Hannah Arendt, Hans Jonas o Vandana Shiva, o si ricorda di certi processi ad Atene e a Gerusalemme qualche millennio fa, sa che ogni volta che si riflette su gravi vicende che riguardano la concreta vita e la concreta morte, la concreta esistenza di esseri viventi, quella buona parola di cui sovente sorridiamo ancora e ancora soccorrerci deve. Ogni astratto sillogizzare, ogni dogmatico asseverare, cedano il passo dinanzi a questo dovere ultimo: la misericordia. E per dirla tutta: la misericordia che non e' la giustizia, ma quella giustizia oltre la giustizia che la giustizia adegua all'esistenza. La misericorda che e' il contrario dell'ingiustizia proprio mentre giustizia invera in forme che possono apparire - e in qualche misura essere - ingiuste. La misericordia che e' l'irruzione del dono nella trama delle relazioni: il dono, il perdono, la comune umanita'. Talvolta giustizia e misericordia sembrano confliggere; sembrano confliggere talvolta la norma giuridica e il sentire morale: sembrano confliggere e talvolta confliggono veramente. Alle radici della nostra coscienza vi e' il dramma di Antigone. E talvolta sembrano confliggere, e talvolta veramente confliggono, verita' e prudenza, giustizia e prudenza, misericordia e prudenza. Come tutto e' enigmatico e arduo in questo mondo di labirinti e di specchi lungo la via che mena a Tebe, ove sempre si torna. A questo principio vorremmo tenerci fermi: tu non uccidere altre persone. Tu salva se puoi le vite. Tu non essere sordo al dolore degli altri. Tu riconosci i limiti dell'umana esistenza. Tu non mentire. Tu sappi dire quando sei turbato, quando non hai le risposte che tagliano netto, quando in timore e tremore sei dinanzi alla scelta tragica. A questo principio vorremmo tenerci fermi: tu non uccidere altre persone. Tu salva se puoi le vite. Sapendo, certo, che ad impossibilia nemo tenetur. Sapendo, certo, che solo a te stesso qui stai parlando. Poi ascolta tutte le voci, inchinati a chiunque si alzi a parlare in modestia e semplicita' persuaso di recare un giovevole consiglio, dinanzi al fuoco, in questa assemblea. Oltre il cerchio buia e' la notte, e fredda. Siamo solo esseri umani, in cammino. 2. RIFLESSIONE. SERGIO BARTOLOMMEI: QUANDO LA VITA [Dal quotidiano "L'Unita'" del 25 luglio 2008 col titolo "Quando la vita si fa crudele dittatura". Sergio Bartolommei (Fucecchio, Firenze, 1952) e' docente di bioetica all'Universita' di Pisa. Tra le opere di Sergio Bartolommei: Illuminismo e utopia, Il Saggiatore, Milano 1978; Etica e ambiente, Guerini e associati, Milano 1989; Etica e natura, Laterza, Roma-Bari 1995; Etica e biocultura. La bioetica filosofica e l'agricoltura geneticamente modificata, Ets, Pisa 2003] Sono giorni concitati e drammatici per le cronache bioetiche del nostro Paese. Al Nord un corpo che aveva ospitato una persona di nome Eluana Englaro, scomparsa insieme alla sua coscienza 16 anni fa dopo un incidente stradale, sta per essere trasferito da una casa di cura a un Hospice dopo che sara' stato disattivato il sondino naso-gastrico che lo alimenta artificialmente. Con l'esaurirsi delle funzioni dell'involucro corporeo, alla morte biografica di Eluana - la morte della possibilita' di raccontarsi, di mettersi in relazione e di dare un senso alla sua propria vita - seguira' cosi' anche quella organica e anagrafica. Solo allora, e grazie a due storiche sentenze giudiziarie, si avra' il riconoscimento delle sue volonta': quelle che aveva espresso quando, ignara della sua sorte futura, era capace di pronunciarsi su cosa per lei sarebbe stata dignita' del vivere e del morire nell'ipotesi di poter piombare un giorno nel buio dello stato vegetativo permanente (Svp) in cui purtroppo poi le accadde effettivamente di entrare. Al Sud un neonato di tre mesi, Davide Marasco, nato il 28 aprile scorso a Foggia e protagonista di un caso assurto alle cronache