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Minime. 448
- Subject: Minime. 448
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 7 May 2008 00:43:27 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 448 del 7 maggio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Severino Vardacampi: Minimo un oratorio sulla paura 2. Nadia Urbinati: La Lega e Carlo Marx 3. Stefano Rodota': Il linguaggio dei vincitori 4. Katha Pollitt: La violenza del patriarcato 5. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 6. Edoardo Caizzi presenta "Autobiografia di una rivoluzionaria" di Angela Davis 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. SEVERINO VARDACAMPI: MINIMO UN ORATORIO SULLA PAURA (Manca in exergo una citazione - quella citazione - di Guenther Anders) Dico una cosa che quarant'anni, trent'anni fa sapevamo tutti, ed oggi sembra la ricordino solo i vecchi barbogi come me. Certo che vi e' un'emergenza sicurezza, certo che le persone hanno paura, ed hanno ragione di avere paura. E piu' paura di tutti ce l'hanno quelle e quelli che sono giunte e giunti qui per sfuggire alle guerre, alle dittature, alla schiavitu', alla fame, alla morte. E che sono giunte e giunti qui sperando di campare la vita, di trovare aiuto, amicizia, un luogo in cui vivere, una societa' come quella descritta nella legge fondamentale del nostro stato. Ed invece i lupi, i vampiri trovano, gli schiavisti trovano. Certo che hanno ragione di avere paura. * E certo che anche tra chi ha piu' paura vi e' chi fa paura: "qui chi non terrorizza si ammala di terrore" cantava De Andre' nella Storia di un impiegato. E cos'altro e' oggi la politica e l'economia dominante se non questo dispiegato terrorismo, questa barbarie in cui piu' ancora che il profitto si punta a massimizzare la paura altrui, la schiavitu' che ti mangia l'anima? Certo che tutte e tutti hanno, abbiamo ragione di avere paura. * E certo che hanno ragione di avere paura in primo luogo le donne, oltre la meta' del genere umano, che devono vivere in un mondo in cui ci sono, ci siamo anche noi uomini. Ed ha ragione Robin Morgan quando ricorda che se di sera per una strada deserta una donna sente alle spalle il passo pesante di un uomo ha paura, ed ha ragione di aver paura. E ancor piu' paura ha nella propria casa, quando si trova a dover convivere con una persona di sesso maschile che non nasconde di sapere e poter essere il suo aguzzino - e sovente lo e' -, e che da un momento all'altro puo' trasformarsi nel suo carnefice. E questa paura so essere cosi' reale che fa paura anche a me uomo, che so di recare incistati e fermentanti nel profondo di me anche millenni di cultura maschile devastatrice e sanguinaria e stupratrice e assassina, l'ombra e il mostro nel pozzo che devo contrastare con quella lotta interiore che chiamiamo civilta', che chiamiamo dignita' umana, e che e' una lotta che non finisce mai. * E da questa paura solo in un modo si esce: questo mi insegno' la prassi e la teoria di Franca e Franco Basaglia. Si esce solo con l'umana solidarieta', con la lotta per il riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani; si esce solo insieme, "tutti o nessuno / non si puo' salvarsi da se'". Chiamo scelta della nonviolenza come fondamento della politica necessaria e urgente questo riconoscimento, che con parole e tragitti diversi dai tempi di Saffo e di Spartaco (e qui certo troppi altri nomi potrebbero mettersi - e forse finanche tutti gli altri nomi che nella storia dell'umanita' si siano dati - e sarebbe sempre la stessa sublime e tremenda idea e speranza, lo stesso legato e bisogno, lo stesso grido di liberta', lo stesso appello alla solidarieta', lo stesso cielo stellato dentro ciascuna e ciascuno di noi) illumina e conforta i nostri giorni, questa lunga straziata dilacerata notte. Tu veglia. Tu accorri e reca aita. 2. RIFLESSIONE. NADIA URBINATI: LA LEGA E CARLO MARX [Dal quotidiano "La Repubblica" del 24 aprile 2008, col titolo "La Lega e Carlo Marx" e il sottotitolo "Nadia Urbinati insegna scienze politiche alla Columbia University di New York. Tra i suoi libri: Ai confini della democrazia (Donzelli) e L'ethos della democrazia (Laterza)". Nadia Urbinati e' docente di Teoria politica alla Columbia University. Tra le opere di Nadia Urbinati: Le civili liberta'. Positivismo e liberalismo nell'Italia unita, Marsilio, 1991; Individualismo democratico. Emerson, Dewey e la cultura politica americana, Donzelli, Roma 1997; L'ethos della democrazia. Mill e la liberta' degli