Minime. 480



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 480 dell'8 giugno 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Souhayr Belhassen: I diritti umani, qui e adesso
2. Predrag Matvejevic: Il pane dei rom
3. Manuela Camponovo ricorda Giovanni Pozzi (2002)
4. Alessandro Martini ricorda Giovanni Pozzi (2003)
5. Un estratto da "Il giusto e l'ingiusto" di Jean-Luc Nancy
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. SOUHAYR BELHASSEN: I DIRITTI UMANI, QUI E ADESSO
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 6 giugno 2008 col titolo "La lunga strada dei
diritti umani" e il sommario "Pubblichiamo alcuni stralci dell'intervento
tenuto a Orvieto da Souhayr Belhassen (presidente della Federazione
internazionale delle leghe dei diritti umani - Fidh) vincitrice del premio
internazionale diritti umani 'Citta' di Orvieto'".
Souhayr Belhassen, giornalista e intellettuale tunisina, da sempre impegnata
per i diritti umani e per lunghi anni costretta anche all'esilio, e'
presidente della Federazione internazionale delle leghe dei diritti umani]

L'anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani ci fornisce
anche l'occasione per evidenziare come ogni giorno con le nostre lotte noi
guadagnamo terreno. E quando dico noi non intendo semplicemente la
Federazione internazionale delle leghe dei diritti umani (in sigla: Fidh),
ma le donne e gli uomini che difendono l'universalita' della dichiarazione
nella vita quotidiana.
Tra i successi ottenuti desidero evidenziare due avvenimenti ai quali la
Fidh tiene particolarmente, in quanto frutto di una fortissima mobilitazione
delle nostre organizzazioni sul campo.
Si tratta in primo luogo dell'arresto di Jean-Pierre Bemba Gombo a
Bruxelles, una settimana fa, a seguito del mandato di cattura della Corte
penale internazionale. Ex vicepresidente della Repubblica Democratica del
Congo, presidente e comandante in capo del Movimento di liberazione del
Congo (in sigla: Mlc), Jean-Pierre Bemba e' ritenuto responsabile di crimini
di guerra e di crimini contro l'umanita' compiuti sul territorio della
Repubblica Centrafricana. Sotto la sua direzione, le truppe del Mlc
avrebbero in effetti portato un attacco sistematico e generalizzato contro
la popolazione civile e commesso stupri e atti di tortura.
La Fidh e le sue organizzazioni aderenti sono state le prime ad indagare su
questi tragici avvenimenti e a darne notizia, attraverso la testimonianza di
vittime di gravi crimini internazionali. L'arresto di Jean-Pierre Bemba e'
una grande vittoria per le vittime centroafricane, il cui coraggio e la cui
abnegazione debbono oggi essere messi in evidenza. Si tratta di un
fantastico passo avanti nella lotta contro l'impunita' in Africa e nel
mondo, e in particolare nella lotta contro le violenze a danno delle donne
in tempo di guerra.
Questo arresto avviene sulla scia dell'apertura, nello scorso dicembre, del
processo ad un altro grande criminale, l'ex dittatore peruviano Alberto
Fujimori, indagato per omicidi, attentato all'integrita' fisica e sequestro
aggravato.
Fujimori aveva cercato per quasi sette anni di sfuggire alla giustizia
rifugiandosi prima in Giappone e poi in Cile, paese dal quale e' poi stato
estradato. Il 12 dicembre e' stato condannato a sei anni di prigione per
aver mandato uno dei suoi collaboratori a rubare dei documenti presso il
capo dei servizi segreti. Egli deve rispondere adesso del massacro di 25
persone a Barrios Altos e all'Universita' di Cantuta nel 1991 e 1992 ad
opera di uno squadrone della morte, il gruppo Colina, di cui sarebbe
l'ispiratore. Egli e' anche implicato nel sequestro di un imprenditore e di
un giornalista, oppositore del suo regime, imprigionati negli scantinati dei
servizi segreti nel 1992. Il procuratore ha chiesto una condanna a 30 anni.
E' una buona notizia, in quanto si tratta del primo presidente ad essere
giudicato nel suo stesso paese, dopo essere stato estradato da un paese
terzo. Un'eccellente notizia perche' questo processo mette fine a piu' di 15
anni di attesa per le vittime, sostenute durante tutto questo periodo dalla
Fidh e dalla sua organizzazione aderente in Peru', l'Aprodeh.
Se sottolineo questi successi e' perche' essi ci sono necessari per
continuare a far fronte alle violazioni in tutto il mondo, per dare speranza
alle vittime, per continuare a credere, malgrado l'attualita' spesso troppo
ferale, che l'universalita' dei diritti umani puo' essere realizzata.
*
Tuttavia questa lotta e' ancora lunga, dobbiamo mobilitarci e rimanere
sempre vigili. Vigili affinche' non si torni indietro. E dico questo oggi
qui, in Italia, un paese che fu tra i primi a lottare per i diritti umani.
E' in effetti in Italia che e' nato San Tommaso d'Acquino, teologo e
filosofo, uno dei primi a parlare dell'esistenza di diritti inalienabili
della persona, che si impongono al sovrano. Ancora fortemente impregnati del
diritto divino, questi scritti furono tra i primi a riconoscere l'esistenza
dei diritti umani, di tutti gli uomini.
