Minime. 514



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 514 del 12 luglio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Clandestino
2. "Peacereporter": Notizie dalla guerra afgana dell'11 luglio 2008
3. Umberto De Giovannangeli: Un milione e mezzo di schiave nell'Arabia
Saudita
4. Anna Bravo: Introduzione di "A colpi di cuore" (parte seconda)
5. Edizioni Qualevita: Disponibile il diario scolastico 2008-2009 "A scuola
di pace"
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: CLANDESTINO

La stessa parola "clandestino" e' gia' un atto di aggressione: molte persone
stigmatizzate come tali sono entrate del tutto regolarmente nel nostro paese
ed e' soltanto scaduto il loro permesso di soggiorno.
Si tratta di persone che non hanno nessuna intenzione di nascondersi.
Che non fanno nulla di male, anzi: fanno spesso i lavori piu' duri, quelli
che gli indigeni non vogliono fare.
Lo stato italiano dovrebbe dar loro un encomio solenne, portarli a modello.
E dovrebbe tutelare i loro diritti, promuovere la loro integrazione,
garantire assistenza, giustizia, sicurezza a loro come a chiunque.
Ed invece li insulta e li perseguita, talvolta fino a provocarne la morte.
*
E molte persone che nel nostro paese sono entrate senza commettere reati ma
senza neppure seguire le vie praticamente piu' agevoli ed
amministrativamente ordinarie, lo hanno fatto non per piacere
dell'avventura, ma perche' in fuga dalla fame e dalla guerra, da regimi
dittatoriali e da persecuzioni razziste, da stati-mafia e da genocidi; e
vengono qui sperando di trovare asilo, quell'asilo che la Costituzione della
Repubblica Italiana garantisce loro, quell'asilo che lo stato italiano nella
sua legge fondamentale giura di garantire loro, e lo giura sul volto e sul
sangue dei martiri della Resistenza.
Lo stato italiano dovrebbe dar loro protezione, averli cari come la pupilla
dell'occhio, tenerli sacri come sacro e' l'ospite e a maggior ragione
l'ospite costretto ad abbandonare la sua casa dall'altrui violenza.
E dovrebbe tutelare i loro diritti, promuovere la loro integrazione,
garantire assistenza, giustizia, sicurezza a loro come a chiunque.
Ed invece li insulta e li perseguita, talvolta fino a provocarne la morte.
*
Molte persone giungono nel nostro paese, dai paesi impoveriti e devastati da
mezzo millennio di nostre rapine.
Lo stato italiano e l'Unione Europea dovrebbero risarcirli, restituire loro
il maltolto con gli interessi di secoli e secoli di rapina e massacro
imperialista, colonialista, razzista.
E dovrebbero tutelare i loro diritti, promuovere la loro integrazione,
garantire assistenza, giustizia, sicurezza a loro come a chiunque.
Ed invece li insultano e li perseguitano, sovente fino a provocarne la
morte.
*
Se "clandestino" e' un insulto, non sono queste nostre sorelle e questi
nostri fratelli i clandestini.
Clandestino e' il governo del razzismo e dell'illegalita'. Clandestina e' la
disumanita' del potere che esclude e che opprime.
*
Se "clandestino" designa il riconoscimento che la nostra comune patria e'
ancora da venire, poiche' questo non e' ancora il regno della liberta', ma
il regno della schiavitu', allora clandestini siamo tutti noi esseri umani
senza eccezione alcuna. Ed a tutti incombe il dovere di prestarci reciproco
aiuto, di riconoscerci un'unica famiglia, di non abbandonare nessun al
dolore e alla morte.
E' il messaggio della Ginestra di Leopardi, e' la verita' che ogni persona
reca incisa nel fondo del cuore.

2. AFGHANISTAN. "PEACEREPORTER": NOTIZIE DALLA GUERRA AFGANA DELL'11 LUGLIO
2008
[Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo le seguenti
"brevi" dell'11 luglio 2008]

Afghanistan, 11 luglio 2008, ore 8,12
Feriti 9 soldati britannici a Helmand
Nove soldati britannici sono stati feriti nella provincia meridionale di
Helmand. Secondo il ministero della Difesa britannico, potrebbero essere
stati vittima di "fuoco amico" proveniente da un elicottero Apache
dell'aviazione britannica. In Afghanistan ci sono circa 7.800 militari
britannici. Aumenteranno a 8.030 entro l'inizio del 2009. Un centinaio circa
le vittime.
*
Afghanistan, 11 luglio 2008, ore 8,51
Uccisi due soldati Nato
Due soldati della Nato sono stati uccisi e un altro e' rimasto ferito in un
attentato contro la loro pattuglia nella provincia di Paktika, nell'est
dell'Afghanistan. Non e' stata comunicata la nazionalita' delle vittime.
Circa 120 militari della coalizione, che comprende quasi 70.000 uomini, sono
stati uccisi in Afghanistan nel 2008.