antichi e dei moderni, Laterza, Roma-Bari 2006; Representative Democracy: Principles and Genealogy, Chicago 2006;(con Corrado Ocone), La liberta' e i suoi limiti. Antologia del pensiero liberale da Filangieri a Bobbio, Laterza, Roma-Bari 2006; Ai confini della democrazia. Opportunita' e rischi dell'universalismo democratico, Donzelli, Roma 2007] Le analisi via via piu' puntuali dei risultati elettorali dimostrano che operai e casalinghe hanno votato per il partito piu' radicale e populista della coalizione di centrodestra, premiando un messaggio a un tempo liberista e razzista. Questi dati hanno provocato una giustificata cascata di commenti e interpretazioni. Autorevoli opinion-maker e uomini pubblici si sono improvvisati filosofi della storia per dare un tono di fatale verita' alle loro dichiarazioni: il mercato ha sconfessato Karl Marx dimostrando che imprenditori e operai hanno gli stessi interessi perche' hanno gli stessi avversari; gli avversari sono lo stato che tassa e mette regole ma che nel contempo non riesce a controllare le frontiere. E nemmeno a tener fuori prodotti e manovalanza a basso costo; e infine e soprattutto lo stato sociale che con le sue politiche dei servizi sociali e' reso colpevole di debilitare la solidarieta' locale e le reti comunitarie di sostegno ai bisognosi. Il messaggio che viene dalla cascata di voti rastrellati dalla Lega Nord anche in regioni di consolidata tradizione socialdemocratica come l'Emilia Romagna, sarebbe dunque questo: il mercato deve riportare lo stato alla sua vocazione originaria, quella che aveva prima della formazione dello stato-nazione e della conversione bismarkiana dei governi europei; deve tornare ad essere un sistema coercitivo che si occupa esclusivamente di difendere diritti civili di base e che investe le proprie risorse nella sicurezza dei cittadini e nella difesa delle frontiere. Lo stato non deve piu' occuparsi di giustizia sociale e di ridistribuzione della ricchezza tra i "figli uguali della nazione", come e' stato costretto a fare negli anni della ricostruzione del dopoguerra. Non deve piu' essere ostaggio delle illusioni socialdemocratiche per la ragione assai semplice che non c'e' alcun problema di ingiustizia sociale a cui rimediare, ma solo la sfortuna e la disgrazia del bisogno: piaghe fatali che l'umanita' ha ereditato dalla caduta di Adamo ed Eva e che la carita' del buon samaritano puo' curare molto piu' umanamente di uno stato dispensatore di servizi di cittadinanza. Questa e' la lezione filosofica che ci viene dalle recenti elezioni. * Comunitarismo e liberismo sono naturalmente alleati, soprattutto quando, come in questo scorcio di modernita', le coordinate tradizionali della politica (gli stati-nazione) non sono in grado di far fronte ai rischi e alle sfide della mondializzazione. Ma contrariamente ai vaticini dei filosofi d'occasione, Marx aveva visto giusto. Il suo Manifesto e' l'earth link del nostro tempo, una lente che zooma dal pianeta alle sue periferie e viceversa, dandoci immagini nitide di come siamo. Ci fa vedere come l'integrazione globale dei mercati stia insieme a un ricompattamento comunitario locale; come l'espansione a macchia d'olio delle metropoli si affianchi a periferie selettive e chiuse (i sobborghi americani creati ex novo e protetti come cittadelle medievali, con cancelli, guardiani e visti d'ingresso); come la diffusione planetaria di una cultura di massa e di una lingua (quella inglese) si integri alla rinascita di linguaggi e culture locali, spesso permeabili solo a chi li pratica quotidianamente (come molti cartelli stradali nei villaggi e nelle campagne del Nord-Est). In questa schizofrenia le solidarieta' trasversali, per intenderci quella cultura etica universalista sulla quale la "classe operaia" aveva definito la propria identita' e lo stato sociale le proprie politiche di giustizia, appaiono inattuali, inefficaci, e perfino tirannici. La liberta' contro lo stato sociale (non contro lo stato gendarme) e' la sola forte liberta' che le destre liberiste-comunitarie esaltano e vogliono proteggere. Se le questioni sociali sono questioni di poverta' e carita' volontaria e non piu' di giustizia sociale, la classe operaia non ha piu' senso di esistere. Essa non e' altro che una fascia di basso reddito misurata dalle statistiche, l'insieme delle famiglie povere o a rischio di poverta', gente (non classe) che arranca a fine mese su bollette e debiti, che si ciba a costo quasi zero della cultura pop-global televisiva, che si