Nel XVIII secolo Cesare Beccaria insistette affinche' si rifiutasse di
considerare il criminale un individuo da escludere dalla societa'. Egli
dimostro' che la pena di morte non ha alcuna legittimita' in quanto e'
impossibile che l'individuo decida naturalmente di delegare allo Stato il
suo diritto alla vita. Una lotta che continuiamo a combattere oggi in tutto
il mondo, e di cui l'Italia e' uno dei grandi difensori presso l'Assemblea
generale delle Nazioni Unite.
*
Ma la lotta per il riconoscimento di questi diritti richiede la nostra
vigilanza e deve rispondere a nuove sfide.
Le sfide, qui, sono quelle poste dal Vaticano che, un anno fa, dopo la
mobilitazione di Amnesty International a favore dei diritti riproduttivi, ha
invitato, attraverso la voce del cardinale Renato Martino, tutte le persone
di fede cattolica a sospendere il loro sostegno all'organizzazione che
difende i diritti umani, accusandola di aver "tradito la sua missione".
in Italia, lo Stato affronta la sfida della non discriminazione violando
tale diritto, rimandando collettivamente i romeni nel loro paese d'origine e
facendo subire a una intera comunita' le conseguenze delle malefatte di
alcuni connazionali. Vi e' una frontiera tra la responsabilita' individuale
e l'accusa collettiva, passare dall'una all'altra, come ha fatto il
Consiglio dei ministri italiano, nell'ottobre scorso, significa adottare
atteggiamenti razzisti.
Le sfide sono anche quelle poste dal Tribunale di Bologna e dalla Corte di
cassazione italiana che hanno riconosciuto il diritto della sharia e, in
nome della tradizione e della religione, hanno rifiutato di condannare i
comportamenti violenti inflitti dai membri della sua famiglia a Fatima, una
giovane donna di origine musulmana. Fatima era stata sequestrata e legata ad
una sedia e poi brutalmente picchiata, come punizione per le sue amicizie e
il suo stile di vita. La Corte di cassazione ha assolto la sua famiglia
ritenendo in primo luogo che la giovane donna fosse stata picchiata "non per
motivi vessatori e per disprezzo", ma - e riconosce la motivazione di questi
atti - per dei comportamenti "giudicati non corretti". I diritti umani, qui
il diritto di non essere percosso, debbono essere gli stessi per tutti,
senza distinzione di religione.
Infine le sfide sono quelle poste dal governo italiano quando, queste ultime
settimane, in un pacchetto di riforme per la sicurezza, fa un amalgama
riprovevole tra l'immigrazione e la criminalita'.
La Fidh e' particolarmente preoccupata per queste nuove disposizioni, che
vanno ancora una volta nel senso della stigmatizzazione degli stranieri,
della restrizione dell'accesso alle procedure di asilo e di una gestione
puramente repressiva del fenomeno migratorio. Dalla mia elezione alla
presidenza della Fidh ho potuto visitare in Europa dei centri di detenzione
di immigrati e richiedenti asilo in Polonia o in Belgio e constatare ogni
volta la miseria umana di intere famiglie, di bambini privati della loro
liberta'.
Poco tempo fa avevamo indagato, insieme all'Unione per la tutela dei diritti
umani (Uftdu) la nostra organizzazione partner in Italia, sulla
realizzazione del diritto d'asilo e siamo costretti a constare che i
responsabili italiani fanno fatica ad uscire da questo circolo infernale.
E' ormai tempo che gli Stati europei, e l'Italia in particolare, adottino
delle politiche ambiziose che prendano in considerazione i diritti
inalienabili dei migranti.
Per i 60 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani esprimiamo
l'auspicio che venga riaffermata la sua universalita', non solo per le
popolazioni piu' lontane dall'Europa, ma anche nelle nostre citta' e nelle
nostre contrade, per i nostri vicini, tutti i nostri vicini, queste donne e
questi uomini che vivono accanto a noi. E' dalla nostra capacita' di
riconoscere i loro diritti che riusciremo a trarre la nostra legittimita' e
a rivendicarli per tutti e dovunque.

2. RIFLESSIONE. PREDRAG MATVEJEVIC: IL PANE DEI ROM
[Dal "Corriere della sera" del 30 maggio 2008 col titolo "Una storia
complicata. Rom, che cos'e' il pane per il popolo senza terra" (la
traduzione e' di Giacomo Scotti).
Predrag Matvejevic, nato nel 1923 a Mostar, in Bosnia-Erzegovina, ha
insegnato all'Universita' di Zagabria ed alla Sorbona di Parigi, attualmente
insegna all'Universita' di Roma; studioso e rappresentante del dissenso
all'epoca dei regimi del socialismo reale, dopo la caduta del muro si e'
opposto anche alle "democrature" al potere in molti paesi dell'Europa
centrale ed orientale. Tra le opere di Predrag Matvejevic cfr. Mediterraneo.
Un nuovo breviario; Epistolario dell'Altra Europa; Mondo "ex"; Il
Mediterraneo e l'Europa; I signori della guerra; tutti in edizione Garzanti]

In alcune regioni i rom formano la maggioranza dei mendicanti ma non godono
di alcuno di quei privilegi che solitamente vengono concessi alle cosiddette
maggioranze. Faticano a dichiararsi rom per non esporsi ai sospetti,
all'avversione dell'ambiente in cui vivono, al disprezzo e perfino alle
persecuzioni. La parola zingaro e' diventata offensiva; per questa ragione
essi stessi e i loro amici evitano di pronunciarla. Un volta non lo era...
