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Nonviolenza. Femminile plurale. 182
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 182
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 10 May 2008 11:03:04 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 182 del 10 maggio 2008 In questo numero: 1. Manuela Fraire e Rossana Rossanda: Da un colloquio 2. Lea Melandri: Da un commento a un colloquio 3. La IV di copertina de "La perdita" di Manuela Fraire e Rossana Rossanda a cura di Lea Melandri 4. Mariella Delfanti intervista Toni Morrison (2004) 5. Maria Serena Palieri intervista Toni Morrison (2004) 1. RIFLESSIONE. MANUELA FRAIRE E ROSSANA ROSSANDA: DA UN COLLOQUIO [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 maggio 2008, col titolo "L'avventura delle incomponibili vicende umane" e il sommario "In uscita a meta' maggio, il libro verra' presentato allo stand della casa editrice Bollati Boringhieri, durante i giorni della Fiera dell'editoria, da oggi a Torino. Anticipiamo alcuni stralci del libro in forma di dialogo scritto da Manuela Fraire e Rossana Rossanda sul tema della 'perdita', con un saggio di Lea Melandri". Manuela Fraire, autorevole intellettuale, psicoanalista, una delle figure piu' prestigiose del femminismo, e' autrice di numerosi saggi. Tra le opere di Manuela Fraire: (a cura di), Lessico politico delle donne: teorie del femminismo, Fondazione Elvira Badaracco, Franco Angeli, Milano 2002. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari 1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste] - Rossana Rossanda: L'ambivalenza della maternita' m'e' parsa sempre abissale. E poi in genere l'ambivalenza delle relazioni. Fra le idee che non mi tornano ci sono le distinzioni correnti fra amori, affetti, amicizie, che mi paiono molto differenti nelle modalita' e nell'emotivita' che investono e nel patimento che ne puo' derivare: l'investimento, per dir cosi', e' ad alto rischio per gli amori, minore per gli affetti e quasi zero per le amicizie. Queste ultime sono le piu' generose perche' sono quelle in cui metti meno a rischio del tuo: vuoi il bene dell'amico o dell'amica senza temere che venga tolto a te, cosa che nell'amore e' inevitabile. L'amicizia e' gratis. Io ho avuto la fortuna di averne di amici. E la sfortuna di subirne la perdita. Puoi piu' facilmente trovare un altro amore se ne hai bisogno (suppongo perche' in esso metti molto del tuo desiderio), piuttosto che un amico simile a quello che hai perduto. Nell'amico c'e' meno di te, e c'e' piu' di lui o di lei. * - Manuela Fraire: Tu parli come chi ha avuto grandi amici e li ha perduti. - Rossana Rossanda: Ne ho avuti due e li ho perduti negli ultimi anni, perche' i miei amici uomini erano coetanei o piu' grandi. Le mie amiche, scoperte tardi, sono fortunatamente piu' giovani. Con i due amici perduti, che ho accompagnato nella morte, non e' che stessimo molto insieme - l'amicizia non e' ansiosa - e' che quando ci incontravamo, magari dopo tre mesi, si riprendeva un discorso sempre essenziale per tutti e due, come se si fosse interrotto ieri. Un amico e' un luogo di tranquillo deposito di se'. Non succede spesso con chi ti e' caro. Con uno dei due non c'era comunanza politica generica, ma un comune modo di vedere il mondo fra due individui molto diversi. Era un medico ebreo algerino, un illuminista. Che cosa avevamo in comune? Era come un fratello grande per il mio compagno, e questo contava molto. Ma ci conservavamo spazi e tempi separati, discorsi separati. Con l'altro c'e' stato mezzo secolo di comunanza politica quotidiana. E un accordo politico totale? No. Una formazione culturale analoga? Neanche. Ma abbiamo preso decisioni definitive insieme, lavorato assieme e ci siamo spesso scontrati. * - Manuela Fraire: Si puo' dire che il vostro incontro/scontro e' stato molto strutturante per tutti e due? - Rossana Rossanda: Anche il dissenso e' strutturante. * - Manuela Fraire: E' molto vero e ha ragione chi dice che la parola che la madre ti insegna dovrebbe servirti per dissentire da lei. Se quella madre e' davvero, come dice Aulagnier, il "portaparola", dovrebbe