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La domenica della nonviolenza. 170
- Subject: La domenica della nonviolenza. 170
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 29 Jun 2008 12:34:41 +0200
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 170 del 29 giugno 2008 In questo numero: 1. Umberto Galimberti presenta le "Opere" di Baruch Spinoza 2. Toni Negri presenta le "Opere" di Baruch Spinoza 3. Eugenio Scalfari presenta le "Opere" di Baruch Spinoza 4. Emanuele Severino presenta le "Opere" di Baruch Spinoza 1. LIBRI. UMBERTO GALIMBERTI PRESENTA LE "OPERE" DI BARUCH SPINOZA [Dal quotidiano "La Repubblica" del 26 maggio 2007 col titolo "Un Meridiano con l'opera del pensatore olandese Spinoza, il pensiero perseguitato"] Nonostante l'insegnamento di papa Ratzinger, secondo il quale non c'e' conflitto tra fede e ragione (lasciando sottinteso che, in caso di conflitto, ad aver torto non e' la fede, ma la ragione, in base al principio tomista: philosophia ancilla theologiae), i filosofi non se la sono mai passata tanto bene nel confronto con le autorita' religiose, di qualunque posizione di fede esse siano espressione. Ne e' un esempio Baruch Spinoza, di cui Mondadori ha pubblicato in questi giorni l'intera opera, ottimamente tradotta e curata da Filippo Mignini con la collaborazione di Omero Proietti. Spinoza nasce ad Amsterdam nel 1632 da una famiglia ebrea che era stata costretta ad abbandonare la Spagna per l'intolleranza religiosa di quel paese. A 24 anni venne espulso dalla comunita' ebraica, dove era stato educato, "per eresie praticate ed insegnate". Nel 1670 comparve anonimo il suo Trattato teologico-politico, dove tra l'altro si legge che "in una libera comunita' dovrebbe essere lecito a ognuno pensare quel che vuole e dire cio' che pensa". Il libro fu subito condannato dalla chiesa protestante e da quella cattolica, e Spinoza dovette impedire la pubblicazione di una traduzione olandese per evitare che fosse proibito anche in Olanda. Stessa sorte ebbe la sua opera maggiore: Ethica ordine geometrico demonstrata, di cui Spinoza rinvio' la pubblicazione perche' sarebbe stata immediatamente condannata, in quanto si sosteneva che Dio e' la natura (Deus sive natura) e le cose di natura sue manifestazioni regolate da una ferrea necessita'. Per cui Spinoza puo' dire: "gli uomini credono di essere liberi perche' sono consci delle loro azioni e ignari delle cause da cui vengono determinati". Quest'opera verra' pubblicata solo dopo la morte del filosofo, che avvenne a 44 anni per tubercolosi, dopo una vita trascorsa fabbricando e pulendo lenti per strumenti ottici, per guadagnarsi il pane. L'edizione Mondadori include le opere di Spinoza non nella collana di letteratura e di filosofia, ma in quella dei "Classici dello spirito". Giustamente, perche' Spinoza spezza quell'impropria alleanza tra pensiero greco e pensiero giudaico-cristiano, cosi' cara a Ratzinger e a Giovanni Reale, perche' abissale e' la differenza tra la cultura giudaico-cristiana che concepisce la natura come un prodotto della "volonta'" di Dio, consegnata alla "volonta'" dell'uomo per il suo dominio, e la cultura greca che concepisce la natura come quel cosmo che, al dire di Eraclito: "Nessun dio e nessun uomo fece, perche' sempre fu, e', e sara'", regolata da quella necessita' (ananke) a cui l'azione umana deve piegarsi come alla suprema legge. Dello stesso parere e' Platone che nelle Leggi scrive: "Non per te, uomo meschino, questa vita si svolge, ma tu piuttosto vieni generato per la vita cosmica". Spinoza riprende l'originario modello greco, tenendolo ben distinto (donde le scomuniche) da quello giudaico-cristiano, che pone l'uomo al centro dell'universo e la natura come ambito del suo dominio. In questo modo ribalta la metafisica occidentale e soprattutto la stretta alleanza tra filosofia e teologia che su quella metafisica si fondava. In questo senso Spinoza anticipa l'oltrepassamento della metafisica, che noi conosciamo a partire da Nietzsche e da Heidegger, e, nel suo trattato sulla politica, precorre di un secolo e mezzo l'Illuminismo, rivendicando la liberta' di pensiero e la tolleranza nell'ambito delle fedi. Oggi come allora, Spinoza sarebbe rubricato tra i panteisti, come Cusano e Giordano Bruno, di cui il filosofo olandese evito' un'analoga fine solo astenendosi dal pubblicare i propri libri. Questa e' la sorte della liberta' di pensiero, quando egemoni sono le fedi. 2. LIBRI. TONI NEGRI PRESENTA LE "OPERE" DI BARUCH SPINOZA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 settembre 2007 col titolo "Spinoza. La feconda eredita' di un pensiero materialista proiettato sul presente" e il sommario "Il Meridiano delle Opere di Baruch Spinoza. Una raccolta e una bella traduzione di tutti gli scritti unita a una efficace nota che scandisce la vita del filosofo olandese. L'interpretazione di Spinoza e' stata in perenne rinnovamento, anche se non mancano ancora studiosi che cercano di neutralizzare un pensiero la cui eredita' permette di uscire dalla crisi della cultura della sinistra italiana"] In una recente intervista Pierre-Francois Moreau (oggi punto di riferimento degli studi francesi su Spinoza) ha notato che l'Italia e' forse il paese nel quale si pubblica di piu' sull'opera di Spinoza. Paradossalmente, nel nostro paese non c'era tuttavia un'edizione di riferimento che, in buon italiano, comprendesse l'intera opera del grande autore