nazionali, e' morto dopo essere stato sottoposto a rianimazione e dialisi forzate nel tentativo di farlo sopravvivere. Davide era affetto da sindrome di Potter e presentava un quadro clinico caratterizzato da mancanza dei reni, inadeguato sviluppo degli ureteri, della vescica e dei polmoni, malformazioni intestinali e rettali. Sia lo Svp che la sopravvivenza di neonati colpiti da patologie incompatibili con la vita sono, paradossalmente, nuove condizioni del morire rese possibili dall'avvento delle tecnologie di rianimazione e sostegno vitale. Fino a qualche decennio fa il corso "naturale" delle cose avrebbe portato alla morte quasi istantanea i protagonisti di queste due tragiche vicende. Oggi il loro destino dipende in gran parte dalle nostre decisioni e dalla nostra responsabilita'. Sia nel caso di Eluana che in quello di Davide si e' optato per soluzioni vitalistiche, pensando che il miglior interesse dei due fosse di prolungarla, la vita, il piu' possibile, in nome della sua sacralita'. Il paternalismo medico e' venuto in soccorso del vitalismo. Nel caso della Englaro si sono moltiplicate anche in queste ultime ore una serie di (irrispettose) pressioni - politiche, accademiche, religiose - affinche' il padre-tutore non la faccia morire come ella desiderava e come due Tribunali della Repubblica hanno giudicato lecito autorizzare a fare. Nel caso di Davide e' bastato che i genitori manifestassero una titubanza nel dare il consenso alle cure intensive che subito il bimbo e' stato sottratto alla loro potesta' e affidato al primario degli Ospedali Riuniti di Foggia per essere sottoposto a rianimazione e dialisi. Prigionieri forse dell'alone positivo e di mistero che circonda la parola "vita", si fatica a misurarsi con l'idea che ci siano situazioni in cui vivere e' un disvalore o un'oppressione, o perche' il vivere e' ridotto alle sofferenze e agli accanimenti di quella che non e' terapia ma devastante e coatta sperimentazione medica (Davide), o perche' le condizioni della vita sono divenute radicalmente incompatibili con le idee di dignita' personale nutrite nel corso dell'esistenza cosciente (Eluana). E' difficile pero' scalfire lo zelo dei vitalisti. Essi non si accorgono che l'astratta ideologia cui aderiscono - "la Vita e' sacra" - puo' rivelarsi crudele nelle situazioni in cui, applicandola con fanatica coerenza, genera solo una inutile e penosa sospensione del morire. Incapace in questi casi di garantire un miglioramento delle condizioni di salute, il vitalismo si rivela spesso veicolo dei danni provocati da un interventismo medico fine a se stesso. Cio' che fa apparire l'uno e l'altro "giusti" e' che sembrano la soluzione piu' semplice e ovvia, optando per la quale sembra di essere meno in gioco con le nostre responsabilita'. 3. RIFLESSIONE. EMMA FATTORINI: I GRANDI DILEMMI BIOETICI E LE CONCRETE ESPERIENZE ESISTENZIALI [Dal quotidiano "Il Riformista" del 21 luglio 2008 col titolo "Eluana, macabro caso di accanimento biopolitico" e il sommario "Englaro. Abbiamo visto il peggio delle culture in campo". Emma Fattorini si e' occupata del problema religioso nelle sue implicazioni teoriche e storiche, fin dalla sua tesi laurea in filosofia morale, con studi sulla questione religiosa in Italia nei suoi rapporti con la cultura e la politica Otto-Novecentesca. Le sue ricerche si non concentrate poi sullo studio dei cattolicesimi europei nell'Ottocento e nel Novecento e in particolare sul modello tedesco: la lotta del Kulturkampf, il romaticismo religioso ottocentesco, la storia del piu' antico partito cattolico e della piu' fitta rete associativa cattolica, fino agli anni della seconda guerra mondiale (I cattolici tedeschi. Dall'intransigenza alla modernita'. 