venire il momento in cui ci si sente autorizzati a utilizzare la sua parola per strutturare il proprio discorso distinto e diverso dal suo. - Rossana Rossanda: Egli aveva subito perdite crudeli, piu' di quel che dovrebbe toccare a una creatura. E forse non e' un caso che nel suo dolore io arrivassi, ci fossi - come se quel che ci eravamo detti fosse qualcosa di originario e triste. Come me era stato radiato dal Partito comunista, ma ne aveva sofferto di piu': se uno incontrava il Pci a diciotto anni e ne veniva messo fuori trent'anni dopo, non era un incidente dell'esistenza. Il Pci non era un partito come la Dc, era una specie di vocazione, come diventare un benedettino, intendo non un ordine contemplativo, ma un ordine attivo, ragionante e interveniente. Se ne vieni espulso, molto viene messo in questione, in te e nella tua idea del partito. Lui ne pati' molto. * - Manuela Fraire: E tu? - Rossana Rossanda: Io meno. * - Manuela Fraire: A me pare che ci sia differenza tra te e altri, rispetto al modo in cui avete vissuto l'uscita dal Partito comunista. Il tuo amico sembra averla vissuta come una perdita e un impoverimento, tant'e' che quando e' stato possibile ha cercato di riaprire il dialogo con alcune fette del partito, se non proprio da dentro comunque restando per un certo tempo sulla soglia. Non so se sbaglio, ma non ho sentito in te un vero senso di perdita rispetto all'uscita dal Pci, anzi semmai un certo orgoglio di non essere mai diventata anticomunista come invece e' successo a molti che sono usciti. Rispetto alla politica, alla partecipazione politica, alla passione politica attorno a cui alcuni, come te, hanno costruito non solo un modo di pensare ma un modo di vivere ogni rapporto significativo della vita, e riguardo invece all'indifferenza che molti dimostrano per quello che accade al mondo, tu ti senti ferita anche personalmente. Quello che ho sentito in questi ultimi anni e' che il silenzio di uomini e donne su accadimenti molto significativi l'hai vissuto come una specie di condanna a morte del significato che tu hai sempre assegnato alla vita e in particolare alla tua vita. Ecco che la perdita per te non sembra riguardare l'ideologia e tantomeno il partito... - Rossana Rossanda: No, e' la perdita di ben altro. E' una perdita del senso, somiglia a una perdita di senso. Per me e' insensato il mondo in cui viviamo e mi pare sorprendente che ci si rassegni a esso. Aggiungici il discorso della malinconia, che facemmo l'anno scorso, e cioe' che non solo non si e' realizzato quel che da comunista volevo ma che il comunismo, e poco importa se fosse quello mio o altra cosa, ha portato con se' una grande coda di tragedia, e vedi bene che al posto del senso trovo un geroglifico. E' tanto se lo decifro, e in ogni modo non ho piu' tempo per ricominciare a tessere. Non ho piu' i quarant'anni del sessantotto, e anche su quello - che pareva cosi' innocente - c'e' da riflettere senza troppa indulgenza. * - Manuela Fraire: L'abbandono dell'impegno politico per te equivale a una perdita di senso? - Rossana Rossanda: E' una perdita di senso. Per chi lo ha abbandonato. Io no, non posso costruire granche' ma posso tentar di portare "di pianto in ragione", per dirla con Fortini, quel che ci viene tolto e quel che ci viene offerto. E' senza senso vivere come si vive: piu' deprivati di potere che mai sul nostro destino, smarriti di fronte a noi stessi. Si patisce e si subisce. Tre quarti della teoria del postmoderno, la fine delle grandi narrazioni, l'effimero, e' un tentativo di svicolare alla perdita di senso. Maldestro. Certo non tutti accettano il tragico dibattersi degli uomini per qualche cosa che va al di sopra di loro. Io ho avuto una formazione diversa, ero abituata a pensare che la vita e' tragica nel senso cinquecentesco della parola - Racine, Pascal - dove il conflitto non si aggiusta, non si risolve, non c'e' pacificazione. Come nella tragedia greca, o per errore o per pazzia o per intervento divino, la vicenda umana e' incomponibile. Ma questo ne fa anche una straordinaria avventura. Fa pensare che nel VI secolo avanti Cristo, decine di migliaia di persone