Nonviolenza. Femminile plurale. 189



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 189 del 12 giugno 2008

In questo numero:
1. Ida Dominijanni: Fino al prossimo sussulto
2. Daniela Padoan intervista Fleur Jaeggy (2002)
3. Raffaella Castagnola: Fleur Jaeggy (2007)
4. Michele De Mieri intervista Ruth Rendell (2004)

1. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: FINO AL PROSSIMO SUSSULTO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 giugno 2008 col titolo "Fino al
prossimo sussulto".
Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia
sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale
femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di
liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania
Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005]

Il ministro degli interni s'e' accorto che la prostituzione e' materia
delicata e che ci vogliono almeno una quindicina di giorni prima di
legiferarci sopra, e cosi' il geniale emendamento Berselli-Vizzini sguscia
dal decreto sicurezza e passa al disegno di legge, o forse agli archivi. Gli
stessi Berselli e Vizzini del resto, un attimo prima di passare alla storia,
si sono accorrti che appiccicare il loro geniale emendamento in coda al
decreto sicurezza correva il rischio di essere incostituzionale. I geniali
emendatori e il ministro non potevano accorgersene prima? Si', se avessero
un'idea di che cosa vuol dire legiferare. Ma non ce l'hanno. Da quando ha
messo piede in parlamento quattordici anni fa, la (non piu') nuova destra
italiana capitanata da Silvio Berlusconi crede che legiferare significhi
sparare l'annuncio eclatante di una cosa che non si puo' fare, farlo
rimbalzare su tutte le tv e le gazzette del regno, far sognare agli italiani
una soluzione magica effetto di una bacchetta magica, e infine non farne
nulla o quasi. Fino alla volta successiva, quando il copione ricomincia da
capo.
La prostituzione e' un problema, come sempre e oggi, in tempo di mercato
globale e mercificazione totale, piu' di sempre? Un emendamento e via, le
prostitute diventano "socialmente e moralmente pericolose", vengono sbattute
in galera o al confino e come per incanto spariscono dalle strade e dalla
vista. Poi si scopre che la prostituzione, come tutte le cose di questo
mondo, e' l'effetto di una catena di rapporti complessi - nella fattispecie,
rapporti di sesso, di potere e di danaro -, che la bacchetta magica non
funziona, che usarla contro l'elemento finale della catena, cioe' le
prostuitute di strada, senza attaccare gli altri, cioe' i clienti e gli
organizzatori del traffico, e' delirante, e il problema resta li' dov'era.
Nel frattempo pero' e' stato raggiunto il risultato piu' importante, che non
riguarda affatto il problema della prostituzione ma la semina mediatica del
convincimento che le prostitute sono persone socialmente e moralmente
pericolose, che basterebbe sbatterle in galera o al confino per levarsele di
torno e che se il governo non lo fa e' perche' qualcuno, generalmente da
sinistra, glielo impedisce. Dopodiche' scatta l'immancabile sondaggio sulla
percezione del rischio-prostituzione, dal quale risultera' che la
maggioranza degli italiani ritiene che le prostitute sono moralmente e
socialmente pericolose, che bisogna sbatterle in galera o al confino o nelle
case chiuse e che il governo voleva farlo ma non gliel'hanno fatto fare. E
cosi' la tavola e' apparecchiata per il prossimo sussulto, le prostitute
restano dove sono, i clienti e gli sfruttatori pure, senza che ne'
l'opinione pubblica ne' il governo ne' il governo ombra ne abbiano tratto un
solo elemento di conoscenza su: chi e perche' si prostituisce; qual e' il
grado di disumanita' di un mercato del lavoro che convince molte donne,
soprattutto immigrate, che fra prostituirsi per 400 euro a notte e lavorare
per 400 euro al mese e' meglio prostituirsi; qual e' il grado di alienazione
che le porta sempre piu' spesso a sostenere che prostituirsi "e' un lavoro
come un altro"; qual e' il grado di feticismo che porta molti uomini a
preferire il sesso a pagamento al sesso implicato in una qualche relazione;
chi e quanto ci guadagna e ci lucra sopra organizzando racket e
sfruttamento; quali provvedimenti si potrebbero tentare per rendere tutto
cio' meno disumano, ascoltando quello che le prostitute hanno da dire e
magari da proporre, e hanno varie volte detto e proposto.
E' un copione disperante che si ripete da settimane a turno, sugli
immigrati, sui rom, sulle prostitute, sui trans. Pare proprio che nel
belpaese altra idea non circoli che quella di ripristinare la filosofia del
grande internamento riveduta e corretta: tutti in galera o nei cpt,
immigrati, rom, prostitute, trans, piccoli delinquenti (i grandi no, restano
a piede libero) e tutti quelli che possono interpretare la parte dei
devianti nella commedia all'italiana della normalita' benpensante. In attesa
che ricompaia anche la nave dei folli, l'ultimo sondaggio (Demos-Coop, su
"Repubblica" di ieri) ci avverte che tutti gli italiani pensano che la
criminalita' sia in vorticoso aumento, due su dieci temono di essere
rapinati, cinque hanno paura degli stranieri, otto vogliono sgombrare i
campi rom, sei invocano le ronde e tutti i poliziotti e le videocamere. Gli
emendamenti slittano, ma intanto ben scavato, vecchia talpa.

2. RIFLESSIONE. DANIELA PADOAN INTERVISTA FLEUR JAEGGY (2002)
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 luglio 2002 col titolo "Un viaggio
nei doni inattesi dell'assenza".