Intanto per molti europei, e italiani - come Claudio Magris ha ricordato sul
"Corriere" lunedi' 26 maggio - fanno piu' paura della mafia o della camorra,
benche' in confronto a quel tumore sociale i disagi che recano possano
paragonarsi tutt'al piu' a un raffreddore.
I rom hanno vissuto la loro Shoah. Spesso si dimentica che furono uccisi a
decine di migliaia nei campi di sterminio nazisti, insieme agli ebrei. Il
loro modo di vivere non e' vietato dalla legge, ma sono sottoposti a stretti
controlli. Questo capita in varie epoche storiche, in diversi Paesi. Non si
sa con esattezza quanti siano i rom residenti in ciascuno Stato. Sappiamo
pero' che in alcuni sono numerosi, soprattutto nei Balcani orientali. Ma un
numero ancora piu' consistente di essi e' "sempre in cammino". Chissa' da
dove vengono o dove vanno; ignoriamo se partano o tornino.
In Europa ce ne sono piu' di dieci milioni. Se si mettessero insieme
formerebbero una popolazione piu' numerosa di quella di una mezza dozzina di
Stati del nostro continente. Non hanno un proprio territorio ne' un proprio
governo. Hanno tutti un Paese natale, ma non una patria. Sono parte del
popolo in mezzo al quale vivono, ma non di una nazione. Non sono neppure una
minoranza nazionale: sono transnazionali.
Arrivarono dall'Asia, sono discendenti di popolazioni dell'India
settentrionale. Fin dai remoti tempi dell'esodo, si distinguevano per
tribu'. Attraverso la Persia, l'Armenia, l'Asia Minore, videro e impararono
come si fa il pane. Questo cibo elementare, peraltro, non era sconosciuto ai
loro lontani antenati.
Hanno portato con se' dall'antica terra natia alcuni nomi propri, fra cui
quello di rom. Altri gli sono stati attribuiti da gente a loro estranea. Il
termine zingaro deriva del greco athinganos. Gli slavi del Sud li indicano
con il termine ciganin, tsigan, tsigo; in Gran Bretagna li chiamano gipsy da
egytios, anche in Spagna, "per il colore bruno della loro pelle". Sono detti
anche maneschi, sinti, gitani, boemi. Un poeta croato di Dubrovnik,
intitolo' "Jeupka" - vale a dire "Egiziana" - un suo poema che ha per
protagonista una bella rom.
Gli uomini si dedicavano spesso all'arte del fabbro, lavorando i metalli,
costruendo attrezzi agricoli, coltelli e spade, ferrando i cavalli;
all'allevamento e al commercio degli equini; alla musica suonando chitarre o
violini per rallegrare o consolare gli innamorati, gli infelici e gli
ubriachi. Le "belle zingare" cantavano, danzavano e seducevano (in alcune
regioni lo fanno ancora). E fanno le indovine, senza dimenticare l'"arte"
antichissima dell'accattonaggio, tirandosi dietro per mano, attaccati alla
gonna, o portati in braccio i loro bambini.
Nella mia terra natale i rom sembravano essere piu' numerosi che altrove. Da
ragazzo mi univo spesso a loro. I miei genitori mi rimproveravano, temevano
che gli "zingari" mi rapissero portandomi via chissa' dove (correvano voci
di rapimenti). Ma nessuno mi ha mai fatto del male; invece, ho imparato dai
rom molte cose utili. Essi apprendono facilmente le lingue, forse piu' degli
altri. Ignoro se nella loro vita di erranti riescano a conoscere la
felicita', ma certamente sanno come si puo' essere meno infelici. Essi mi
hanno aiutato ad ascoltare e annotare parte del racconto che qui espongo.
*
I rom hanno diversi termini per indicare il pane; il piu' frequente e' marno
che diventa poi manro, maro e mahno nelle varianti. La farina e' arho, un
nome che nella romanichila, la lingua dei rom, non ha il plurale. E la cosa,
forse, non e' casuale. Il lievito si dice humer, la fame e' bok, essere
affamato e' bokhalo: queste ultime due parole, sono di uso abbastanza
comune. Ch'alo (si pronuncia: cialo) e' sazio, panif e' l'acqua, jag e' il
fuoco, lonm e' il sale; mangiare si dice hav che e' infinito e presente
insieme.
Conoscendo la poverta', la penuria e la ristrettezza, circondati da tante
cose ma privati quasi di tutto, i rom sanno ben distinguere cio' che e'
pulito ( vujo) e quel che e' sporco ( mariame) non soltanto nel cibo, ma
anche negli usi e costumi.
Non si servono di ricette scritte su come si fa il pane o come si prepara
qualsiasi altro cibo, ma conservano e si tramandano una lunga tradizione
orale che passa di madre in figlia, di generazione in generazione. Il loro
modo di vivere non gi permette di servirsi di forni per il pane, ma una
focaccia si puo' cuocere anche sulle ceneri del focolare e la pitha (una
specie di pizza) su una piastra di semplice latta. Sapeste come sono
saporite le pagnotte e le focacce dei rom!
