Minime. 452



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 452 dell'11 maggio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Umberto Santino: Peppino Impastato, trenta anni dopo
2. Maria Serena Palieri intervista Yvonne Vera (2003)
3. Maria Teresa Carbone intervista Azar Nafisi (2004)
4. Paola Springhetti intervista Azar Nafisi (2004)
5. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. UMBERTO SANTINO: PEPPINO IMPASTATO, TRENTA ANNI DOPO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 maggio 2008, col titolo "Peppino
Impastato. Cento passi a Cinisi, trenta anni dopo".
Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici
piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi
studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri
criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e
criminalita'. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia
difficile,  Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e
guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano
1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia
agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto
Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio
a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda
edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di
sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano
di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto
politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia
interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la
democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe
Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella
della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in
terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato",
Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di
Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli
1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e
il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2000; Dalla mafia alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli
2006; Mafie e globalizzazione, Di Girolamo Editore, Trapani 2007. Su Umberto
Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna
di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su "La nonviolenza e' in
cammino" nei nn. 931-934.
Giuseppe Impastato nato nel 1948, militante della nuova sinistra di Cinisi
(Pa), straordinaria figura della lotta contro la mafia, di quel nitido e
rigoroso impegno antimafia che Umberto Santino defini' "l'antimafia
difficile", fu assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978. Scritti di Peppino
Impastato: Lunga e' la notte. Poesie, scritti, documenti, Centro siciliano
di documentazione Giuseppe Impastato, seconda edizione Palermo 2003. Opere
su Peppino Impastato: Umberto Santino (a cura di), L'assassinio e il
depistaggio, Centro Impastato, Palermo 1998; Salvo Vitale, Nel cuore dei
coralli, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Felicia Bartolotta Impastato, La
mafia in casa mia, La Luna, Palermo 1986; Claudio Fava, Cinque delitti
imperfetti, Mondadori, Milano 1994. Tra le pubblicazioni recenti: AA. VV.,
Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio, Editori Riuniti, Roma 2001,
2006 (pubblicazione della relazione della commissione parlamentare antimafia
presentata da Giovanni Russo Spena; con contributi di Giuseppe Lumia, Nichi
Vendola, Michele Figurelli, Gianfranco Donadio, Enzo Ciconte, Antonio
Maruccia, Umberto Santino); Marco Tullio Giordana, Claudio Fava, Monica
Zapelli, I cento passi, Feltrinelli, Milano 2001 (sceneggiatura del film
omonimo). Ma cfr. anche le molte altre ottime pubblicazioni del Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15,
90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito:
www.centroimpastato.it)]

Da quel 9 maggio del 1978, quando furono trovate le briciole del corpo di
Peppino Impastato, nelle iniziative che ogni anno abbiamo svolto per
ricordarlo abbiamo sempre cercato di evitare le liturgie delle
commemorazioni. Nel 1979, nell'anniversario dell'assassinio, abbiamo indetto
la prima manifestazione nazionale contro la mafia. Nel corso degli anni '70
la mafia con i traffici illegali si era diffusa a livello nazionale e
internazionale, eppure, andando in giro per l'Italia per preparare la
manifestazione, ho incontrato volti che esprimevano sorpresa e incredulita':
la mafia non era ormai che un genere di antiquariato. Il traffico e il
consumo di droghe erano dilagati sul territorio nazionale, il denaro sporco
si riciclava nei circuiti finanziari, ma la percezione si aggrappava a uno
stereotipo: la mafia come residuo arcaico, in via di sparizione, se non gia'
estinto, con un mondo da museo etnografico.
Ci sarebbero voluti le mattanze, i grandi delitti e le stragi degli anni '80
e '90 per portare la mafia alla ribalta nazionale. Ma sempre come emergenza
delittuosa, a cui rispondere con leggi e provvedimenti che piu' che fondare
un progetto organico si ponevano come legislazione eccezionale, in risposta
all'escalation della violenza. La legge antimafia del 13 settembre 1982
veniva dieci giorni dopo il delitto Dalla Chiesa, con 150 anni di ritardo
rispetto alla realta', le altre leggi dopo le stragi in cui cadevano
Falcone, Morvillo, Borsellino e gli uomini di scorta. Se non ci fossero
stati quei delitti non ci sarebbe stata la reazione delle istituzioni, non
ci sarebbero stati il maxiprocesso e gli arresti e le condanne che
interrompevano una lunga tradizione di impunita'. Ma anche le condanne si
sono fermate agli esecutori e alla cupola mafiosa, disvelata dalle
dichiarazioni di Buscetta, lasciando in ombra i "mandanti esterni". Si
ripeteva, per le stragi di Capaci, di via D'Amelio, di Firenze e di Milano,
il copione di Portella, un canovaccio buono anche per le stragi di Piazza
Fontana, di Brescia, della stazione di Bologna.