Daniela Padoan e' una prestigiosa giornalista e saggista femminista. Dalla
bella rivista "Via Dogana" riprendiamo la seguente scheda di presentazione:
"Daniela Padoan collabora con la televisione e la stampa, in particolare con
'Il manifesto'. Nel pensiero della differenza ha trovato un tassello
mancante, degli elementi in piu' per la lettura di avvenimenti attuali e
storici come la vicenda delle Madres de la Plaza de Mayo ("la lotta politica
forse piu' radicale di questi decenni"), o la Shoah, che Daniela ha indagato
in un suo libro, attraverso tre conversazioni con donne sopravvissute ad
Auschwitz (Come una rana d'inverno, Bompiani, Milano 2004)". Opere di
Daniela Padoan: Miti e leggende del mondo antico, Sansoni scuola, Firenze
1996; Miti e leggende dei popoli del mondo, Sansoni scuola, Firenze 1998; (a
cura di), Un'eredita' senza testamento, Quaderni di "Via Dogana", Milano
2001; (a cura di), Il cuore nella scrittura. Poesie e racconti delle Madres
de Plaza de Mayo, Quaderni di "Via Dogana", Milano 2003; Come una rana
d'inverno, Bompiani, Milano 2004; Le Pazze. Un incontro con le Madri di
Plaza de Mayo, Bompiani, Milano 2005.
Fleur Jaeggy, scrittrice svizzera di lingua italiana, e' nata a Zurigo nel
1940 e vive a Milano dal 1968. Dalla Wikipedia, edizione italiana,
riprendiamo per stralci la seguente scheda: "Fleur Jaeggy (Zurigo, 1940) e'
una scrittrice svizzera di madrelingua italiana. Importante figura del
panorama letterario contemporaneo, e' considerata da molti tra le piu'
importanti scrittrici in lingua italiana di oggi. Dopo vari anni di vita
collegiale, si trasferisce a Roma negli anni '60. Qui diventa intima amica
della scrittrice austriaca Ingeborg Bachmann. Conosce alcuni tra i maggiori
scrittori dell'epoca come Thomas Bernhard. Dal 1968 vive a Milano, ed inizia
la sua collaborazione con la casa editrice Adelphi. All'attivita di
narratrice affianca quella di traduttrice e saggista. Traduce Marcel Schwob,
Thomas De Quincey e scrive su Keats e Robert Walser. I suoi romanzi sono
tradotti in diciotto lingue...". Opere di Fleur Jaeggy: Il dito in bocca,
Adelphi, Milano 1968; L'angelo custode, Adelphi, Milano 1971; Le statue
d'acqua, Adelphi, Milano 1980; I beati anni del castigo, Adelphi, Milano
1989; La paura del cielo, Adelphi, Milano 1994; Proleterka, Adelphi, 2001]

Nello stratificarsi dei discorsi critici che sempre rischiano di farsi luogo
comune attorno ai grandi scrittori, lo stile severo ed essenziale della
narrazione di Fleur Jaeggy e' raccontato come un incalzare di frasi brevi,
fredde, implacabili. Eppure, piu' che una cifra stilistica, il suo modo
espressivo sembra mostrare l'assenza di orpelli del testimone; di chi,
avendo toccato un punto irrevocabile di conoscenza del male, non puo' che
tacere o compiere lo sforzo di circoscriverlo con parole. D'altra parte, si
legge in una delle ultime pagine di Proleterka, la verita' e' nuda come un
cadavere lavato. Quasi che l'essenzialita' le sia connaturata, l'ultimo
libro di Fleur Jaeggy e' uscito a sette anni di distanza dal precedente, e
dunque, come tutti gli altri, intervallato da una lunga assenza.
*
- Daniela Padoan: L'infanzia sembra ricorrere nella sua scrittura come il
momento in cui vengono gettati i dadi, in cui il gioco dell'esistenza si
inscrive in quell'orizzonte che lo sguardo abbraccera' per sempre.
- Fleur Jaeggy: Si', credo che l'infanzia sia un momento molto importante,
in cui si percepisce gia' quasi tutto il mondo, si vede tutto, ci si accorge
di tutto. In seguito abbiamo l'impressione di dimenticarcene, ma poi queste
cose tornano. Tutto si svolge nell'infanzia e nell'adolescenza. Quello che
succede dopo e' molto meno importante, perche' nei bambini c'e' un aspetto
visionario.
*
- Daniela Padoan: Nel libro il padre e' come "una fiaba romantica del gelo".
- Fleur Jaeggy: Ho visto Johannes come una figura piuttosto distante, gli
occhi chiari, una persona che ha perso la fortuna della propria famiglia,
costretta a vedere la figlia poche volte all'anno. La sola volta in cui i
due si vedono piu' a lungo e' durante un viaggio in Grecia, che dura
quattordici giorni. Non sono mai stati insieme tanto tempo, dunque li'
potrebbero conoscersi, pero' questo non succede. Forse tra alcuni esseri
umani c'e' una conoscenza superiore alla parentela o ai vincoli di sangue.
*
- Daniela Padoan: La conoscenza sembra qualcosa che non deve essere cercata
in modo diretto, qualcosa da cui la protagonista si difende come da
un'intrusione. Nel libro lei dice: "Non avro' altre occasioni di conoscere
mio padre. Evito di sapere, come se fosse l'unico modo di sapere".
- Fleur Jaeggy: La protagonista si difende, certo, e vuole vivere, ma e'
circondata dalle ombre del passato che visitano questo viaggio. Una serie di
spettri che tentano di non farla vivere. Invece lei vive... E' sempre un po'
difficile per me spiegare un libro, soprattutto dopo averlo scritto; mi e'
quasi piu' facile spiegare qualcosa che non e' ancora stato scritto, che
rimane nell'immaginario.
*
- Daniela Padoan: L'assenza della madre viene patita in modo diverso dalla
protagonista. E' un'assenza piu' originaria, piu' profonda. Una figura con
cui dialoga solo attraverso il possesso del pianoforte che le e'
appartenuto.
- Fleur Jaeggy: La madre non c'e' quasi mai in questa storia. Tutto gira
attorno al padre, anche quando si parla delle donne della famiglia materna
che tentano di nuocergli. Tre generazioni di donne che si prendono cura con
passione vorace dei propri fiori, e che, insieme all'amore per il
giardinaggio, coltivano un profondo astio verso il genere maschile.
*
- Daniela Padoan: Quasi una genealogia dell'odio nei confronti degli uomini.