Nei loro proverbi sul pane c'e' molta saggezza. Ne ho annotati alcuni nella
lingua originale e li riporto perche' se ne senta il suono; li ho poi
tradotti per renderli piu' comprensibili.
Kana bi e ciorhe marena marnesa, vov bi lengo vast ciumidela: "Se il povero
venisse bastonato con il pane, egli bacerebbe la mano di chi lo colpisce".
O marno sciai so o Develni kamel thai so a thagar nasc'tisarel: "Il pane
puo' fare quello che Iddio non vuole e che l'imperatore non riesce a fare".
Kana bi ovela ne phuo marno savorenghe, ciuce bi ovena vi e khanghira vi e
krisa: "Se vi fosse pane sufficiente per tutti in questo mondo, le chiese e
i tribunali sarebbero deserti".
Te si marne thei nai biuze, na bi trebela rugipe: "Se ci fosse il pane e non
ci fossero i furbi, le preghiere sarebbero inutili".
O bokhalo dikhel suno e marne, o barvalo dikhel suno pe sune: "L'affamato
sogna il pane, il ricco sogna i propri sogni".
Una giovane zingara, allattando il proprio bimbo al seno, mi recito' quanto
trascrivo di seguito, nella sua lingua: una breve canzone dedicata al pane.
Me la tradusse persino. Il titolo e' "Marno", semplicemente: "Pane". I voghi
e iag giuvdarel, / i pani o arko bairarel. / O humer i dai longiarel / thai
peske ilesa gudgliarel, gudlo thai baro te ovel, / pire c'havoren te
ciagliarel. Ed ecco la traduzione, purtroppo senza la fisarmonica e il
tamburello: "Il soffio ravviva il fuoco, / con l'acqua si gonfia la farina.
/ La mamma versa il sale nella pasta, / la insapora con l'anima sua /
perche' il pane sia dolce e abbondante / e nutra i suoi bambini".
L'uomo non nasce mendicante, ma lo diventa. E non lo diventa soltanto per
volonta' propria. L'accattonaggio e' l'ammonimento agli uomini veri e alle
fedi sincere: a quelli chiamati a dare il pane a ciascuno, a coloro che non
dovrebbero dimenticare la carita'. Le armi e le guerre costano molto di piu'
del pane. Gli antichi profeti consigliarono, invano, di sostituire la lancia
con il vomere. I rom non possiedono terre da arare. Ed oggi e' per loro piu'
facile mendicare, e talvolta anche un po' rubare. Domani, forse, non sara'
piu' cosi'. "Non dovrebbero essere cosi'" dice il vecchio zingo, come una
volta lo chiamavano nei Balcani, usando termini vezzeggiativi.

3. MEMORIA. MANUELA CAMPONOVO RICORDA GIOVANNI POZZI (2002)
[Dal "Giornale del popolo" del 22 luglio 2002 col titolo "Cordoglio per la
morte di padre Pozzi".
Manuela Camponovo, giornalista, responsabile dell'inserto culturale
settimanale del "Giornale del popolo".
Giovanni Pozzi (Locarno 1923 - Lugano 2002), illustre italianista, docente
universitario, autore di fondamentali lavori. Nacque a Locarno il 20 giugno
1923. Studioso di straordinaria tempra morale, fu uno dei primissimi allievi
di Gianfranco Contini a Friburgo, conseguendo sotto la sua guida nel 1952 il
dottorato in letteratura medievale e moderna. Ordinato sacerdote nell'Ordine
dei Cappuccini nel 1947, ha insegnato Letteratura italiana all'Universita'
di Friburgo dal 1960 al 1988. Si e' spento in una clinica di Lugano all'alba
di sabato 20 luglio 2002. Tra le opere di Giovanni Pozzi: Francesco Colonna.
Biografie. Opere, Antenore, 1959; Poesia per gioco, Il Mulino, 1984; Rose e
gigli per Maria, Casagrande, 1987; La parola dipinta, Adelphi, 1981;
Sull'orlo del visibile parlare, Adelphi, 1993; Alternatim, Adelphi, 1996;
Grammatica e retorica dei santi, Vita e Pensiero, 1997; La terra del nome.
Ecostoria e geografia sacra dell'antico Israele, Pacini Editore, 2000; Mario
Botta. Santa Maria degli Angeli sul monte Tamaro, Casagrande, 2001; In forma
di parola. Dodici letture (con cd-rom), Medusa Edizioni, 2003; La poesia di
Agostino Venanzio Reali, Morcelliana, 2008. Alcuni materiali di e su
Giovanni Pozzi sono ne "La domenica della nonviolenza" n. 166 e in "Voci e
volti della nonviolenza" n. 185]

Un profondo cordoglio ha suscitato la scomparsa di padre Giovanni Pozzi: gli
amici sapevano che non stava bene (era stato ricoverato per alcuni esami
alla clinica Moncucco di Lugano) ma improvvisa e' giunta la notizia della
sua morte, avvenuta all'alba di sabato. Ed ora le lettere italiane ed
europee dovranno fare i conti con la sua assenza ma anche con la
responsabilita' della testimonianza e dell'eredita' trasmesse a diverse
generazioni di allievi che, rimasti nel solco da lui tracciato oppure prese
altre strade, deviazioni, hanno comunque dovuto partire da li' e sempre
confrontarsi con la statura del maestro.