1870-1953, Brescia 1997). Ha condotto ricerche di storia politico-diplomatica sul nuovo ruolo che viene assumendo nello scenario internazionale la Santa Sede all'indomani della prima guerra mondiale pubblicando i rapporti inediti del nunzio Pacelli in Germania e anticipando cosi' una documentazione che sara' al centro delle polemiche internazionali degli ultimi anni sui silenzi di Pio XII nei confronti del nazismo (Germania e Santa Sede. Le Nunziature di Pacelli tra la Grande guerra e la repubblica di Weimar, Bologna 1992. Ora e' in corso di pubblicazione un lavoro sulla politica di pace di Benedetto XV durante la grande guerra). Ha poi condotto studi sulla pieta' religiosa, sulle devozioni e sulla santita', con una particolare attenzione al culto mariano nei suoi significati religiosi, politici e sociali, ricostruendo il tracciato di modernita' e arretratezza che e' contenuto in queste forme solo apparentemente arcaiche di religiosita', sottraendole dunque a quella lettura sociologica e antropologica che le relegava alla mera sfera dell'arretratezza e del folklore (ha curato il volume collettaneo: Santi, culti, simboli nell'eta' della secolarizzazione. 1815-1915, Torino 1997, le sue ricerche sul culto della Vergine sono in parte contenute nel recente Il culto mariano nell'Otto e Novecento, Simboli e Devozioni, Roma 2000). Sempre valorizzando gli aspetti modernizzanti e anticipatori ha studiato la religiosita' femminile, il primo associazionismo femminile, le forme di culto piu' vicine alle donne, coordinando anche un gruppo di ricerca tra laureande su questi temi e partecipando, tra le fondatrici, alla Societa' delle storiche. Ha svolto, negli anni passati una intensa attivita' pubblicistica, collaborando con diversi istituti di ricerca e scrivendo su riviste e quotidiani] Ex male, bonum. Tra i pochissimi segnali positivi di una stagione morale e culturale cosi' triste, potevamo, almeno, essere contenti per l'affievolirsi di quel furioso e regressivo bipolarismo etico che nell'ultimo decennio ha coperto vuoti culturali, politici e purtroppo anche religiosi. Saggiamente auspicato da Antonio Polito su queste pagine e rimpianto da chi, invece, vuole rilanciare la contrapposizione astiosa sui temi ultimi. Uno scontro che si autoalimenta e che ha espresso il peggio delle culture in campo: l'umanesimo laico in nome della liberta' e della qualita' della vita piuttosto che seguire i sentieri della pieta' e dell'umanita' si e' arroccato sulla burocratica richiesta legislativa, il fronte cattolico ha rischiato una difesa sempre piu' "materialistica" della vita intesa nella sua pura naturalita' biologica, nella sua mera artificialita'. Ora, invece, sulla sorte della povera Eluana si riaccende, purtroppo, il macabro spettacolo nazionale: il magazine del "Corriere della sera" invita i lettori a votare pro o contro, come in un nuovo gioco estivo, mentre i cattolici intransigenti si permettono di accusare il padre di egoismo e crudelta'. Anch'io, come Polito, lascerei "le cose come stanno": ben diverso dal caso Welby, dove c'era un reale accanimento, una crescita di sofferenza, una volonta' chiara ed esplicita del malato e dove sarebbe stata sacrosanta una legge che ne consentisse la volonta', quello di Eluana e' tutto un altro caso. Da un punto strettamente bioeticistico aprirebbe un precedente di carattere eutanasico perche' siamo in una palese sospensione non delle cure ma della nutrizione. Una distinzione pero' che fuori dalle disquisizioni giuridiche e bioetiche, in molti altri casi, nella vita concreta del paziente suona quanto mai artificiosa, pretestuosa e ipocrita: c'e' un momento in cui l'alimentazione e' la cura. La mancanza di un minimo di legislazione sulla fine vita fa si' che, ancora una volta, sia la giustizia a supplire, a sostituirsi alla politica. Troviamo dei paletti per i casi estremi, visto che ormai concordiamo tutti sul bisogno di dettare alcune regole. Lo hanno detto molto bene Eugenia Roccella e Gaetano Quagliariello. Senza illudersi che il testamento