- Fleur Jaeggy: In questa famiglia c'e' una sorta di odio verso il genere
maschile, ma la figlia non se ne lascia influenzare. Lei non e' come loro.
*
- Daniela Padoan: Com'e', allora?
- Fleur Jaeggy: Non ha neppure un nome. Qua e la' dice qualcosa di se', ma
non mi sembra che si faccia conoscere. E' un personaggio che si sottrae
continuamente alla conoscenza.
*
- Daniela Padoan: E' come se ai personaggi di questo libro mancasse una
sorta di grammatica degli affetti.
- Fleur Jaeggy: Si', e' un libro sulla disaffezione.
*
- Daniela Padoan: Leggendo il suo libro vengono in mente quelle che Ingeborg
Bachmann chiamava le "cause di morte", quelle incolpevoli crudelta' che
uccidono.
- Fleur Jaeggy: Se ci penso attentamente nessuno ha colpe. Forse l'unica
lieve colpa ce l'ha l'uomo che rivela alla figlia di essere il suo vero
padre. Questa pretesa della verita' potrebbe essere una colpa. Vuole passare
piu' o meno indenne dalla vita alla morte, mettendo a posto le cose che
crede vere. Questa ostentazione finale di dire la verita' potrebbe essere
una colpa.
*
- Daniela Padoan: Il tema della colpa torna nel richiamo a Billy Budd e alle
sue ultime parole prima di essere impiccato: "Dio benedica il capitano
Vere!".
- Fleur Jaeggy: E' stato impiccato per niente, e benedice chi ha dato
l'ordine di esecuzione. Benedice il carnefice. Era innocente, e buono.
Quello e' un libro talmente mirabile, e c'e' questo gesto grandioso
dell'innocente. A lei piace Melville? C'e' un suo racconto in cui un tale,
camminando in campagna in Inghilterra, sente il chicchirichi' di un gallo.
Un suono che incanta. Allora comincia a cercare il proprietario, finche' non
scopre che e' un suo dipendente, molto povero. E' suo il gallo? gli chiede.
Si', e' mio. Me lo vende? No. Entra nella miserabile baracca dove c'e'
questo gallo meraviglioso, e vede dei bambini pallidissimi, malati, stesi su
un giaciglio accanto alla madre. L'uomo continua a rifiutare le ripetute
offerte. Anzi, dice al gallo: canta. E il gallo canta, con un chicchirichi'
maestoso. Poi emette un altro chicchirichi' e i bambini muoiono. In quel
canto di gloria. E' un racconto bellissimo. Mi commuove ogni volta che lo
leggo.
*
- Daniela Padoan: Pensa che Johannes abbia conservato per la figlia il
chicchirichi' del gallo? Questo sottrarsi del padre diventa uno sperimentare
il cielo vuoto, il dovere di far fronte all'assenza?
- Fleur Jaeggy: In questo libro tutto e' assenza, ma c'e' anche qualcosa che
va oltre l'assenza, che e' superiore a noi, che non sappiamo che cosa sia.
Mi sembra che la stessa freddezza della figlia sia misurata dal pensiero
recondito che comunque c'e' qualche cosa al di sopra di lei. Pero',
sull'assenza, vede, per me e' difficile rispondere, e tutto sommato neanche
vorrei farlo. Posso forse accennare al fatto che leggo spesso i testi
mistici, per esempio Eckhart. Ci sono autori che parlano dell'abisso della
non conoscenza, di quella che un grande mistico inglese chiamo' "la nube del
non conoscere". C'e' uno scritto sul nulla, di Angela da Foligno. Glielo
vado a prendere. "O nulla sconosciuto, o nulla sconosciuto! In verita'
l'anima non puo' godere di una vista piu' bella in questo mondo che
osservare il proprio nulla e starsene nella sua prigione". Non e' bello?
*
- Daniela Padoan: In questo forse c'e' una lettura del viaggio del
Proleterka, che e' un viaggio verso nessun luogo.
- Fleur Jaeggy: C'e' proprio un tornare indietro, un tornare verso l'Ade, la
terra dei morti. Pero' per me e' molto difficile raccontare di quello che ho
scritto.
*
- Daniela Padoan: Parlando del chiodo che ha messo in tasca al padre prima
della cremazione, la protagonista dice: "quando uscivo dalla cella sapevo di
aver lasciato un testimone del fuoco". C'e' un rimando a Il frutto del fuoco
di Canetti, che parla della scrittura come di qualcosa che, raccontando le
persone, le sottrae alla morte?
- Fleur Jaeggy: Immagino di si'. La letteratura e' sempre una specie di
esorcismo, o perlomeno di grande salvazione. Forse.
*
- Daniela Padoan: Il libro e' un intreccio di morti, suicidi e malattie,
raccontati a volte con umorismo sulfureo.
- Fleur Jaeggy: E' una famiglia di aspiranti suicidi, di persone che in
fondo tentano, ma non ce la fanno. Sono pochi quelli che si suicidano
davvero. C'e' la presenza della morte, questo si'. La morte e' presente
quasi dappertutto. Ai funerali parlano di suicidio, qualcosa che a loro
piace davvero.
*
- Daniela Padoan: Ne I quaderni di Malte Laurids Brigge, Rilke racconta del
ciambellano Brigge che riempie della propria morte tutta la casa, con la
stessa prepotenza con cui e' vissuto. Questa idea che ciascuno muore come ha
vissuto, portando in se' la propria morte come un frutto il nocciolo, segna
anche i suoi personaggi.
- Fleur Jaeggy: In effetti ciascuno di loro muore cosi' come ha vissuto:
Johannes nell'assenza, la madre nella distanza, nascondendo di aver chiesto
l'estrema unzione, perche' non vuole far vedere neppure che muore. Anche il
personaggio che si manifesta alla fine si prepara alla morte disseminando la
casa di fogli di carta dove dice che la figlia di Johannes e' in realta' sua
figlia. Non ha mai detto di avere una figlia, e adesso sta perdendo la
memoria. Si vede che per tutta la vita ha pensato a questa figlia, ma questi
pensieri erano come pezzi di carta. Teme di morire nella smemoratezza in cui
e' vissuto, e lascia dei fogli che sembrano piccoli spettri.