L'Italia e' un paese in cui la violenza, variamente abbigliata, e' stata una
risorsa a cui ricorrere quando il conflitto sociale e politico non era
governabile per altre vie e gli scheletri negli armadi fanno parte del
paesaggio nazionale. Si e' strutturato un sistema di potere intriso di
illegalita', legittimata dall'impunita'. Ma negli ultimi anni si e' andati
oltre ogni limite di decenza: nel mezzo secolo di dominio democristiano i
rapporti con la mafia c'erano ma venivano negati; ora uomini come Dell'Utri
li ostentano, consacrando come eroi capimafia ergastolani e come valore
l'omerta'. Il berlusconismo non ha pudori. E siamo solo all'antipasto del
Berlusconi 4.
Quest'anno, nel trentesimo anniversario dell'assassinio di Peppino, di cui
sono ormai noti i responsabili (nel 2001 e del 2002 sono stati condannati
come mandanti Badalamenti e il suo vice, e la relazione della Commissione
antimafia ha individuato le responsabilita' di uomini della forze
dell'ordine e della magistratura nel depistaggio delle indagini)
riproponiamo una manifestazione nazionale per fare il punto su mafia e
antimafia e rilanciare un progetto.
Cosa nostra ha ricevuto dei colpi durissimi, ma i rapporti tra mondi
criminali e contesto sociale, soprattutto con l'economia e la politica,
godono di ottima salute. Cuffaro, nonostante la condanna per
favoreggiamento, e' stato eletto al Senato; Dell'Utri, nonostante la
condanna per concorso esterno, e' tornato in Parlamento. Gli inviti
all'autoregolazione non sono stati presi in considerazione. Se non si
stabilisce tassativamente che chi e' rinviato a giudizio o condannato per
mafia e altri reati non puo' accedere alle istituzioni, si continueranno a
fare buchi nell'acqua.
L'accumulazione illegale ha raggiunto livelli da multinazionale, anche se le
stime correnti mi lasciano perplesso, ed e' sui terreni del potere e della
ricchezza che si costruiscono alleanze e blocchi sociali. Se non si spezzano
questi rapporti, che vanno dagli strati popolari alla "borghesia mafiosa",
si potranno colpire le organizzazioni criminali ma non la radice della loro
persistenza.
Parliamo di questi temi nei forum che si svolgono a Cinisi (da ieri all'11
maggio), confrontando idee ed esperienze, dal lavoro nelle scuole
all'antiracket, all'uso dei beni confiscati. Riprendendo il percorso di
Peppino Impastato. La sua radicalita' e' una scelta obbligata, se non
vogliamo limitarci alla cattura dei padrini e affrontare un problema che va
di pari passo con i processi di finanziarizzazione e con le forme di
legalizzazione dell'illegalita' che marchiano le dinamiche del consenso e
generano la criminalizzazione del potere, che sa soltanto autoassolversi.

2. MEMORIA. MARIA SERENA PALIERI INTERVISTA YVONNE VERA (2003)
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 10 luglio 2003 col titolo "Ci vuole musica
per narrare il sessismo e l'apartheid".
Maria Serena Palieri (Roma, 1953) giornalista, dal 1979 scrive su
"L'Unita'", attualmente lavora alle pagine culturali e si occupa di
narrativa italiana e internazionale e mercato editoriale; ha collaborato con
diverse testate, tra cui "l'Espresso" e "Marie Claire", e' stata consulente
di Rai Educational e autrice-conduttrice per Radiodue; in campo editoriale
lavora anche come editor e traduttrice dal francese; un suo libro-intervista
con Domenico de Masi, Ozio creativo, sui tempi di vita, ha avuto quattro
edizioni (Ediesse, Rizzoli) ed e' stato pubblicato in Brasile da Sextante.
Yvonne Vera, scrittrice, e' nata a Bulawayo, nell'attuale Zimbabwe, nel
1964; dopo aver completato gli studi superiori nel suo paese, ha condotto
gli studi universitari in Canada alla York University di Toronto; per la sua
attivita' letteraria ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali ed
e' spesso stata ospite di accademie e universita' in tutto il mondo; e'
prematuramente scomparsa nell'aprile del 2005. Opere di Yvonne Vera: Il
fuoco e la farfalla, Frassinelli, 2002; Le vergini delle rocce, Frassinelli,
2004]

Yvonne Vera e' una donna di trentotto anni, cittadina dello Zimbabwe, che ha
studiato in Canada e all'Universita' di Toronto si e' specializzata nei
formalisti russi, ed e' tornata a vivere a Bulawayo, la seconda citta' del
suo paese, per diventare la direttrice della locale National Art Gallery ma,
soprattutto, una delle piu' grandi scrittrici africane: col suo libro
d'esordio, la raccolta di racconti Why Dont'You Carve Other Animals, del
'91, e con i suoi successivi romanzi, ha vinto premi in Zimbabwe,
l'ex-Rhodesia, ma anche in Svezia, Gran Bretagna e Germania. E a questi ora
aggiunge il "Feronia".