di ogni ceto si spostassero per settimane, per vedere le ultime tragedie. * - Manuela Fraire: La tragedia veniva vissuta e condivisa con molti altri spettatori. La ritualita' aiuta molto. Si vive assieme il quasi della tragedia e il dopo. - Rossana Rossanda: Nella tragedia non c'e' un dopo. Finisce con la morte d'un protagonista, eliminando il problema, non sciogliendolo. * - Manuela Fraire: Nel finire c'e' un compimento, e c'e' per forza un dopo poiche' lo scorrere del tempo non appartiene a cio' su cui l'umano ha controllo, ne' signoria... - Rossana Rossanda: Forse hai ragione. L'ho presa larga per dire che una perdita politica puo' essere vissuta in due modi. Uno come seguito di errori, debolezze, tradimenti dovuti a un fatale degenerare dell'umano, l'altro come un percorso tragico, pieno di errori e cadute, ma non senza senso. * - Manuela Fraire: Questo e' quel che ti dico: la perdita non puoi fare a meno di registrarla, anche se un modo - terribile in verita' - per non accettarla e' il rifiuto costante di tutto cio' che la mette in forma. Cio' che chiamiamo conseguenza e' anche questo. - Rossana Rossanda: Io tendo non solo a registrare ma ad accettare che l'esistenza umana sia tragica. Per tragico non intendo drammatico, lacrimoso, insopportabile, intendo di rara soluzione e attraverso molta perdita. In questo caso non esorcizzo il Pci che mi ha cacciato e se ne e' andato lontano da quel che era, non mi dico neanche "se badava a me sarebbe invece prosperato"; e' una storia mal finita, per molta debolezza ed errore. Il problema che era stato posto resta. Se uno la vede cosi', non c'e' da stare allegri, ma non ha risentimenti. Io non ne ho. C'e' stato un passaggio della mia vita e della storia, che e' un passaggio tragico. Lo rifarei. Anche se e' stato un coacervo di spinte incomponibili. * - Manuela Fraire: Che cosa e' incomponibile? Vita e morte? - Rossana Rossanda: Vita e morte di certo, almeno per il singolo morente o morituro. Pare che nel ciclo biologico siano invece assolutamente necessarie l'una all'altra. Ma noi siamo solo in parte, la parte che non pensa, dentro al ciclo biologico, la coscienza ne e' estromessa. Ma anche la vita e' fatta di incomponibili. O vivi evitando di pensare alla morte o vivi una finitezza che ti nega. Se questo non e' tragico... 2. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: DA UN COMMENTO A UN COLLOQUIO [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 maggio 2008 col titolo "Il passaggio di un tempo altro" riprendiamo il seguente passo estratto dal commento di Lea Melandri al colloquio di Manuela Fraire e Rossana Rosanda un cui stralcio abbiamo riprodotto sopra. Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] Due donne, a cui mi legano un profondo affetto e una lunga amicizia, hanno deciso di riflettere insieme su un tema dalle molte sfaccettature come la "perdita", e di parlarne "senza perdersi di vista". A me arrivano i loro pensieri e le loro parole divenuti scrittura nelle pagine della rivista che ne ha dato diffusione pubblica. Non saprei dire che cosa piu' mi ha spinto a promuoverne la ristampa: se il desiderio di allargare l'ascolto di due singolari voci dialoganti a chi non ha avuto l'occasione di avere tra le mani la "Rivista di psicologia analitica" (69/2004, nuova serie n. 17), o la fantasia di potermi ritagliare una parte, a lato e come una discreta accompagnatrice, rispetto al fluire di un discorso denso di suggestioni intellettuali ed emotive, catalizzatore di memoria e, insieme, di grandi narrazioni storiche. Dal giorno in cui ho saputo che cio' era possibile a oggi, e' passato piu' di un anno, molti altri progetti, letture, scritture, incontri hanno preso il sopravvento, molte altre voci si sono addensate, dissonanti, a coprire il silenzio necessario per entrare in un ordine di pensieri inquietante e doloroso. C'era all'orizzonte, come il cielo scuro che dissuade dal mettersi in viaggio, il declino lento di mia madre; c'era, confuso con quel corpo famigliare la cui perdita mi sembrava intollerabile, l'attenzione crescente ai segnali del mio invecchiamento. La "perdita" era un tema da un