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Voci e volti della nonviolenza. 186
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 186
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 7 Jun 2008 08:57:25 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 186 del 7 giugno 2008 In questo numero: 1. Maurizio Braucci dialoga con Matteo Garrone sulla realizzazione del film "Gomorra" 2. Et coetera 1. MAURIZIO BRAUCCI DIALOGA CON MATTEO GARRONE SULLA REALIZZAZIONE DEL FILM "GOMORRA" [Dalla bella rivista diretta da Goffredo Fofi "Lo straniero", n. 96, giugno 2008, riprendiamo il seguente articolo (disponibile anche nel sito www.lostraniero.net) dal titolo "Gomorra, il film di Matteo Garrone, incontro con Maurizio Braucci"] Da ottobre 2006, per quattro mesi, abbiamo lavorato alla stesura della sceneggiatura dellíultimo film di Matteo Garrone, tratto dal best seller Gomorra di Roberto Saviano. Insieme al regista e all'autore del libro, io, Massimo Gaudioso, Ugo Chiti e Giovanni Di Gregorio abbiamo scritto le sei storie che componevano la sceneggiatura originaria. Matteo ha svolto un ruolo quasi da allenatore - credo che il suo passato da tennista professionista lo aiuti in questo - allestendo un grosso cartellone con lo schema delle tracce narrative, come nello studio tattico di una partita, per mettere ordine tra la massa di spunti che venivano dal libro. Durante le prime settimane di lavoro, abbiamo vissuto il drammatico inizio della messa sotto scorta di Roberto Saviano a causa delle intimazioni di morte da parte della camorra. Da un certo punto in poi, i suoi arrivi a casa di Matteo, dove lavoravamo, erano sempre preceduti da un carabiniere in borghese che perlustrava le scale per cui Saviano sarebbe passato. Sono stati giorni di tensione, anche nel lavoro; Roberto, chiamato a colloquio da magistrati e alti ufficiali, non sempre ha potuto partecipare ai nostri incontri e, per un certo periodo, abbiamo dovuto fare a meno di lui. Sebbene la ricordi come un'esperienza molto positiva, abbiamo attraversato molti momenti di difficolta', quando non si riusciva a trovare una scena finale, a mettere a fuoco un personaggio o a scrivere un dialogo cruciale, ma credo che sia andata bene e che il film, piaccia o meno, si basi su un grande sforzo di onesta' e ricerca. Mi soffermo su questi aspetti, perche' in tanti mi hanno chiesto come avessimo fatto a lavorare in sei a una sceneggiatura - una cosa oggi abbastanza rara - e, come al solito, quello che ha funzionato e' stata la volonta' di ciascuno di mettersi in gioco. Da febbraio 2007 Matteo e' venuto a Napoli per la fase di preparazione e li' c'e' stata una successione di incontri e sopralluoghi, a cui in parte ho assistito, che hanno modificato l'idea del film che avevamo scritto. Pian piano si e' capito che il regista stava scavando nei personaggi e che alcune ipotesi iniziali di attori, ritenute ormai certe, cadevano dietro i colpi di una nuova scoperta o ipotesi. Le due amiche addette al casting, gli scenografi e quanti lavoravano alla preparazione, hanno attraversato momenti di crisi, talvolta di tensione, ma col senno di poi penso che sia stato tutto necessario per non cadere nelle trappole degli stereotipi e del compiacimento. Dopo il libro di Roberto, che ha cambiato l'immagine oscura della camorra, non si poteva tornare a certi cliches sul sud e le sue comunita' di cui abbondano film e tv. Da questo punto di vista, sono certo che si tratti di una sfida vinta, anche se alcuni aspetti restano uguali perche' uguale e' rimasto il contesto di disagio e marginalita' che raccontavamo. Riguardo alla condanna di Roberto da parte del Sistema, all'inizio si era molto timorosi delle reazioni alla nostra presenza a Scampia o a Casal di Principe, tant'e' che il titolo adottato, e che e' rimasto fino alla fine sul ciak, era quello provvisorio di Sei storie brevi, la sesta non e' mai stata girata, malgrado una scommessa tra me e Matteo se poi avrebbe funzionato o meno. Un aspetto importante, e' quello relativo alla capacita' di essere entrati nei territori per girare il film. Il caso di Scampia e' emblematico e forse il piu' arduo tra gli altri che pure hanno