sente pericolosamente tallonata dall'immigrato low-cost e si fa razzista. Si fa alleata di quegli imprenditori che vogliono le frontiere chiuse ai beni cinesi e indiani. Una prova di questa trasformazione ci viene ancora una volta dagli Stati Uniti, che per la loro enorme geografia sono stati a buon diritto un laboratorio del globale-locale fin dai primi del Novecento; qui la classe operaia non e' mai riuscita a costruire una solidarieta' universale-nazionale proprio perche' l'immigrazione permanente ha reso impossibile conquistare e difendere regole e diritti sociali a protezione dei lavoratori. Il mercato del lavoro come uno stato di natura dove il vicino e' un potenziale nemico, non un alleato di classe. * Dunque, una storia globale, non italiana. Una storia globale che mostra pero' i propri effetti laddove le persone vivono: nelle citta' e nei paesi, non nel generico globo. La politica dei "muri" che la caduta del muro di Berlino ha generato esemplifica molto bene questa storia. Muri sono in costruzioni in molti luoghi del mondo: per dividere stati e popoli, ma anche quartieri di una stessa citta' come a Padova, dove gli italiani hanno in questo modo cercato di "proteggere e separare" se stessi dai vicini residenti di origine extraeuropea. Se il muro di Berlino doveva bloccare il diritto di uscita ai sudditi della Germania comunista, questi nuovi muri protezionistici dovrebbero ostruire l'entrata ai migranti o rendere la loro vicinanza invisibile o meno visibile. I muri anti-immigrazione, come quello spettacolare che la California ha costruito sui confini con il Messico, sono un modo molto concreto per dire che coloro che li innalzano pensano che potranno preservare i loro piccoli e grandi privilegi se e fino a quando solo loro ne godranno. Mettono in evidenza una delle piu' stridenti contraddizioni che affliggono le nostre affluenti societa' democratiche: quella tra una cultura raffinata che condivide valori universalistici e cosmopolitici e che resta comunque una minoranza (spesso snob), e una diffusa cultura popolare che mentre si appaga del consumismo globale e' atterrita dalla globalizzazione, teme fortemente l'incertezza economica e sviluppa un attaccamento parossistico ad un benessere che appare sempre piu' risicato, fragile e temporaneo. Come si legge nel troppo poco letto Manifesto di Marx, alla crescita inarrestabile di un'uniformita' globale si affianca la crescita di un'evidente resistenza del locale: nascono nuovi nazionalismi, il razzismo, la nostalgia per comunita' pre-moderne come il borgo e le chiese. E a questi parossismi una parte dell'impresa capitalistica (quella piccola e media) ha un naturale interesse ad allearsi perche' il mercato globale e' una bestia selvaggia contro la quale non trova altro rimedio se non il vecchio stato poliziotto. La classe operaia e' un anacronismo, dunque, ma non perche' non c'e' piu' diseguaglianza di potere e c'e' comunanza di interessi, ma perche' questa diseguaglianza e' stata tradotta in termini morali e apocalittici: una questione di sfortuna, di migrazioni bibliche, di scenari finanziari in permanente rischio di crollo. In questo panorama, il linguaggio della politica e del riformismo appare inefficace e fuori posto mentre quello populista avvince e unisce. Eppure, gli esseri umani non dispongono che di ragione pubblica e linguaggio politico per governare le loro societa' in modi civili e senza rinunciare a limitare le ragioni di sofferenza e dare a tutti la possibilita' di vivere con umana decenza e dignita'. 3. RIFLESSIONE. STEFANO RODOTA': IL LINGUAGGIO DEI VINCITORI [Dal quotidiano "La Repubblica" del 28 aprile 2008 Stefano Rodota' e' nato a Cosenza nel 1933, giurista, docente all'Universita' degli Studi di Roma "La Sapienza" (ha inoltre tenuto corsi e seminari nelle Universita' di Parigi, Francoforte, Strasburgo, Edimburgo, Barcellona, Lima, Caracas, Rio de Janeiro, Citta' del Messico, ed e' Visiting fellow, presso l'All Souls College dell'Universita' di Oxford e Professor alla Stanford School of Law, California), direttore dele riviste "Politica del diritto" e "Rivista critica del diritto privato", deputato al Parlamento dal 1979 al 1994, autorevole membro di prestigiosi comitati internazionali sulla bioetica e la societa' dell'informazione, dal 1997 al 2005 e' stato presidente dell'Autorita' garante per la protezione dei dati personali. Tra le opere di Stefano Rodota': Il problema della responsabilita' civile, Giuffre', Milano 1964; Il diritto privato nella