*
Afghanistan, 11 luglio 2008, ore 10,51
Commissione di inchiesta fa luce su bombardamento che uccise 47 civili
La commissione di inchiesta incaricata dal presidente afghano Hamid Karzai
di fare chiarezza sul bombardamento della coalizione del comando Usa del 5
luglio nell'est dell'Afghanistan, ha stabilito che sono state uccise 47
persone, tra cui molte donne e bambini. "Abbiamo scoperto che 47 civili, tra
cui donne e bambini, sono stati uccisi nel corso del bombardamento aereo e
nove persone sono rimaste ferite. Le vittime non avevano legami con i
talebani e al Qaeda", ha comunicato il vicepresidente del Senato Burhanullah
Shinwari. La coalizione internazionale sotto comando Usa aveva respinto le
accuse riferendo che erano stati uccisi "numerosi insorti" durante il
bombardamento.
*
Pakistan, 11 luglio 2008, ore 12,42
Undici persone ferite durante un raid aereo Usa nel Sud Waziristan
Undici persone, tra cui due civili e nove agenti della sicurezza, sono
rimasti ferite durante un raid aereo Usa, effettuato nella notte vicino
Wana, nel Sud Waziristan, al confine con l'Afghanistan. Sembra che siano
stati distrutti anche due veicoli, secondo la televisione privata "Geo tv",
ma per ora non ci sono state conferme ufficiali da parte degli Usa.
*
Pakistan, 11 luglio 2008, ore 18,27
I militanti pro talebani minacciano di uccidere i 27 agenti pakistani
sequestrati
I militanti pro talebani hanno minacciato di cominciare a uccidere i 27
agenti della sicurezza pakistana, sequestrati nella provincia
nordoccidentale del Paese, se il governo d'Islamabad non rilascera' alcuni
militanti talebani detenuti. Maulvi Omar, portavoce dei miliziani, ha
specificato che ci sono dodici soldati dell'esercito, otto paramilitari dei
Corpi di Frontiera e sette poliziotti. "Se l'esecutivo non rilascia la
nostra gente, e non ripristina i collegamenti telefonici nell'area entro
domani, inizieremo a uccidere gli agenti della sicurezza uno per uno", ha
detto Omar. Centinaia di talebani armati hanno circondato ieri la stazione
di polizia di Hangu e i ribelli hanno lasciato l'area portandosi dietro 27
agenti della sicurezza.

3. MONDO. UMBERTO DE GIOVANNANGELI: UN MILIONE E MEZZO DI SCHIAVE
NELL'ARABIA SAUDITA
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 9 luglio 2008 col titolo "Il rapporto di
Human Right Watch. Un milione e mezzo di schiave nell'Arabia Saudita tanto
amica dell'Occidente".
Umberto De Giovannangeli e' giornalista e saggista, esperto conoscitore
della situazione mediorientale. Opere di Umberto De Giovannangeli: (con
Rachele Gonnelli, a cura di), Hamas: pace o guerra?, Nuova iniziativa
editoriale, Roma 2005; Terrorismo. Al Quaeda e dintorni, Nuova iniziativa
editoriale, Roma 2005]

Un esercito di schiave. Sfruttate. Picchiate. Violentate. Senza diritti.
Senza dignita'. Costrette a lavorare per 18 ore, sette giorni su sette. E se
qualcuna osa ribellarsi il suo destino e' segnato: fustigata a sangue. "Come
se non fossi un essere umano". E questo in un Paese che l'Occidente
democratico, paladino dei diritti della persona, considera un fedele alleato
nel nevralgico scacchiere mediorientale: l'Arabia Saudita. L'organizzazione
Human Right Watch (Hrw), che difende i diritti umani, denuncia che milioni
di donne di origine asiatica sono trattate come delle schiave in Arabia
Saudita. Per questo motivo Hrw chiede a Riad di prendere misure radicali per
tutelarle legalmente.
L'Organizzazione non governativa dopo due anni di ricerche ha pubblicato il
rapporto dal titolo "Come se non fossi un essere umano" e stima che un
totale di 1,5 milioni di donne tuttofare provenienti dall'Indonesia, dalle
Filippine, dallo Sri Lanka e dal Nepal sono sfruttate in Arabia Saudita.
"Nel migliore dei casi le donne che emigrano in Arabia Saudita beneficiano
di buone condizioni di lavoro e di buoni datori di lavoro. Nel peggiore
invece sono trattate quasi come delle schiave. Nella maggior parte dei casi
queste donne si trovano in una condizione intermedia", riassume Nisha Varia,
coautrice del rapporto. La legislazione sul lavoro nel regno
ultraconservatore, secondo il rapporto, "esclude le domestiche, privandole
di diritti garantiti invece agli altri lavoratori, come ad esempio un giorno
di riposo settimanale ed il pagamento di ore di straordinario". "Il governo
saudita ha fatto delle proposte di riforma ma ha passato anni a contemplarle
senza prendere alcuna misura in merito", afferma Varia e continua: "E'
arrivato il momento di attuare queste riforme".