E' l'editore Frassinelli che, nell'agosto scorso, ha cominciato a farla
conoscere anche ai lettori italiani con Il fuoco e la farfalla, un romanzo
che racconta una storia esplosiva con uno stile sinuoso e studiato
all'estremo (in italiano, nella sapiente traduzione di Francesca Romana
Paci): narra una vicenda metropolitana, ambientata nel ghetto nero di
Makokoba, alle porte di Bulawayo, negli anni tra il 1946 e il 1950, che si
dilata pero' nel simbolismo degli elementi naturali, l'acqua, la terra, il
fuoco.
Yvonne Vera e' bella. Tanto quanto sono belle, in un modo speciale, le donne
che tessono la trama del Fuoco e la farfalla: Phephelaphi, la giovanissima
che s'innamora del cinquantenne Fumbatha, figlio di uno dei diciassette
ribelli neri impiccati dagli inglesi nel 1896, la sua madre adottiva
Getrude, uccisa da un poliziotto bianco, la sua madre vera Zandile, che l'ha
abbandonata per fare la prostituta, e Deliwe, la donna che ha "scorpioni che
le affiorano dagli occhi". Prima di cominciare il colloqui annotiamo a
margine: se cercate scrittori che, oggi, sappiano narrare in tutta la sua
misteriosita' l'incontro d'amore, cercateli in Africa. Un esempio per tutti
e' proprio la pagina, qui, in cui Phephelaphi e Fumbatha si "riconoscono"
nella genesi che da' origine al loro nuovo mondo a due.
*
- Maria Serena Palieri: La sua protagonista e' una ragazza che aspira a
evolvere, vorrebbe diventare la prima infermiera nera della Rhodesia
dell'apartheid, ma lotta contro una gravidanza indesiderata come contro la
torpidita' dell'uomo che ama, Fumbatha. E approda a una fine terribile:
muore dandosi fuoco. Anche le altre donne, benche' regali, sembrano
prigioniere di destini infimi e violenti. Yvonne Vera, invece, e' una
trentottenne cosmopolita, emancipata e affermata. La fine del colonialismo -
arrivata in Rhodesia del Sud nel 1980 - ha migliorato la condizione
femminile nel suo paese?
- Yvonne Vera: Le figure femminili del romanzo sono, si', tragiche, ma io ho
voluto dare risalto, prima che alla fine di Phephelaphi, alla sua lotta e al
concetto stesso di lotta. Le donne, nel mio romanzo, possono fallire, ma
conducono una lotta fiera alla quale io tributo ammirazione, piu' che
pessimismo. D'altronde un romanzo e' una rappresentazione complessa. Una
volta che lo si e' chiuso ci si puo' chiedere a lungo se Phephelaphi abbia
fatto male o bene a immolarsi come un bonzo. Ha piu' poteri quando muore, e
brucia provando un senso quasi di gioia, o mentre vive? Ho usato metafore e
strumenti narrativi complessi, nel descrivere la sua fine, proprio per
restituire quest'ambiguita'. Ci sono in natura creature che vivono un giorno
solo, rapidamente, e chiudono con una fine gioiosa. Non userei la parola
"tragedia" per gli altri personaggi femminili: le altre donne non hanno
consapevolezza, quindi non possono essere tragiche. Pero' anche su di loro
sospenderei il giudizio. Zandile abbandona la figlia e sceglie di "fare la
vita" pensando solo a se stessa: e' una figura moralmente eccepibile, ma in
cerca di liberta'. Getrude e' complicata, e' sensuale, sembra che si
innamori di un bianco e che lui la uccida per gelosia, ma perche' muore
davvero? Io stessa non lo so. Anche lei, poi, pratica una forma di potere
adottando la figlia rifiutata di Zandile.
*
- Maria Serena Palieri: E queste sono donne della Rhodesia del Sud a fine
anni Quaranta. E oggi?
- Yvonne Vera: Oggi le donne dello Zimbabwe sono meno libere di loro. Hanno
personalita' giuridica e diritti formali, ma sono tornate indietro nei
rapporti interpersonali. Se non sei sposata, non puoi accampare molte scuse:
o sei una scrittrice, o sei matta. Il peso del patriarcato viene dalla
nostra tradizione, poi il colonialismo l'ha accentuato. Il motivo e'
sottile: i soli veri nemici, per i colonizzatori, erano gli uomini africani,
e combattendoli li hanno legittimati, mentre le donne uscivano, cosi', dalla
scena sociale. E oggi, in Zimbabwe, solo gli uomini occupano i luoghi di
potere economico lasciati vuoti dalla decolonizzazione.
*
- Maria Serena Palieri: Lei ha pero' dedicato un romanzo, Nehanda, a un
eroina vera della lotta contro Cecil Rhodes.
- Yvonne Vera: Nehanda e' stata appunto un'eccezione. Era amata perche'
ritenuta la reincarnazione di una mitica principessa del Cinquecento, e a
noi africani piace il sovrannaturale.
*
- Maria Serena Palieri: Lei e' di origine e di lingua shona. Scrive in
inglese, la "lingua arrivata per nave", come l'ha definita. Con quali
sentimenti la usa?