societa' moderna, Il Mulino, Bologna 1971; Elaboratori elettronici e controllo sociale, Il Mulino, Bologna 1973; (a cura di), Il controllo sociale delle attivita' private, Il Mulino, Bologna 1977; Il terribile diritto. Studi sulla proprieta' privata, Il Mulino, Bologna 1981; Repertorio di fine secolo, Laterza, Roma-Bari, 1992; (a cura di), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari, 1993, 1997; Quale Stato, Sisifo, Roma 1994; Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna 1995; Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari, 1997; Liberta' e diritti in Italia, Donzelli, Roma 1997. Alle origini della Costituzione, Il Mulino, Bologna, Il Mulino, 1998; Intervista su privacy e liberta', Laterza, Roma-Bari 2005; La vita e le regole, Feltrinelli, Milano 2006] Sono francamente ammirato dall'impassibilita' con la quale tanti commentatori analizzano i flussi elettorali, esaltano la radicale semplificazione del sistema parlamentare, assumono la Lega come riferimento, si chiedono se siamo entrati nella Terza Repubblica o se la Seconda Repubblica comincia solo ora. Ma tanti dati di cronaca, e le sollecitazioni della memoria, mi fanno poi sorgere qualche dubbio e mi spingono a chiedere se la vera novita' di queste elezioni non consista nell'emersione piena di un modello culturale, sulle cui caratteristiche hanno in questi giorni scritto assai bene su questo giornale Nadia Urbinati e Giuseppe D'Avanzo. Non giriamo la testa dall'altra parte. Quel che e' appena accaduto, e si sta consolidando, riguarda davvero "l'autobiografia della nazione". Non riesco a sottovalutare fatti che troppi si sforzano di considerare minori, che vengono confinati nel folklore, assolti da Berlusconi come simpatiche e innocue forzature del linguaggio da parte degli uomini della Lega. E invece dovremmo sapere (quanto e' stato scritto su questo argomento?) che proprio il linguaggio e' la prima e rivelatrice spia di mutamenti profondi che investono la societa' e la politica. L'elenco e' lungo, e non riguarda solo la storia recentissima. Si comincio' da pulpiti altissimi con l'aggressivita' verbale eretta a comunicazione politica quotidiana, considerata troppe volte come una simpatica bizzarria e dilagata poi in ogni possibile contenitore televisivo, sdoganando ogni becerume anche nei luoghi propriamente istituzionali. E il linguaggio non e' solo quello verbale. Si sono fatte le corna nei vertici internazionali e si e' mangiata mortadella in Senato, si continuano a disertare le manifestazioni del 25 aprile e si elegge il Bagaglino a rappresentante della cultura nazionale. Commentando il colpo di mano del Presidente della Commissione europea che ha tolto all'Italia le competenze in materia di liberta', sicurezza e giustizia, si e' detto che e' meglio cosi', che e' preferibile occuparsi di trasporti piuttosto che di "omosessualita'". Per fortuna non si e' parlato di "culattoni", riprendendo il simpatico linguaggio della Lega: ma, di nuovo, il linguaggio e' rivelatore, anche perche' rende palese una cultura incapace di comprendere la dimensione dei diritti civili. Sempre scorrendo le cronache, scopriamo che il futuro Presidente della Camera dei deputati apostrofa, sempre simpaticamente, un immigrato come "paraculo" mentre si investe, non si sa a quale titolo, della funzione di controllo dei documenti. Di un futuro ministro leghista ci viene offerto un florilegio di citazioni su stranieri e immigrati, sulle sanzioni da applicare, che non ha nulla da invidiare ai suoi piu' noti ed estroversi colleghi di partito. Un bel ponte tra passato e futuro, una indicazione eloquente degli spiriti che nutrono la nuova maggioranza, all'interno della quale si fa sentire sempre piu' forte la voce di chi invoca la pena di morte, raccogliendo un consenso che rischia di vanificare il grande successo internazionale del nostro Paese come promotore della moratoria contro la pena di morte approvata dall'Onu. Di fronte a tutto questo dobbiamo davvero ripetere che le parole sono pietre. Suscitano umori, li fanno sedimentare, li trasformano in consenso, ne fanno la componente profonda di un modello culturale inevitabilmente destinato ad influenzare le dinamiche politiche. Parliamo chiaro. Una ventata razzista e forcaiola sta attraversando l'Italia, e rischia di consolidarsi. Ammettiamo pure che grandi siano le responsabilita' della sinistra, nelle sue varie declinazioni, per non aver colto il bisogno di rassicurazione di persone e ceti, spaventati dalla criminalita' "predatoria" e