Nato a Locarno il 20 giugno del 1923, entrato giovanissimo nell'ordine dei
Cappuccini, dopo gli studi teologici e l'ordinazione sacerdotale nel 1947,
egli segui' corsi di studi letterari e filologici, conseguendo il dottorato
in letteratura medievale e moderna all'Universita' di Friburgo nel 1952,
sotto la guida di Gianfranco Contini, di cui e' stato il continuatore piu'
originale. All'Universita' Cattolica di Milano assistente di Giuseppe
Billanovich in filologia umanistica, per un trentennio (dal 1960) fu
ordinario di letteratura italiana a Friburgo.
Rientrato al convento dei frati di Lugano, gli venne assegnato nel 2000 il
prestigioso Premio della Fondazione del Centenario della Bsi (tra gli altri
riconoscimenti, ricordiamo il Premio internazionale "Galileo Galilei",
patrocinato dai Rotary italiani, nel 1992; il Premio "Viareggio-Repaci" nel
'96; il Premio speciale "Premio Chiara alla carriera" nel '98).
Uomo di chiesa e studioso fedele ad un preciso impegno di ricerca, rivolto
soprattutto a campi e problematiche ancora inesplorati o comunque trascurati
dalla cultura "ufficiale", varie, vaste, per qualita' e quantita', le
tematiche da lui affrontate: medioevo, umanesimo, barocco; le affascinanti
indagini attorno ai rapporti tra parola e immagine; il rigore filologico
applicato anche ad un repertorio apparentemente dimesso, come l'espressione
religiosa popolare, destinata a restare altrimenti ai margini (nello studio
"Come pregava la gente" del 1983, l'umile atto della preghiera e' rivalutato
come universo linguistico a se stante); le mistiche, la cui testimonianza ha
saputo far riaffiorare con una straordinaria ricchezza di documentazione
biografica, storica, critica.
E poi il caso curioso che lo ha portato a rivestire il ruolo di scopritore
del talento letterario di Fleur Jaeggy della cui opera, romanzo dopo
romanzo, divenne singolare esegeta. L'ultima occasione pubblica, per padre
Pozzi fu proprio la presentazione di "Proleterka", la nuova opera della
scrittrice italo-svizzera, lo scorso maggio, alla Biblioteca Salita dei
Frati. Alla fine della serata, la restia Fleur Jaeggy prese la parola solo
per citare, significativamente, il lavoro al quale lo studioso si stava
applicando, al cui titolo ora non si puo' evitare di dare un senso
emblematico: "Tacet".

4. MEMORIA. ALESSANDRO MARTINI RICORDA GIOVANNI POZZI (2003)
[Dal "Giornale del popolo" del 9 ottobre 2003, col titolo "Il fermo
magistero di Giovanni Pozzi".
Alessandro Martini e' professore ordinario del Dipartimento di lingua e
letteratura Italiana e direttore del Seminario di letteratura italiana
dell'Universita' di Friburgo]

Domani 10 ottobre e sabato 11 a Lugano, nella sala di lettura della
Biblioteca della Salita dei Frati, si terra' un seminario di riflessione
sull'opera letteraria, filologica e critica di padre Giovanni Pozzi, che ci
ha lasciati poco piu' di un anno fa, il 20 luglio 2002.
Giovanni Pozzi e' stato professore di letteratura italiana a Friburgo dal
1960 al 1988, formando una schiera di insegnanti, di studiosi e di operatori
culturali sempre ben presente nella Svizzera italiana. In seguito, per altri
quattordici anni, sino all'ultimo giorno, ha continuato ad operare da
studioso e da promotore di studi, nonche' da cappuccino, nel Convento e
nell'annessa Biblioteca della Salita dei Frati, che, ben prima di farne il
perno della sua ultima attivita', volle rinnovata nella sede, aperta al
pubblico, arricchita dei volumi da lui stesso raccolti in cinquant'anni di
passione libraria e aggiornata da nuovi mirati acquisti, grazie alla
costituzione dell'Associazione che oggi giustamente promuove il seminario
sui metodi e sui temi della sua instancabile ricerca.
Ci troviamo di fronte a uno dei maggiori studiosi di letteratura italiana
del secondo Novecento: ad attestarlo non sono mancati i pubblici
riconoscimenti, dall'appartenenza alle accademie dell'Arcadia e della
Crusca, ai dottorati "honoris causa" delle universita' di Bologna, di
Ginevra e di Udine, ai numerosi premi assegnatigli negli ultimi anni; un
grande studioso e un altrettanto grande maestro di studi, come pochi altri,
dello stampo e della tempra dei suoi stessi maestri: Gianfranco Contini e
Giuseppe Billanovich. Come tale, operando prevalentemente a Friburgo e a
Lugano, ha profondamente rinnovato gli studi di italianistica in Svizzera,
instaurando, dopo i germi gettati dai suoi maestri, una tradizione prima di
lui praticamente inesistente o subordinata al bello scrivere, senza
incidenze rilevanti nel contesto italiano e internazionale.