richiesto grande determinazione a Matteo e alla sua troupe - tra cui il pittore Gianluigi Toccafondo, che ha sempre mantenuto uno sguardo ironico e luminoso sull'intorno. Premetto che il modo di lavorare di Matteo e' fatto, oltre che del "typage" per cui molti attori sono presi dalla realta', da un approfondimento della conoscenza dei territori, attraverso lunghe chiacchierate con gli abitanti o semplicemente stando li' per qualche tempo. A Scampia, dopo un'assidua frequentazione, la troupe e' rimasta a girare per un mese e mezzo in una delle Vele, occupandola e, secondo me, creando delle relazioni molto positive con gli abitanti. Era la prima volta che una cosa del genere accadeva li', i malumori non sono mancati, ma a ben guardare provenivano da quelli inevitabilmente esclusi dal film o che hanno fatto richieste assurde. Ricordo due casi per tutti: un salumiere che, alla notizia che il suo locale non serviva piu' per una scena ha richiesto il triplo del pagamento pattuito (che pure gli sarebbe stato versato), e un uomo che, infastidito dal lavoro della troupe, ha reclamato che gli riattaccassero l'elettricita' sul pianerottolo che, invece, non c'era mai stata. La possibilita' di stare li' tanto tempo e' stata coltivata attraverso contatti con alcuni componenti della comunita' locale, un fotografo di matrimoni, un piccolo impresario, un'associazione che lavora con i bambini, i quali hanno interceduto all'inizio per il film. Si e' scelto di non avvalersi, come spesso si fa, della polizia come guida e protezione, perche' questo avrebbe creato subito un filtro con la gente, abituata purtroppo al disinteresse da parte delle istituzioni, cosa che ha fatto di Scampia quello che e' oggi. Il ricorso ad attori e comparse prese sul luogo, ha significato anche la partecipazione di pregiudicati e spacciatori al film, e credo che sia stata una delle poche volte in cui qualcuno ha chiesto loro di collaborare a un'esperienza legale e io, personalmente, come Matteo, non ho pregiudizi o capri espiatori da mettere al bando. In pratica, il film ha ereditato molte delle contraddizioni che esistono a Scampia e si e' dovuto barcamenare tra esse, a volte sbagliando, a volte facendo bene, ma senza quel cinico moralismo con cui, dall'esterno, si giudica della gente che, in definitiva, e' stata abbandonata a se stessa per piu' di vent'anni. Ponendosi da una prospettiva cosi' interna - come accade nei film con un forte rapporto dialettico con i mondi che raccontano - Gomorra e' andato a scrutare nell'oscuro, scavando oltre l'apparenza e i luoghi comuni. Altra questione e' stata la camorra che, dopo i primi sopralluoghi, ha chiesto ragione ai nostri mediatori di cosa stesse accadendo - in fondo sono loro che comandano li' e, di questo, le autorita' italiane dovrebbero prendere atto. I camorristi, quando hanno appreso cosa e chi stesse per istallarsi a Scampia, hanno dato il loro silenzio assenso, qualcuno di loro si e' presentato in seguito sul set con l'aria di voler ribadire che era grazie a lui che si potesse girare il film o, semplicemente, per curiosita'. Gomorra non ha pagato tangenti per poter agire su un territorio controllato dalla criminalita' organizzata, ma la sua troupe non ha mai subito furti o intimidazioni durante la lavorazione, e perche' questo sia accaduto e', secondo me, un argomento di politica criminale. Scampia veniva fuori da una guerra cruenta di camorra e, posti sotto l'occhio del ciclone mediatico, i suoi controllori, che stupidi non sono, hanno ritenuto che gli facesse gioco permettere che qualcuno si aggirasse liberamente li' per girare un film - un po' come fanno certe dittature quando permettono l'ispezione di una delegazione dell'Onu - e, del resto, il cinema, con la sua spettacolarita', ottiene sempre un lasciapassare. L'entusiasmo e la disponibilita' di tanti abitanti di Scampia, il loro essere coinvolti, lavorativamente o sul piano emotivo, nel film, e' stata la vera, grande protezione per Garrone e i suoi in una periferia vittima del pregiudizio a volte piu' che del disagio. La sola repressione, con le sue semplificazioni tra buoni e cattivi, non l'avra' mai vinta nei territori dove la