*
- Daniela Padoan: La Svizzera algida e borghese di Proleterka sembra avere
qualche rapporto con l'Austria di Thomas Bernhard.
- Fleur Jaeggy: C'e' qualche cosa in comune. Quando ho conosciuto Thomas
Bernhard ho trovato subito un'intesa con lui. Ci siamo messi a
chiacchierare, cosi', spontaneamente. Lo sguardo che ha sull'Austria e'
molto preciso, molto vero. Mi piacciono i suoi libri.
*
- Daniela Padoan: A un certo punto lei dice: "Alcuni bambini si governano da
se'. Imparano a fingere, e la finzione diventa la parte piu' attiva e reale,
attraente come i sogni. E' la grazia del distacco". E' questo cio' che
permette di scrivere?
- Fleur Jaeggy: I bambini possiedono la grazia e, certo, un po' di grazia e'
necessaria anche per scrivere, ma non si sa da dove viene. Quanto al
distacco, e' molto importante nello scrivere. Non parlo di un semplice
distaccarsi dalle parole, ma di qualcosa di piu' metafisico, di piu' grande.
Ci deve essere una specie di lontananza, e persino di furia del distacco,
anche da se stessi. D'altra parte il distacco non e' una cosa senza
passione; anzi, se ci si pensa bene, non e' neppure cosi' freddo. nel libro
c'e' un passaggio in cui Johannes ripensa alla morte del padre e al
comportamento di sua figlia in quella circostanza. Aveva due anni ed era
stata gentile con tutti, si era comportata bene, forse aveva capito che il
nonno doveva morire. E allora il padre spera che, quando lui morira', la
figlia sara' gentile verso il mondo. Questo e' come un esercizio zen. Essere
gentile verso il dolore, verso il proprio dolore.
*
- Daniela Padoan: Nel prepararsi alla morte, Johannes sistema ogni
formalita' in modo da alleviare il compito alla figlia. Nel libro c'e' una
sottrazione continua che produce paradossalmente un effetto tale per cui un
piccolissimo passare di sentimento colpisce come qualcosa di fondamentale e
commovente.
- Fleur Jaeggy: Nella scena in cui lui predispone gli inviti al banchetto
del suo funerale per non mettere in difficolta' la figlia, mostra una grande
gentilezza affettiva. Nel libro c'e' una disaffezione nei rapporti, pero'
trovo che qua e la' la figura di Johannes sia quella di un padre che ha un
affetto verso la figlia, mentre l'altro, quello che dice di essere il vero
padre, non ha affetto, perche' pensa solo alla verita' che lo riguarda.
*
- Daniela Padoan: A volte il rigore delle sue frasi, la compitezza del mondo
che racchiudono, ricordano gli aforismi fulminanti di Cioran, o di Brodskij.
- Fleur Jaeggy: Non posso dire niente su questo, so solo che ci ho messo
vari anni, e una lunghissima opera di revisione, con infiniti passaggi di
bozze. E' stato un lavoro un po' maniacale. Comunque, si', amo gli aforismi.
O almeno certe frasi che considero tali e che mi rimangono in testa, come
quelle di Chuang Tzu. C'e' una sua frase che ogni tanto mi torna, forse
incompleta, ma la parte che rimane mi piace molto: l'amore assoluto non
concede favori.
*
- Daniela Padoan: Per anni l'occasione degli incontri tra Johannes e sua
figlia e' stato un corteo in costume al quale partecipavano tutti i membri
della Corporazione elvetica. Lei lo descrive in modo cosi' vivido e insieme
cosi' raggelante che fa venire in mente quelle folle un po' grottesche di
Ensor.
- Fleur Jaeggy: Descrivo questa coppia che cammina solennemente nel corteo,
quasi santificata. Il fatto che padre e figlia si incontrino in un corteo e'
una cosa abbastanza anomala, anche perche' la figlia e' un'estranea in mezzo
a gente che da anni va a sfilare in costume, con il cappello a tricorno. E'
una festa che credo risalga al '300.
*
- Daniela Padoan: E' un suo ricordo di infanzia? Non voglio domandarle
quanto ci sia di autobiografico nel libro, mi interessa capire come si
arriva a raccontare qualcosa che pare essere rimasto scolpito dentro di se'
da una qualche remota lontananza.
- Fleur Jaeggy: Quando si scrive una storia si parla sempre di qualcosa che
si sa, o che in qualche modo si e' vista. Questa festa, chiunque puo' averla
vista. A darle forza e' forse anche una certa architettura del libro. Quando
mettere la festa? Quando parlare di qualcosa d'altro? E' tutto come un
grande disegno, una specie di partitura. Il libro comincia con
un'evocazione: "Sono passati molti anni e questa mattina ho un desiderio
improvviso: vorrei le ceneri di mio padre". E poi subito dopo c'e' questa
festa, un tripudio che segue qualcosa di triste. L'accostamento con Ensor
funziona. Ensor mi piace ancora adesso, pero' quando ero ragazzina lo amavo.
*
- Daniela Padoan: Ingeborg Bachmann ha detto del suo primo libro: "L'autrice
ha l'invidiabile primo sguardo per le persone e le cose, c'e' in lei un
insieme di distratta leggerezza e di saggezza autoritaria: da queste
capacita' contraddittorie nascono dialoghi di una diabolica intelligenza e
descrizioni di una semplicita' disarmante". Immagino che questa frase abbia
segnato la sua vita letteraria.
- Fleur Jaeggy: La cosa che segna e' che lei non c'e' piu'. Questa e' una
cosa che mi ha segnato molto. Quando l'ho conosciuta non sapeva che io
scrivessi. Gliel'ho detto proprio verso la fine del libro. E il suo giudizio
e' stato per me una sorpresa enorme. Comunque quel libro non e' piu' in
circolazione, e' esaurito da moltissimi anni, e forse lo rimarra' ancora. Ne
ho una fotocopia, ma per il resto proprio non c'e' piu'. E, se e' per
questo, neanche il secondo. E neanche il terzo.