Il programma delle due giornate comprende tre sessioni: la prima sui metodi
che la ricerca di Giovanni Pozzi ha promosso e discusso, la seconda su
alcuni grandi ambiti della sua indagine letteraria e la terza sui rilievi
interdisciplinari di questa.
Nella prima interverranno Ottavio Besomi e Franco Gavazzeni. Besomi, che ha
gia' tracciato nell'"Archivio storico ticinese" del giugno scorso un
incisivo "Profilo di un maestro e di un magistero", ne approfondira' alcuni
aspetti. Gavazzeni si pronuncera' sulle strategie adottate nel commento ai
testi, uno dei lasciti piu' preziosi dell'eredita' di Pozzi. Nella seconda
sessione Mirella Ferrari parlera' dei suoi studi sull'Umanesimo, Ezio
Raimondi di quelli sul Seicento, Claudio Leonardi di quelli sulla mistica e
sul francescanesimo. Nella terza sessione Giovanni Romano dira' degli
scritti su parola e immagine e sull'arte e Romano Broggini su quelli
relativi alla cultura ticinese. I relatori sono personalita' di singolare
spicco in ciascun ambito considerato, alcuni della sua stessa generazione,
come Broggini, Raimondi e Leonardi (compagno di cordata nell'innovativa
antologia di Scrittrici mistiche italiane), altri della generazione
successiva, che con particolare vigore hanno ripreso dalle mani di quella
prima il testimone. Da sottolineare anche la presenza, a presiedere le
sessioni, di Dante Isella, che con Pozzi ha diretto la ricca collana di
classici presso la Fondazione Pietro Bembo, e di Cesare Segre, che ha cosi'
sapientemente contribuito a dare un volto italiano e filologico agli
interessi semiologici sviluppatisi un po' ovunque a partire dagli anni
Sessanta, processo in cui Pozzi ha avuto una sua specifica parte. Pietro
Gibellini presentera' quello che non e' il primo e non sara' l'ultimo libro
postumo del commemorato: le lezioni tenute alla Rete Due della Radio della
Svizzera italiana, raccolte sotto il titolo In forma di parola (edizioni
Medusa).
Gli enti organizzatori intendono pubblicare gli atti del seminario, che
comprenderanno, sul modello proposto dallo stesso Pozzi per la tradizione
filologico-letteraria friburghese ("Italiano e Italiani a Friburgo"), i
titoli dei corsi e dei seminari tenuti nella sua universita', nonche' la
bibliografia aggiornata dei suoi scritti. Una prima descrizione del suo
archivio, di cui sono custodi i confratelli luganesi, apparsa sulla rivista
dell'Associazione Salita dei Frati, i "Fogli" dell'aprile scorso, lascia
intravedere una straordinaria ricchezza di materiali. Basti pensare, fra i
manoscritti, ai suoi quadernetti di corsi, ai prospetti degli stessi, agli
appunti per lezioni e conferenze, alle schede, alle prediche, alle carte
relative alle sue varie attivita' culturali e di politica culturale (tra le
piu' alte e meno visibili quella presso la Consulta italosvizzera), e non da
ultimo all'epistolario da lui stesso ordinato, di cui si da' un elenco di
insigni corrispondenti. Chi abbia ricevuto sue lettere sa quanto queste
abbiano inciso nel proprio cammino di lavoro e di vita: incisivita' non solo
delle osservazioni, dell'attenzione al destinatario, ma dello stile che le
veicola. Da questa ricca documentazione trarranno sostanza prima non solo la
ricerca su di lui, che queste promettenti giornate autorevolmente avviano,
ma le riflessioni sul futuro delle discipline da lui cosi' strenuamente
coltivate.

5. LIBRI. UN ESTRATTO DA "IL GIUSTO E L'INGIUSTO" DI JEAN-LUC NANCY
[Dal sito www.feltrinellieditore.it riprendiamo il seguente estratto dal
libro di Jean-Luc Nancy, Il giusto e l'ingiusto, Feltrinelli, Milano 2007.
Nel sito della casa editrice il libro e' cosi' presentato: "Siete sicuri di
sapere spiegare a un bambino che cosa sia il giusto e l'ingiusto? Uno dei
piu' importanti filosofi contemporanei lo fa per noi, in un piccolo grande
libro". E piu' ampiamente: "Quante volte capita di sentire un bambino
gridare o dire fra i denti: 'Non e' giusto!'. Quante volte prova il
sentimento di essere giudicato colpevole di un'azione che non ha commesso o
crede di non aver commesso, o non ritiene cattiva. Lo stesso succede agli
adulti ogni volta che sentono l'ingiustizia di una contravvenzione, di uno
sgarbo, di un licenziamento, di una guerra. Siamo convinti che il giusto
dovrebbe essere giusto per tutti. Ma pensiamo anche che possa esistere una
giustizia diversa per ciascuno di noi, come un vestito che ci si 'aggiusta'
addosso? O ancora siamo disposti a immaginare che sia giusto quel che vuole
il nostro egoismo e per quello siamo disposti a lottare? Ci sono dunque due
giustizie diverse? Una valida per tutti e una per ogni singolo individuo? Ma
la giustizia di ogni singolo individuo non rischia forse, provocando
inevitabili conflitti, di creare ingiustizia? E allora? Dove andiamo a
parare? Cos'e' il giusto? In questo piccolo libro, un grande filosofo come
Jean-Luc Nancy spiega a tutti i lettori, compresi i piu' piccoli a cui ha
dedicato una serie di incontri pubblici, come si possa ragionare su queste
domande e avvicinarsi a delle risposte. Una lezione semplice, che non teme
ne la complessita' del tema ne' la leggerezza dell'esposizione. Una
dotazione importante per i grandi che si preparano a spiegare il mondo
com'e' fatto".