In Arabia Saudita, ufficialmente, la schiavitu' e' stata abolita solo nel
1963. Ufficialmente. Perche' la realta' racconta un'altra storia.
Agghiacciante. Nel lavoro di 133 pagine, corredato da piu' di 80 interviste
a domestiche, emerge un quadro drammatico di sfruttamento e violazione dei
diritti umani. "Per un anno e cinque mesi non ho percepito stipendio. Quando
chiedevo il denaro il mio datore di lavoro mi colpiva, cercava di ferirmi
con un coltello", afferma una donna. "Lavoravo 18 ore al giorno, 7 giorni
alla settimana, per anni, senza essere pagata", dichiara una signora di
origine indonesiana. La materia di diritto, in tema di tutela delle donne
sul lavoro in Arabia Saudita da' un potere molto forte agli uomini, al punto
da impedire alla domestica di cambiare luogo dell'occupazione o lasciare il
Paese. In questi anni numerose donne filippine, indonesiane, dello Sri Lanka
hanno cercato rifugio nelle rispettive ambasciate. "E' tempo di fare dei
cambiamenti - afferma una donna intervistata - cercando di garantire anche
alle domestiche il rispetto dei diritti del lavoratore, previsti dalla legge
del 2005".
"Le donne continuano a subire discriminazioni di fronte alla legge e nelle
consuetudini e non hanno ricevuto adeguate protezioni contro la violenza
domestica e familiare", denuncia Amnesty International in un suo recente
rapporto sulla condizione della donna in Arabia Saudita. "Ogni giorno -
ricorda Amnesty - i diritti fondamentali di chi vive in Arabia Saudita sono
prevaricati e in pochi vengono a saperlo: condanne a morte, fustigazioni ed
amputazioni sono comminate ed eseguite senza la minima considerazione per i
principi di umanita' e le regole del diritto internazionale". Un diritto che
non trova spazio in Arabia Saudita. Un Paese in cui - concordano le piu'
impegnate associazioni umanitarie internazionali - il Corano e la shari'a
(legge islamica) sono utilizzati come strumento per opprimere, spaventare,
violare la dignita' di donne, bambini, uomini impotenti ed incapaci a
difendersi. Donne come Maria, giovane filippina giunta in Arabia Saudita
come collaboratrice domestica e colta dal padrone di casa, qualche mese piu'
tardi, mentre dava da mangiare all'autista. Per questo "reato" - aver
avvicinato un uomo, seppur per offrirgli del cibo - la domestica fu
condannata a dieci mesi di carcere e a 200 frustate. Al termine della pena,
Maria venne deportata nelle Filippine.

4. LIBRI. ANNA BRAVO: INTRODUZIONE DI "A COLPI DI CUORE" (PARTE SECONDA)
[Ringraziamo di cuore Anna Bravo (per contatti: anna.bravo at iol.it) per
averci messo a disposizione il capitolo introduttivo del suo recente
stupendo libro A colpi di cuore. Storie del sessantotto, Laterza, Roma-Bari
2008.
Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha
insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e
genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non
omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni
nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha
diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione
nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle
storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza
in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni
culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della
verita'. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli,
Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991;
(con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della
deportazione dall'Italia,  Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone),
In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995,
2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999;
(con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne
nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra
Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia
contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna
2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008]

I temi
Racconto per temi vuol dire sguardo trasversale, e sguardo trasversale vuol
dire ballare sul filo della dispersione, dell'ovvieta', dell'azzardo, un
azzardo acuito dal fatto che non tutte le realta' sono state documentate
allo stesso modo e con criteri paragonabili - in Italia ci sono piu' libri
su Lotta continua che sulle altre organizzazioni extraparlamentari, piu' sul
femminismo radicale che su quello delle donne dei gruppi, troppo poco sui
cattolici nei movimenti e sul ruolo del Partito radicale. Eppure mi pareva
che alcuni pezzi di storia potessero guadagnare chiarezza dall'essere messi
in consonanza all'interno di uno stesso indicatore.
Come sfondo ho scelto la storia delle donne e quella dei giovani, come
vettori narrativi i modi in cui si formano e si disfano le soggettivita',
spesso in bilico fra rigetto delle vecchie norme, prove di
autodeterminazione, richiamo di un nuovo conformismo. A volte ho dovuto
tagliare senza pieta' neppure per me stessa. Avrei scritto pagine e pagine
su Carla Lonzi, o sul diverso rapporto con il passato degli studenti della
Repubblica federale tedesca (13) e di quelli italiani, i primi tormentati
dalla ricerca della verita' sul nazismo, i secondi stranamente acritici
sulle responsabilita' nazionali nella guerra e nella Shoah e pacificati
dalla funzione di riscatto della resistenza.