biologico (orrenda dizione) risolva magicamente problemi quasi insolubili fuori da un buon rapporto medico-paziente: dopo una malattia, dopo una certa eta', dopo una maturazione interiore e' frequentissimo cambiare idea sull'accettabilita' delle proprie condizioni di vita, pochi comunque restano lucidi e consapevoli. Ma per chi ha questa "fortuna" e, all'opposto, per i casi estremi si deve approntare un testo legislativo minimo, che accetti la richiesta di sospensione delle cure. Perche' dopo anni di estenuante dibattito sul testamento biologico non si pensa anche alla normalita' della morte e non si trova un accordo sulle cure palliative e le terapie del dolore, non si potenzia l'uso degli oppiacei, se ne agevola la somministrazione? Piu' i grandi dilemmi bioetici si affrontano nella concreta esperienza delle vite umane piuttosto che a partire dalle contrapposizioni ideal-ideologiche e piu' si trovano soluzioni largamente condivise. Non e' relativismo. Non e' una rinuncia ai propri principi. E' una constatazione misurata anche "statisticamente", quantitativamente, da molti tra i piu' autorevoli bioeticisti di tutto il mondo, soprattutto americani. Dati e inchieste alla mano. Nella angosciante scelta circa la sospensione delle cure, la stragrande maggioranza delle decisioni si risolve in una dolente intesa tra medico, paziente e famiglia. Non sembri una semplificazione di buon senso: e' davvero cosi'. Ma l'opinione pubblica e' spesso tratta in inganno dalla esasperazione di casi limite enfatizzati dai media e dalle polemiche politiche e non riesce a vedere come siano sempre superiori le ragioni di una comune visione umana. Perche'? Questa e' la vera domanda. L'esasperazione intollerante, l'enfatizzazione ideologica delle divisioni di principio testimonia della crisi profonda della nostra cultura politica sia laica sia cattolica. Eppure proprio perche' i problemi sono gravi, perche' non c'e' piu' un umanesimo credibile in grado di accogliere queste verita', proprio perche' esiste un'emergenza morale dobbiamo ripartire dalle concrete esperienze esistenziali delle persone e scopriremmo che sulle domande essenziali del dolore e della morte sono piu' le cose che ci uniscono di quelle che ci dividono. 4. RIFLESSIONE. ENZO MAZZI: LA VITA E IL SACRO [Dal quotidiano "L'Unita'" del 20 luglio 2008 col titolo "Eluana, quando la sacralita' e' disumana" e il sommario "Sradichiamo la violenza dall'apparato mummificato delle culture del sacro". Enzo Mazzi, animatore dell'esperienza della comunita' dell'Isolotto a Firenze, e' una delle figure piu' vive dell'esperienza delle comunita' cristiane di base, e della riflessione e delle prassi di pace, solidarieta', liberazione, nonviolenza. Tra le opere di Enzo Mazzi e della Comunita' dell'Isolotto segnaliamo almeno: Isolotto 1954/1969, Laterza, Bari 1969; Ernesto Balducci e il dissenso creativo, Manifestolibri, Roma 2002] Eluana Englaro cessera' di vivere o ricomincera' a vivere? Questo interrogativo scuote le coscienze di fronte alla interruzione dell'alimentazione forzata di una donna da sedici anni in coma irreversibile. La vita di Eluana e' identificabile col battito cardiaco o con la funzione digestiva assicurate non dalla autonomia del proprio sistema biologico ma solo dalla potenza della tecnologia medica, oppure e' forza vitale in continuo divenire che preme per essere liberata da un corpo che da se stesso non sarebbe piu' in grado di contenerla? E chi ama di piu' la vita: la suorina che vorrebbe continuare ad alimentare forzatamente la donna in coma o il padre che ha scelto di generare di nuovo la figlia liberando la forza vitale di lei imprigionata da sedici anni in un corpo incapace di funzioni vitali autonome? E non e' tutto. Perche' l'interrogativo riguardante la vita e la morte di Eluana e' forse la domanda fondamentale che accompagna l'umanita' fin dalla sua