- Yvonne Vera: La lingua non e' mai di uno solo, e' di tutti. In ogni paese
post-coloniale l'inglese ha nel suo passato l'atto di violenza della
conquista. Ma poi le dinamiche si fanno piu' complesse: le dame bianche del
Sud degli Stati Uniti mandavano lettere in Gran Bretagna in cui scrivevano
"qui parliamo con le 'e' strette, per farci capire dai nostri schiavi".
Cosi', dai campi di cotone, nasceva l'accento dell'americano meridionale.
Wole Soyinka ha detto "uso ogni parola in inglese come una granata". Io, di
una generazione successiva, posso usarle, oggi, anche come piume per
accarezzare.
*
- Maria Serena Palieri: Nel Fuoco e la farfalla ricorrono due elementi
narrativi: la musica e l'acqua. Quali significati ha voluto attribuirgli?
- Yvonne Vera: L'area che accoglie la storia e' arida. Quando incontra
Fumbatha, la mia Phephelaphi emerge dalle acque di un fiume in modo che il
paesaggio arido, tutto intorno, contrasti in modo paradossale e sia
valorizzata la centralita' del momento. La musica e' il kwela, nata in
quegli anni Quaranta, un ritmo creato da chi s'inurbava: arrivando in citta'
si scopre il ritmo nuovo delle biciclette come dei treni, si perde il
fischio che si lanciava alle mandrie di mucche nelle campagne e si scopre
che se qualcuno fischia probabilmente e' un poliziotto bianco che ce l'ha
con te, nero. Io volevo scrivere un romanzo che diventasse musica in bocca,
che fosse comprensibile e ambiguo. Nel successivo, The Stone Virgins, le
prime pagine tornano su quegli stessi anni e sono musica pura.
*
- Maria Serena Palieri: Doris Lessing, bianca nata in Iran, vissuta in
Rhodesia, scappata in Inghilterra perche' non sopportava piu' il razzismo,
e' da voi una scrittrice amata?
- Yvonne Vera: Il suo primo libro, L'erba canta, e' ancora letto nelle
scuole. Ma i tempi cambiano: lei scriveva per lettori soprattutto bianchi,
in anni in cui di scrittori neri non ce n'erano. Oggi da noi i lettori sono
soprattutto neri e a scrivere siamo in non pochi.
*
- Maria Serena Palieri: E' notizia di oggi che Bush, nel suo viaggio in
Africa, ha parlato con il presidente sudafricano Thabo Mbeki dello Zimbabwe.
Gli Usa vorrebero che il Sudafrica si accodasse a loro e all'Europa
nell'embargo contro lo Zimbabwe di Mugabe: bersaglio, a dire di Bush, i
diritti violati dal vostro governo. Mbeki ha controbattuto dicendo che
preferisce usare una "diplomazia tranquilla".
- Yvonne Vera: Non e' la prima volta che Bush avanza questa richiesta. Io
penso che il presidente del Sudafrica sia un uomo che riflette e un politico
vero.

3. TESTIMONIANZE. MARIA TERESA CARBONE INTERVISTA AZAR NAFISI (2004)
[Dal quotidiano "Il Manifesto" del 15 giugno 2004 col titolo "Clandestine a
Teheran per amore dei romanzi" e il sommario "Incontro con la scrittrice
iraniana Azar Nafisi, autrice di un successo internazionale che in Italia
sta per uscire dalla Adelphi con il titolo Leggere Lolita a Teheran. E'
insieme un testo di storia dell'Iran, un saggio di critica letteraria e una
dichiarazione d'amore al potere della parola. Vi si raccontano due anni di
seminari semiclandestini".