seicentesco. Oggi, questa opera finalmente c'e': pubblicata da Mondadori nei Meridiani, a cura e con un saggio introduttivo di Filippo Mignini (che ha anche lavorato alle traduzioni ed alle note con Omero Proietti). Quest'edizione e' importantissima perche' raccoglie, come s'e' detto, tutta l'opera di Spinoza, perche' la traduce bene, perche' contiene un'utile introduzione teorica, un accurato accenno storico alla fortuna di Spinoza e soprattutto perche' offre un'accurata cronologia ragionata sulla vita di Spinoza e sull'ambiente olandese nel quale la sua filosofia si e' formata. (A proposito chi ne ha il tempo puo' ancora visitare a Parigi, nel Musee d'Art et d'Histoire du Judaisme, una ricchissima ed appassionante esposizione sull'Amsterdam ebraica di Rembrandt e Spinoza). Era ora che questo strumento essenziale fosse messo a disposizione degli studiosi italiani. * Un autore azzerato Come ben si segnala nell'introduzione, l'interpretazione di Spinoza e la sua fortuna sono state in perenne rinnovamento. Anche a chi scrive e' richiesto di prendere posizione su questo terreno e di misurare in che prospettiva mettersi nello spendere o forse, meglio, nell'investire le fortune lasciateci da Spinoza. Ho tra le mani la recensione che alla traduzione Mignini-Proietti, ha fatto Emanuele Severino nel "Corriere della sera". S'intitola: "Spinoza, Dio e il Nulla. Il maestro del Seicento, lontano dalla religione, ma tentato di negare il mondo" (30 giugno 2007). Severino aderisce all'affermazione di Mignini che la filosofia di Spinoza rappresenti: "il piu' radicale ed alternativo sistema della storia filosofica dell'Occidente dopo la venuta di Cristo" - ma, come spesso gli storici della filosofia hanno fatto (allo scopo di neutralizzare questa potente radicalita' alternativa), aggiunge che l'immanenza spinozista si sporge sul nulla, che l'assoluto della produzione sembra confondersi in quello della distruzione e che queste spinte opposte "hanno in comune la convinzione decisiva ed abissale che le cose del mondo sono nulla". Questo sforzo di neutralizzazione e' stato probabilmente - nella sua forma piu' sofisticata - elaborato da Hegel quando, dopo aver affermato che "se non si e' spinozisti, non si puo' filosofare" - che cioe' solo l'assunzione dell'assoluto e l'immersione in esso aprono alla filosofia - immediatamente aggiunge: non solo Spinoza non ha la capacita' di sviluppare quest'assolutezza perche' non e' trinitario, dialettico, perche' e' ebreo, ma anche perche', ´"povero tisicuzzo", non ne ha la forza. Quale mascalzonata! Perdura, tuttavia, questo stile di polemica e permette a chi vede nell'essere una tendenza alla morte, di rimproverare a chi scriveva: "l'uomo libero a nulla pensa di meno che alla morte, e la sua saggezza e' meditazione non della morte ma della vita" (Ethica), di confondere l'essere e il non essere. Eppure no: "la nostra mente, in quanto percepisce le cose con verita', e' una parte dell'intelletto infinito di Dio" (Ethica). Possiede dunque la potenza del divino - questa natura, questa materia della quale siamo fatti, hanno quella potenza. Collocandoci dentro una storia di investimenti della potenza spinozista, chiediamoci che cosa sia oggi, come possa per noi configurarsi, il materialismo spinozista. Non e' un materialismo dell'oggetto inerte, diremo, e neppure e' quello che semplicemente promana da sequenze causali necessarie: e' bensi' un materialismo delle differenze attive e dei dispositivi soggettivi, ovvero un'affermazione della materia come forza produttiva, attraverso l'attivita' di quelle modalita' che costituiscono la sostanza. Questa linea interpretativa ha, nell'ultimo trentennio dopo il '68, invaso il terreno delle letture spinoziste ed e' difficile pensare che oggi, e forse per un lungo periodo, ci si possa dire spinozisti (e quindi cominciare a filosofare) evitandone l'efficia. * Un'etica dell'azione Da questo punto di vista, la pubblicazione dell'Opera omnia di Spinoza offre un'ottima occasione per la ripresa del dibattito sul problema della cultura di sinistra in Italia. Il socialismo positivista ha finito da tempo di dare i suoi frutti ed anche le rifioriture engelsiane si sono ampiamente dissolte. Quanto al togliattismo, ovvero allo storicismo piegato alle esigenze della politica del partito, anch'esso ha da tempo terminato di esercitare qualche influenza. Che mille fiori fioriscano, allora! In realta' sono gia' fioriti: non saranno mille ma per quanto minuscolo il campo della critica di sinistra possa essere, e' sicuramente originale e sta ridefinendo i suoi orizzonti. Forse gia' si puo' dire: questo secolo sara' spinozista! Foucault lo disse per Deleuze, Deleuze lo disse per Marx, Marx lo dice per Spinoza. Ciascuno di questi autori ha proceduto mascherato per chiarirci quell'unico modo di fare una filosofia materialista che apra ad un'etica dell'azione. Fra gli anni '60 e '70 abbiamo vissuto un'epoca di profondissima crisi dell'ideologia socialista e di critica del pensiero marxiano. Possiamo forse oggi ritrovare le origini spinoziste di quella riflessione. Un esempio fra altri possibili. Quando Althusser definisce una "cesura" radicale nello sviluppo del pensiero marxiano, egli forse non pensa ancora che la rottura fra la metodologia scientifica del Marx maturo ed il suo umanesimo iniziale potesse essere interpretata in termini spinozisti. Solo piu' tardi, nel momento piu' difficile della sua conversione