origine e che costituisce la spinta della trasformazione creatrice. Eluana e' tutti noi, e' ogni donna e ogni uomo. Mia figlia - ha detto a piu' riprese il padre di Eluana - aveva un senso del morire come parte del vivere e non avrebbe accettato di essere una vittima sacrificale di una concezione sacrale della morte come realta' separata e opposta alla vita. Puo' darsi che sfugga la pregnanza di un simile messaggio. Ma e' proprio li' in quell'angoscioso intreccio di vita/morte che si radica da sempre ed oggi in modo particolarmente intenso la spinta dell'evoluzione culturale. Al fondo della crudelta' insensata che tutt'ora insanguina il mondo c'e' la persistenza di un senso alienato della vita derivante dal dominio del sacro e dalla sua penetrazione nella societa' moderna. La vita e' sacra. E' un principio etico fondamentale. Ma e' sacra in quanto parte della sacralita' di un tutto in divenire che comprende finitezza e morte. Questo dice la saggezza dei secoli a chi ha orecchi per intendere. La cultura sacrale invece separa la vita dalla sua finitezza. La vita viene sacralizzata come dimensione astratta contrapposta alla dimensione altrettanto astratta della morte. La sacralita', intesa come astrazione, separazione e contrapposizione fra le varie dimensioni della nostra esistenza, e' la proiezione di un'angoscia irrisolta, di una frattura interna, di una mancanza di autonomia e infine di una alienazione della propria soggettivita' nelle mani del potere. La critica che e' rivolta alla gerarchia cattolica ormai da molti credenti, compresi tanti teologi e teologhe di valore, riguarda proprio l'incapacita' a liberarsi e liberare dal dominio del sacro. "La proprieta' dell'Evangelo e' quella di metterci in una intransigente lotta contro il sacro... in quanto la sacralizzazione e' la stessa cosa che l'alienazione dell'uomo... ma noi dobbiamo constatare che la fede cristiana si e' come corrotta, imputridita...". Queste affermazioni forti di padre Ernesto Balducci sono condivise da molti nella Chiesa e sono alla base della critica per l'intransigenza della gerarchia verso le posizioni etiche espresse da Eluana e dai genitori di lei. E' un compito immane la liberazione del profondo dalla cultura sacrale che genera violenza. Bisogna andare finalmente alle radici, individuare e tentar di sradicare il gene della violenza che cova in tutto l'apparato mummificato, simbolico e normativo, delle culture del sacro tanto laiche che religiose. Ognuno deve fare la sua parte, dovunque si trova ad operare, usando gli strumenti di conoscenza e di saggezza che gli sono stati forniti dall'esperienza di vita e dalla rete delle relazioni che ha potuto intrecciare. Eluana e suo padre stanno facendo la propria parte. Seminano senso positivo della vita con sofferenza e con forza. A loro dobbiamo essere profondamente grati. 5. RIFLESSIONE. ADRIANO PROSPERI: LA MODERNA DANZA MACABRA [Dal quotidiano "La Repubblica" del 21 luglio 2008 col titolo "Il diritto di morire nel nostro Medioevo". Adriano Prosperi, nato a Cerretto Guidi (Firenze) nel 1939, docente di storia moderna all'Universita' di Pisa, ha insegnato nelle Universita' di Bologna e della Calabria; collabora a riviste storiche tra le quali "Quaderni storici", "Critica storica", "Annali dell'Istituto italo-germanico in Trento" e "Studi storici"; si e' occupato nei suoi studi di Storia della Chiesa e della vita religiosa nell'eta' della Riforma e della Controriforma; negli ultimi anni ha rivolto un'attenzione particolare alle strategie di disciplinamento delle coscienze e di regolazione dei comportamenti collettivi, messe in atto dalle istituzioni ecclesiastiche nell'Italia post-tridentina. Tra le opere di Adriano Prosperi: Tra evangelismo e Controriforma: Gian Matteo Giberti (1495-1543), Roma 1969; (con Carlo Ginzburg), Giochi di pazienza, Torino 1975; Tribunali della coscienza: inquisitori, confessori, missionari, Torino 1996; L'eresia del Libro Grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, Milano 2000; Dalla Peste Nera alla guerra dei Trent'anni, Torino 2000; Il Concilio di Trento: una introduzione storica, Torino 2001; L'Inquisizione romana. Letture e ricerche, Roma 2003; Dare l'anima, Torino 2005] Una antica rissa cristiana sembra essersi riaccesa in Italia intorno al piu' cupo dei diritti, quello di morire: suore uscite per un attimo dall'ombra di una vita di carita', prelati e dotti teologi offrono gli argomenti della religione a un movimento assai composito di gente comune e di affannati politicanti. Ed e' un dolce nome di donna quello a cui tocca ancora una volta il compito di portare il simbolo dell'offesa e della violenza patita. Ma la schiuma della cronaca talvolta nasconde piuttosto che rivelare le correnti profonde. Per questo non faremo quel nome. Per una volta almeno non sara' pronunziato il nome di donna a cui tocca oggi - in attesa di altri candidati che non mancheranno - il compito di rappresentare nella piazza mediatica il dramma della nostra impotenza davanti alle crudelta' della natura e di offrire il suo volto indifeso alle bandiere di un "partito" contro un altro - un sedicente partito della vita in lotta contro un improbabile partito della morte. Tacerlo e' la sola cosa che resta da fare, non solo per pudore e per pieta', ma anche perche' tutto il necessario e' stato detto e tutte le risorse e i saperi delle istituzioni sono stati messi a frutto. Qui si tratta piuttosto di capire la sostanza dei problemi che agitano la societa' e che muovono ciascuno di noi a partecipare intensamente, coi sentimenti e con le idee, alla tempesta che ogni volta si scatena intorno a questi casi. Ogni volta questa speciale forma di morte chiama in gioco la medicina e il diritto, la religione e la politica. E' la moderna danza macabra di un nuovo Medioevo, ossessionato come l'antico dalla paura di un nemico terribile: che non e' piu' la morte improvvisa e senza sacramenti della peste, ma e' la minaccia congiunta di una vita che non e' vita e di una morte debole, inavvertita e sfuggente. Le ragioni del diritto le ha esposte ieri con la solita inappuntabile precisione Stefano Rodota'. Ma e' la medicina che viene prima di tutto. A lei, in una celebre intervista del 1957, un lungimirante Pio XII lascio' il compito e la responsabilita' di individuare il segno del confine tra la vita e la morte. E ben prima di allora i medici hanno cercato di fare propria l'antica certezza di Re Lear: "Io so ben riconoscere quando uno e' morto e quando vive". Ci sono riusciti? non sembra. Oggi negli Stati Uniti d'America puo' accadere che una persona - la stessa persona - sia ritenuta legalmente morta in California e ancora in vita nel Missouri. Il caso (reale) e' raccontato dal professor Carlo Alberto Defanti, nella prima pagina di un libro che sembra scritto apposta per guidare con l'aiuto della scienza medica i lettori dei nostri tempi, in sosta angosciati davanti al passaggio estremo: Soglie. Medicina e fine della vita (Bollati Boringhieri, Torino 2007, pp. 270). Quali le soglie su cui si e' attestato nel nostro provvisorio presente il limite estremo della vita umana? sono ancora quelle antiche, in contrasto da secoli: il battito del cuore, la scintilla del cervello. La medicina si e' impadronita della questione quando, col ritorno alla pratica anatomica alla fine del Medioevo, la foresta degli organi e' cominciata ad emergere dietro l'unita' della pianta umana. E fin da allora la pratica medica concepi' quella fame di corpi che non doveva piu' lasciarla: la "fabbrica del corpo umano" (il titolo fu di Andrea Vesalio) doveva essere chiamata nel '900 - dopo la celebre operazione di Christian Barnard - a fornire tanti pezzi di ricambio. Questo non e' un dettaglio ma un punto nodale dei problemi