Maria Teresa Carbone, traduttrice, saggista, organizzatrice culturale,
curatrice con Nanni Balestrini del sito di letture e visioni in rete
www.zoooom.it
Azar Nafisi, intellettuale iraniana, scrittrice e docente universitaria,
impegnata per i diritti umani; e' nata a Teheran nel 1955, figlia di Ahmad
Nafisi, gia' sindaco di Tehran, e Nezhat Nafisi, prima donna ad essere
eletta al parlamento iraniano; ha studiato in Gran Bretagna e si e' laureata
negli Stati Uniti in letteratura inglese ed americana; e stata poi docente
di letteratura inglese all'Universita' di Teheran; impegnata per i diritti
umani, impegnata per i diritti umani e' stata perseguitata e costretta a
lasciare l'insegnamento universitario per essersi rifiutata di portare il
velo; nel 1997 si e' trasferita negli Stati Uniti dove insegna letteratura
inglese alla Johns Hopkins University. Dal sito www.festivaletteratura.it
riprendiamo la seguente scheda: "Azar Nafisi insegna alla Johns Hopkins
University a Washington, ha studiato in Europa e negli Stati Uniti. Durante
gli anni universitari americani, manifesto', assieme ad altri studenti
iraniani, contro il regime dello scia'. Tornata in Iran, ha ottenuto una
borsa di studio dall'Universita' di Oxford e ha insegnato Letteratura
Inglese all'Universita' di Teheran, alla Free Islamic University e
all'Allameh Tabatai University of Iran. Nel 1995 e' stata espulsa
dall'Universita' di Teheran per aver rifiutato di portare il velo e ha
fondato un circolo di lettura con sette allieve, che si riunivano in casa
sua una volta alla settimana per discutere di letteratura occidentale e
della propria condizione nella repubblica islamica. Lascio' l'Iran per
l'America nel 1997. Alcuni suoi testi sono apparsi su New York Times,
Washington Post, Wall Street Journal e New Republic. E' apparsa in numerosi
programmi televisivi, ha partecipato a numerosi programmi radiofonici, da
Pbs a Fox. E' l'autrice di Anti-Terra: A Critical Study of Nabokov's Novels
(Teheran, 1994). Vive a Washington col marito e due figli". Opere di Azar
Nafisi: Eye of the Storm. Women in Post-Revolutionary Iran, 1992;
Anti-Terra. A Critical Study of Vladimir Nabakov's Novels, 1994; Muslim
Women and Politics of Participation, 1997; "Tales of Subversion. Women
Challenging Fundamentalism in the Islamic Republic of Iran", in Religious
Fundamentalisms and the Human Rights of Women, 1999; Leggere Lolita a
Teheran, Adelphi, Milano 2004; Bibi e la voce verde, Adelphi, Milano 2006]

Forse la chiave del successo internazionale, tanto imprevedibile quanto
meritato, di un testo denso e complesso come Leggere Lolita a Teheran (in
uscita in questi giorni per Adelphi, nella traduzione di Roberto Serrai) sta
in una piccola frase che scivola via in fondo alla prima pagina del libro:
"Cio' che cerchiamo nella letteratura non e' la realta', ma un'epifania
della verita'". Ed e' del resto proprio a partire da questa distinzione che
l'iraniana Azar Nafisi - questa sera sul palcoscenico di Massenzio al
Festival Letterature di Roma - ha tenuto per due anni, dal 1995 al 1997, un
seminario molto particolare: dopo avere dato le dimissioni dal suo incarico
di docente di letteratura inglese all'universita' di Teheran, Nafisi ha
infatti invitato le sette migliori studentesse del suo corso a incontrarsi
una volta la settimana a casa sua, per parlare di letteratura. Sono queste
riunioni semiclandestine del giovedi' mattina, fra caffe' e pasticcini,
discussioni sul Grande Gatsby e su Lolita, su Orgoglio e pregiudizio e su
Daisy Miller, alternati a racconti di sofferenze personali e pubbliche, a
fare da filo conduttore per un libro che e', al tempo stesso, un testo di
storia dell'Iran contemporaneo, un saggio di critica letteraria e
soprattutto una appassionata dichiarazione d'amore al potere della memoria e
della parola. Non a caso, quindi, Azar Nafisi, che oggi vive negli Stati
Uniti, dove insegna letteratura inglese alla John Hopkins University, sta
lavorando a un nuovo libro che attraversa il ricordo di tre generazioni ed
e' impegnata in un'iniziativa, il Dialogue Project, destinata a promuovere
scambi culturali fra i paesi occidentali e il Medio Oriente.
*
- Maria Teresa Carbone: Nell'originale inglese Leggere Lolita a Teheran
viene definito un memoir, un testo autobiografico. Come dobbiamo misurare lo
scarto tra questa dichiarazione e il fatto che lei stessa avverte, fin
dall'inizio, come i personaggi e le vicende descritti nel libro
differiscano, almeno in parte, da quelli reali?
- Azar Nafisi: Quello che mi interessava non era tanto parlare di me stessa,
quanto raccontare una passione, dire quanto i libri siano stati importanti
nella mia vita, come siano stati in grado di salvare sia me che altri in
situazioni di estrema difficolta'. D'altra parte, la passione che sta alla
base del testo non investe solo la letteratura. Ha come oggetto anche il mio
paese, un Iran che sentivo abbandonato, tradito. Nel lungo periodo in cui
sono stata lontana, quando ero una ragazzina, avevo la sensazione di avere
perduto il mio paese, di tenerlo vivo solo nei miei ricordi. Per questo, nel
libro ho cercato anche di ritrovare quel sentimento che aveva la forza del
primo amore, di recuperare quel paese dal quale venivo e che sentivo
brutalizzato.
*
- Maria Teresa Carbone: I quattro autori che scandiscono i capitoli del suo
libro - Nabokov, Fitzgerald, Henry James e Jane Austen - appartengono al
canone occidentale. E' una scelta dovuta solo alla sua formazione, o dipende
anche da altro?
