Minime. 447



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 447 del 6 maggio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Storia di Francine
2. Yasmin Alibhai-Brown: Non rassegnarci agli stereotipi
3. Mao Valpiana: Da citta' dell'amore a citta' della violenza. Verona puo'
rinascere con la nonviolenza
4. Arricchito il sito del comitato che si oppone al devastante
mega-aeroporto di Viterbo
5. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
6. Sara Antonelli presenta "Autobiografia di una rivoluzionaria" di Angela
Davis
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: STORIA DI FRANCINE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Con Michele Boato e Mao
Valpiana ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come
donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?"  da cui e' scaturita
l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di
donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". Tra le opere
di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti,
Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza
velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli
2005. Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e'
in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81]

Francine Nijimbere dipende interamente da sua madre per le necessita' di
base quali mangiare o lavarsi. Suo marito le ha tagliato ambo le braccia
all'altezza del gomito nel 2004, perche' non aveva messo al mondo un
maschio. Francine era incinta, all'epoca, e perse il bambino a causa delle
ferite. Il marito, un soldato, aveva ricevuto una condanna all'ergastolo, ma
e' stato recentemente incluso nel provvedimento di grazia concesso dal
presidente del Burundi. Francine teme il suo arrivo, e si e' rivolta alle
associazioni che proteggono i diritti delle donne. Quella che segue e' la
sua testimonianza, rilasciata a fine febbraio scorso a "Irin News Africa".
*
"Nel dicembre 2007 il presidente annuncio' il perdono per tutti i detenuti
che soffrono di malattie incurabili. Ho saputo che mio marito e' stato
graziato, sulla base di dichiarazioni false perche' non e' malato. Come puo'
essere mandato libero un simile criminale?
"Io ero la moglie di suo fratello maggiore, che era anche lui un soldato.
Mori' nel 2000, cinque mesi dopo il nostro matrimonio. Restai in casa sua
mentre aspettavo che finisse il periodo del lutto, dopo di che sarei tornata
dai miei genitori. Mia suocera, pero', insisteva sul fatto che non potevo
andarmene fino a che la dote non era completamente pagata. Convinse i miei
genitori che avrei potuto sposare l'altro suo figlio. Io non volevo, ma i
miei parenti raggiunsero un accordo. Sin dall'inizio non ho accettato la
situazione. Una notte il mio nuovo marito ha forzato la mia porta e mi ha
stuprata. Si', sono rimasta: dove si supponeva che potessi andare?
"La nostra vita insieme consisteva nel fatto che lui era la', semplicemente.
Non mi ha mai dato una mano, non mi ha mai comperato un vestito, niente. A
volte mi faceva dormire fuori, al freddo, altre volte si sentiva abbastanza
buono da lasciarmi entrare. Poiche' non restavo incinta abbastanza in fretta
mi minaccio' di prendere un'altra moglie, e si mise addirittura a costruirle
una casa. Non ce la porto' solo perche' io rimasi incinta poco dopo. Quando
partorii s'informo' unicamente del sesso del nascituro e quando seppe che
era una bambina non si scomodo' a farmi visita all'ospedale, e neppure pago'
il conto quando fui dimessa. Dopo tre mesi, una sera venne a casa dal lavoro
e mi disse: "E tu ti consideri una madre, tu che sai solo fare figlie
femmine?". Continuava a ripetermi che non valevo nulla. Quando la bimba
aveva sette mesi restai incinta di nuovo. Questa volta lui mi disse che se
era un'altra femmina avrei dovuto trovare qualcuno a cui darla. Ma piu'
tardi, tornando a casa in licenza, era tutto gentile, e mi disse che gli
dispiaceva di avermi fatto torto, e che da allora in poi le cose sarebbero
andate diversamente, perche' lui era un altro uomo. E io gli ho creduto. Io
davvero speravo che sarebbe cambiato.
"Poi, una sera, l'ho visto che affilava un machete. Non sapevo che si stava
preparando ad uccidermi. Dopo cena sono andata a dormire e l'ho lasciato con
sua madre e sua sorella. A svegliarmi e' stato il colpo del machete sul
braccio. Ho urlato, ho pianto, ho chiesto pieta', ma lui mi ha tagliato
anche l'altro braccio. Nessuno e' venuto in mio soccorso. I vicini di casa
avevano paura, perche' lui era armato. Avevo ferite dappertutto, ed e'
cominciato l'aborto. Mio marito mi ha lasciata la' a sanguinare ed e'
scappato. Piu' tardi l'hanno trovato e messo in prigione. Sono stata portata
all'ospedale per pieta', ma nessuno si aspettava che sopravvivessi.
All'ospedale sono rimasta in coma sei giorni. Quando mi sono ristabilita un
poco sono andata a vivere con mia madre, che e' anziana, assieme alla mia
bambina. Adesso dipendo interamente da mia madre. Se lei si ammala, io non
posso mangiare, non posso lavarmi, non posso vestirmi. A volte i vicini
hanno compassione di me e mi assistono. Sono piu' impotente di un neonato.
Due settimane fa, mia cognata e' venuta ad informarmi che mio marito ha
lasciato la prigione. So che questa e' una sentenza di morte per me, per cui
sono fuggita a Bujumbura. Ho saputo che mentre era in prigione ha giurato
che se mai fosse uscito avrebbe 'finito il lavoro'. Io non chiedo niente
tranne giustizia, e assistenza".