lato troppo presente, dall'altro ancora lontano: idea assillante ma sospesa sul vuoto dell'esperienza che avrebbe potuto sostanziarlo di pensieri e sentimenti reali. Forse la condizione "giusta", ne' troppo dolorosa ne' troppo distaccata, per pensare la morte propria e delle persone che abbiamo amato, non si da' mai. La morte, come coscienza che siamo destinati a scomparire "uno a uno", come dicono Rossana e Manuela, e' il "grado zero" della rappresentazione, l'"impensabile". Tra tutte le opposizioni "incomponibili" che danno un'impronta "tragica" alla vita, la piu' resistente ai nostri sforzi di pacificazione e' sicuramente quella di un Io costretto a riconoscersi straniero nel proprio corpo, parte del ciclo biologico e, al medesimo tempo, di una "natura" speciale, irriducibile alla materia di cui sono fatti gli altri viventi. "O vivi evitando di pensare alla morte o vivi una finitezza che ti nega" (Rossana). Eppure c'e' un momento in cui "pensare e scrivere la morte" non e' piu' quell'impresa ardua che viene lasciata ai poeti, ai mistici, ai visionari. E' quando si apre, dentro il ritmo vertiginoso degli impegni e delle relazioni quotidiane, una smagliatura, il passaggio rapido, inafferrabile di un tempo "altro", la percezione che i morti, gli amici, i famigliari che abbiamo perduto strada facendo, non ci hanno mai lasciato del tutto, "un pezzo di noi, dietro, abituandoci". 3. LIBRI. LA IV DI COPERTINA DE "LA PERDITA" DI MANUELA FRAIRE E ROSSANA ROSSANDA A CURA DI LEA MELANDRI [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo la quarta di copertina del libro di Manuela Fraire e Rossana Rossanda, La perdita, a cura di Lea Melandri, Bollati Boringhieri, Torino 2008, prossimamente in uscita] Perdere e' il venir meno di una persona cara, ma e' anche la sconfitta che sperimentiamo ogni giorno. La perdita e' un tema da un lato troppo presente, dall'altro ancora lontano: idea assillante ma sospesa sul vuoto dell'esperienza che avrebbe potuto sostanziarlo di pensieri e sentimenti reali. Forse la condizione "giusta", ne' troppo dolorosa ne' troppo distaccata, per pensare la morte propria e delle persone che abbiamo amato, non si da' mai. La morte, come coscienza che siamo destinati a scomparire "a uno a uno", come dicono Rossanda e Fraire, e' il "grado zero" della rappresentazione, l'"impensabile". Tra tutte le opposizioni "incomponibili" che danno un'impronta "tragica" alla vita, la piu' resistente ai nostri sforzi di pacificazione e' sicuramente quella di un Io costretto a riconoscersi straniero nel proprio corpo, parte del ciclo biologico e, al medesimo tempo, di una "natura" speciale, irriducibile alla materia di cui sono fatti gli altri viventi. "C'e' un momento in cui 'pensare e scrivere la morte' non e' piu' quell'impresa ardua che viene lasciata ai poeti, ai mistici, ai visionari. E' quando si apre, dentro il ritmo vertiginoso degli impegni e delle relazioni quotidiane, una smagliatura, il passaggio rapido, inafferrabile di un tempo 'altro', la percezione che i morti, gli amici, i famigliari che abbiamo perduto strada facendo, non ci hanno mai lasciato del tutto" (Lea Melandri). 4. RIFLESSIONE. MARIELLA DELFANTI INTERVISTA TONI MORRISON (2004) [Dal "Corriere del Ticino" del 2 novembre 2004, col titolo "Scrivere di amore in un mondo senza pace" e il sommario "A colloquio con il Premio Nobel per la letteratura 1993, che ha da poco dato alle stampe l'ultimo libro. Un'autrice che ha pubblicato otto romanzi, con al centro la storia dell'America degli ultimi due secoli. E' nota anche l'attenzione di Toni Morrison agli emarginati e ai silenti". Mariella Delfanti e' un'apprezzata giornalista svizzera. Toni Morrison (Chloe Anthony Wofford), scrittrice, docente universitaria, Premio Pulitzer nel 1988, Premio Nobel per la letteratura nel 1993; e' nata nel 1931 a Lorain, nell'Ohio; a New York per vent'anni ha lavorato come "editor" per la Random House (qui ha "scoperto" e promosso la pubblicazione delle opere di importanti autrici afroamericane ed ha curato tra altri libri l'autobiografia di Angela Davis e quella di Muhammad Ali'); e'docente all'Universita' di Princeton. Opere