criminalita' e' radicata, serve anche altro, specie dal punto di vista culturale. Il film racconta anche questo e se, per farlo, ha dovuto farsi carico di alcune contraddizioni, sara' sempre un buon prezzo da pagare. * - Maurizio Braucci: Parliamo del tuo metodo di lavoro. Io l'ho visto da vicino e secondo me, per quanto si rifaccia a una certa tradizione cinematografica, ha delle caratteristiche molto personali. - Matteo Garrone: In realta' si puo' dire che da quando ho girato il primo film, Terre di mezzo, fino a oggi, il mio metodo di lavoro non e' cambiato molto. Gia' da allora ero mosso dal desiderio di perlustrare dei territori alla ricerca di un'idea figurativa del film, attraverso i luoghi e attraverso i volti. Allora non partivo da una sceneggiatura e quindi il territorio, le facce e le persone erano dei percorsi per trovare il film. Solo con L'imbalsamatore ho iniziato da una sceneggiatura, ma, mentre scrivevamo, io me ne andavo nei luoghi in cui era ambientato il film, e facevo delle foto o vedevo degli attori. Nel caso di Gomorra il lavoro di scrittura ha preceduto quello sui territori, a Napoli ci siamo andati solo dopo aver scritto la sceneggiatura. Li', all'inizio, abbiamo trovato dei volti non strettamente legati ai luoghi in cui si ambientava la storia, ma poi, andando in giro, abbiamo dovuto rivedere le nostre idee e la realta' intorno ci ha aiutato a scegliere. E' un metodo, questo, che certamente ha origine dal documentario - anche se queste categorie, fiction e documentario, sono sempre un po' approssimative - che diventa un'ideazione di personaggi che vengono verificati continuamente, a volte anche con dei cambiamenti dolorosi in corso d'opera. Durante le riprese di Gomorra ci siamo accorti che alcune ipotesi di scrittura non coincidevano con la psicologia di un personaggio o con certi sviluppi della drammaturgia. Spesso anche gli attori ci hanno segnalato se c'erano delle incongruenze, perche' sono loro i primi a rendersene conto. Io giro sempre seguendo la sequenza temporale della storia e, in tal modo, do' all'attore la possibilita' di seguire lo sviluppo drammaturgico del personaggio e, quindi, grazie anche alle sue impressioni, possiamo verificare se le scelte fatte in sceneggiatura siano da mantenere o cambiare. In questo modo, quello che e' stato scritto viene di continuo messo in discussione, la storia prende vita entrando in una dimensione piu' buia ma in cui tutto poi si svela pian piano. Per me e' importante poter lavorare in maniera artigianale, confrontarmi con gli sceneggiatori per riscrivere dei pezzi della storia, tornare con loro sul montaggio per capire quali sono i personaggi che si potrebbero sviluppare meglio, le scene che vanno arricchite o quelle che ci sembrano stonate, per poi tornare a girarle. Tutto questo non ha niente a che fare con l'improvvisazione, anzi. Un paragone lo si potrebbe fare con la tecnica delle velature utilizzata in pittura. Nella pittura a olio, per arrivare a una particolare tonalita', si usano tanti strati di colori sovrapposti, le velature appunto, che poi danno vita all'effetto finale. Per ottenere un rosso denso, puoi usare una base di marrone scuro e poi aggiungere vari strati di rosso, per dare piu' profondita', piu' spessore. E' chiaro che il mio e' uno dei metodi possibili, di metodi ce ne sono diversi. Ci sono registi che non amano affatto inventare sul set e hanno bisogno dello story board per avere tutto chiaro prima di girare, altri invece sono insofferenti rispetto a cio' che e' stato scritto e fanno entrare nel film quello che accade anche dietro la macchina da presa. Io appartengo piu' a questa seconda categoria. * - Maurizio Braucci: Cosa pensi del fatto di essere considerato un regista che nei suoi film ha sempre affrontato dei temi sociali? - Matteo Garrone: Gia' a partire dai miei primi film, c'e' sempre stato un equivoco, perche' sembrava che da parte mia ci fosse un impegno sociale, cosa che in realta', pur non disdegnandolo, non ho mai messo al centro delle scelte che mi hanno portato a realizzare un particolare progetto. Invece l'aspetto piu' forte per me e' sempre stata l'immagine, la curiosita' per dei luoghi che in