ancor piu' dall'insicurezza economica, vittime facili dei costruttori della "fabbrica della paura". Ma questa ammissione puo' forse diventare una assoluzione, un modo rassegnato di guardare alle cose senza riconoscerle per quello che davvero sono? La reazione puo' essere quella di chi alza le mani, si arrende culturalmente e politicamente e si consegna al modello messo a punto dagli altri, con un esercizio che vuol essere realista e, invece, e' suicida? Doppiamente suicida, anzi. Perche' non si compete efficacemente quando si parte dalla premessa che la ragione di fondo sta dall'altra parte: l'imitazione servile, in politica, non rende. E, soprattutto, perche' si consoliderebbe proprio il modello che, in nome della civilta', dev'essere rifiutato e combattuto. Le possibilita' di ripresa delle forze di centrosinistra passa proprio dalla piena consapevolezza della necessita' di una immediata messa a punto di una strategia diversa. Aggiungo che vi e' un elemento meno appariscente di quel modello che ha lavorato nel profondo, che puo' apparire meno insidioso e che, quindi, puo' non suscitare la reazione necessaria. Mi riferisco ad una idea di comunita' chiusa, che coltiva distanza e ostilita'; che spinge a chiudersi nei ghetti; che fomenta il conflitto tra i gruppi sociali contigui. Anche questa e' una lunga storia, perche' molte ed esemplari sono le "guerre tra poveri". Che non sono scongiurate elevando muri e neppure predicando una tolleranza che in questi anni si e' trasformata in accettazione dell'altro alla sola condizione che faccia cio' che ci serve e che i nostri concittadini rifiutano, alle condizioni che imponiamo: e poi, esaurita questa funzione e calata la sera, quelle persone si allontanino sempre di piu', isolandosi nelle loro comunita', lontani dagli occhi e, soprattutto, liberandoci da ogni inquietudine umana e sociale. Dobbiamo affrancarci dalle suggestioni del comunitarismo, che presero Tony Blair, solleticarono anche qualche politico della nostra sinistra e, ora, rischiano di tornare alla ribalta per chi si fa abbagliare dall'esempio leghista. Di tutto questo non basta parlare. E' questa diversa cultura, che ha tanto giocato anche nell'esito elettorale, a dover essere analizzata. Altrimenti, le considerazioni sui comportamenti elettorali rimarranno monche e le stesse proiezioni nella dimensione istituzionale saranno distorte. Non e' solo un doveroso esercizio di pulizia intellettuale. Se si pensa che vi sono emergenze che devono essere fronteggiate con forte spirito politico, e il degrado culturale lo e' al massimo grado, bisogna essere chiari e necessariamente polemici. Guai a dare una interpretazione del "dialogo" tra maggioranza e opposizione che induca a mettere tra parentesi le questioni piu' scottanti. Bisogna rendersi conto che ammiccamenti e tatticismi qui non servono a nulla, e dire alla maggioranza che in questa materia, davvero, non si puo' negoziare. Solo cosi' puo' nascere una alleanza non strumentale tra politica e cultura, che investa anche schieramenti diversi; e, forse, qualche apertura per uscire da un clima che si e' fatto irrespirabile. Un piccolo, finale esercizio di relativismo culturale. Le cronache ci hanno parlato di un Tony Blair sorpreso senza biglietto sul treno tra l'aeroporto e Londra. Anche i nostri giornali hanno biasimato il fatto, riprendendo le giuste reazioni inglesi. Ma, da noi, doveva essere in primo luogo sottolineato come un potente ex primo ministro di una grande nazione non si servisse di auto di Stato. Questi sono i modelli culturali che ci piacciono. 4. RIFLESSIONE. KATHA POLLITT: LA VIOLENZA DEL PATRIARCATO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo apparso su "The Nation" col titolo "Uomini della stessa stoffa" il 5 maggio 2008. Katha Pollitt, giornalista e saggista, scrive per "The Nation" dal 1980, suoi articoli sono apparsi anche sul "New Yorker", "Harper's Magazine", "Ms." e il "New York Times". I pezzi scritti per la sua rubrica su "The Nation", chiamata "Subject to Debate", sono stati raccolti nel 2001 in un libro dallo stesso titolo, ovvero Soggetto di cui discutere: senso e dissenso su donne, politica e cultura; il suo volume di saggi Imparare a guidare ed altre storie di vita e' stato di recente pubblicato dalla casa editrice Random House. Il suo sito web e' www.kathapollitt.com] Abusi su bambini. Violenze sessuali. Donne cresciute per essere macchine-da-figli controllate da uomini piu' potenti e piu' vecchi, in nome di Dio. Questi ed altri