postmarxista, confusamente Althusser suggerira' una tale determinante del suo passaggio. Straordinariamente efficace questa allusione! Essa significava che Spinoza ci poteva finalmente liberare da ogni dialettismo, da ogni teleologia; essa affidava la conoscenza alla resistenza e la felicita' alla passione razionale della moltitudine. Ecco perche', quando il quadro della lotta per l'emancipazione umana si allarga, e la critica aggancia lo sviluppo capitalistico nella fase della sussunzione reale, nella fase imperiale cioe', nel postcolonialismo - e' allora che sulla "cesura" marxiana si impone apertamente la "matrice" spinozista. E' un materialismo dei dispositivi ontologici e della produzione di soggettivita' che qui apertamente si esprime. E' un passaggio storico nel quale stanno tutti coloro che attorno all'emancipazione, hanno sviluppato un pensiero della differenza, antiteleologico ed immanentista. Mario Tronti e Luisa Muraro, nel nostro (grande) piccolo, ma poi tutti gli altri che, del postmoderno, hanno fatto un'arma di emancipazione: la Spivak come gli altri postcoloniali, per parlare solo di alcuni - ma soprattutto ci sta Foucault. E' questo il momento nel quale il nuovo materialismo spinozista comincia a produrre i suoi effetti, a mostrarci - attraverso le articolazioni della sostanza - la produttivita' dei modi, ossia la piega singolare, rivoluzionaria che essi assumono. * L'offensiva storicista Attenzione tuttavia ai contrefeux che sono opposti a questa nuova fondazione del pensiero materialista o del pensiero politico di una sinistra rivoluzionaria. Vi e' chi sostiene che, aderendo a questo materialismo, si rischia di giocare col fuoco, con il vitalismo e/o un irrazionalismo che ormai fan parte del mercato. Redemption business. Tom Nairn ha sostenuto questa tesi in un recente numero della "London Review of Books": era la stizzosa reazione di un esponente della vecchia guardia socialista contro le nuove esperienze e i nuovi bisogni del proletariato cognitivo. Piu' pericolosa, d'altro lato, si e' presentata, ben agguerrita, un'offensiva storicista, intesa a neutralizzare "l'anomalia spinoziana". E' soprattutto Jonathan Israel - nel suo per altri versi importante Radical Enlightment - che ha operato in questo senso appiattendo la specificita' dello spinozismo in un vago illuminismo riformista. Ma Spinoza non e' mai stato un riformista, non ha mai pensato l'essere come una dinamica che non facesse salti: anzi, e' proprio su queste rotture, su questa vivace presenza dei modi, sulla singolarita' che l'eterno loro garantisce, e sulla liberta', che il futuro si presenta. E cosi' Spinoza rompe con ogni filosofia accademica (ed ogni neutralizzazione del sapere) perche' mette la sua metafisica al servizio diretto della liberazione dell'umanita', e dei movimenti, contro le istituzioni del potere. E' da qui che si apre un'alternativa definitiva alla modernita' e a tutti i suoi orpelli ideologici. 3. LIBRI. EUGENIO SCALFARI PRESENTA LE "OPERE" DI BARUCH SPINOZA [Dal quotidiano "La Repubblica" del 6 luglio 2007 col titolo "Spinoza. Ripenso' Dio e libero' l'uomo. Un meridiano con le opere complete" e il sommario "Un pensiero radicale e per questo molto avversato che cancellava ogni tentazione antropomorfica nella concezione del mondo e della sua creazione. Convivono nei suoi scritti un aspetto distruttivo e uno costruttivo, intrecciati l'uno con l'altro. Nietzsche si imbatte' in lui negli anni '80 del suo secolo e ne rimase sconvolto: ecco il mio precursore. L'incontro decisivo che egli ebbe e che lo aiuto' a definire il suo pensiero fu quello con Descartes"] La pubblicazione avvenuta di recente nei "Meridiani" Mondadori dell'opera completa di Baruch Spinoza e' un evento importante nella cultura italiana e non soltanto per la vastita' degli apparati, la completezza critica dei testi, la qualita' dei commenti e in particolare per le introduzioni alle singole opere e per quella generale, dovuta a Filippo Mignini. L'evento sta nel fatto stesso della pubblicazione. Qui ed ora, viene in mente di dire. Perche' qui ed ora la filosofia di Spinoza attraversa di nuovo una fase attraente, direi in sintonia con i modi di sentire dell'epoca in cui viviamo; ma sintonia pero' non consapevole e percio' inadeguata, neppure nella societa' dei colti e dei filosofi, con alcune importanti eccezioni tra le quali va segnalata quella di Emanuele Severino che di Spinoza e' stato da sempre attento e acuto cultore. Il crescere e il tramontare delle filosofie e dei filosofi che le hanno pensate e' un attributo permanente e quasi il succedersi di una modalita' alla quale sono stati soggetti anche i pensatori piu' significativi, da Descartes a Hobbes, a Kant, ad Hegel e Schopenhauer a Nietzsche e Heidegger, tanto per restare nel solco della nostra civilta' occidentale. Perfino Platone e Aristotele hanno avuto fasi di luminosita' e altre di impallidimento nella memoria collettiva. Ma nessuno ne ha sofferto quanto Spinoza, costretto addirittura a non pubblicare la maggior parte dei suoi scritti che sarebbero comunque incorsi nel sequestro immediato e nell'immediata distruzione, come avvenne per i pochissimi che - lui vivente - videro la luce. Nonostante questo suo silenzio obbligato, fioccarono su Spinoza scomuniche e dannazioni estreme, a cominciare dalla piu' terribile che gli fu inflitta dalla sinagoga di Amsterdam, cui segui' l'ostilita' dapprima blanda ma poi