qualche modo mi avevano sorpreso visivamente e per dei personaggi che mi avrebbe fatto piacere approfondire. Con Terre di mezzo che ha come protagoniste delle prostitute nigeriane, piu' che la questione della prostituzione, che m'interessava fino a un certo punto, mi affascinava quella realta' cosi' onirica che si creava tra loro e i contadini che pascolavano le pecore li' in campagna, o i ciclisti che passavano indossando delle tute quasi spaziali. Non avrei mai raccontato tre prostitute in una strada di notte sulla Colombo a Roma, visivamente non mi avrebbe attratto. Invece quell'atmosfera divertente e un po' arcaica mi fece venire voglia di raccontare una loro giornata qualsiasi. Non so bene perche', ma da allora si e' creato un equivoco sull'importanza per me della denuncia o dell'impegno. Sono sempre stato dell'idea che sia piu' importante l'espressione che l'informazione, tutto questo discorso vale anche per Gomorra che rischia di essere frainteso, perche' ha una componente di denuncia sociale ma questa rappresenta solo un aspetto delle sue varie motivazioni. * - Maurizio Braucci: Tu hai una particolare passione per il reale, eppure dai tuoi film viene fuori sempre qualcosa di un po' onirico, sottilmente visionario ma al contempo concreto. - Matteo Garrone: Nel cinema la realta' e' legata allo sguardo con cui la rappresenti e quindi alla capacita' che hai di trasformarla, di reinventarla. In questo modo non si puo' parlare di realta' oggettiva, tutto dipende da dove scegli di porre il tuo sguardo e lo sguardo e' sempre soggettivo, ha sempre a che fare con un processo creativo. Il rapporto con la rappresentazione e' molto piu' complesso nel cinema, che e' comunque una tecnica legata alla fotografia, anziche' nella pittura o in altre forme d'arte che sono slegate dall'aspetto imitativo della realta'. Per il cinema, la questione e' di riuscire a liberarsi dall'imitazione del reale e andare oltre, procedere verso un'altra direzione e, infine, riuscire a farlo. La partita si gioca tutta li': riuscire a farlo in una maniera che sorprenda, che abbia anche un impatto emotivo. * - Maurizio Braucci: Ma la tua ricerca di emotivita' ha anche delle esigenze tecniche molto forti. - Matteo Garrone: Qualsiasi immagine, qualsiasi inquadratura deve essere rigorosa. In Gomorra questo rigore e' servito a rendermi invisibile. Cosi' ho potuto mettermi in disparte, come uno spettatore capitato li' per caso, cercando in tutti i modi di non far sentire la mia presenza attraverso un'inquadratura particolare o un movimento di macchina che non fossero strettamente necessari. Essere rigoroso e' stato molto importante per evitare il compiacimento e l'invadenza da parte mia, per riuscire a creare un impatto emotivo in chi avrebbe poi guardato il film, non mettendo nessun filtro tra lui e l'immagine. Lo stesso e' accaduto con la musica in postproduzione, ne ho usata pochissima perche', quando abbiamo provato a inserire una colonna sonora, tutto si trasformava in commedia o in una presa di posizione verso le immagini. Con la musica, il bambino che spaccia ne veniva fuori con un commento didascalico, quasi a volere che lo spettatore si commuovesse. Lo stesso vale per il montaggio, li' ho quasi sempre prediletto i piani sequenza. * - Maurizio Braucci: Il fatto che sia direttamente tu a filmare e' importante? - Matteo Garrone: Essere alla macchina da presa per me e' fondamentale anche per un altro motivo, perche' quando giro cerco dei momenti unici, degli attimi irripetibili, e questa ricerca c'e' sempre stata in me, anche se prima ne ero meno consapevole. La scrittura mi interessa come punto di partenza, pero' poi sento di doverla superare. Quello che cerco non accade facilmente, puoi fare venti ciak e non succede nulla, con Gomorra i ciak non sono mai stati uno uguale all'altro, il modo in cui veniva detta una cosa, la gestualita', cambiavano di volta in volta. Poi d'un tratto accadeva un miracolo, quel momento unico che ti dicevo, e dovevo essere pronto a coglierlo con la macchina da presa, perche' magari era solo un gesto, una piccola sfumatura che non ricapita. Se ci fosse stato un operatore, avrei dovuto dirgli, "Vai sulla