di Toni Morrison: Amatissima, Frassinelli, 1988; Sula, Frassinelli, 1991; Jazz, Frassinelli, 1993; L'isola delle illusioni, Frassinelli, 1994; Giochi al buio, Frassinelli, 1994; Il canto di Salomone, Frassinelli, 1994; Paradiso, Frassinelli, 1998; L'occhio piu' azzurro, Frassinelli, 1998; Le opere. Canto di Salomone. Amatissima, Utet, 2003; Amore, Frassinelli, 2004] E' solenne come un oracolo, Toni Morrison, quando parla. La sua voce e' calma, profonda, musicale. Scandisce le parole con decisione e autorevolezza, come probabilmente e' abituata a fare nella prestigiosa Princeton University, dove insegna dal 1989, ma senza inflessioni didattiche. Sembra piuttosto sintonizzata su un'attitudine al racconto antica, dal profondo di una cultura che all'oralita' ha affidato la sua sopravvivenza. Qualita' molto simili a quelle della sua scrittura. E' con un certo sforzo infatti che separiamo il personaggio dall'opera. "C'era una volta, molti e molti anni fa, una vecchia donna. Cieca ma saggia": cosi' inizia il racconto con cui ha accompagnato il discorso di accettazione del Premio Nobel che le e' stato attribuito nel 1993. Cosi' immaginiamo la voce narrante delle sue opere, remota ed estremamente concreta al tempo stesso; la voce di chi ha conosciuto il dolore, ma e' stata una volta nel paradiso terrestre. L'abbiamo intervistata. * - Mariella Delfanti: Signora Morrison, l'ultimo suo libro pubblicato e' Amore e l'amore e' un tema portante di molte sue opere. Un tema universale ma riferito a una comunita' piuttosto particolare, quella degli afroamericani. Perche'? - Toni Morrison: Io faccio quello che fanno tutti gli scrittori: parto da un caso specifico, un tema che si riferisce alla mia esperienza particolare, e studio i suoi rapporti con il mondo. Non c'e' nessun conflitto tra la specificita' della identita' afroamericana e una situazione comune a tutta l'umanita'. Una delle caratteristiche peculiari dell'essere umano e' l'istinto che ci porta ad amare senza aspettarci una ricompensa; l'istinto di prenderci cura di qualcuno, di proteggerlo, di stargli accanto. Nei bambini questo e' un istinto naturale. Quello che cerco di fare attraverso la mia scrittura e' di esplorare come possiamo proteggere questo sentimento, fare in modo che non vada perduto; che non dobbiamo soffrire per la sua assenza, che non si trasformi addirittura in odio o indifferenza. Per quanto riguarda il mio ultimo libro, all'inizio non volevo dargli come titolo la parola amore, volevo che il lettore si concentrasse sulle difficolta' che incontriamo nella ricerca di questo sentimento e le catastrofi che si abbattono su di noi se lo perdiamo, ma ho capito che questo significava proprio mettere a fuoco tante possibili varieta' di amore. * - Mariella Delfanti: Come e' possibile parlare d'amore oggi, in un mondo in cui sembra che l'assenza di amore sia totale, che esso si trasformi in odio? Cosa pensa dell'amore per Dio del presidente Bush? - Toni Morrison: Il presidente pensa che il suo amore di Dio, il suo fondamentalismo cristiano, sia corretto e che sono gli altri a non essere altrettanto capaci di amore quanto lui. Questa e' una via per dimostrare come puo' essere fuorviante e involuto questo sentimento e quanto confusi sono gli esseri umani quando si appellano ad esso. Puo' produrre cose terribili; sul piano romantico, sul piano dei rapporti familiari, nel campo dell'amor patrio. Puo' diventare ossessivo, repressivo; puo' essere cosi' nazionalistico da non accordarsi con nessun altro sentimento. Puo' diventare distruttivo, portare alla volonta' di annientare l'altro, trasformarsi in qualcosa di acre, un'arma che causa pena invece di essere un impulso verso la generosita', il risultato della volonta' di aiutare gli altri. E' questo che studio. * - Mariella Delfanti: Nella sua opera ci sono due tipi di ricerca: una e' l'aspetto politico ed etico delle cose; l'altra e' la psicologia degli individui. Come si conciliano? - Toni Morrison: Non posso separare cio' che e' psicologico da cio' che e' politico e sociale. Vivere nel mondo esterno ha conseguenze sul nostro modo di essere interiormente, sul