Mi sono trovata a muovermi fra ragazzi e ragazze delle grandi universita'
americane e delle nostre Trento, Torino, Roma, fra la nonviolenza di Martin
Luther King e la sua crisi, il maggio francese e le sue derive, l'autunno
caldo e l'"antifascismo militante" in Francia e in Italia; tra la
inaffondabilita' apparente del modello patriarcale (ovunque) e la tempesta
che gli scatena addosso il femminismo (ovunque). E tra Presley, We Shall
Overcome e Mr. Tambourine Man. All'Italia ho dedicato uno spazio a se' dove
l'economia del libro mi sembrava lo permettesse, ma faticando molto a
selezionare un patrimonio in cui e' difficile trovare storie meno che
interessanti.
Nei primi due capitoli, ho cercato di mostrare le origini plurime dei
movimenti misti, dai primi segni di malessere e ribellione dei giovani al
distacco dalla societa' adulta. Ma per il femminismo ho dato spazio, oltre
che al contesto orizzontale dei fenomeni e ideologie di fase, all'orizzonte
lungo rappresentato dai pensieri e gesti di altre donne e altri tempi.
Sebbene il femminismo sia spesso considerato una filiazione del sessantotto,
c'e' un filo che dai gruppi radicali dei primi anni sessanta risale alle
lotte delle donne europee nella guerra e nella resistenza,
all''emancipazionismo tardo ottocentesco e primo novecentesco, al femminismo
fine '700 (14). L'espressione "second wave" o neofemminismo vuole
rivendicare proprio questa "prima ondata".
Nei capitoli successivi uso un'accezione estesa di politica, quella di
allora. Mi interessava seguire due direzioni. Innanzitutto il passaggio
dalla politica come specializzazione al principio del partire da se',
sostenuto dall'ala antiautoritaria del sessantotto e imposto dal femminismo,
fino al ripiegamento sul modello del partito. Poi, la tensione fra il mito
della democrazia assembleare, gli esperimenti di democrazia partecipativa,
il ruolo delle elites, il sogno della sorellanza e le differenze fra donne.
Un posto particolare ha il movimento per i diritti civili dei neri
americani, che precede il sessantotto, contribuisce a crearlo, ma oltrepassa
il tema delle radici. Al suo interno si trovano, gia' dispiegati, molti
problemi con cui dovranno misurarsi i movimenti, non solo americani: le
forme organizzative, la violenza, l'amore politico e l'amore romantico, i
rapporti maschile/femminile e uomo/donna. Il filone percorre tutto il libro,
in particolare come terreno di coltura del femminismo americano, non il
solo, ma il primo. Alle politiche delle donne ho affiancato quelle degli e
delle omosessuali: per la comune rivendicazione della differenza, per il
legame fra linea politica e identita' scelta, infine per la capacita' che
mostra la loro parte piu' vivace di irridere all'imperativo della
rispettabilita' in cui spesso cade la nuova sinistra.
Anche nel quinto capitolo sull'amore ho usato un'accezione ampia. Amore come
innamoramento collettivo, deriva narcisistica, vicinanza agli oppressi,
diversamente dosata a seconda non delle persone, ma della collocazione
sociale - e non intendo i "nemici di classe", intendo i soggetti giudicati
ininteressanti. Poi c'e' l'amore fra persone, legame, incontro. E
rivoluzione sessuale? Si', con l'avvertenza che si parlava di sesso piu' di
quanto lo si facesse, meno di quel che si pensava all'esterno, molto di piu'
di quanto succedeva prima e di quanto sembra oggi, se non si tiene conto
delle emozioni che scatenava allora.
Il sesto capitolo, intitolato al dolore, e', con l'ultimo, quello dove mi e'
stato piu' faticoso patteggiare, perche' tocca momenti e prove il cui senso
e' stato spesso deformato dalla politica o respinto nella "preistoria" di
cui parla Lea Melandri (15). Penso al male d'amore e al male delle amicizie
finite. All'atteggiamento verso la morte, che l'incrudelirsi dello scontro -
quanti uccisi fra i militanti dei diritti civili - trasforma da ipotesi
astratta a eventualita'. Penso soprattutto all'aborto, gia' allora
raccontato con toni diametralmente diversi: atto di liberazione trionfale,
perdita, morte, peccato per le credenti, evenienza della vita, maledizione
femminile. E questione etica, anche se nei movimenti lo dicevano in poche e
a bassa voce, per paura di essere usate dai proibizionisti - o di scoprire
che era davvero cosi'.
Sull'ottavo capitolo, aggiungo che la violenza su cui mi concentro e' quella
di chi e' rimasto al di qua dello spartiacque rappresentato dall'aver
versato il sangue degli altri - un criterio tragicamente utile per
orientarsi nel magma della violenza politica o parapolitica.
Lungo tutto il libro faccio molte incursioni nel passato. E' il mio lavoro,
credo aiuti a capire, e che per le donne sia specialmente importante
scoprire storie capaci di influenzare altre storie e infine le vite. Storie
vere e inventate, storie amichevoli aperte a sprazzi di felicita' e buona
fortuna - la bruttina Lolita del racconto di Dorothy Parker, che delude le
speranze materne trovandosi un marito bello innamorato e straricco (oggi
c'e' Ugly Betty, benvenuta). E anche storie impietose: la Bella Bionda che
passa la vita ad adattarsi agli uomini e si ritrova in compagnia di una
bottiglia di whisky (16).