*
- Daniela Padoan: E' una cosa strana.
- Fleur Jaeggy: Si'. E' un po' a causa mia, perche' sono restia a farli
ripubblicare.
*
- Daniela Padoan: Perche'?
- Fleur Jaeggy: Come vede, malgrado il giudizio di Ingeborg, quel libro
adesso piu' o meno non esiste piu'. Resta soltanto il giudizio. Un giudizio
per quello che sembra un libro mai scritto.
*
- Daniela Padoan: Brodskij, scrivendo de I beati anni del castigo, ha detto:
"Una prosa straordinaria. Durata della lettura: circa quattro ore. Durata
del ricordo, come per l'autrice: il resto della vita".
- Fleur Jaeggy: Rileggo spesso le sue poesie, i suoi saggi. La sua scomparsa
mi ha colto di sorpresa. Sapevo che non stava bene per via del cuore, ma non
lo avrei mai immaginato. Ho una sua fotografia. (la va a prendere, e' una
fotografia insolita, con un sorriso ironico e benevolo).
*
- Daniela Padoan: Nel libro c'e' una costante presenza del doppio. Secondo
la figlia, Johannes zoppica perche' porta in se' il gemello morto, che aveva
passato la vita su una carrozzella. E d'altra parte lei assomiglia al
gemello al punto da non poterne guardare la fotografia, perche' le pare di
toccare il proprio stesso viso. E' come se i personaggi fossero sempre in
dialogo con l'altro assente o morto.
- Fleur Jaeggy: La figlia di Johannes ha sempre sentito anche la presenza
del fratello morto a cinque anni, il figlio dell'uomo che pretende di essere
suo padre. Sa che non e' il suo vero padre, ma al tempo stesso ha sempre
saputo di avere un fratello. D'altra parte, forse, tutti noi abbiamo dei
doppi.

3. PROFILI. RAFFAELLA CASTAGNOLA: FLEUR JAEGGY (2007)
[Dal "Corriere del Ticino" del 21 marzo 2007 col titolo "Sulle tenui tracce
di Fleur Jaeggy. La scrittrice ospite domani della Biblioteca dei Frati di
Lugano".
Raffaella Castagnola Rossini, italianista, docente universitaria, e' acuta
curatrice di edizioni di classici; ha ottenuto la laurea in Lettere
all'Universita' di Firenze, il dottorato di ricerca all'Universita' di
Bologna, la libera docenza in letteratura italiana all'Universita' di
Zurigo; e' docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea
all'Universita' di Losanna. La sua attenzione ai documenti letterari
novecenteschi e' documentata anche da una serie di seminari, organizzati
presso il centro "Stefano Franscini" (Monte Verita') di Ascona, in
collaborazione con universita' svizzere e italiane: Archivi letterari del
'900 (Firenze, Cesati 2000); Documenti di cultura italiana negli archivi
svizzeri (Firenze, Cesati, 2001); A chiusura di secolo. Prose letterarie
nella Svizzera Italiana 1970-2000, (Firenze, Cesati, 2002); Per una comune
civilta' letteraria. Rapporti culturali tra Italia e Svizzera negli anni '40
(Firenze, Cesati, 2003)... Tra le opere di Raffaella Castagnola: a) saggi e
edizioni: Lorenzo De' Medici, Stanze, edizione critica, a cura di R.
Castagnola, Firenze, Olschki, 1986; B. Segni, Rime, edizione critica a cura
di R. Castagnola, Firenze, Accademia della Crusca, 1991; I Guicciardini e le
scienze occulte, introduzione e commento a cura di R. Castagnola, Firenze,
Olschki, 1990; Carte private. Nel laboratorio di Gabriele D'Annunzio,
Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2001; Cecco Angiolieri, Rime, introduzione
e commento a cura di R. Castagnola, Milano, Mursia, 1995: G. d'Annunzio,
Contemplazione della Morte, introduzione e commento a cura di R. Castagnola,
Milano, Mondadori, 1995; E. Pea, Il mare e' il mio elemento. Lettere
Pea-Zucchetti, introduzione e commento a cura di R. Castagnola, Milano,
Scheiwiller, 1996; G. F. Pico della Mirandola, Vita del Reverendo padre
Ieronimo Savonarola, a cura di R. Castagnola, Firenze, Sismel, 1998; G.
d'Annunzio, Forse che si' forse che no, introduzione e commento a cura di R.
Castagnola, Milano, Mondadori, 1998; Infiniti auguri alla nomade. Carteggio
d'Annunzio-Casati Stampa, introduzione e commento a cura di R. Castagnola,
Milano, Archinto 2000; G. D'Annunzio, Carteggio con Benigno Palmerio,
introduzione e commento a cura di R. Castagnola e M. M. Capellini, Torino,
Aragno 2003; G. Pascoli, La Piccozza, introduzione e commento a cura di R.
Castagnola, Verbania, Tara, 2004; b) Atti di convegni e volumi miscellanei:
Archivi letterari del '900, Atti del seminario di Ascona 12-14 maggio 1999,
a cura di R. Castagnola, Firenze, Cesati, 2000; Documenti di cultura
italiana negli archivi svizzeri, a cura di R. Castagnola, Firenze, Franco
Cesati, 2001; A chiusura di secolo. Prose letterarie nella Svizzera Italiana
1970-2000, Firenze, Franco Cesati, 2002, a cura di R. Castagnola; Per una
comune civilta' letteraria. Rapporti culturali tra Italia e Svizzera negli
anni '40, a cura di R. Castagnola e P. Parachini, Firenze, Franco Cesati,
2003; Cultura italiana e impegno civile, a cura di R. Castagnola e E.