- Azar Nafisi: Quando negli anni '80 tornai in Iran dopo molto tempo
trascorso all'estero, sentii che l'unico modo per comunicare con le persone
del mio paese sarebbe passato attraverso i libri che amavo. A fronte di un
regime che liquidava tutto cio' che proveniva dall'occidente come
imperialista e sfruttatore, era importante, per me, restituire una
prospettiva diversa e piu' ampia. Al tempo stesso, quando andai a vivere
negli Stati Uniti, mi resi conto che ci si aspettava da me racconti derivati
dalla mia esperienza personale; ma l'immaginazione non puo' limitarsi ai
confini del proprio se', necessita di aperture verso gli altri. Cosi', per
questa combinazione di fattori, sia pure con grande rammarico ho dovuto
scartare testi per me molto importanti: autori che vanno dai classici
persiani a Calvino o Svevo. Ogni capitolo del mio libro riflette dunque
qualcosa della condizione in cui mi trovavo: quello dedicato a Nabokov parla
dell'esilio e del ruolo dell'immaginazione in un regime totalitario;
Fitzgerald, attraverso il personaggio di Gatsby, mi ha aiutato a descrivere
l'importanza del sogno; mentre il James di Daisy Miller ruota intorno
all'idea di ambiguita'. E, infine, il testo di Jane Austen ha a che fare con
il problema della scelta.
*
- Maria Teresa Carbone: Piu' volte nel suo libro ricorre il concetto secondo
cui la colpa piu' grande di cui si puo' macchiare un personaggio e' la sua
ottusita', la sua mancanza di empatia...
- Azar Nafisi: Detesto pensare a un libro come fosse il contenitore di un
messagio. Pero' e' anche vero che desideravo affidare a Leggere Lolita a
Teheran la mia convinzione che le nostre critiche non devono indirizzarsi
solo ai regimi totalitari, ma anche al pensiero unico, a quella mentalita'
che i romanzi sono capaci di descrivere cosi' bene e che non e' certo una
caratteristica esclusiva del regime iraniano. Di nuovo, oggi, viviamo sotto
la minaccia della cecita': e' una minaccia che viene tanto dal terrorismo
islamico, quanto dall'interno dell'America: lo so perche' e' il paese in cui
vivo e che amo.
*
- Maria Teresa Carbone: Quanto possono pesare gli stereotipi su questa
cecita'?
- Azar Nafisi: Purtroppo tendiamo sempre a inserire noi stessi e gli altri
all'interno di categorie prestabilite: in Iran si tende a inchiodare il
mondo occidentale a un enorme cliche', e in occidente si etichettano in base
alla religione paesi come la Turchia, l'Arabia Saudita, l'Iran, la Malesia o
il Marocco che hanno storie e culture diversissime; paesi meno accomunabili
tra loro di quanto non lo siano la Francia e l'Italia. A chi mai verrebbe in
mente, qui, di parlare dell'insieme dei paesi europei come di "paesi
cristiani"? E poi, non e' possibile tollerare che una religione venga
"confiscata" dallo stato, ne' che sia legittimo giudicare se una donna e'
una buona musulmana dal fatto che porti il velo. Nessun potere pubblico
dovrebbe essere autorizzato a sindacare sui modi in cui ognuno esprime la
propria fede.
*
- Maria Teresa Carbone: Non le sembra che molti stereotipi stiano cedendo
terreno a fronte di tanti successi delle donne islamiche? Basterebbe pensare
al Nobel per la pace vinto da Shirin Ebadi, alla diffusione dei film delle
nuove registe iraniane che le ha portate a una visibilita' internazionale, e
allo stesso successo del suo libro o di Persepolis di Marjane Satrapi.
- Azar Nafisi: Quando il regime islamico e' andato al potere, ha preso come
primo bersaglio le donne, e non a caso: il nostro ruolo e' cruciale quando
si parla di liberta' e di democrazia. Ma in Iran, gia' da anni prima che si
insediasse il regime dei Pahlavi, le donne avevano acquisito molti diritti,
e questo ha consentito loro di fare riferimento all'esperienza del passato
quando si e' trattato di resistere al regime. Prenda il caso di Shirin
Ebadi: il governo le ha impedito a di fare il suo lavoro di giudice, perche'
non riconosce alle donne la possibilita' di esercitare il giudizio, e lei ha
deciso di agire come avvocato in difesa delle donne. Cosi' come molte
ragazze hanno scelto di dedicarsi alla regia riappropriandosi delle immagini
che erano state loro sottratte per rispondere alla imposizione di
invisibilita', all'imperativo del velo, al divieto di apparire nei film.
Quanto a Marjane Satrapi, amo moltissimo le sue storie illustrate, e non e'
un caso se ha scelto la chiave dell'umorismo, perche' questa e' una delle
modalita' espressive che il regime ha maggiormente cercato di mortificare.
*
- Maria Teresa Carbone: Dopo gli anni trascorsi in Iran, che effetto le ha
fatto la quotidianita' che si e' trovata a vivere negli Stati Uniti?
- Azar Nafisi: Visto che per molti anni non mi e' stato permesso di lasciare
il mio paese, non dimentichero' mai la prima volta che sono salita di nuovo
su un aereo, e mi e' stato possibile togliermi il velo. E' ovvio che perfino
il mio modo di camminare, o di gustarmi un gelato siano cambiati: ogni
piccola cosa di cui e' fatta la nostra vita contribuisce a farci sentire o
meno liberi. Con questo, non direi che le mie sofferenze siano finite.