Jean-Luc Nancy insegna filosofia all'Universita' "Marc Bloch" di Strasburgo;
tra le figure di maggiore rilievo nel panorama filosofico internazionale, ha
riformulato temi cruciali della tradizione fenomenologica
post-heideggeriana; in una riflessione vertente in particolare sullo statuto
della corporeita' e delle sue rappresentazioni, ne ha mostrato anche la
dimensione intersoggettiva e comunitaria. Tra le opere di Jean-Luc Nancy:
L'esperienza della liberta', Torino 2000; Essere singolare plurale, Torino
2001; Il ritratto e il suo sguardo, Raffaello Cortina Editore, 2002; Un
pensiero finito, Marcos y Marcos, 2002; La citta' lontana, Ombre Corte,
2002; Il c'e' del rapporto sessuale, SE, 2002; Il pensiero sottratto,
Bollati Boringhieri, 2003; (con Federico Ferrari), La pelle delle immagini,
Bollati Boringhieri, 2003; La creazione del mondo o la mondializzazione,
Einaudi, 2003; La comunita' inoperosa, Cronopio, 2003; All'ascolto,
Raffaello Cortina Editore, 2004; (con Nicolas Faure, Philippe
Lacoue-Labarthe), Ritratti/cantieri, Le Cariti Editore, 2004; Corpus,
Cronopio, 2004; Abbas Kiarostami. L'evidenza del film, Donzelli, 2004;
Sull'agire, Cronopio, 2005; Noli me tangere. Saggio sul levarsi del corpo,
Bollati Boringhieri, 2005; L'intruso, Cronopio, 2006; Il ventriloquo.
Sofista e filosofo, Besa, 2006; Le Muse, Diabasis, 2006; In cielo e sulla
terra. Piccola conferenza su Dio, Luca Sossella Editore, 2006; (con Federico
Ferrari), Iconografia dell'autore, Luca Sossella Editore, 2006; Del libro e
della libreria. Il commercio delle idee, Raffaello Cortina Editore, 2006;
Cronache filosofiche, Nottetempo, 2006; Tre saggi sull'immagine, Cronopio,
2007; La nascita dei seni, Raffaello Cortina Editore, 2007; Narrazioni del
fervore. Il desiderio, il sapere, il fuoco, Moretti & Vitali, 2007;
L'imperativo categorico, Besa, 2007; La dischiusura. Vol. I: Decostruzione
del cristianesimo, Cronopio, 2007 Il giusto e l'ingiusto, Feltrinelli, 2007]

Cio' che e' dovuto a ciascuno
Quando dite che e' giusto dare a ciascuno cio' che gli e' dovuto, avete una
buona definizione del giusto, eppure sono sicuro che vedete subito dove
stanno le difficolta'. Cosa, effettivamente, e' dovuto a ciascuno? Ci
arriviamo subito, ma anzitutto parliamo di una prima difficolta', forse piu'
difficile da cogliere. Dare a ciascuno cio' che gli e' dovuto significa in
primo luogo far coesistere due principi dietro il termine "ciascuno": un
principio di uguaglianza, anzitutto ("ciascuno" e' considerato esattamente
come tutti gli altri), e un principio di differenza proprio di ciascuna
persona, perche' cio' che e' dovuto a Nicole forse non e' cio' che e' dovuto
a Said, e cio' che e' dovuto a Gael non e' necessariamente cio' che e'
dovuto a Jonathan. Ci sono dunque due principi: uguaglianza e differenza.
Se siete d'accordo, proporro' di dire uguaglianza e singolarita'. La
singolarita' e' cio' che e' proprio di ciascuno in quanto egli e' un essere
singolare, in quanto egli e' unico. Uguaglianza e singolarita' sono
inseparabili nell'idea di giustizia e, al tempo stesso, possono entrare, se
non in contraddizione, forse, quantomeno in conflitto. Questo ci insegna una
prima cosa importantissima: il giusto e l'ingiusto si decidono sempre nel
rapporto con gli altri. Nel giusto e nell'ingiusto, si tratta degli altri e
di me, ma sempre di me in rapporto agli altri. Deve essermi reso cio' che mi
e' dovuto cosi' come deve essere reso agli altri cio' che e' dovuto loro.
Cio' significa che non puo' mai esservi giustizia per uno solo: non avrebbe
alcun senso. La giustizia esiste, dunque, solo in rapporto all'altro. Ecco
perche' farsi giustizia da se' non ha alcun senso. Tuttavia e' certamente
vero che ciascuno di noi, nella propria singolarita', ha diritto a un
riconoscimento assolutamente particolare. Non sarebbe giusto, per esempio,
decidere che tutti devono avere i capelli rossi e obbligare tutti a
tingerseli. Al contrario, le sfumature singolari dei capelli fanno parte
(anche se ne costituiscono soltanto un'infima parte) di cio' che ciascuno
e', singolarmente.