sempre piu' intensa fino a diventare furiosa dei circoli cattolici in Olanda, in Francia, in Germania e a Roma. Infine, non meno violenta, la "damnatio" delle Chiese riformate, luterane e calviniste che fossero. Cosi' anche l'opera postuma ebbe scarsa diffusione e possibilita' assai limitate di influire sull'evoluzione del pensiero filosofico, anche se fu conosciuta e tenuta in gran conto da alcuni degli illuministi (pochi in verita'), la maggior parte di essi accettando semplicisticamente un teismo al cui approfondimento non dedicarono gran tempo. La scoperta di Spinoza arrivo' con l'Ottocento, ad un secolo e mezzo di distanza dall'opera sua. Illumino' quell'arco di anni con intensita' ma poi di nuovo rientro' nel silenzio e soltanto di recente ricominciarono segni di attenzione. Bisognerebbe domandarsi il perche' di questo interesse cosi' discontinuo e precario. La scrittura rocciosa e "geometrica" delle sue argomentazioni non e' certo fatta per accattivare, ma non puo' esser quello il vero ostacolo se solo si pensa alle non minori difficolta' di lettura e di comprensione di filosofi che hanno tenuto a lungo la scena dell'opinione colta, a cominciare da Kant e a finire con Heidegger. Non credo percio' che sia stato quello l'ostacolo, ma piuttosto un altro e cioe' la radicalita' del pensiero spinoziano nei confronti della salvezza, dell'antropomorfismo e della centralita' dell'uomo nel mondo. Non c'e' stata finora filosofia piu' lontana, piu' indifferente, anzi piu' impegnata nella dimostrazione che la nostra specie non puo' vantare alcun privilegio e alcuna posizione dominante nell'universo. Non solo: non puo' appellarsi ne' sperare in alcun Dio che possa assicurarci la salvezza e indicarne il percorso. Ma, nello stesso tempo, una filosofia dedicata alla dimostrazione che "Dio c'e'" come si direbbe oggi, ed anzi e' presente in tutto e dovunque, eterno e assoluto, unica sostanza esistente, della quale tutto l'universo e' pervaso fin nelle sue piu' intime particelle; ma un Dio indifferente, privo di passioni e di affetti, non vendicativo ma neppure misericordioso; un Dio che nulla ha creato, che non conosce se stesso, che nulla vuole perche' non ha volonta'; un Dio infinito e assoluto, pura potenza che incessantemente si attua nelle infinite forme naturali. Infine un Dio che e' "natura naturante" dal quale esplodono senza interruzione le forme della "natura naturata" ciascuna delle quali fondata sulla legge che scaturisce dal suo proprio fondamento. "Questo tuo Dio e' un mostro" gli scrisse uno tra i tanti suoi corrispondenti che cercavano di chiarire a loro stessi il suo pensiero sperando (per loro) che esso potesse almeno esser tollerato dalla Chiesa e dalle Universita' e quindi pubblicamente discusso e diffuso. "Questo tuo Dio e' un mostro". Ma lui, a sua volta, non riusciva a comprendere reazioni cosi' violente e rifiuti cosi' totali. E si accaniva a rispondere, a chiarire il suo pensiero, a definire i soggetti e le idee. La definizione era per lui una vera e propria legge. "Questo e' vero per definizione" diceva, e si stupiva che gli altri non capissero. La forza della definizione e' opera di Spinoza ed assume con lui il valore del "Logos", del "Verbo", della "Parola" celebrati nel Vangelo di Giovanni quale "incipit" della Creazione. Solo che per Spinoza credere nella Creazione era una bestemmia intellettuale: il suo Dio non era creatore ma assoluta potenza necessaria; non manipolava una materia a lui esterna, ma attuava la sua potenza, la sua esplosiva potenza che non poteva che attuarsi. Il suo "tutto e' Dio" non era concettualmente lontano dal piu' radicale ateismo. Anche se la parola ateismo non dovrebbe esser lasciata circolare senza una sua definizione. * Convivono nell'opera di Spinoza un aspetto distruttivo ed uno costruttivo, intrecciati l'uno con l'altro e necessari entrambi. L'uno non potrebbe darsi senza l'altro; la sua raffigurazione e dimostrazione del Dio come potenza infinita e assoluta, unica e pervasiva sostanza di tutte le cose, non potrebbe infatti procedere senza aver sgombrato il campo dalle raffigurazioni fallaci e "superstiziose" che ingombravano le religioni monoteistiche e in particolare quelle giudaica e cristiana. Secondo il suo pensiero queste raffigurazioni fallaci sono: il Dio incarnato, le attribuzioni a Dio di "affetti" propri della natura umana, i miracoli, la rivelazione nel suo complesso. Insomma le Scritture, a cominciare dal Genesi, i Vangeli e la figura di Gesu'-Dio, morto e risorto; Mose', Abramo e l'Alleanza intesa come percorso verso la salvezza. E comincia dal punto piu' sensibile, teologicamente e politicamente: quello del Dio fatto uomo. Scrive ad uno dei suoi corrispondenti cattolici, Hugo Boxel: "Questo io so: che tra infinito e finito non si da' alcuna proporzione", e ad Albert Burgh: "Tu mi compiangi e chiami una chimera la mia filosofia. Oh giovane privo di mente. Chi ti ha incantato fino al punto di portarti a credere che tu possa divorare ed avere negli intestini quel Dio sommo ed eterno?". Ma poiche' i suoi interlocutori fingono di non capire e continuano ad incalzarlo con petulanti richieste di chiarimenti, alla fine spazientito risponde a Boxel: "Quando dico che ti sfugge quale Dio io abbia se nego che l'atto di vedere, udire, osservare, volere si danno in Dio, sospetto che tu creda che non esistano perfezioni maggiori di quelle che sono tipici attributi umani. Ma non mi meraviglio