nostro agire. Nel pensiero occidentale e' tradizione separare cio' che e' razionale da cio' che e' artistico; io credo che se in un'opera d'arte c'e' questa separazione e' perche' l'autore in qualche modo approva lo status quo. Io non separo mai la condizione e i pensieri politici dei miei personaggi dai loro sentimenti personali. * - Mariella Delfanti: Nei suoi libri si fa spesso riferimento alla condizione di emarginazione degli afroamericani. Ci vede una similitudine con la condizione degli arabo-americani, oggi? O viceversa, ci sono degli atteggiamenti antislamici nella comunita' nera? - Toni Morrison: La comunita' araba probabilmente la sente in questo modo e certo tutte le discriminazioni si assomigliano, ma c'e' una grossa differenza. L'America e' il nostro Paese. Gli afroamericani sono la comunita' piu' antica che esiste sul suolo americano, a parte gli indigeni: non si tratta di cinque, dieci anni di presenza nel Paese; si tratta di generazioni e generazioni, di piu' quattrocento anni. E' molto peggio essere discriminati nel proprio Paese, dagli "ultimi" arrivati, cioe' da chi e' li' da duecento anni. Un paragone lo si puo' fare forse con i sentimenti di chi vive nella situazione dei territori occupati. Quanto alla seconda domanda, non di piu' che negli altri strati della societa'. * - Mariella Delfanti: Cosa puo' fare un intellettuale, uno scrittore, di fronte all'orrore dei fatti di cronaca: dall'Ossezia all'Iraq? Deve, uno scrittore, scendere in piazza? - Toni Morrison: La mia convinzione profonda e' che gli intellettuali abbiano un ruolo e quindi una grossa responsabilita' da assumere. Dall'altro lato mi rendo conto che le peggiori persone al mondo leggono i libri migliori e ascoltano la musica migliore, quindi in me c'e' una linea di confine molto sottile tra la disperazione e la speranza. Il fatto che lo scrittore scenda in piazza e' comunque utile, se non altro per il fatto che viene ripreso in televisione. * - Mariella Delfanti: Puo', lo scrittore, dar voce almeno a quelli che non sono rappresentati da nessuno? Mi riferisco alle comunita' nere e ai latinos, soprattutto... - Toni Morrison: Gli afroamericani votano e anche gli ispanici, soprattutto nelle elezioni locali. Nelle nazionali votano nella stessa proporzione dei bianchi, ma il sistema elettorale americano per le politiche e' complesso. Il meccanismo non e' "una persona, un voto", ma un collegio elettorale che ha le sue origini storiche nella volonta' degli stati del sud di permettere ai padroni di far valere il potere che derivava loro dal numero degli schiavi posseduti. Gli schiavi non votavano, ma il loro padrone lo faceva attraverso questo sistema che e' rimasto ancor oggi un retaggio di quell'epoca. E se pensiamo alle elezioni americane del 2000, gli elettori che sono stati cancellati dalle liste, allontanati dai seggi, erano in maggioranza afroamericani: la storia si ripete... * - Mariella Delfanti: Tornando alla letteratura, lei come lavora, da che cosa parte? - Toni Morrison: Normalmente parto da un'idea, un problema, un'area di pensiero che mi interessa e poi cerco dei personaggi che mi aiutino ad indagare sul tema. A questo punto comincio ad elaborare una trama: la parte narrativa e' l'ultima tappa. Il punto di partenza e' sempre un'idea piu' vasta. In Amore volevo descrivere il processo di transizione di una comunita' prima, durante e dopo il periodo del riconoscimento dei diritti civili. Poi ho cominciato a pensare quali personaggi potevano trovarsi in una situazione come quella che volevo descrivere. Cosi' e' nato il protagonista, il proprietario di un albergo, benestante eccetera, e intorno a lui gli altri personaggi. Sulla pagina pero' sono gli altri personaggi, il gruppo di donne che lo hanno amato, che costruiscono a poco a poco il suo ritratto. * - Mariella Delfanti: Uno degli aspetti che colpisce di piu' nei suoi libri e' la voce narrante, estremamente mobile, affidata spesso all'oralita' (ma non nel senso del dialogo) e che poi magari scivola, attraverso il filtro letterario, nel monologo interiore. Una voce che spesso passa da un registro all'altro, da un personaggio