shock sono palesi in cio' che si sta pian piano scoprendo delle 139 donne e dei 437 bimbi prelevati dalle autorita' texane dal ranch "Desiderando Sion" ad Eldorado. Il ranch era una filiazione esterna della "Chiesa fondamentalista di Gesu' Cristo e dei santi degli ultimi giorni", un culto mormone presieduto da Warren Jeffs, incarcerato nello Utah come complice di uno stupro e in attesa di processo in Arizona per incesto. Le immagini ripetute sono quelle di donne in vestiti da prateria color pastello e con l'identica acconciatura alla Pompadour che piangono per i loro figli ora custoditi dallo stato, e quelle di uomini ossuti di mezz'eta' che ripetono di non aver avuto idea che fosse illegale sposare e mettere incinte una serie di quindicenni. Sono immagini che si possono guardare dal punto di vista femminista, dal punto di vista della protezione dei minori e dal punto di vista dei diritti civili. Non e' chiaro pero' se i bambini fossero davvero in pericolo, e questo drastico raid potrebbe spingere i membri del culto ad isolarsi ancora di piu'. La scintilla che ha avviato l'azione, una chiamata telefonica disperata, da una supposta sedicenne violentata dal "marito spirituale" cinquantenne, sembra sempre di piu' essere una bufala. Ho gia' scritto in precedenza dei mali della poligamia dei mormoni, che sono stimati in diecimila nelle comunita' chiuse nello Utah, in Arizona, Nevada, Sud Dakota e Texas, e non capiro' mai perche' la gente che attacca l'Islam come oppressivo nei confronti delle donne non abbia nulla da dire di questa chiesa. Gli argomenti del relativismo culturale, che costoro rigettano quando devono applicarli a paesi stranieri, sono ancora meno applicabili qui: tutti i protagonisti della storia sono americani, e si supponeva vivessero sotto le leggi americane. Pure, per decenni le autorita' statali e locali hanno guardato dall'altra parte quando le bambine venivano tolte da scuola per essere "istruite a casa", e cioe' preparate per sposare i loro zii, e quando gli adolescenti maschi erano cacciati a calci dalla comunita' di modo che non potessero competere con uomini piu' anziani. Invece, nelle aree adiacenti le comunita' dei mormoni, i servizi pubblici sono infiltrati dai loro membri: le scuole pubbliche insegnano le loro dottrine religiose e la polizia si incarica di sorvegliare le ragazze e le donne che tentano di scappare. * Sconcertante quanto si vuole questa storia di dominio maschile della chiesa dei mormoni, un'altra storia accaduta nello stesso periodo mostra con essa alcune affinita', ma ha avuto un'attenzione molto differente: la visita di papa Benedetto XVI negli Usa. Che festa dell'amore! Abbiamo udito incessantemente dell'intelligenza di Benedetto, del suo fascino, delle sue eleganti scarpe rosse. Il papa ha avuto pochissimo da fare per vincere gli applausi dovuti ad un saggio conciliatore: avendo iniziato il suo papato tentando di sopprimere lo scandalo dei preti pedofili, qui si e' incontrato con l'associazione dei sopravvissuti agli abusi dei preti (Snap) ed ha ricordato ai cattolici che omosessuali e pedofili, per quanto siano entrambi cattivi, non sono la stessa cosa. Mantenendo nella liturgia una preghiera "per gli ebrei", di modo che Dio possa "illuminare i loro cuori", ha visitato la sinagoga Park East di New York, dove il rabbino non rivolge appelli simili ai cattolici affinche' abbandonino la loro devozione a Cristo. E che si dice delle donne? Oh, le donne e i loro corpi disordinati! Come la giornalista Dana Goldstein ha fatto notare, solo Barbara Boxer ha protestato quando il senatore repubblicano Sam Brownback (che vuole cambiare la Costituzione per cancellare l'interruzione di gravidanza) ha proposto un benvenuto al papa scritto in codice anti-aborto, in cui si asseriva che la religione, non la Costituzione, e' il fondamento del nostro governo. Barbara ha messo in piedi un movimento che ha tenuto il voto sospeso per tre giorni, sino a che le parole sono state cambiate. Ma che fine hanno fatto le dure questioni relative al bando assoluto della chiesa cattolica alla contraccezione, ai preservativi, al divorzio e all'aborto anche quando quest'ultimo salva la vita alla donna? Se fosse per il papa, noi dovremmo magari avere un po' piu' di stile delle co-mogli dei mormoni, ma proprio come loro dovremmo restare intrappolate in un matrimonio e avere quindici bambini. Negli Usa la chiesa cattolica ha perso qualcosa della sua autorita' morale a causa dei preti pedofili, ma ha piu' potere temporale di