di questo perche' credo che anche il triangolo, se avesse la facolta' di parlare, direbbe egualmente che Dio e' triangolare e il cerchio direbbe che la divina natura e' circolare in modo eminente. Cosi' ognuno ascriverebbe a Dio i suoi attributi, si renderebbe simile a Dio e il resto gli sembrerebbe di forma diversa". Questi pensieri assumeranno forma definitiva nell'Etica, la sua opera piu' completa dove Dio sara' descritto come "la sostanza eterna, infinita e assoluta che non opera con libera volonta' ne' con intelligenza, non ha alcun rapporto personale e diretto con gli uomini ne' con alcuna altra specie, non e' ne' misericordioso ne' vindice o giustiziere, non e' affetto da gioia ne' da tristezza. Non vi e' pregiudizio piu' misero di quello che subordina il presunto amore dell'essere infinito alla venerazione ricevuta da una natura finita. Altrettanto meschina e' la convinzione di poter modificare i decreti di Dio per mezzo delle nostre preghiere, come si potrebbe fare con un padre, un giudice e un re". Dio - per dirla in breve - produce a getto continuo forme in se' perfette, una esplosione di forme, ciascuna determinata e quindi soggetta alla natura della propria forma. Forme moriture come tutto cio' che deriva da una nascita, ma non create da un Dio che abbia utilizzato "altro da se'" o che abbia ordinato un caos preesistente. Le forme prodotte da Dio sono un'eruzione continua il cui fondamento e' Dio stesso il quale, attraverso quelle forme, e' ovunque e tutto pervade con un'immanenza totale. Il mondo cosi' descritto non contiene dunque una scintilla divina inserita dentro ad una materia altrimenti inerte o caotica ma, al contrario, il mondo e' interamente divino e per questo stesso e' infinito. Cosi' ragionava l'ebreo Baruch Spinoza, stupefatto di esser definito ateo e dissacratore, lui che descriveva e sentiva la divinita' onnipotente, nel filo d'erba e nel serpente, nella stella e nell'uomo, senza colpe, senza peccati, senza necessita' di salvezza ne' di individuale sopravvivenza, salvo sapere che ogni ente esistente e perituro non ha altra pulsione che la sopravvivenza della propria forma e quindi la paura della propria morte per quelle forme capaci di pensare se stesse e la propria mortalita'. * L'incontro decisivo che egli ebbe e che contribui' a definire la struttura del suo pensiero fu quello con Descartes che, prima dell'arrivo in campo dell'autore dell'Etica aveva rappresentato la vetta piu' alta della speculazione filosofica aprendo la strada alla modernita'. Il Discorso sul metodo e' stato il punto d'arrivo e insieme il punto di partenza della storia della filosofia che gli va tuttora debitrice per tre aspetti essenziali del suo pensiero: la scoperta dell'io quale punto di riferimento della conoscenza, la necessita' di ancorare l'attivita' conoscitiva a certezze di assoluta evidenza, la distinzione tra la "res cogitans" e la "res extensa" che riassume in due polarita' l'intera moltitudine degli enti recuperandone l'oggettivita' dopo aver affermato l'egemonia conoscitiva ed esistenziale del soggettivismo. Con questo stipite del pensiero moderno si misuro' Spinoza quindici anni dopo la pubblicazione dei Principi di filosofia e la scomparsa del loro autore. In realta' quell'incontro fu inizialmente una sorta di tributo che Spinoza volle pagare alla grandezza innovativa di Descartes, curandone la traduzione dal latino in lingua olandese ed argomentandone le tesi da par suo. Cartesio in quegli anni era preso di mira dalla tradizionale dottrina della Chiesa. Tradurne i testi in una lingua "volgare" era gia' di per se' un modo di esporsi all'implacabile giudizio dell'Inquisizione; commentarli positivamente, sia pure con qualche timida riserva, significava addirittura sfidare l'ortodossia della Scolastica e attirare su di se' gli anatemi dei tribunali ecclesiastici. Il pur prudentissimo Spinoza corse questi rischi, anche se mise bene in chiaro che la sua era stata soltanto un'operazione editoriale e culturale e non gia' lo schierarsi e identificarsi con le tesi di Cartesio dalle quali anzi in piu' punti dissentiva. Molti contemporanei attribuirono allora quella presa di distanza da Cartesio alla necessita' di non approfondire il solco con la Chiesa e con la sua Inquisizione. Ma le cose non stavano cosi'. Il riconoscimento spinoziano della grandezza di Cartesio era senza dubbio genuino, ma altrettanto genuine le sue riserve, in particolare dalla distinzione tra la cosa "estesa" e la cosa "pensante" che Descartes riteneva fossero due sostanze incomunicabili in tutto fuorche' nell'essere entrambe una creazione di un Dio trascendente, mentre Spinoza le vedeva come due attributi di Dio riverberati nella nostra specie come "modalita'" dell'unica sostanza divina e immanente a tutte le cose. Quanto al "Cogito ergo sum" Spinoza non si e' mai espresso in modo esplicito ma dall'insieme del suo pensiero quell'orgogliosa affermazione dell'autonomia dell'io risulterebbe esser stata fatta propria dall'autore del Tractatus. Per arrivare a questa conclusione occorre pero' forzare il pensiero di Spinoza su un punto assai delicato: quello dell'autonomia delle forme nelle quali si esplica la sostanza divina. In verita' Spinoza usa assai poco o per niente la parola "forma" e molto di piu' usa il termine "res" privilegiando l'estensione rispetto al pensiero. Se ne comprende la ragione: la "res extensa" coinvolge nella propria dimensione tutto