Infine un'osservazione. A volte mi permetto domande troppo esigenti, quasi
anacronistiche, oppure faccio la storia con i se. E' che penso sia un modo
per non dimenticare che le cose potevano andare diversamente.
*
Memoria generazionale
Per questo libro ho lavorato con atti di convegni e raccolte di materiali
dell'epoca, giornali, alcuni documenti inediti, letteratura, analisi
storiche, e in alcune ho trovato grande aiuto. Ma mi sono rivolta
soprattutto alla memoria, quella incisa in slogan, immagini, canzoni,
leggende, e quella narrativa, orale e scritta. Memoria come strumento per la
storia, e qui ci si affida a metodi collaudati. Memoria come oggetto
specifico di ricerca, come racconto con la sua cifra, stilizzazioni, derive,
errori, con la sua scommessa di far fruttare l'"esserci stato" senza farne
un attestato di verita' e senza l'illusione di dire tutto. E' un problema
della memoria come della storia, che non consiste tanto nel diverso peso
assegnato ad alcuni momenti (e' anzi interessante, per esempio, che esistano
molte versioni della "fine del sessantotto"), quanto nella difficolta' di
selezionare i fatti. Se dipingere e' l'arte di svuotare una tela, qui si
tratta di svuotare una tela di cui si e' parte. La tentazione puo' essere
allora quella di farci entrare tutto, le idee strutturate, quelle in farsi e
quelle fisse, gli eventi e i minimi particolari, i barlumi, le schegge: la
mappa dell'impero, cosi' accanitamente dettagliata da ridursi a una
duplicazione del reale. Forse non e' l'ultima delle ragioni di una certa
renitenza a studiare anni cruciali sia per la storia dell'Italia
repubblicana, sia per quella dei giovani e delle donne del XX secolo.
Le vaghezze, in fondo, sono il meno. C'e' un'infinita' di esempi sul modo in
cui da un ricordo incerto, da una datazione sbagliata, si puo' risalire a un
mondo. Il piu' citato, per la chiarezza e il rispetto che mostra ai
narratori, si deve ad Alessandro Portelli (17). Negli anni ottanta alcuni
metalmeccanici di Terni gli avevano raccontato che nell'ottobre 1953,
durante un ciclo durissimo di lotte per il lavoro, un giovane operaio era
stato ucciso dalla polizia. Se non che, il fatto era avvenuto nel 1949, nel
corso di una manifestazione contro l'ingresso italiano nella Nato, e non si
era riusciti a organizzare uno sciopero in risposta. Slittamento temporale
non deliberato ma non incidentale, che rifletteva la spinta a trasformare
quella morte, interna a una battaglia perduta, in un potente simbolo della
tradizionale combattivita' ternana. La data era falsa, l'orgoglio operaio
era vero.
Peccato che per gli anni '68 a volte la memoria sia trattata un po' troppo
sommariamente, senza tener conto delle sensibilita' maturate dalla storia
orale, delle riflessioni su biografia e autobiografia, dei metodi
dell'analisi del racconto. Poche notizie su chi scrive o parla e sul
contesto dell'incontro, sul rapporto fra intervistato e intervistatore, sul
modo in cui un ricordo e' incastonato nel tessuto della narrazione.
Dimenticanze ormai irrisolvibili. L'importante e' che abbiamo ricerche
sull'autoimmagine dei militanti, sulla presa di coscienza politica e sul
disincanto, sulle relazioni personali, sulle genealogie familiari e
ideologiche.
E' una memoria ricca. Maschile e femminile, anche se esiste una
compartimentazione per cui di femminismo parlano le donne (e rari uomini),
di tutto il resto gli uomini, e molte meno le donne. Socialmente e
geograficamente variegata. Mista negli Usa fino all'esodo dei militanti
neri. Ovunque estesa a tutte le componenti della cosiddetta nuova sinistra.
Soprattutto e' una memoria doppiamente generazionale. Che aver vissuto un
evento da ragazzi aggiunga bellezza al ricordo e' noto, la storia orale ha
insistito molto sulla variabile dell'eta'. In questo caso e' particolarmente
importante, perche' si tratta di vicende di giovani in quanto giovani e in
comunanza con altri giovani. E perche' e' raccontata da adulti/anziani, che
convergono nei medesimi sottogruppi di eta'. Le memorie passano attraverso
corpi invecchiati, di cui in genere si parla poco, mentre non si parla quasi
mai, come fosse una colpa, del sentimento di perdurante giovinezza che puo'
irrompere nel ricordo - e nella vita. Anche se i movimenti hanno contribuito
alla tendenza a spostare indefinitamente in avanti la vecchiaia, questi ex
sembrano avere una coda di paglia eccessiva, tanto piu' se li si confronta
con altri narratori. La rivendicazione piu' solare del proprio sentirsi
tuttora giovani viene da alcune tranches biografiche di militanti del 1977
riunite in un bel libro da Enrico Franceschini (18) - sara' l'eta' comunque
piu' giovane, sara' che il bersaglio ideologico principale sono gli ex
sessantottini, accusati di aver fatto un salto dall'adolescenza alla
vecchiaia senza passare per la fase adulta. Il che, in fondo, non sarebbe
cosi' terribile: la vecchiaia e' un momento biologico inevitabile, essere
adulti e' un criterio sociale, cui non e' obbligatorio uniformarsi.