mano che sta poggiata in quel punto" e lui probabilmente sarebbe arrivato in ritardo, oppure non si sarebbe preso mai la responsabilita', durante un dialogo, di soffermarsi sul movimento di un dito. Invece, poiche' sono io a filmare, mi viene istintivo di cercare una simbiosi con gli attori: loro inventano, io invento, inventiamo insieme. Ma e' necessario che si crei un'alchimia tra di noi, altrimenti io vado per conto mio, loro vanno in un'altra direzione e non nasce niente. E' questo il motivo per cui sto in macchina, spesso le idee mi vengono a seconda dei movimenti che fanno gli attori e gli attori spesso arrivano a dei movimenti inconsapevolmente. Non sono mai io a farmi seguire dagli attori come spesso accade con i registi che mettono dei segni per terra perche' l'attore sappia che deve arrivare in quel punto e poi guardare fuori dalla finestra, in una precisa direzione, altrimenti non prende bene la luce. Queste cose per me non hanno senso, io cerco di creare le premesse perche' possa accadere qualcosa, poi mi metto a osservare attraverso la cinepresa. In pratica e' li' che cerco delle idee di racconto, in fase di sceneggiatura non sono mai riuscito a farmele venire. Ma il rapporto con gli attori e' bello averlo anche in fase di scrittura, anche li' possono darti un sacco di suggerimenti su un personaggio, oppure puoi trovarli tu stesso, guardando come si comportano. Con Gomorra, sui luoghi d'ambientazione ci sono andato solo dopo che abbiamo finito la sceneggiatura, e infatti da li' sono cambiate molte cose. La scena iniziale del solarium, quella specie di prologo del film, e' nata stando a Scampia e scoprendo, durante le riprese, che un luogo del genere, oltre che suggestivo, era molto emblematico dell'immaginario della camorra. * - Maurizio Braucci: Che impressione hai avuto dopo la tua lunga permanenza in Campania, dopo essere stato in luoghi come Scampia e il casertano, cosi' stigmatizzati dalla cronaca? - Matteo Garrone: In genere, si ha un'idea molto piu' schematica di certi mondi, del tipo o bianco o nero. Invece se provi a conoscerli, trovi una situazione piu' complessa, l'esistenza di una zona grigia dove tutto si mescola, e che pero' ti confonde, rendendo meno netti i giudizi che potresti dare. Io, dopo sei mesi di permanenza nel napoletano e nel casertano, ho le idee molto meno chiare di quando ho iniziato. E' stata un'esperienza forte, allo stesso tempo umana e disumana per le situazioni e la gente che ho conosciuto. Li' osservavo tutto quello che mi circondava, dovevo capire cosa poteva diventare parte del film, in un certo senso il mio scopo era rubare. Cosi' cercavo un modo per restituire l'anima di quell'umanita' che incontravo, ma anche per trasfigurarla, evitando l'imitazione del reale. Rifare la copia di come la gente vive e' sempre un rischio, io invece volevo una realta' che fosse anche altro. Alla fine, da quando sono tornato a casa, ho la sensazione di essere stato al fronte, su un luogo di guerra dove ho incontrato dei soldati, le loro compagne, i loro figli, persone comuni che vivono in un territorio di guerra e che mi hanno raccontato la loro esperienza. C'e' chi mi ha parlato in modo sincero, chi meno, ma, come dice Rossellini nel prologo di Germania anno zero: tutti, li', vivono nell'incoscienza della loro condizione. All'inizio c'erano cose che mi lasciavano di stucco, poi pian piano mi sono accorto che mi abituavo, non mi sorprendeva piu' niente, come accade alla gente che vive li'. Ci si abitua a tutto, credo. In quelle zone ho notato tante contraddizioni e ho cercato di parlarne nel film, di raccontare una popolazione che vive circondata da solarium e profumerie mentre ha l'immondizia che la sommerge, mentre intorno accadono omicidi brutali. Una situazione molto complessa, e infatti il primo problema del film e' stato quello di mettere ordine, il materiale intorno era cosi' tanto che spesso la sera tornavo con un senso di gran confusione, c'era troppa roba e non riuscivo a organizzarmi. Bisognava mettere ordine e, allo stesso tempo, eliminare il superfluo, lavorare in sottrazione. C'era una grande ricchezza di suggestioni, a livello sonoro, visivo, e il rischio era