Ripenso spesso a una frase di Saul Bellow che ho trovato in un suo libro:
"Si puo' scampare al dolore dell'Olocausto; ma e' possibile scampare al
dolore della liberta'?".
*
- Maria Teresa Carbone: Allora, forse la scelta di Nabokov come autore su
cui aprire il suo libro e' anche dovuta alla condizione di esiliati che vi
avvicina?
- Azar Nafisi: Il primo libro che ho scritto, quando ancora abitavo in Iran,
era un saggio su Nabokov, un autore gia' molto importante, per me, prima che
me ne andassi dal mio paese e cominciassi a scrivere in inglese. Quel che mi
importa di lui, piu' ancora del modo in cui ha dato forma alla condizione di
esiliato, e' la sua capacita' di rielaborare la vita attraverso
l'immaginazione, il modo in cui si e' vendicato della realta' ricostruendo
nei suoi libri la sua lingua, i ricordi dei suoi genitori, la sua infanzia.
Ma la motivazione piu' determinante alla mia scelta di assumere Nabokov come
figura-chiave del mio libro e' la compassione con la quale descrive il
personaggio di Lolita: la sua lotta per mantenere - lei dodicenne - la sua
dignita'.
*
- Maria Teresa Carbone: All'inizio del libro lei scrive di avere scelto per
il suo seminario solo studentesse perche' accettare allievi maschi sarebbe
stato rischioso. E' stata davvero solo questa la motivazione?
- Azar Nafisi: Effettivamente, per quel che riguarda la mia consapevolezza,
ho scelto di invitare a casa mia solo ragazze perche' un seminario misto
sarebbe stato davvero troppo pericoloso. Ma se cerco di scavare un po' di
piu' nei mie pensieri, forse ha giocato un ruolo non indifferente anche la
certezza che con le ragazze sarei stata in grado di raggiungere una empatia
piu' profonda. Uno tra i motivi per cui ho deciso di scrivere questo libro
e' legato al mio desiderio di rendere omaggio all'eroismo di queste ragazze,
che sfidavano ogni giorno la prigione, e rischiavano di essere frustate,
punite, per concedersi la possibilita' di partecipare al nostro gruppo ed
esprimersi liberamente.
*
- Maria Teresa Carbone: Piu' volte, nel corso del testo, lei racconta fatti
privati, suoi e delle studentesse, sottolinea con enfasi l'importanza che ha
avuto per lei la nascita dei suoi figli, accenna all'incrociarsi di vicende
pubbliche e personali. Tuttavia respinge il motto sessantottino secondo il
quale "il privato e' politico". Come intende questo rifiuto?
- Azar Nafisi: In un paese dove la politica tende a occupare tutti gli
spazi, dal cibo che e' possibile o meno mangiare alla musica che e'
consentito ascoltare, volevo ribadire l'importanza di una sfera personale da
proteggere. Con questo, non nego affatto che debba esiste una relazione
dialettica fra cio' che pertiene alla sfera personale e cio' che riguarda
quella politica. Quanto alla data di nascita dei miei figli, ho voluto
citarla, perche' in un momento difficile come era quello per me, i miei
figli mi hanno indotto a essere piu' buona, piu' gentile, a mettermi in una
disposizione piu' amorevole verso gli altri.

4. TESTIMONIANZE. PAOLA SPRINGHETTI INTERVISTA AZAR NAFISI (2004)
[Dal quotidiano "Avvenire" del 15 giugno 2004 col titolo "A Teheran la
liberta' e' donna" e il sommario "Parla la scrittrice iraniana Azar Nafisi:
La parte femminile della popolazione sfugge al controllo con maggior
facilita'. Si puo' disobbedire in molti modi: rifiutandosi di indossare il
velo, mettendosi il rossetto oppure leggendo Popper e Hannah Arendt".
Paola Springhetti, acuta e sensibile giornalista e saggista, e' direttrice
de "La rivista del volontariato". Opere di Paola Springhetti: La famiglia
prende il largo, Emi, Bologna 2005; Solidarieta' indifesa, Emi, Bologna
2008]

Teheran, 1994. Una giovane insegnante di letteratura inglese lascia
definitivamente un'universita' in cui non c'e' liberta' sufficiente per
insegnare e studiare. Ma inventa un modo clandestino quanto efficace per
fare entrambe le cose: invitera' nella propria casa un gruppo delle allieve
piu' promettenti e, per due anni, ogni settimana leggeranno e commenteranno
i classici del Novecento, e soprattutto Lolita di Nabokov. Attraverso la
lettura e la discussione, queste donne ritrovano se stesse, affermano la
propria individualita', respirano aria di liberta'. Per loro la letteratura
non e' un lusso, ma una necessita'.
La giovane professoressa si chiama Azar Nafisi, e ora vive negli Stati
Uniti, dove insegna alla Johns Hopkins University. Ha raccontato la sua
esperienza in un libro ora tradotto da Adelphi con il titolo Leggere Lolita
a Teheran. Perche' proprio Lolita, lo spiega nel libro stesso: "la verita'
disperata che si cela dietro la storia di Lolita non e' lo stupro di una
ragazzina da parte di un vecchio sporcaccione, ma la confisca della vita di
un individuo da parte di un altro".