Ma stranamente sugli aspetti generazionali c'e' meno dibattito di quanto ci
si aspetterebbe, meno tentativi di comparazione con altre memorie di
gioventu', scolastiche, di gruppi di pari. Credo che a fare ostacolo sia il
peso simbolico delle guerre moderne, specie la grande guerra, in cui la paga
del soldato, il giovane per eccellenza, e' la morte, e la memoria, ribelle o
rassegnata che sia, e' sempre estranea e carica di dolore, a cominciare
dalla memoria incorporata nei canti popolari. Difficile confrontarsi con
questo estremo.
Ho invece incontrato punti di contatto fra racconti degli anni '68 e altri
di resistenza, in cui le smagliature sembrano legate sia al rischio fisico,
sia al modo febbrile di percepire i fatti, si tratti di uno scontro armato o
di una corsa spericolata in macchina.
Nell'accumulo di memorie spiccano grandi divergenze e topoi
straordinariamente simili. Come quello che in Italia e Francia circola in
alcune battaglie di strada: "Arrivano gli operai!", dalla cintura torinese,
dalla banlieue parigina - e dai western, dal canto Partisans dove i
resistenti sbucano da ogni parte, dalle chansons de geste, dalle fiabe. La
memoria e' una grande miscelatrice di fatti, leggende, materiali letterari,
immagini. E una grande narratrice di genealogie: in un testo recente, la
figura del partigiano, presente in molti racconti come padre simbolico,
diventa protagonista, mediatore con la polizia e nume tutelare (19). E' una
rivendicazione di identita' per interposta persona cosi' fusa nel racconto
dei fatti da movimentare la distinzione fra registro narrativo
dell'autopresentazione e registro del resoconto.
Spesso i racconti piu' interessanti sono di donne, come se ci fossimo fatte
carico di traghettare fatti e sentimenti nella sfera del pubblicamente
memorabile o semplicemente di conservarli. Mi vengono in mente le parole di
un ventenne di Sarajevo che spiegava il suo bisogno di voltare pagina, e la
risposta della ragazza italiana Sabina Langer: "Potete dimenticare perche'
ci sono le madri che ricordano per voi" (20).
*
Memorie del femminismo
Il femminismo ha una memoria meno generazionale - si andava dalle ragazzine
alle piu' che adulte; piu' omogenea socialmente, con una prevalenza vistosa
di ceto medio, piu' varia culturalmente - studentesse, casalinghe,
insegnanti, fotografe, grafiche, pittrici, musiciste. Fra le donne, il
filone delle artiste e' piu' interno al movimento che fra i giovani.
Molte memorie anche qui, ma anche un legame fondativo con la memoria quale
nessun altro movimento ha avuto. Il tramite e' l'autocoscienza, metodo
conoscitivo e narrativo che vuole svelare "come sono andate realmente le
cose", e marcare la propria differenza rispetto alla storia. La prima che sa
di essere parziale, e fa di questa consapevolezza la sua promessa di
verita', la seconda che si pretende oggettiva solo perche' non si accorge di
essere completamente interna alla versione maschile. Il piccolo gruppo di
autocoscienza e' molte cose, ma innanzitutto il luogo di una
contronarrazione, una comunita' di parola e di ascolto in cui non si puo'
ovviamente condividere l'esperienza del passato, ma quella di ricordarlo e
interpretarlo si'. Con tutto il potenziale di rottura che ne deriva, e che
fa della biografia l'orizzonte della soggettivita' femminile.
Questo dono di nascita non scioglie di per se' i dilemmi della memoria. Al
femminismo spetta il compito equilibristico di raccontare una vittoria
vistosa ma parziale, senza svalutarla e senza nascondere che il conflitto
non e' chiuso e che i risultati non sono irreversibili. Spetta rendere
avvincente una storia che l'etichetta del successo fa apparire conclusa,
come un poliziesco di cui sia gia' noto il finale. Alcune delle conquiste
degli anni settanta sembrano talmente ovvie da far pensare alle piu' giovani
che ci siano sempre state. Per il femminismo, e' un effetto a doppio
taglio - la misura di quel che si e' ottenuto e insieme il rischio di essere
archiviato come reperto piu' o meno prezioso di un tempo concluso. Uscire da
questa impasse e' un'impresa da politica politicante, quella che fra le
donne incontra piu' insofferenza.