all'altro; a volte una voce corale. Che parte ha la tradizione orale afroamericana in tutto cio'? - Toni Morrison: E' vero che uso la lingua vernacolare, propria di un gruppo per sottolineare l'oralita' e le qualita' musicali della parola. Questa particolare maniera di parlare, pero', la combino anche con l'inglese standard, normalmente parlato, perche' mi interessa utilizzare tutti i registri che ci puo' offrire l'inglese che si parla in America. Nella cultura afroamericana c'e' una lunga e corposa storia di tradizione orale, ma lo scopo che ci dobbiamo prefiggere e' di trarre qualcosa da questa tradizione per poi ricomporlo e rappresentarlo nella letteratura. A volte mi chiedono se ascolto musica mentre scrivo; la risposta e' no, perche' non voglio entrare in concorrenza con essa, ma certo richiamo mentalmente la musicalita' delle parole mentre le scrivo perche' mi interessa che essa resti nella parola scritta. Ma non voglio che la musica abbia un'influenza sulla mia scrittura, ne' voglio far pensare a una certa musica mentre scrivo. Io vorrei che le mie opere fossero fruite in una situazione di quiete, di silenzio. Il mio lettore ideale e' quello che legge soltanto. 5. RIFLESSIONE. MARIA SERENA PALIERI INTERVISTA TONI MORRISON (2004) [Dal quotidiano "L'Unita'" del 10 settembre 2004, col titolo "Tutti i colori del nero"- Maria Serena Palieri (Roma, 1953) giornalista, dal 1979 scrive su "L'Unita'", attualmente lavora alle pagine culturali e si occupa di narrativa italiana e internazionale e mercato editoriale; ha collaborato con diverse testate, tra cui "l'Espresso" e "Marie Claire", e' stata consulente di Rai Educational e autrice-conduttrice per Radiodue; in campo editoriale lavora anche come editor e traduttrice dal francese; un suo libro-intervista con Domenico de Masi, Ozio creativo, sui tempi di vita, ha avuto quattro edizioni (Ediesse, Rizzoli) ed e' stato pubblicato in Brasile da Sextante] Ampia e bellissima, i capelli grigi stretti in cento trecce, la casacca, anch'essa grigia, ravvivata da collana e pendenti di cristallo, Toni Morrison, nel 1993 prima afroamericana a conquistare il Nobel per la letteratura, arriva a Mantova. In programma due incontri: il primo insieme con il figlio Slade, col quale nel 2003 ha esordito col libro Chi ha piu' coraggio? La formica o la cicala?. Il secondo sul suo romanzo Amore appena uscito in Italia (pubblicati entrambi dall'editore, Frassinelli, che dal 1988, con la traduzione di Amatissima, poi via via del Canto di Salomone e dell'Isola delle illusioni, L'occhio piu' azzurro e Paradiso, ci ha fatto conoscere la sua opera). Un romanzo, questo ultimo, che, per l'intreccio complesso di voci - le donne che a vario titolo, moglie e sorella, beneficiate e amanti, si muovono intorno alla figura carismatica e insidiosa di un uomo, Bill Cosey, e, nel contendersene eredita' e memoria, raccontano la trama - ha fatto evocare ai critici americani William Faulkner: "Sono renitente ai paragoni, specie con gli autori che ammiro. Mi piace Faulkner e lo considero il piu' importante tra gli statunitensi per il suo stile e per la sua conoscenza della comunita' afro-americana. Ma adoro pensare che il mio lavoro sia inconfondibile, unico, diverso da ogni altro" rinvia la similitudine al mittente, con un ampio sorriso, la scrittrice. Parla con voce come seta, pure se le Camel, che tiene sempre a portata di mano, la affievoliscono. Con attenzione circospetta e generosa verso le parole che usa: d'altronde, in occasione della "lectura" che tenne nel dicembre '93 per gli accademici di Svezia, scelse come argomento il linguaggio, paragonato a un passerotto che dei ragazzini tengono in mano e che possono, a loro scelta, far vivere o fa morire. * - Maria Serena Palieri: Signora Morrison, due anni fa, al festival romano di Massenzio, lei si presento' con qualche pagina della storia che stava scrivendo, ma senza conoscerne ancora il titolo. Ora il titolo c'e': Amore. E' una parola semplicissima, in apparenza. Qual e', nel caso di questo romanzo, il suo significato? - Toni Morrison: Ho voluto usare la parola in un senso non comune, lontano dal significato