l'universo inorganico oltre a quello organico. La "cogitans" invece si limita alle facolta' della nostra specie. Ma questo e' un aspetto soltanto quantitativo del problema e quindi non essenziale per le concezioni spinoziane. Per questa ragione io credo che il termine "forma" sia il piu' appropriato per designare la molteplicita' immanente della "natura naturans" nelle sue infinite espressioni. Ebbene: il fondamento di queste forme dell'immanenza sta appunto nelle "modalita'" che le distinguono. La modalita' e' nata perfetta, senza difetti e senza peccato, come Dio l'ha emessa realizzando la sua potenzialita'. L'autonomia di quella forma nei suoi "modi" fa dunque parte della sua definizione e per Spinoza la definizione altro non e' che legge di natura. Questo ragionamento mi porta a concludere che il "Cogito ergo sum" fu accettato e inserito nel pensiero spinoziano. Semmai, ai suoi occhi, sarebbe bastato scandire il verbo "esse" con la prima persona singolare. L'uomo in quanto individuo era titolato a pronunciare questa affermazione, la sua pulsione di sopravvivenza lo portava a quell'orgoglioso "sum", l'evidenza del vero era interamente presente. Aggiungo per la chiarezza di noi postumi che la distinzione cartesiana tra l'estensione e il pensiero e' stata superata non soltanto per le ragioni esegetiche addotte da Spinoza, ma per altre ancor piu' decisive. La mente pensante altro non e' che un'efflorescenza degli apparati cerebrali. Altre volte ho scritto che la mente sta alle mappe cerebrali come la musica sta al pianoforte e le sue "note" stanno ai tasti di quello strumento. Il funzionamento della mente non e' mai lo stesso; come le note vanno rapportate di continuo alla tensione delle corde che le producono. Ne segue che al funzionamento della mente, cioe' del pensiero, cospirano tutti gli organi del corpo e non soltanto il cervello. Il quale riceve dagli altri organi, tramite i flussi sanguigni e i terminali nervosi, sensazioni ed elementi in misura diversa di tempo in tempo. La quantita' di ossigeno non e' mai la stessa, le tossine provenienti dal fegato, dall'intestino, dai reni, non sono mai le stesse e mai gli stessi gli ormoni, gli enzimi, i flussi endocrini. La mente insomma e' parte integrata nel corpo, ne e' determinata e a sua volta lo determina; sicche' nel corpo individuale tutto e' al tempo stesso esteso e cogitante, che e' poi la stessa tesi spinoziana raggiunta attraverso la fisiologia moderna anziche' attraverso le tesi filosofiche dell'immanenza della natura divina. * Non e' certo questa la sede per rivisitare compiutamente la filosofia di Baruch Spinoza, per la quale si puo' adottare la conclusione di Filippo Mignini a chiusura della sua introduzione generale: "E' stato uno dei rari spiriti che nella storia del mondo hanno ideato per qualunque uomo di ogni religione e cultura un percorso di illuminazione e di liberta'". Mi sembra invece interessante mettere in luce i nessi tra lui e il principale tra i pensatori che l'hanno scelto come compagno e maestro. Parlo di Federico Nietzsche, il filosofo che chiude il ciclo della filosofia moderna smantellando il platonismo e le religioni, decostruendo e anzi capovolgendo la scala tradizionale dei valori ed elaborando una visione del mondo, della conoscenza e della civilta' che approda al superamento dell'io e di ogni assoluto. Nietzsche fu piu' un artista e una "voce" che un filosofo nel senso tradizionale della parola. Racconto' il suo pensiero. Parlo' per enigmi, per aforismi, per frammenti, per simboli. Dopo di lui sarebbe impossibile scrivere un trattato o un manuale di filosofia. I pochi che hanno tentato ancora di farlo hanno solo dimostrato la loro irrilevanza. Ma Nietzsche non puo' esser compreso se non si risale a Spinoza. L'autore del Tractatus e dell'Etica puo' apparire, se si bada alla forma della sua scrittura, esattamente agli antipodi dell'autore di Zarathustra. Invece basta ascoltare lo stesso Nietzsche per comprendere di quale spessore fosse la consonanza dei loro pensieri. Nietzsche s'imbatte' (e' il caso di usare questa parola che contiene un elemento fortuito) in Spinoza negli anni Ottanta del suo secolo, ne rimase sconvolto e cosi' ne scrisse all'amico Overbeck: "Sono pieno di meraviglia e di giubilo: ho un precursore, e che precursore! Io non conoscevo quasi Spinoza. Per 'istinto' ho desiderato di leggerlo. Questo pensatore, il piu' abnorme e solitario che sia mai esistito, e' il piu' vicino a me in queste cinque argomentazioni: egli nega il libero arbitrio, la finalita', l'assetto morale del mondo, il non-egoismo, il male. Anche se tra Spinoza e me restano enormi differenze, queste sono da attribuire soprattutto alla differenza dei tempi, della cultura, della scienza. Insomma la mia solitudine - che come capita in montagna alle grandi altitudini, spesso mi toglieva il fiato e mi faceva trasudare sangue dai pori - e' ormai una solitudine in due". Non ci poteva essere elogio maggiore e piu' lucida identificazione. Ma resta, al di la' delle differenze dovute ai diversi contesti storici dei tempi, della cultura e della scienza, che l'autore di Zarathustra chiaramente individua, un approccio che pone Nietzsche in una prospettiva diversa anche nei confronti di Spinoza, rispetto all'intera storia della filosofia occidentale da Platone in poi, ed e' il rapporto con l'assoluto. Con la verita' assoluta. Con la divinita' assoluta. Spinoza e' infatti il