Ma allora - seconda parte della definizione - che cosa e' dovuto a ciascuno?
In questa sede non ci porremo nemmeno il problema di sapere come dare o
rendere a ciascuno cio' che gli e' dovuto. Possiamo pero' distinguere
facilmente alcuni elementi di cio' che e' dovuto a ciascuno: ognuno ha il
diritto di vivere, e quindi deve avere i mezzi per vivere, per nutrirsi o
per proteggersi dalle intemperie; ognuno ha il diritto di essere istruito,
dunque e' giusto che ogni bambino possa andare a scuola. So bene che alcuni
di voi in questo momento stanno pensando: "Non e' poi tanto sicuro che
questo sia giusto". Eppure, la scuola per tutti rientra nell'ambito della
giustizia, perche' non avere istruzione e cultura significa non poter
sviluppare tutte le proprie possibilita', come uomo o come donna, nella
vita. Inoltre, certamente, ognuno ha diritto alla salute, e dunque a poter
essere curato, e ognuno ha questo diritto anche quando un destino che si
potrebbe chiamare, forse, ingiusto, lo ha fatto nascere con un handicap. E'
giusto, allora, poter fruire di particolari cure, potersi servire di una
sedia a rotelle, avere accessi per portatori di handicap, ecc. E' giusto che
tutto questo sia previsto dalla legge. Oggi, la legge impone che, sui mezzi
di trasporto e nei locali pubblici, vi siano accessi per le sedie a rotelle
dei portatori di handicap. Potremmo continuare a lungo questa discussione su
quel che e' giusto e quel che deve essere riconosciuto come giusto da tutti
in una data societa', in materia di educazione, di alloggi, di salute, di
salario, di condizioni di lavoro e di vita, perche' vi sono molte cose che
sappiamo bene che sono giuste.
Se avessimo il tempo di farla, questa discussione ci riporterebbe alla
legge. E' per questo che la legge cambia e si evolve, perche' ci si rende
conto che c'e' questa o quella esigenza di giustizia a cui, sino a quel
momento, non si prestava attenzione, o che prima non era abbastanza
evidente. Questo ci ricondurrebbe dunque, di nuovo, alla legge e a tutto
cio' che sara' sempre da cambiare, da riformare, da adattare. Ora, noi
sappiamo che fumare e' una pessima cosa per la salute e per la gestione di
quella che si chiama la sanita' pubblica, per via delle cure che devono
essere fornite a tutte le persone che soffrono di cancro o di malattie
polmonari provocate dal tabacco. Per questa ragione, e' necessario che la
legge si evolva. La legge non cambia tutti i giorni, ma vi sono sempre buone
ragioni per progettare di trasformarla o per emanarne di nuove, perche' la
societa' diventi piu' giusta.
Dobbiamo pero' notare subito che non riusciremo mai a dire interamente,
integralmente, esattamente cosa e' dovuto a ciascuno in particolare. Come si
puo' riassumere cio' che e' dovuto a ciascuno di noi in quanto ognuno e' una
persona unica, in quanto e' Nicole o Said o Gael o Brahim? In un certo
senso, si potrebbe dire che occorre unicamente che ciascuno sia riconosciuto
nella sua singolarita'. E' una lista infinita: quando potro' aver finito di
essere giusto verso Nicole o Said? Quando potro' aver finito di riconoscerlo
o di riconoscerla, non soltanto come un amico o un'amica o come qualcuno
interessante perche' puo' prestarmi la sua playstation o aiutarmi in
matematica, ma di riconoscere lui, veramente? Ponendo questo interrogativo,
vediamo aprirsi la divaricazione piu' completa tra il giusto morale e il
giusto nel senso dell'esattezza, l'aggiustamento. Non vi e' alcun
aggiustamento possibile di questa giustizia. Si potrebbe dire, se volete,
che la giustizia e' inevitabilmente senza esattezza o senza aggiustamento.
Beninteso, posso comprare dei vestiti per Nicole o per Said, ma e' meglio
che li compri della loro taglia e che stiano loro "giusti".
Si', questo puo' farvi ridere, ma se compro un paio di jeans della mia
taglia per uno di voi, avra' uno strano aspetto.
I vestiti, dunque, devono essere "aggiustati" sino al termine della
crescita. Ma che cosa dovra' essere aggiustato se ci si interessa
all'aspetto estetico dei vestiti? Qual e' il piu' giusto? Un paio di jeans
blu, neri o grigi? Ovviamente, non e' possibile dirlo. Certo, ci sono cose
molto piu' importanti dei vestiti, c'e' cio' di cui ciascuno ha voglia, cio'
che a ciascuno piace, cio' che ciascuno sogna. Ma ci sono anche questioni
per le quali non siamo necessariamente giusti con noi stessi. Penso al
bambino diabetico di cui parlavo prima; tutti noi, o almeno molti di noi,
hanno voglia di dolci, ma e' pericoloso mangiare dolci quando si e'
diabetici. Analogamente, spesso avete pochissima voglia di fare i compiti,
eppure e' necessario. Ma pensateci da soli adesso, potete andare ancora e
sempre oltre, non vi e' modo di chiudere la lista di cio' che e' veramente
dovuto a ciascuno.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 480 dell'8 giugno 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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