quello di girare a vuoto. Cosi', a un certo punto ho deciso di concentrarmi solo su alcuni temi, lasciando fuori tante altre cose. * - Maurizio Braucci: Noi ci dicevamo sempre, mentre scrivevamo, che un errore sarebbe stato fare un film che riproponesse oggi certi stereotipi su Napoli e dintorni. - Matteo Garrone: Quando sono stato negli Stati Uniti per mixare il suono del film, mi sono accorto che Gomorra propone un immaginario diverso da come se lo aspettano all'estero. Spesso, gia' nell'immaginario del gangster movie prevale una dimensione un po' glamour, invece il nostro film e' apparso totalmente privo di qualsiasi fascinazione legata al crimine, risultava molto brutale, molto crudo. E' chiaro che parliamo di una rappresentazione della realta', dove non e' tanto importante che esistano davvero dei ragazzini che si fanno sparare sui giubbotti antiproiettili o un sarto che si nasconde nel portabagagli di un'auto o dei bambini rom che guidano dei tir in una cava. Quello che e' importante e' la verosimiglianza, ridare quel senso di invenzione continua che sta alla base della realta'. La vicenda dei ragazzini con i giubbotti antiproiettili e' vera perche' e' vero il principio, cioe' che ci sono dei rituali di coraggio, di iniziazione attraverso cui si diventa uomini del Sistema. La storia del traffico dei rifiuti tossici e' vera, come il fatto che c'e' chi rimane ferito trasportandoli e chi poi utilizza degli incoscienti disposti a rischiare la vita, cosi' i bambini rom sui tir rappresentano le vittime di una crudelta' che e' molto reale. E' la stessa cosa che accade in alcune pagine del libro di Saviano, che e' a meta' tra documento e romanzo. Questo e' un tema molto complesso da spiegare, a volte e' quasi come se l'autore diventasse strumento di una realta' talmente forte che viene fuori da sola. Io credo che le scene di maggiore invenzione del film sono, per certi versi, quelle piu' vere perche' comunicano un sentimento che va piu' in profondita', che svela molte piu' cose. * - Maurizio Braucci: Sia in periferia che in provincia, in Campania, il luogo comune dell'arretratezza, a ben guardarlo, si sfata. C'e' invece una presenza del moderno quasi asfissiante. - Matteo Garrone: Sicuramente c'e' stato un grande cambiamento antropologico tra la gente che vive nella periferia di Napoli o nel casertano, lo avverti gia' sul piano fisico, sui corpi. Cosi' come sono cambiati i calciatori, sono cambiati anche i criminali, e' l'effetto dei nuovi modelli che, attraverso la televisione, entrano nelle case dei ricchi come in quelle dei poveri. A Scampia, ogni famiglia tiene il televisore sempre acceso e tutti sono sintonizzati sugli stessi programmi: "Amici", "C'e' posta per te", "Il Grande Fratello", quello e' il modello, quello e' l'immaginario. Anche se sono estremamente poveri, hanno un modo particolare di prendersi cura di se', di pettinarsi, di vestirsi con abiti firmati. Invece, nel casertano senti che la gente viene da una tradizione piu' contadina, hanno anche altri riferimenti, sono molto meno attenti alla moda o la usano in maniera diversa. Tuttavia, anche nella piu' grande poverta', la gente cerca di vivere con dignita', sebbene sia rassegnata nei confronti dei problemi che la circondano. Inoltre, ti accorgi di come sia facile cadere in certe dinamiche criminali, perche' esiste un meccanismo intorno a te, degli ingranaggi che ti stritolano senza che tu te ne renda conto. * - Maurizio Braucci: Trovo che il film abbia un grande tema: quello dei giovani che vivono in un mondo sempre piu' assurdo. Cio' che li mortifica o distrugge, nel film, non sembra essere solo la camorra, ma un sistema socialmente ben piu' grande. - Matteo Garrone: L'infanzia, l'adolescenza, hanno un ruolo importante nel film. Quando pensammo alla storia del ragazzino che entra nel Sistema e a quella della coppia di ragazzi che vengono puniti dai clan, gia' le immaginavamo come speculari. La prima e' in fondo la storia di uno che entra in un esercito, che impara la disciplina, la sua struttura gerarchica e ne ottiene una specie di tutela, di protezione. L'altra storia, invece, va nella direzione opposta, racconta di due personaggi