quanto si creda. Circa il 12% degli ospedali statunitensi sono affilati alla chiesa, che li autorizza a rifiutare gli interventi piu' moderni a cura della salute femminile. La chiesa cattolica e' la maggiore oppositrice al fatto che le assicurazioni sulla salute coprano il controllo delle nascite, costringendo le donne a pagare di tasca propria 600 dollari ogni anno per i contraccettivi. Assieme ai fondamentalisti evangelici, e' la forza principale dietro ogni tentativo di rendere piu' restrittive le leggi sull'interruzione di gravidanza; costoro attaccano i politici che dichiarano che la scelta spetta alla donna, rendono i contraccettivi e la "pillola del giorno dopo" piu' difficili da ottenere, promuovono un'educazione sessuale falsa basata sull'astinenza e scoraggiano l'uso dei condom nella prevenzione al virus Hiv, diffondendo dubbi infondati sulla loro efficacia. Le agenzie umanitarie cattoliche fanno un mucchio di bene, ma il Vaticano e' il maggior ostacolo all'avanzamento dei diritti delle donne. In Nicaragua e Salvador ha ottenuto di recente un bando sull'aborto che ha gia' reclamato dozzine di vite. In Cile ha sconfitto il piano della presidente Michelle Bachelet per fornire gratuitamente contraccezione d'emergenza. In Italia, in Polonia e ovunque in Europa lavora notte e giorno per rendere l'aborto illegale o piu' difficile da ottenere. Nell'Africa piagata dall'Aids, l'opposizione vaticana ai contraccettivi e' costata milioni di vite. * Capisco, nulla di questo e' cosi' solleticante come le "sorelle mogli" dei mormoni negli abitini pastello e i loro spartani dormitori, pero' ha effetto praticamente sull'intero globo. I mormoni della "Chiesa fondamentalista di Gesu' Cristo e dei santi degli ultimi giorni" hanno molte mogli, e il papa non ne ha nessuna, il che dimostra che c'e' piu' di un modo per mantenere le donne perennemente incinte e al loro posto. 5. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di' chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 6. LIBRI. EDOARDO CAIZZI PRESENTA "AUTOBIOGRAFIA DI UNA RIVOLUZIONARIA" DI ANGELA DAVIS [Dal quotidiano "Liberazione" del 15 luglio 2007, col titolo "Parola ad Angela Davis, icona della resistenza nera". Angela Davis (Birmingham, Alabama, 1944), pensatrice, militante, docente universitaria, saggista, insegna attualmente "Storia della coscienza" all'Universita' della California di Santa Cruz, e vi dirige il Women Institute. Ha studiato filosofia con Marcuse e con Adorno, in varie universita' americane, a Parigi, a Francoforte. Attivista e teorica marxista, femminista, antirazzista, e' stata duramente perseguitata; continua tuttora la sua lotta e la sua attivita' di insegnamento, di studiosa, di militante. Opere di Angela Davis: a) in italiano: Autobiografia di una rivoluzionaria, Garzanti 1975, Minimum fax, 2007; Bianche e nere, Editori Riuniti, 1985; Lady day, lady night, Greco & Greco, 2004; b) in inglese: Angela Davis: An Autobiography, 1974, 1989; Women, Race and Class, 1981; Women, Culture and Politics, 1989; The Prison Industrial Complex, 2000; Are Prisons Obsolete?, 2003] A piu' di trent'anni dalla sua uscita e dalla prima edizione italiana (Garzanti, 1975) ritorna, in una nuova traduzione targata Minimum fax, uno dei grandi classici della letteratura afroamericana: Autobiografia di una rivoluzionaria di Angela Davis. Nonostante sia uno dei testi fondamentali, insieme a I fratelli di Soledad e all'Autobiografia di Malcolm X, per ricostruire le tappe del movimento di emancipazione degli afroamericani negli anni Sessanta e Settanta, ha vissuto per lungo tempo una fase di oblio editoriale, lontano dagli scaffali delle librerie e probabilmente relegato in cantine impolverate, come cimelio di una stagione ormai lontana, tra i ricordi di un'intera generazione. Ricompare oggi, a distanza di molti anni, in un periodo in cui la "black consciousness" attraversa una fase di appannamento e l'integrazione procede stancamente su un binario che potrebbe portare, senza particolari scossoni, ad avere il primo presidente nero della storia americana. Nessuna ricorrenza da celebrare, nessun anniversario da rinverdire, ed e' curioso che questo libro torni in libreria proprio oggi, occasione di avvicinarsi ad una importante pagina della storia del Novecento per le nuove generazioni, ma anche occasione per riappropriarsi della storia e delle parole di Angela Davis, troppo spesso oscurate dalla sua icona. E non c'e' niente di peggio di una icona politica che sopravvive a se