piu' radicale assertore dell'assolutezza della verita' e della divinita' dell'immanenza, "sive natura". Dell'essere parmenideo, presente in tutti gli enti che da quell'essere scaturiscono. E della conoscenza che l'intelletto individuale puo' averne. Per Nietzsche al contrario il solo approccio valido alla conoscenza ha il suo fondamento nell'interpretazione. L'interpretazione e' il suo Logos, il suo Verbo, la sola ed unica realta'. L'essere nietzscheano non e' quello di Parmenide ma quello di Eraclito per quel tanto che sappiamo di lui; non e' lo stare, ma il divenire, il flusso, la rappresentazione prismatica dell'universo. Quando, nella lettera a Overbeck, Nietzsche enumera le cinque argomentazioni di Spinoza nelle quali egli si riconosce interamente, compie a mio avviso un errore auto-interpretativo: afferma, come Spinoza, di negare il valore morale del mondo. Ma sbaglia. Il mondo nietzscheano e' un mondo morale proprio perche' ogni interpretazione contiene la sua propria moralita'. Proprio perche' il relativismo nietzscheano nega l'assoluto ma rifiuta il nichilismo. Diciamo dunque che neppure Spinoza riesce a liberarsi dalla metafisica come - dopo Nietzsche - recuperano una sorta di metafisica tutti quei pensatori che riproposero l'essere alla base della loro concezione. Nietzsche e' stato il vero solitario in questo punto capitale del pensiero, e' stato l'unico ad aver descritto la realta' come una polifonia interpretativa il cui fondamento risiede nello sguardo dell'interprete. Dopo Nietzsche resta in piedi una sola domanda: puo' l'interprete interpretare anche se stesso? Domanda fondamentale, cui non si puo' dare risposta se, prima, non si definisca la parola interpretazione e il soggetto che la pronuncia. Una definizione. Ecco che ancora torna in scena Spinoza e il valore che egli attribuisce alla definizione. Vedete? Il Logos, il Verbo, la Parola, la parola-chiave, l'Interpretazione, l'Interprete... Scrive Giovanni all'inizio del suo Vangelo: "All'inizio ci fu il Logos e il Logos era accanto a Dio, il Logos era Dio". Se non ci fosse il relativismo nietzscheano, saremmo di nuovo in piena metafisica. 4. LIBRI. EMANUELE SEVERINO PRESENTA LE "OPERE" DI BARUCH SPINOZA [Dal "Corriere della sera" del 30 giugno 2007 col titolo "Spinoza, Dio e il Nulla" e il sommario "Il pensatore del Seicento, lontano dalla religione ma tentato di negare il mondo. Il paradosso del grande filosofo: un legame segreto lo avvicina a Cristo"] La filosofia nasce volendo essere libera: indipendente da miti, fedi, religioni, opinioni, istinti, costumi sociali, oltre che da ogni costrizione e comandamento che provengano dall'esterno di cio' che essa porta alla luce, chiamandolo "verita'". Ma lungo la sua storia la filosofia si e' posta sempre in rapporto con tutte queste forze, da cui essa non intende farsi guidare, per indagarne il significato e la consistenza: soprattutto con le religioni monoteistiche (e con il potere politico) - e in particolare col cristianesimo. All'interno della grande epoca della tradizione filosofica, cioe' del pensiero che pone l'Eterno al di sopra o nel cuore del Tempo, e al suo fondamento, Spinoza e' certamente il piu' lontano dal mondo religioso. Si puo' dire che quello di Spinoza sia addirittura "il piu' radicale e alternativo sistema della storia filosofica dell'Occidente dopo la venuta di Cristo"? Lo sostiene Filippo Mignini, che con grande perizia e acume ha curato la prima edizione italiana di tutte le opere del filosofo, con la collaborazione di un altro specialista, Omero Proietti, per i Meridiani di Arnoldo Mondadori editore: Spinoza, Opere; quasi duemila pagine, ottime traduzioni inedite; un evento culturale importante. Sono note le vicende di questo grande, probo e pacifico pensatore ebreo, cacciato dalla Sinagoga e condannato, oltre che dagli ebrei, dai cristiani, protestanti e cattolici, e dagli Stati. Nonostante l'ammirazione di un ristretto circolo di amici, lo si considera "l'uomo empio e pericoloso di questo secolo", come scrive Arnauld, approvato da Leibniz (che pero' nel 1671 invia a Spinoza, a cui riconosce "insigne perizia nell'ottica", il proprio scritto Notizia sui progressi dell'ottica, per averne il giudizio). Anche Boyle, il grande precursore della chimica moderna, indirettamente in contatto con Spinoza, contribuisce a denunciare l'empieta'. "Ateo, fatalista, materialista, dissacratore della Scrittura e di ogni religione, corruttore della morale e dalla stessa convivenza umana": queste, ricorda Mignini, le accuse principali rivolte al filosofo. Ma il giorno di Natale del 1784 Herder dona a Goethe gli Opera Posthuma di Spinoza: "Rechi oggi il santo Cristo in dono di amicizia il santo Spinoza", scrive; "Spinoza sia sempre per voi il santo Cristo". Odiato o dimenticato per un secolo, a partire dagli ultimi lustri del XVIII secolo il pensiero di Spinoza viene riconosciuto in tutta la sua potenza. Jacobi, Fichte, Schelling, Herder, Goethe, Schiller, Lessing, Hegel, Schopenhauer, Nietzsche, Borges, Einstein, tra gli artefici e i testimoni di questa rinascita. Che anche oggi e' attuale - soprattutto per le tesi sul rapporto tra Stato e Chiesa, fede e ragione e per la difesa della democrazia. "La liberta' di filosofare - si legge sul frontespizio del Tractatus theologico-politicus - si puo' concedere senza danno per la pieta' e la pace dello Stato, ma, anche, essa non si puo' togliere senza togliere la pieta' e la pace