Rigotti, Milano, Casagrande, 2004]

Giovedi' 22 marzo alle ore 20,30 alla Biblioteca Salita dei Frati sara'
possibile incontrare Fleur Jaeggy, scrittrice di fama internazionale,
tradotta in una ventina di lingue e giustamente considerata fra le
protagoniste piu' interessanti nel panorama della narrativa contemporanea
(premio Bagutta nel 1990 per I beati anni del castigo, premio Moravia nel
1994 per La paura del cielo e premio Viareggio-Repaci per l'ultimo romanzo
Proleterka, tutti editi dalla Adelphi).
Fleur Jaeggy e' nata in Svizzera, ma vive da molti anni in Italia ed entra
generalmente nel novero delle piu' apprezzate scrittrici italiane. Cesare
Cases e' stato anzi categorico, quando ha detto che, dopo la scomparsa di
Elsa Morante, solo a Fleur Jaeggy spetta il ruolo di prima donna nel
panorama femminile della letteratura italiana. La sua scrittura, lontana
dalle mode e dalle correnti, stravagante e inconsueta, ne fa
un'indiscutibile protagonista di prestigio. Il nome non e' d'arte, anche se
non potrebbe esserci di meglio per unire, in un solo binomio, la gentilezza
d'animo e la freddezza dell'espressione artistica: e' un nome particolare e
simbolico, "bellissimo", come diceva gia' Giovanni Mariotti sulle pagine del
"Corriere della Sera", "con quel monosillabo che e' delicata infiorescenza,
e quello stecchito, irrigidito bisillabo tedesco". Questa casuale
coincidentia oppositorum puo' comunque essere utile per fare un ritratto
personale e artistico.
Timida e riservata, regolare e claustrale nella gestione della sua vita,
controllata e impassibile Fleur Jaeggy ha, in realta', un suo doppio
imprevedibile. E quella "glacialita'", che le e' stata assegnata
frettolosamente da piu' parti, e' attribuibile alla prosa ma non certamente
alla persona. Molti recensori e critici, a giudicare dai titoli degli
articoli apparsi negli ultimi anni sulla stampa quotidiana italiana ed
estera, hanno invece preferito vedere un solo aspetto: quello dell'algida
Fleur Jaeggy, della signora dei ghiacci e delle nevi. Ma c'e' chi piu'
sottilmente ha giustamente intuito che Fleur e' probabilmente come uno di
quei fiori della natura (descritti nel suo racconto I Gemelli di La paura
del cielo) che "nelle regioni alpine di lingua tedesca maturano con furia,
per appassire lentamente, con indolenza".
Dico "probabilmente" perche' la vena sarcastica e polemica, l'intolleranza
alle convenzioni, come la passione per le zone d'ombra dell'umanita', si
percepiscono soltanto attraverso le rare interviste, eccezionalmente
strappate alla regola di un ferreo riserbo. C'e' sempre molta discrezione,
molta reticenza nel parlare di cose private, ma anche di curiosita'
culturali, di tendenze letterarie o di passioni ideologiche: ecco perche' la
scrittrice si sottrae all'invasione del grande pubblico, si nega (appena
puo') alle interviste; ecco perche' ama chiedere piuttosto che rispondere
(qualche intervistatore a parlato di una sfida tra le parti, che genera la
"non-intervista"). Nel ciarliero mondo degli autori contemporanei, il suo
comportamento e' quantomeno singolare: sia per quel che dichiara che per il
modo, quasi aforistico e comunque sempre parco di parole, di confessioni, di
aneddoti.
Non e' una scrittrice in cerca di celebrita' o di occasioni mediatiche;
preferisce i silenzi alle parole: l'incontro alla Biblioteca dei Frati e'
dunque un'occasione speciale, un vero e proprio evento, che in parte si deve
anche al legame della Jaeggy con il Convento dei Cappuccini, con padre Pozzi
(che le ha dedicato pagine importanti, ora edite in Alternatim), con Renato
Martinoni, con Margherita Noseda Snider e con altri critici e intellettuali
del territorio. La sua Musa, infatti, e' la discrezione: come sostiene Piero
Citati quando afferma che "nella let?teratura italiana, e forse europea, di
oggi, nessuno possiede la sua implacabile discrezione, la sua stoica
accettazione della necessita', la sua caparbia durezza".
Difficile dunque etichettare Fleur Jaeggy, scrittrice svizzera o italiana o
piu' semplicemente internazionale? Ma difficile anche mettere la sua
scrittura a confronto con altri esempi a lei contemporanei: Fleur Jaeggy
condivide poco o nulla con le altre signore della cultura italiana (forse
qualcosa dello sguardo severo di Elsa Morante sull'umanita' e sulle sue
convenzionali forme di aggregazione), ma condivide poco in generale con la
scrittura tardonovecentesca (forse qualcosa delle geometricita' dell'ultimo
Calvino; o forse qualcosa di Vincenzo Consolo, quando in modo curioso e
smaliziato narra di adolescenti e di collegiali): il suo sguardo volge
altrove, ai romanzieri e ai filosofi della cultura mitteleuropea fra tardo
Ottocento e primo Novecento. E' uno sguardo nordico, internazionale. Ma e'
anche uno sguardo che va verso un passato remoto, verso la cultura classica
e gli autori mistici. E' come se la letteratura, per Fleur Jaeggy, fosse
costituita soltanto dai "maggiori" secondo un'antica classificazione critica
ormai in disuso da tempo: gli sperimentatori militanti, cosi' come gli
autori a lei vicini per generazione, non la incuriosiscono piu' di tanto.
E' alacre, rapida, bruciante nella sperimentazione formale: ogni volta che
si esibisce, sfida le regole del gioco letterario, attraversa disinvolta le
categorie e i generi della prosa, prova modi inconsueti di rappresentare
l'ombra elusiva e notturna della modernita', intreccia diverse forme d'arte.