attuali. L'offerta di corpi umani, possibilmente ancora palpitanti di una vita residua, ha alimentato i progressi della medicina. Ma per ottenerli e' stata necessaria una alleanza coi poteri della religione e dello Stato: fin dagli inizi. Come si racconta in un libro collettivo, uscito contemporaneamente a quello di Defanti (Misericordie, Confessioni sotto il patibolo, Edizioni della Normale 2007) si ricorse per secoli alle forniture dei patiboli e alle membra piu' "vili", quelle dei condannati a morte. E ci volle uno speciale investimento di pratiche e di rituali per saldare il necessario circuito tra potere e religione, tra erogazione della morte e promessa di vita - quella dell'aldila' ai condannati e quella di questo mondo agli ammirati spettatori delle meravigliose operazioni della scienza medica. Da allora in poi quel circuito doveva ripresentarsi costantemente, sia pure sotto altre forme. Le tappe successive della storia scientifica della questione ci portano ancora alla diarchia cuore-cervello. Il "miracolo" della rianimazione (dall'inglese "resuscitation") apri' la strada alle moderne cure intensive con le tecniche per far ripartire un cuore arrestato e ventilare chi non era in grado di respirare autonomamente (il polmone d'acciaio e' del 1927). Ma quando si scopri' nel 1959 che in determinati stati di coma l'elettroencefalogramma non rilevava piu' onde elettriche cerebrali, si pose il problema se valesse la pena proseguire l'assistenza ventilatoria. Dalla scoperta del coma irreversibile derivo' la proposta del comitato della Harvard Medical School di considerare questo stato come "sindrome della morte cerebrale" e di fissarlo come nuovo criterio di morte. La data del documento (1968) segna una svolta storica importante, come mostra Defanti che ne analizza il contesto e le ragioni, scientifiche ed economiche, e segnala la cautela con cui fu cercato l'avallo delle autorita' religiose. E' su questa base che fu definita la procedura per ottenere organi utilizzabili per trapianti, pezzi per l'officina delle riparazioni chirurgiche. Ma, come sanno o dovrebbero sapere tutti coloro che hanno nel portafoglio l'autorizzazione all'espianto dei propri organi, quel criterio fu scelto per ragioni pratiche da chi sapeva quanto fosse difficile fissare l'attimo decisivo su di un orologio della morte che e' capace di misurare solo un processo graduale e differenziato. Cosi' anche il documento di Harvard non segno' la fine della questione. Da un lato la diffusione clamorosa con Barnard del trapianto di cuore spinse potentemente in direzione dell'eutanasia attiva e dell'espianto di cuori funzionanti; dall'altro l'esplorazione del cervello ha dissolto l'unita' di questo organo in entita' diverse, ognuna con una vita e una morte propria. Se lasciamo l'ancoraggio delle ricerche mediche, ci si apre davanti l'universo dei sentimenti: specialmente di quella paura della morte di se' che in ciascuno si scatena davanti alla morte degli altri. E qui la realta' del nostro tempo rivela la sua irrecuperabile lontananza dall'antica religione che oggi lotta con tutte le sue forze contro i suoi nemici di sempre. Eutanasia, questa e' la parola: parola ambigua, odiata e ripudiata quando si presenta con l'orrendo volto nazista della soppressione forzata di un'umanita' difettiva, ma che cela nel suo benevolo suono la voce di una sirena antica: il desiderio e l'augurio - per se' e per i propri cari - di una morte rapida e totale, senza sofferenze; ma anche la convinzione ormai acquisita che disporre della sorte del proprio corpo rientra fra i diritti dell'individuo. Qui si incontrano i bisogni profondi del nostro tempo. E si capisce perche' ci colpisce tanto la storia di quella dolce figura femminile, che appare oggi ancora viva almeno nella cronaca lacerata del paese: e' la nostra storia, una possibile, sempre piu' probabile storia della fine