romantico, erotico, dal cliche'. Mi riferisco, invece, a una serie complicata di emozioni, assolutamente umane anche se a volte gli esseri umani le ignorano: sono le emozioni che concernono il fatto di avere a cuore qualcuno, quando non sono in ballo interessi personali. E, soprattutto, alla difficolta' di mantenere intatta questa profondita'. * - Maria Serena Palieri: La comunita' nera di cui tratta la storia e', per un lettore medio europeo, spiazzante: un albergo di neri e per neri sulla costa, negli anni tra i Quaranta e i Settanta del Novecento. E una comunita' afroamericana articolata in classi, coi suoi benestanti e i suoi poveri, gli imprenditori e i servi. Un'immagine molto diversa dal monolite che noi abbiamo in mente: una comunita' omogeneamente segregata e discriminata. Davvero e' esistito questo mondo? E quando e' scomparso? - Toni Morrison: Nel periodo storico prima delle battaglie per i diritti civili, quando, per via della segregazione, bianchi e neri non vivevano insieme, la comunita' afroamericana aveva sviluppato una propria imprenditoria, proprie professionalita', propri ospedali e proprie scuole. C'erano scuole di medicina nere, scuole nere di architettura e di diritto. E c'erano, quindi, imprenditori neri di successo, perche' la segregazione assicurava loro la clientela. La nostra gente non poteva uscire da quei circuiti. Poi, la spinta all'integrazione ci ha dato la possibilita' di andare dappertutto. La battaglia per i diritti civili e il progresso hanno avuto questa conseguenza secondaria: alcune di quelle industrie sono crollate e alcuni neri si sono impoveriti. Potevi spendere le vacanze a Rio o a Parigi, perche' andare nella pensione per soli neri? Potevi iscriverti a Harvard, perche' andare all'universita' nera di Howard? A quell'epoca i neri ricchi e i neri poveri vivevano assieme, a contatto di gomito. Poi si e' verificata la prima divisione di classe: chi ha potuto se ne e' andato, gli indigenti sono rimasti nei ghetti. A quel tempo, invece, i neri che "ce l'avevano fatta" erano guardati con ammirazione. E', appunto, una storia molto diversa da come viene generalmente raccontata. Non erano pochi a odiare Martin Luther King, perche' si chiedevano: conquistare i diritti che cosa ci fara' perdere? * - Maria Serena Palieri: L'integrazione, allora, non e' stato un progresso? - Toni Morrison: Certo, lo e' stata. Io stessa sono un esempio di quel pezzo di storia: da insegnante professionista, ho lavorato a Harvard e Princeton. Ma di quella comunita' solida si sente la mancanza. * - Maria Serena Palieri: Quello che e' successo nell'albergo per neri di Bill Cosey, poi diventato una vecchia dimora trascurata, e' tutto meno che edificante: violenze, soprusi. Il male, lei ci vuole dire, e' uguale dappertutto? - Toni Morrison: Ogni societa' di immigrati, negli Stati Uniti, ha percorso lo stesso cammino: all'inizio si sono sostenuti a vicenda e hanno combattuto le istituzioni, se era necessario, poi si sono assimilati. I neri, per via delle leggi razziali, l'hanno fatto semplicemente piu' tardi, anche se, a parte i nativi, erano i primi a essere arrivati. Entrati nell'estabilishment, ne hanno assimilato anche i peccati. * - Maria Serena Palieri: Che cosa le ha dato scrivere per la prima volta un libro con suo figlio, e scrivere per la prima volta un libro per bambini? - Toni Morrison: E' stato interessante. Lui riluttava, perche' io sono una professionista nel campo, e perche' sono sua madre. E' cominciato divertendoci a prendere in giro le favole tradizionali per bambini, col terrore che incutono: Hansel e Gretel, ci dicevamo, spaventano anche noi due adulti. Poi lui ha cominciato a rileggere Esopo e abbiamo finito per chiederci: ma perche' tutti sono cosi' arrabbiati con la cicala? Non li ha fatti godere per un'estate intera col suo canto? Cosi', abbiamo scritto queste storie con la loro morale aperta, anziche' chiusa: chi e' il vero eroe, chiediamo ai piccoli lettori? ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 182 del 10 maggio 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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