Il suo primo romanzo Il dito in bocca (1968) e' stato definito bellissimo,
stravagante e insolito da una scrittrice importante quale Ingeborg Bachmann,
che per prima ha intuito le grande capacita' espressive della Jaeggy, poi
confermate nei due successivi lavori, L'angelo custode (1971)e Le statue
d'acqua (1980). Ma la consacrazione letteraria avviene con la pubblicazione
dei Beati anni del castigo (1989), romanzo di formazione ambientato in un
collegio della Svizzera Tedesca, con la raccolta di racconti La paura del
cielo (1994, anche questi ambientati in un universo nordico e protestante) e
infine con il romanzo di Proleterka (2001) che vede come protagonisti dei
ricchi borghesi svizzeri, in viaggio lungo le coste del Mediterraneo su una
nave di nome "Proleterka": un testo che sfiora la saga familiare (e che in
parte si riallaccia alla prosa memoriale dei Beati anni del castigo), il
romanzo noir, il diario, la prosa di viaggio, senza tuttavia aderire
completamente a nessuna di queste categorie letterarie.
Incontrare e leggere Fleur Jaeggy significa anche apprezzarne
l'essenzialita' del discorso, l'uso scarno e calcolatissimo del lessico, la
prosa elusiva e notturna. La scrittrice riesce infatti a prospettare un
ricco e variegato mondo di immagini, suscitate da simboli, allegorie e
metafore, sinestesie e ossimori, in gioco di combinazioni magiche di suoni e
significati. Fleur Jaeggy e', oltre che un'abile sperimentatrice delle
potenzialita' espressive della parola, anche un'innovatrice di forme della
narrazione, perche' infrange le regole e i codici tradizionali. I suoi sono
romanzi brevi o racconti lunghi, sono romanzi o forme di rappresentazione
teatrale (si pensi ai dialoghi dell'Angelo custode, o ai monologhi di Il
dito in bocca, alla scansione in scene di Le statue d'acqua), o sono
piuttosto dei macroscopici poemes en prose? Fleur Jaeggy impone
all'attenzione dei suoi lettori e dei suoi critici opere inconsuete,
suggerendo nuovi percorsi alla modernita' letteraria. Forse, sarebbe piu'
giusto chiamare questi testi semplicemente "libri" e non "romanzi" o
"racconti".
Di queste combinazioni alchemiche - di forme espressive ma anche di temi,
che traggono spunto da un contesto sempre e squisitamente nordico,
preferibilmente svizzero - parleremo nel corso dell'incontro luganese. E
sara' forse un'occasione per fare filtrare qualche rara notizia sulla
formazione culturale e letteraria della Jaeggy.

4. LIBRI. MICHELE DE MIERI INTERVISTA RUTH RENDELL (2004)
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 3 ottobre 2004.
Michele De Mieri e' autore di programmi televisivi e radiofonici,
giornalista e critico letterario. Ha lavorato come autore ai programmi
culturali prima del gruppo Mediaset, poi della Rai. Ha scritto per "Il
Tirreno", "Leggere", "Il Ponte", "La Stampa - Tuttolibri", e piu'
recentemente per "L'Unita'", "Il Messaggero" e il settimale "Diario".
Su Ruth Rendell dalla Wikipedia, edizione italiana, riprendiamo per stalci
la seguente notizia: "Ruth Barbara Grasemann Rendell, meglio nota come Ruth
Rendell (Londra, 17 febbraio 1930) e' una scrittrice britannica. Autrice di
best-sellers polizieschi, del mistero e romanzi psicologici, condivide con
la buona amica e scrittrice P. D. James l'appellativo di 'regina del
crimine'. Londinese, figlia di insegnanti, l'esordio come scrittrice con due
novelle inedite che precedettero la pubblicazione del suo primo romanzo
poliziesco Lettere mortali (1964), diventato Con la morte nel cuore nella
ristampa, che vide la prima apparizione del burbero ma acuto ispettore capo
Reginald Wexford, personaggio destinato a diventare protagonista popolare e
duraturo, ispiratore anche di riduzioni televisive. I romanzi che vedono le
investigazioni delll'ispettore capo Wexford si sviluppano attraverso
approfonditi ritratti psicologici coi quali l'autrice tende all'esplorazione
del mondo criminale... Nel 1986, con lo pseudonimo di Barbara Vine (il nome
deriva dalla combinazione del suo secondo nome col cognome da nubile della
nonna) introdusse un ulteriore elemento stilistico alle sue narrazioni
psicologiche, approfondendo i temi delle incomprensioni familiari, gli
effetti dei segreti custoditi di crimini commessi o anche delle sofferenze
dei malati a lungo termine e le ripercussioni sulla vita familiare di cui
l'autrice sperimento' la tragedia durante la malattia della madre. Rendell
e' apprezzata per l'eleganza della sua prosa, la cura dei dettagli, lo
spessore psicologico dei profili e le sue intuizioni sui complessi
meccanismi che sovrintendono la mente umana, per la capacita' di cogliere e
trattare, nell'arco dello sviluppo di tutta la sua carriera letteraria,
l'evoluzione sociale con le sue implicazioni comportamentali come il
diffondersi della violenza domestica, il razzismo, i temi ambientali e gli
effetti dell'accresciuto ruolo sociale delle donne. Nel 1996 gli fu
assegnata l'onorificenza Cbe (Commander of the British Empire), nel 1997 fu
insignita del titolo di Baronessa di Babergh, Aldeburgh in Suffolk. E'
membro della Camera dei Lords tra i banchi Laburisti (tra i conservatori
siede P. D. James). Alcuni dei suoi romanzi sono stati portati sul grande
schermo. Numerosi i premi e riconoscimenti letterari"]

Mettiamola cosi': tra Agatha Christie e P. D. James c'e' lei, Ruth Rendell,
a completare una trinita' femminile di pacate e molto very british orditrici
di enigmi e delitti, seriali e non. Scorrendo gli oltre settantaquattro anni
della biografia della Rendell, i quarant'anni esatti del primo dei venti
romanzi con protagonista l'ispettore Wexford (Con la morte nel cuore) - ma i
libri tra pseudonimi (Barbara Vine) e gialli non seriali sono oltre
cinquanta - nonche' alcuni film tratti dalle sue storie (su tutti
l'almodovariano Carne Tremula o lo psicologico Chabrol de Il buio nella
mente) si arriva all'ultima crime novel, La bottega dei delitti, appena
pubblicata dall'editore Fanucci che ha deciso di dedicarle un'intera collana
e per l'occasione, e per la prima volta, l'ha invitata in Italia.