che aspetta ciascuno di noi. Qui si misura l'arretramento drammatico del senso cristiano della morte, di quella morte gioiosa del credente che detto' a Martin Lutero uno dei suoi scritti piu' belli e che doveva animare la fede dei martiri della Riforma mentre salivano lietamente sui patiboli dell'Inquisizione. Oggi solo la deliberata ambiguita' della scelta di una parola, la vita - termine che i credenti possono intendere nel senso di vita dell'aldila' e tutti gli altri sono liberi di applicare alla vita che abbiamo qui - sostiene le incongrue alleanze costruite per battere le leggi sull'aborto e le proposte di testamento biologico. Il filo che ci porta al presente comincio' quando nella cultura europea del '700 razionalista prese corpo il rischio della morte apparente. Come ha raccontato anni fa Claudio Milanesi furono allora elaborate norme precise tuttora valide per scongiurare il pericolo della sepoltura di persone in stato di catalessi; e tutti conoscono in che modo la fantasia romantica di Edgar Allan Poe desse poi corpo a quei fantasmi dei morti viventi che abitano oggi negli incubi del nostro presente e ci vengono incontro nelle corsie delle cliniche. Dunque, una conclusione si impone. La storia ci ha condotti a questo punto, per molte e complicate vie che fanno parte incancellabile della realta' di un paese moderno. Pertanto non ci sono alternative alla messa in opera delle regole faticosamente elaborate per conciliare il diritto individuale a disporre del proprio corpo con l'obbligo istituzionale a fornire tutte le cure necessarie alla persona malata: obbligo che non si deve tuttavia spingere alla "tortura inutile" di cui scriveva Paolo VI nella lettera del 1970 citata da Rodota'. E se le attuali gerarchie cattoliche farebbero bene a meditare quelle parole, spetta invece allo Stato italiano affrontare sia il gravissimo problema delle carenze delle strutture sanitarie che oggi obbligano le famiglie a sostenere il peso anche morale di situazioni dolorosissime, sia introdurre finalmente una regolamentazione adeguata del testamento biologico. Nell'immediato, spetta a noi tutti fare un passo indietro, recedere dal clamore indecente che oggi assedia chi ha diritto al rispetto e al silenzio. 6. LE PENULTIME COSE. SEVERINO VARDACAMPI: DELLA LOTTA CONTRO LA MORTE E DELLA DIFESA DELLA DIGNITA' UMANA NEL MORIRE Sono due cose distinte la morte e il morire. Ed entrambe legate alla vita, con nodi diversi. * Come tutto e' sempre terribilmente complicato, e come i novissimi sfuggono al tentativo di ingabbiarli entro le rigide armature dell'etica, del diritto, della teologia, della psicologia, della medicina, della politica. * Se tutta la cultura e' funzione apotropaica, gesto e costruzione di stornamento della morte, perche' stupirsi della paura che ci coglie quando la dobbiamo non solo nominare, ma in qualche modo e misura fronteggiare in ravvicinato duello? * Non si conosce piu' l'arte del ben morire. La medicina reca con i suoi doni anche questa maledizione. * Qui non soccorre aver lungamente sfogliato tutte le biblioteche: il corpo dell'altro che muore ti convoca oltre ogni detto. * A nessuno puo' essere sottratto il suo diritto di morire. A nessuno puo' essere concesso il potere di uccidere altri che se'. * E le ragioni della scienza, le procedure dei protocolli, le norme del diritto, non hanno alcun peso per chi sempre spera nell'irruzione del miracolo. * Non vi e' solo l'opposizione tra ingiustizia e giustizia, tra crimine e giustizia, tra violenza e giustizia. Vi e' anche quella tra giustizia e pieta', giustizia e misericordia, giustizia e perdono. * Resta il dolore, il dolore infinito di chi muore, il dolore infinito di chi resta. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 205 del 26 luglio 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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