Secondo dilemma. Nella prima fase del femminismo dominava il paradigma
dell'oppressione - la storia come una catena di sopraffazioni, le donne come
vittime assolute, condannate al confino domestico, escluse dal mondo. Presto
si e' fatta strada una visione piu' ricca, attenta alle strategie femminili
per guadagnare spazi di liberta', alle connivenze con il maschile, al modo
in cui le donne creano una propria sfera pubblica ed esercitano alcuni
poteri. Ma se il paradigma andava sfumando, l'oppressione patita restava. E
restava la tentazione di rappresentare un passato tutto in perdita, in cui
l'approdo al femminismo simboleggiava una seconda nascita, il frutto della
gravidanza di se stesse.
Solo che raccontarsi come vittime e' difficile, specialmente da quando il
modo principale per avere voce e' dichiararsi tali, in una gara a chi e'
piu' oppresso (21). Solo che la nuova vita non e' tutta nuova ne' tutta
bella, mentre l'opinione comune misura il valore del movimento sulla
situazione personale di chi ne ha fatto parte. E' "l'esame felicita'" (22).
Caso unico: dalle svolte politiche non si pretende mai il passaggio
istantaneo alla beatitudine. Dal femminismo si'. E alle donne si chiede,
come a un minore che abbia voluto fare di testa propria: "Almeno [cioe':
dopo tante proteste avventatezze sconvolgimenti], sei felice?". Il che
contribuisce a rendere impervio il racconto dei limiti del movimento,
specialmente in tema di democrazia e di sofferenze patite nei rapporti fra
donne - idiosincrasie, abbandoni, ribellioni, logiche di dominio. Una
femminista torinese, Angela Miglietti, ricorda la cartolina - "vi saluto
SS" - che aveva mandato a una compagna del collettivo da cui era stata
espulsa a inizio 1973 (23). Ma in genere si tende a raccontare, piu' che gli
scontri, la loro cornice teorica e politica.
E' un peccato che le rare registrazioni e i verbali delle riunioni di
autocoscienza siano circolati pochissimo. Perche' ritenuti deludenti
rispetto al pathos della comunicazione orale, forse per uno spirito
proprietario simile a quello che qualcuno imputa agli altri movimenti, forse
per la convinzione che l'esperienza non fosse comunicabile. Le competenze in
tema di narrazione autobiografica guadagnate nell'autocoscienza sono ancora
in buona parte da mettere a frutto. E si' che sarebbero "trattate" con cura
e passione, in Italia certamente.
In compenso si sono inventate formule narrative nuove, in cui si
intrecciano, o semplicemente si giustappongono, memoria e teoria (o
ricerca). Fra i primi esempi, Nato di donna di Adrienne Rich (24), una
riflessione sulla maternita' come e' stata costruita socialmente, la
maternita' istituzione, e su come invece la vivono le donne, compresa
l'autrice. E Donne e guerra di Jean Bethke Elshtain (25), che, mentre smonta
i luoghi comuni sul naturale pacifismo femminile, racconta squarci della
propria vita. E' una risposta al buon imperativo, gia' posto dal
sessantotto, di chiarire a chi legge la posizione da cui si scrive: l'essere
nata donna in un paese o in un altro, avere la pelle bianca o colorata, una
certa cultura, una certa immagine agli occhi degli altri, un certo corpo,
sano infermo curato lasciato a se stesso. Giovane o vecchio. Scriveva
Virginia Woolf che come donna la sua patria era il mondo intero. Si', ma a
condizione di tenere se stessa al centro; per una orientale o una
latinoamericana sarebbe sempre rimasta una borghese bianca britannica colta.
Per questo la posizione cambia a seconda della consapevolezza che si ha di
altre storie e persone. Il femminismo bianco americano l'ha imparato. Dopo
una fase in cui presumeva di rappresentare tutte le donne, ha capito che le
radici intellettuali del femminismo nero stavano nei movimenti e
nell'analisi dell'esperienza afro-americana fatta da alcune autrici nere. A
proposito del Terzo mondo, Gayatri Spivak ha spiegato alle femministe
occidentali che se vogliono capire queste donne devono riconoscere l'enorme
eterogeneita' delle situazioni, smetterla di sentirsi privilegiate come
donne, e fare i conti con la forza d'inerzia dei quadri mentali costruiti a
misura del loro pezzo di realta' (26).
In Italia, il lavoro di memoria ha un posto importante. Una delle prime
riviste si e' intitolata "Memoria"; un'altra, "Lapis", ha dato molto spazio
a racconti di origine. Varie autrici hanno lavorato sulla memoria biografica
e autobiografica, i non molti testi di storia del femminismo anni settanta
se ne sono serviti. Esiste una politica degli archivi di donne, una rete di
centri di studio. Vuol dire che il femminismo si e' fatto istituzione? In
parte si', come succede quando si vogliono far pesare le proprie idee nella
sfera pubblica in assenza di un movimento di massa. Vuol dire che esiste una
politica della memoria del e sul femminismo anni settanta? Piu' di una.
*
Note
13. Vedi R. Siebert, Don't Forget. Fragments of a Negative Tradition, in
Memory and Totalitarianism, a cura di L. Passerini, "International Yearbook
of Oral History and Life Stories", vol. I, Oxford University Press,
Oxford-New York 1992.