dello Stato". Sullo sfondo di queste tematiche, la decisione del filosofo di "ricercare un bene vero e condivisibile": "qualcosa grazie al quale, una volta scoperto e acquisito, godessi in eterno una gioia continua e suprema". Tale bene e' Dio. Un Dio, certo, molto diverso da quello pensato dalla filosofia dopo l'annuncio cristiano: ad esempio non e' persona, non ha volonta' ne' scopi, include la natura, e quindi anche cio' che erroneamente gli uomini credono male e peccato. E tuttavia possiede quei caratteri della potenza e dell'eternita' che sono propri di ogni modo in cui la tradizione filosofica ha pensato il divino. Si tratterebbe di comprendere che anche alle radici di una filosofia come quella di Spinoza, cosi' lontana dalle (sia pur grandi) abitudini concettuali della civilta' occidentale, e' presente l'essenza stessa di quelle abitudini, il tratto decisivo rispetto al quale le pur profonde differenze tra Spinoza e i suoi avversari passano in secondo piano. "Alle radici", diciamo: perche' si tratterebbe di scendere sul fondo dell'abisso su cui e' sospeso il pensiero dell'uomo occidentale, e ormai dell'uomo planetario. Sin dall'inizio dell'Etica, il suo capolavoro, Spinoza distingue cio' che esiste necessariamente, cioe' non e' mai inesistente, ed e' Dio, l'Eterno, da cio' che invece non esiste necessariamente, nel senso che non e' sempre esistente ed e' l'insieme delle "cose prodotte da Dio", esistenti nel Tempo. Ora, essenzialmente, radicalmente piu' decisiva del modo in cui Spinoza "dimostra" l'esistenza di Dio - e piu' decisiva di ogni altra "dimostrazione" di tale esistenza, proposta lungo la storia del pensiero occidentale - e' la convinzione che le cose del mondo non esistono necessariamente: nel senso, appunto, che non sono sempre esistenti (anche se accadono necessariamente). Spinoza condivide questa convinzione con ogni altra forma (anche religiosa, dunque) del pensiero dell'Occidente. Si dira': e' ovvio che la condivida! Infatti e' la verita' piu' evidente di tutte! E oggi si aggiunge: ed unica verita' evidente! - Questo dire e questa aggiunta sono inevitabili. Infatti, anche se la cosa e' tutt'altro che facile a comprendersi, l'onnipresente essenza della civilta' occidentale e' appunto la convinzione che le cose del mondo non siano sempre esistenti e che questa loro non necessaria esistenza sia l'evidenza originaria o, addirittura, come oggi si conviene, l'unica evidenza assoluta. Perche', allora, perdere tempo con cio' che oggi e' rimasta l'unica verita' fuori discussione, e non impegnarsi invece per diradare un poco le nebbie dell'incertezza che avvolge la vita dell'uomo? Proviamo a rispondere cosi': perche' quanto sembra l'unica verita' veramente fuori discussione e' invece l'errare piu' profondo, e anche piu' nascosto. Ma come possiamo azzardarci a dir questo? Che presunzione! Ancora maggiore, la presunzione, se si tiene presente che anche per la scienza moderna le cose del mondo non esistono sempre: esse sono, dopo non essere state, e tornano a non essere: sporgono provvisoriamente dal nulla. Certo, sembra proprio un azzardo e una presunzione. Con i quali, tuttavia, acquista un maggior spicco il motivo per cui affermiamo che anche una filosofia come quella di Spinoza, cosi' lontana dalle abitudini morali e concettuali dell'Occidente cristiano, e', cio' nonostante, profondamente solidale con l'essenza di tali abitudini. Anche a Nietzsche (che vede in Spinoza il pensatore a lui "piu' vicino") compete questa solidarieta'. Poi, si trattera' di pensare la follia di quell'essenza. Credere che le cose escano e ritornino nel nulla - ad opera di un Dio o da sole - non e' forse credere che le cose siano nulla? non e' forse credere che cio' che non e' nulla sia nulla? e questa fede non e' forse la mano piu' terribile e violenta? non uccide forse uomini e cose nel modo piu' originario e radicale, quello che sta al fondamento della violenza visibile che tutti sono capaci di scorgere? Sul fondamento di questa fede, ogni santita' e' la culla dell'omicidio e di ogni altra forma di annientamento. Certo, e' indiscutibile che per Spinoza (sulla scia di Seneca e in generale dello stoicismo) le decisioni umane e tutte le cose avvengono per "fatale necessita'" (fatalis necessitas); che nessuna cosa puo' esistere diversamente da come esiste e che dunque ogni cosa e' necessaria. Certamente! Ma nel senso che ogni cosa del mondo si genera e si corrompe necessariamente: non nel senso che non si generi e non si corrompa. Che tali cose escano dal nulla e vi ritornino seguendo o non seguendo un percorso inevitabile indica due prospettive che per quanto fortemente opposte hanno tuttavia in comune la convinzione decisiva e abissale: che le cose del mondo sono nulla. La stessa convinzione che accomuna nell'essenziale le esperienze in cui, lungo la storia dell'Occidente, si pone un Dio alla guida della produzione e distruzione delle cose e le esperienze dove invece si ritiene che tale produzione-distruzione non abbia bisogno di alcun Dio. Questa accomunante convinzione e' l'"intima mano", assolutamente piu' intima e terribile di quanto possa supporre Herder, quando, volgendosi al "santo Cristo" e al "santo Spinoza", si chiede: "Quale intima mano congiunge i due in uno?". ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 170 del 29 giugno 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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