stessa. Perche' Angela Davis, suo malgrado, e' stata un'icona, una delle piu' emblematiche della stagione del "black power", una stagione che viene ripercorsa per intero attraverso la storia del suo percorso individuale e politico. Un itinerario che inizia dall'infanzia nel sud razzista degli anni Cinquanta, in un Alabama ancora segnato dalla segregazione, dove i neri devono sedersi in fondo agli autobus e se osano comprare una casa troppo vicino al quartiere dei bianchi vengono accolti con candelotti di dinamite. Nonostante provenga da una famiglia del ceto medio, Angela scopre fin da bambina gli effetti del razzismo, maturando da giovanissima uno spirito di insofferenza verso tutte le ingiustizie. L'opprimente realta' della provincia americana, con il suo razzismo istituzionalizzato e l'arretratezza culturale, si fa pero' insopportabile, Angela intraprende un percorso di studi che la porta prima a New York e poi in Europa dove studia filosofia come allieva di Marcuse e Adorno. Qui viene a contatto con un ambiente culturalmente piu' stimolante, ma dove non mancano le contraddizioni, in una Germania che non ha ancora metabolizzato il passato nazista e in una Francia dove gli algerini sono ghettizzati come i neri in qualsiasi citta' americana. Angela sviluppa in questi anni la sua coscienza politica e nonostante il successo negli studi, e' troppo forte il bisogno di dedicarsi all'impegno per l'emancipazione degli afroamericani, un movimento che per estensione e radicalita', dalle marce pacifiste di Martin Luther King alla rivolta di Watts, ha ormai toccato il suo apice. Decide di tornare in America dove si impegna in prima fila nel comitato di difesa dei Fratelli di Soledad, divenendo una delle piu' intime confidenti di George Jackson, fino alla sua morte. L'impegno senza sosta e la militanza comunista ne fanno una delle figure piu' temute dall'Fbi, tanto che nel 1970 viene ingiustamente accusata di concorso nell'omicidio di un giudice. Dopo un periodo di latitanza viene catturata a New York, da qui un lungo periodo di detenzione e il processo, conclusosi con l'assoluzione, che diedero vita a una vasta mobilitazione planetaria. E' qui che nasce l'icona Angela Davis, la bella rivoluzionaria dalla fiera acconciatura afro, simbolo del "black power", cantata dagli Stones, da Lennon e da De Gregori. Una popolarita' che la porta, a soli ventotto anni a scrivere un primo bilancio della vita nella sua autobiografia. O meglio in Una autobiografia, come recita il titolo originale dell'opera, per ribadire come nella semplicita' di una storia individuale siano rintracciabili i desideri, le passioni e i tratti dominanti di un intero popolo. Primo tra tutti la condizione di "bifrontalita'", una costante della vita di Angela Davis, che ricorda: "provavo una tensione quasi intollerabile, come se ci fossero in me due persone, le due facce di Giano". Divisa tra lo studio e l'impegno politico, indecisa tra il senso di appartenenza identitaria e il desiderio di una vita meno provinciale, costantemente irrequieta, incarna perfettamente quella scissione tra "house negro" e "field negro" che tanto spesso ricorre nei celebri discorsi di Malcolm X, e che e' una delle caratteristiche principali dell'identita' afroamericana. Il mito di Angela Davis non ha subito battute d'arresto, ma prosegue anche, e non e' mai venuto meno negli anni, il suo impegno a favore dei neri e della popolazione carceraria (oggi come allora costituita in larga percentuale da afroamericani) come testimonia il suo ultimo libro, inedito in Italia: Are Prisons Obsolete?. Dopo l'appoggio del partito comunista americano al colpo di stato in Russia nel 1991 si e' allontanata da quella formazione, ma continua a professare idee marxiste e insegna Storia della Coscienza all'Universita' californiana di Santa Cruz. Oltre che come testimonianza storica fondamentale, l'Autobiografia rimane anche a distanza di anni una lettura avvincente grazie al lavoro di una editor di eccezione, la scrittrice premio Nobel Toni Morrison, che ha collaborato alla stesura del libro arricchendo gli aspetti stilistici della narrazione e ammorbidendo le parti che rischiavano di essere troppo didatticamente ideologiche. Pagine che fortunatamente sopravvivono felicemente a qualsiasi moda, stagione o opportunismo, anche a trenta anni di distanza. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 448 del 7 maggio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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