14. Sulle filiazioni, L. Derossi, Riflessioni sulle "origini". Il femminismo
e il '68, in "Mezzosecolo", 11, Annali 1994-1996 (in realta' 1997).
15. L. Melandri, Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991.
16. D. Parker, Una bella bionda e Lolita, in Il mio mondo e' qui, Bompiani,
Milano 1971 (I ed. it. 1941; ed. or., Here Lies. The Collected Stories of
Dorothy Parker, Viking Press, New York 1939).
17. A. Portelli, Biografia di una citta', Einaudi, Torino 1985.
18. E. Franceschini, Avevo vent'anni. Storia di un collettivo studentesco.
1977-2007, Feltrinelli, Milano 2007. Il collettivo e' quello di
Giurisprudenza dell'Universita' di Bologna.
19. R. Tumminelli, L'altra parte, in P. Staccioli (a cura di), Fragole e
sangue, Edizioni Clandestine, Marina di Massa 2007, pp. 91 sgg.
20. La sede era un seminario sulla memoria organizzato dalla Fondazione
Langer il 30 marzo 2007.
21. Tamar Pitch (L'embrione e il corpo femminile, al sito
www.costituzionalismo.it, fascicolo 2, 2005) fa notare che, dietro l'attuale
potenza simbolica della figura della vittima, e' all'opera, sia pure non in
modo esplicito, una modalita' di pensare il sociale in termini paralleli a
quelli dell'amico-nemico, ossia nei termini di offensore-vittima.
22. A. Marino, Il fantasma della felicita', in "DWF", 1, 1996, p. 15.
23. P. Zumaglino, Femminismi a Torino, con contributi di A. Miglietti e A.
Piccirillo, introduzione di I. Damilano, Franco Angeli, Milano 1996, pp.
173-174. E' uno dei libri piu' laici e aperti su questo tema, e cosi' i
racconti personali presenti al suo interno.
24. A. Rich, Nato di donna, Garzanti, Milano 1977 (ed. or., Of Woman Born,
Bantam Books, New York 1977).
25. J.B. Elshtain, Donne e guerra, il Mulino, Bologna 1991 (ed. or., Women
and War, Basic Books, New York 1987).
26. G. Chakravorty Spivak, In Other Words. Essays in Cultural Politics,
Routledge, London-New York 1988, pp. 135-136.
(parte seconda - segue)

5. STRUMENTI. EDIZIONI QUALEVITA: DISPONIBILE IL DIARIO SCOLASTICO 2008-2009
"A SCUOLA DI PACE"
[Dalle Edizioni Qualevita (per contatti: Edizioni Qualevita, via
Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 0864460006 oppure
3495843946, e-mail: info at qualevita.it oppure qualevita3 at tele2.it, sito:
www.qualevita.it) riceviamo e diffondiamo]

E' pronto il diario scolastico 2008-2009 "A scuola di pace".
Se ogni mattina, quando i nostri ragazzi entrano in classe con i loro
insegnanti e compagni, potessero avere la percezione che, oltre che andare a
scuola di matematica, di italiano, di musica, di lingua straniera, vanno "a
scuola di pace", certamente la loro giornata diventerebbe piu' colorata,
piu' ricca, piu' appassionante, piu' felice.
Queste pagine di diario sono state pensate per fornire una pista leggera ma
precisa sulle vie della pace. Abbiamo sparso dei semi. Spetta a chi usa
queste pagine curarli, annaffiarli, aiutarli a nascere, crescere e poi
fruttificare. Tutti i giorni. Non bisogna stancarsi ne' spaventarsi di
fronte all'impegno di costruire una societa' piu' umana, in cui anche noi
vivremo sicuramente meglio.
Lo impariamo - giorno dopo giorno - a scuola di pace.
Preghiamo chi fosse intenzionato a mettere nelle mani dei propri figli,
nipoti, amici, questo strumento di pace che li accompagnera' lungo tutto
l'anno scolastico, di farne richiesta al piu' presto. Provvederemo entro
brevissimo tempo a spedire al vostro indirizzo le copie del diario. Grazie.
I prezzi sono uguali a quelli dell'agenda "Giorni nonviolenti" perche', a
fronte di un numero inferiore di pagine, trattandosi di ragazzi, la stampa
dovra' essere piu' rispondente alla loro sensibilita' (verranno usati i
colori) e pertanto piu' costosa.
Per ordini del diario scolastico 2008-2009:
- 1 copia: euro 10 (comprese spese di spedizione)
- 3 copie: euro 9,30 cad. (comprese spese di spedizione)
- 5 copie: euro 8,60 cad. (comprese spese di spedizione)
- 10 copie: euro 8,10 cad. (comprese spese di spedizione)
- Per ordini oltre le 10 copie il prezzo e' di euro 8: costo dovuto al fatto
che quest'anno ci limitiamo ad effettuarne una tiratura limitata.
Per informazioni e ordinazioni: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2,
67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 0864460006 oppure 3495843946, e-mail:
info at qualevita.it, sito: www.qualevita.it

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 514 del 12 luglio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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