anarchici, che contravvengono alle regole della criminalita'. Sono due punti di partenza diversi ma che arrivano alla stessa, drammatica, conclusione. Non so fino a che punto eravamo consapevoli di questo tema durante la scrittura, ma mi sembra che sia questo il tema centrale del film: il fatto che ci sia un sistema che condiziona, che stritola e che in particolare lo faccia con i piu' piccoli. Uno crede di esserne consapevole, di potersi gestire e invece, quando si accorge che non e' cosi', e' ormai troppo tardi. Tutto questo io l'ho capito dopo, vedendo il film. Di ogni cosa, non abbiamo dato un giudizio morale, e questo mi sembra interessante, ma abbiamo mostrato le conseguenze. D'altra parte, mi sono accorto che ognuno poi, vedendo un film, trova delle affinita' con un certo personaggio o con un altro, nota un tema piu' di un altro. Quindi il discorso del tema centrale e' abbastanza relativo. * - Maurizio Braucci: Come e' stato il rapporto con gli abitanti dei luoghi in cui hai girato? Come reagivano al fatto che si stesse realizzando un film che li riguardava? - Matteo Garrone: Sicuramente, le persone erano affascinate dal fatto che dovessimo girare un film, indipendentemente da quale fosse. Quando arrivi con i riflettori, molte persone ti accolgono bene, e' il cinema. Io credo che pero' anche noi siamo stati bravi a non tradire questa loro apertura, cosa non sempre facile perche' la presenza di un set puo' creare problemi, la troupe puo' risultare ingombrante o dare fastidio, soprattutto quando ci stai per lungo tempo come e' stato nel nostro caso. Ma c'e' un'altra cosa che bisogna dire, che le persone del posto hanno collaborato non soltanto come interpreti ma anche come spettatori. Quando filmavamo c'era sempre un monitor e, a guardarlo, c'erano sempre tantissime persone che vivevano l'emozione della scena, se funzionava, o, in caso contrario, la criticavano e ci dicevano quello che secondo loro non andava. Erano i nostri primi spettatori e per me era molto importante sentire cosa ne pensavano. Una volta, tra la gente, c'e' stata una discussione molto accesa su una scena in cui si spacciava mentre, al piano di sotto, una sposa usciva di casa per andare in chiesa. Alcuni dicevano che, siccome il matrimonio e' una cerimonia molto sentita, gli spacciatori in un caso del genere avrebbero spostato la vendita in un altro posto, e quindi vedevano quasi come un sacrilegio la nostra rappresentazione. Altri invece sostenevano il contrario, anzi, era stato uno di loro a suggerirmi la scena, perche' era capitato proprio a lui. Cosi', alla fine, si sono messi a litigare tra loro. Davanti al nostro monitor c'era un dibattito continuo su come veniva rappresentata la realta'. Comunque sarebbe inesatto dire che tutti avevano voglia di partecipare, alcuni lo facevano solo per soldi, altri perche' avevano problemi con la giustizia e per loro era un'occasione per riabilitarsi, e cosi' in pratica ci strumentalizzavano. In genere si pensa che sia solo il cinema a strumentalizzare, che vada in un luogo per rubare dalla realta'; invece fa piacere vedere che, a volte, i ruoli vengono ribaltati. Inoltre, c'era chi ci avrebbe tenuto a fare un'esperienza cinematografica ma ha avuto problemi con i familiari, i quali pensavano che Gomorra non fosse un film da sostenere. Il cinema non affascina tutti, mentre altri ti tormentano pur di esserci. Ma io sono d'accordo con Roberto Saviano quando dice che il cinema e' il modello di riferimento principale, che e' la realta' a prendere spunto dal cinema e non il contrario. 