Appena uscito negli Stati Uniti, il libro ha avuto un enorme successo, forse
anche perche', dice, "l'immagine che si ha dell'Iran e' basata su
stereotipi. Percio' i lettori sono rimasti sorpresi da quante cose
l'Occidente e l'Iran hanno in comune: il piacere di ballare, la voglia di
amare, il desiderio di leggere libri...".
Nelle "lezioni" casalinghe si leggevano ovviamente testi di scrittori
americani o inglesi, anche se i loro libri divennero presto quasi
introvabili sotto il regime integralista. Ed e' interessantissimo questo
ritrovare se stessi attraverso storie scritte in altri contesti, in altre
culture: "Una delle cose che voglio dimostrare col libro - spiega
l'autrice - e' proprio il modo in cui le culture possono interagire quando
entrano in contatto tra loro. Una ragazza iraniana, che non e' mai stata in
America o in Europa, riesce a parlare in modo originale di libri scritti in
questi paesi: al di la' della politica, le persone possono entrare in
rapporto e interagire attraverso la letteratura".
In questa prospettiva, uno scrittore come Nabokov - a cui Azar Nafisi ha
dedicato un saggio - e' particolarmente interessante. "In Nabokov mi
interessava il rapporto con l'immaginazione, che diventa piu' forte via via
che gli viene sottratta, con la rivoluzione, la realta' che amava, cioe' la
Russia. I suoi romanzi sono un inno all'immaginazione e alla compassione
verso le persone. In una societa' totalitaria come quella iraniana il primo
bersaglio del regime sono le liberta' individuali. I romanzi di Nabokov sono
una celebrazione dell'originalita' dell'individuo, della sua
irriducibilita'".
L'irriducibilita' dell'individuo: un tema che Azar Nafisi ha cercato anche
in altri scrittori. Tra gli italiani Primo Levi, letto in Iran insieme ad
altri come Pavese, Eco, Calvino... "Amo Levi - spiega - perche' ha
raccontato come possa essere distrutta l'integrita' della persona, come
possa essere rubata l'individualita' e come, di conseguenza, sia necessario
lottare per difenderla. Ricordo una frase di un suo libro in cui dice che e'
piu' importante ricordare un verso di Dante che procurarsi la razione
quotidiana di pane. La verita' e' che quando ti trovi in mezzo a una guerra
o a una rivoluzione, sono le espressioni piu' alte dell'umanita' che ti
possono offrire speranza: la musica, l'arte, la poesia".
Percorrendo le pagine di Leggere Lolita a Teheran ci si appassiona alle
storie di queste ragazze, alle battaglie silenziose per cercare di
resistere, di conquistare o difendere un po' di liberta'. E viene anche il
dubbio che questo leggere insieme possa provocare un di piu' di sofferenza:
in fondo, piu' si e' consapevoli della propria prigionia, piu' ci si sente
soffocare. Ma era un rischio da correre: "Il passato non e' un patrimonio
soltanto occidentale: e' anche dell'Iran - rivendica Azar Nafisi -. E da
piu' di un secolo nel nostro paese le donne combattevano per i propri
diritti, dunque avevano gia' la liberta' nella propria storia. E del resto
la liberta' non si puo' nascondere, anche perche' e' una necessita'. Le
ragazze in fondo non desideravano altro che essere se stesse; la letteratura
semplicemente le aiutava a sentirsi meno sole: da qualche parte c'era
qualcun altro che viveva cose simili".
Tant'e' vero che il desiderio di liberta' non e' morto neanche nelle
generazioni successive, che pure col velo (e con tutto il corredo di diritti
negati) ci sono nate. "Anzi, sono ancora piu' affamate di liberta', proprio
perche' non l'hanno mai avuta. E infatti attualmente in Iran il problema del
governo sono le giovani: non portano il velo come dovrebbero, si mettono il
rossetto, leggono Hannah Arendt e Popper, guardano la televisione via
satellite. Il potere controlla la vita politica, ma non ce la fa a
controllare la vita quotidiana". Oltretutto non sono piu' cosi' isolate:
"Quella che in Occidente si chiama societa' civile, in Iran e' molto forte e
strutturata: vuole un cambiamento e lo avra'".
Il problema e' capire come avverra', questo cambiamento, se ci sara' altra
violenza. "Violenza ce n'e' gia' - ammette la scrittrice -: a seguito delle
manifestazioni della scorsa estate ci sono stati quattromila arresti tra gli
studenti. Ma la cosa incoraggiante e' che il governo e' indebolito
dall'interno, come se fosse demoralizzato. Spero avverra' qualcosa di simile
a quello che e' successo in Cecoslovacchia: una rivoluzione di velluto. La
violenza non serve: la democrazia e' un processo e nasce da un processo".

5. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per
molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per
la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza.
Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del
commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di'
chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 452 dell'11 maggio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
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