Proprio leggendo quest'ultimo romanzo, non proprio un vero meccanismo a
intrigo, anche perche' a un terzo del libro e' rivelata subito l'identita'
del serial killer che ha strangolato quattro giovani ragazze, e' sempre piu'
evidente la volonta' della Rendell di essere considerata una scrittrice tout
court, ben al di la' dei generi. Cosi' se per alcuni aspetti - una
dimensione urbana quasi inesistente pur svolgendosi la storia oggi nei
quartieri centrali di Londra, la coralita' delle vicende di un gruppo di
sette-otto persone che gravitano intorno al negozio di antiquariato gestito
da una vedova cinquantenne, un certo psicologismo insistito sia pure ben
orchestrato - le vicende de La bottega dei delitti fanno venire in mente
quelle dei libri di una scrittrice molto piu' colta e meno popolare come
Penelope Fitzgerald (in particolare Voci umane e La casa sull'acqua) e di
cui Rendell si dice "onorata del paragone". Certo questa fuga verso la
letteratura alta scopre il fianco alle regole del genere che qua e la' un
po' scricchiola ma l'umanita' tratteggiata della Rendell nella storia e'
molto piu' completa.
*
- Michele De Mieri: Lei scrive da quarant'anni. Cos'e' cambiato del suo
sguardo sulla criminalita'?
- Ruth Rendell: In realta' io non ho mai scritto del crimine alla maniera
dello scrittore medio di gialli. Una certa forma di inganno e' cambiata nel
tempo, per esempio in un libro che ho scritto molti anni fa, non mi ricordo
neanche piu' quale, si parla di un uomo che froda una donna vendendole la
casa mentre questa donna e' assente, e si tiene i soldi. Questo raggiro non
e' forse piu' possibile, oggi ci sono invece le frodi online. Quando io ho
cominciato a scrivere si poteva identificare la macchina da scrivere su cui
era stata scritta una lettera anonima, oggi col computer questo e'
impossibile.
*
- Michele De Mieri: Si considera piu' una scrittrice di gialli o di noir?
- Ruth Rendell: In inglese non esiste un'espressione precisa che traduca il
concetto di giallo e quello di noir. Comunque credo che nessuna di queste
due definizioni si sposi con i miei libri perche' quando scrivo un romanzo
non mi prefiggo di scrivere una storia con un crimine al suo centro. L'unica
definizione che io riesco a dare della mia scrittura e' quella di romanzi
con un forte impatto emotivo, di suspense, e con un elemento di crimine che
non e' comunque un elemento fondamentale. Forse, ma solo in parte, la
definizione di noir si potrebbe anche adattare ad alcune delle mie storie.
*
- Michele De Mieri: Le indagini dell'ispettore Wexford si svolgono perlopiu'
nella provincia inglese mentre da alcuni anni ambienta altre sue storie a
Londra. Anche ne La bottega dei delitti la vicenda e' londinese ma lei
tratta questa realta' urbana come un microcosmo da paese, da contea di
provincia. Perche' tiene cosi' basso il lato urbano di questa metropoli?
- Ruth Rendell: Qualcuno dice che Londra non sia una grande metropoli ma un
insieme di villaggi, di piccoli paesi. Ne La bottega dei delitti, come gia'
in altri romanzi precedenti, ho scelto di ambientare la storia in uno di
questi piccoli paesi all'interno della grande citta'. Molti londinesi in
effetti sono convinti di vivere non nella grande metropoli ma in una realta'
locale, piccola.
*
- Michele De Mieri: Nel romanzo c'e' una marcata presenza di caratteri
femminili che soverchiano quelli maschili anche se poi lei ignora del tutto
le donne uccise, quasi non le interessano...
- Ruth Rendell: La sua disamina e' giusta, sono forse interessata piu' ai
personaggi che vivono nel romanzo piuttosto che a quelli che vi muoiono. Non
riesco a stare dietro a tutti i personaggi, alla fine ne scelgo alcuni
invece di altri. Non sarei altrettanto convinta dell'impatto maggiore dei
personaggi femminili rispetto a quelli maschili, un paio di personaggi come
Freddie e Will sono per me molto interessanti, hanno qualcosa da dire.
*
- Michele De Mieri: Questo e' un romanzo molto corale, con un forte dosaggio
delle scene, dell'incastro tra le vicende oltre che delle psicologie. Come
ha costruito la storia?
- Ruth Rendell: Sono partita da Inez, la vedova che gestisce il negozio, una
donna che affitta le camere ad altre persone. Ho scritto qualcosa su di lei
senza nessun particolare disegno poi ho inserito Jeremy Quick, l'inquilino
dell'ultimo piano dalla doppia personalita' e via via ho poi affidato una
parte agli altri. Il tutto e' accaduto come sempre in maniera abbastanza
improvvisata. Non pianifico quasi niente quando scrivo, per me e' un fatto
inconscio per cui e' strano scoprire tante cose sulla mia scrittura quando
incontro i giornalisti o i miei lettori.
*
- Michele De Mieri: Cosa la spinge dopo quarant'anni a scrivere ogni giorno
delle pagine di un nuovo libro?
- Ruth Rendell: Immagino che la risposta piu' sincera sia che scrivo tutte
le mattine perche' e' quello che so fare. Quello che faccio appunto da
quarant'anni, e se non lo facessi cos'altro potrei fare? A volte me lo
chiedo, poi penso che ci sono anche i milioni di lettori che aspettano i
miei libri e che in questi anni mi hanno fatto vivere bene con questo
lavoro. Ma certo con la morte prima o poi saro' costretta a smettere.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 189 del 12 giugno 2008

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