2. ET COETERA Maurizio Braucci (Napoli, 1966), scrittore e drammaturgo; tra i fondatori del centro sociale autogestito "Diego Armando Maradona Montesanto", dove svolge attivita' di formazione e recupero per adulti e bambini; tra i promotori di un laboratorio teatrale nel carcere di S. Lauro, in provincia di Salerno. Opere di Maurizio Braucci: Il mare guasto, e/o, Roma 1999; Una barca di uomini perfetti, e/o, Roma 2004. * Matteo Garrone (Roma, 15 ottobre 1968), regista cinematografico, nel 1996 vince il Sacher d'Oro con il cortometraggio Silhouette, che diventera' uno dei tre episodi del suo primo lungometraggio Terra di mezzo. Per i suoi film ha ricevuto vari riconoscimenti (recentemente il Grand Prix al Festival di Cannes per Gomorra). Tra le opere di Matteo Garrone: Terra di mezzo (1997); Oreste Pipolo, fotografo di matrimoni (1998); Ospiti (1998); Estate romana (2000); L'imbalsamatore (2002); Primo amore (2003); Gomorra (2008). * Roberto Saviano (Napoli, 1979) e' giornalista e scrittore; laureato in filosofia all'Universita' di Napoli "Federico II" dove e' stato allievo dello storico meridionalista Francesco Barbagallo; fa parte del gruppo di ricercatori dell'Osservatorio sulla camorra e l'illegalita'; per la sua attivita di scrittore d'inchiesta e denuncia ha subito minacce di morte da parte della camorra; collabora con varie testate ("L'espresso", "La Repubblica", "Il manifesto", "Il corriere del mezzogiorno", "Nuovi argomenti", "Lo straniero", "Sud", "Pulp", nazioneindiana.com); suoi racconti e reportages si trovano inclusi in diverse antologie fra cui Best Off. Il meglio delle riviste letterarie italiane, Minimum Fax, 2005; Napoli comincia a Scampia, L'Ancora del Mediterraneo 2005. Opere di Roberto Saviano: Gomorra, Mondadori, Milano 2006; Il contrario della morte, Corriere della Sera, Milano 2007. * Goffredo Fofi, nato a Gubbio nel 1937, ha lavorato in campo pedagogico e sociale collaborando a rilevanti esperienze. Si e' occupato anche di critica letteraria e cinematografica. Tra le sue intraprese anche riviste come "Linea d'ombra", "La terra vista dalla luna" e "Lo straniero". Per sua iniziativa o ispirazione le Edizioni Linea d'ombra, la collana Piccola Biblioteca Morale delle Edizioni e/o, L'ancora del Mediterraneo, hanno rimesso in circolazione testi fondamentali della riflessione morale e della ricerca e testimonianza nonviolenta purtroppo sepolti dall'editoria - diciamo cosi' - maggiore. Opere di Goffredo Fofi: tra i molti suoi volumi segnaliamo particolarmente almeno L'immigrazione meridionale a Torino (1964), e Pasqua di maggio (1989). Tra le pubblicazioni degli ultimi decenni segnaliamo ad esempio: con Tony Thomas, Marlon Brando, Gremese, 1982; con Franca Faldini, Toto', Pironti, Napoli 1987; Pasqua di maggio. Un diario pessimista, Marietti, Casale Monferrato 1988; con P. Polito, L'utopia concreta di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1988; Prima il pane, e/o, Roma 1990; Storie di treno, L'Obliquo, 1990; Benche' giovani. Crescere alla fine del secolo, e/o, Roma 1993; Strana gente. 1960: un diario tra Sud e Nord, Donzelli, Roma 1993; La vera storia di Peter Pan e altre storie per film (1968-1977), e/o, Roma 1994; Piu' stelle che in cielo. Il libro degli attori e delle attrici, e/o, Roma 1995; Come in uno specchio. I grandi registi del cinema, Donzelli, Roma 1995; Strade maestre. Ritratti di scrittori italiani, Donzelli, Roma 1996; con Gad Lerner e Michele Serra, Maledetti giornalisti, e/o, Roma 1997; Sotto l'Ulivo. Politica e cultura negli anni '90, Minimum Fax, 1998; Un secolo con Toto', Dante & Descartes, Napoli 1998; Le nozze coi fichi secchi, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 1999; con Gianni Volpi, Vittorio De Seta. Il mondo perduto, Lindau, 1999; con Stefano Benni, Leggere, scrivere, disobbedire. Conversazione, Minimum Fax, 1999; con Franca Faldini, Toto'. L'uomo e la maschera, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2000; con Stefano Cardone, Intoccabili, Silvana, 2003; Paolo Benvenuti, Falsopiano, 2003; con Ferruccio Giromini, Santosuosso, Cooper e Castelvecchi, 2003; Alberto Sordi, Mondadori, Milano 2004; con Giovanni Da Campo e Claudio G. Fava, Simenon, l'uomo nudo, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2004; con Franca Faldini, Toto'. Storia di un buffone serissimo, Mondadori, Milano 2004; Circo equestre za-bum. Dizionario di stranezze, Cargo, 2005. Opere su Goffredo Fofi: non conosciamo volumi a lui dedicati, ma si veda almeno il ritratto che ne ha fatto Grazia Cherchi, ora alle pp. 252-255 di Eadem, Scompartimento per lettori e taciturni, Feltrinelli). ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 186 del 7 giugno 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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