2. RIFLESSIONE. YASMIN ALIBHAI-BROWN: NON RASSEGNARCI AGLI STEREOTIPI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di
Yasmin Alibhai-Brown (per contatti: y.alibhaibrown at independent.co.uk)
apparso su "The Indipendent" del 28 aprile 2008
Yasmin Alibhai-Brown, prestigiosa giornalista e saggista, nata in Uganda nel
1949, vive a Londra, e' editorialista dell'"Independent". Opere di Yasmin
Alibhai-Brown: (con Colin Brown), Racism, 1992; (con  Anne Montague), The
Colour of Love: Mixed Race Relationships, London, Virago, 1992; No Place
Like Home, London, Virago, 1995; Hate Thy Neighbour, London, Mindfield,
1998; True Colours, London, Institute for Public Policy Research, 1999;
After Multiculturalism, London, Foreign Policy Centre, 2000; Who Do We Think
We Are? Imagining the New Britain, London, Penguin, 2000; Mixed Feelings:
The Complex Lives of Mixed Race Britons, London, Women's Press, 2001; Some
of My Best Friends Are..., London, Politico's, 2004]

Se guardo indietro a cos'ho fatto questa settimana, una parata d'identita'
sfila nel ricordo e ognuna e' parte del tutto, e nessuna e' me per intero.
Londinese appassionata della citta', ho parlato contro Boris Johnson.
Assieme a Billy Bragg durante la festivita' di S. Giorgio, sono stata da lui
gentilmente invitata a sentirmi parte della "britannicita' progressista" ed
e' divertente perche' in quella hall, con lui, lo ero. Poi ho partecipato al
lancio di "Quillam", un pensatoio messo in piedi dal riformatore radicale Ed
Hussain e mi sono sentita parte della nuova "ummah" mondiale composta da
musulmani con la mente aperta. Alla Scuola di studi orientali ed africani ho
discusso di razzismo con i presenti, e dal profondo e' emersa la vecchia
attivista antirazzista.
Ho letto un pezzo di James Baldwin ad un commovente raduno organizzato dalla
coalizione "Stop the War", unita a spiriti fratelli che ancora lottano per
l'Iraq. Suonando all'Oxford Playhouse, sono tornata alle mie radici
afro-asiatiche. Ho assistito ad un concerto di musica classica europea in
una chiesa, essendo semplicemente un'ospite. Nel frattempo ero anche una
madre, una moglie, un'amica e una vicina di casa.
Come tutti gli altri esseri umani, sono una creatura composta da molte parti
soggette a mutamento. Tuttavia ai musulmani britannici non si permette tale
complessita'. Dobbiamo essere solo musulmani (definizione altamente
specifica), codici ambulanti in uniforme, religiosi in modo strambo, e
preferibilmente esigenti e rumorosi. I "leader" autoritari musulmani
impongono questi ordini, ma lo stesso fanno molti di quelli per cui non
esistono musulmani complessi o aperti, con cui negoziare svariate alleanze.
I custodi delle istituzioni trattano solo con gli archetipi, e i piu' facili
sono quelli che strillano rifiutando ogni accordo e negando coloro che
appaiono loro come "apostati per sfida". Gli oppositori accaniti di tutto
quel che e' occidentale sono i "nemici", i sostenitori di tutto quel che e'
occidentale comprese le doppiezze sono i "buoni amici". Non sono benvenuti i
musulmani che mettono in discussione tali categorie: troppa fatica e troppi
problemi, quando cio' che ognuno desidera e' la chiarezza piu' semplice.
Sei con noi o contro di noi? Hai fede o sei un democratico? Pensi che Salman
Rushdie avesse ragione o lo vuoi morto? Vuoi islamizzare l'occidente o vuoi
che l'occidente ti permetta di creare stati islamici all'interno dei suoi
stati? La tv e' quella che fa il lavoro peggiore, ma politici e opinionisti
vari non sono molto distanti. Loro si' che sanno cosa fa un "vero"
musulmano.
*
Huma Qureshi, donna splendida per capigliatura e stile, racconta di essere
stata contattata dalla Bbc per una serie sulle donne musulmane, ma ha dovuto
rifiutare perche': "Ne volevano una che definivano 'autentica', ben
coperta". Nel suo libro di memorie, la giornalista televisiva Yasmin Hai
scrive della sua irritazione quando i suoi direttori le dissero che volevano
sullo schermo "qualcuno del tipo mullah pazzo". Ad una grande esposizione
d'arte, gli organizzatori rifiutarono un'artista, devota musulmana, perche'
dipinge volti e per loro e' un'eretica.
Da milioni di musulmani ci si aspetta che aderiscano ad una sola identita' e
la gonfino con iniezioni artificiali di lealta' assoluta, causando una
distorsione che e' sia grottesca che indigeribile. Ai musulmani che sono
contenti della loro fede, e di questo paese e della sua storia, vien detto
che non possono pretendere di essere tali. Vivono in una democrazia,
imbevuti dei suoi principi, pure viene loro rifiutata l'appartenenza ad
essa.
*
Questo giovedi', il giorno delle elezioni locali, alcuni di noi
presenteranno una nuova organizzazione, pensata per invertire il gioco
distruttivo che vuol tenere i musulmani separati dalla loro nazione. I
"Musulmani inglesi per la democrazia laica" credono che la separazione tra
stato e chiesa dia a tutti mutuo e sicuro spazio. La maggioranza dei membri
non e' atea. Siamo in grado di vedere chiaramente come la religione stia
avvelenando la governance politica, e come la politica stia contaminando la
religione. I musulmani devono essere liberi di scegliere come praticare la
loro religione, ed anche di essere solo dei musulmani "culturali". La
diversita' e' stata la compagna della nostra fede sin dai suoi inizi.
*
La cosa piu' importante di tutte e' che speriamo di parlare ai giovani
musulmani inglesi, che hanno perso fiducia e opportunita'. Il razzismo
antimusulmano, ovvio e sottile, ed i fallimenti delle loro comunita', ne
hanno alienati troppi. L'autoesclusione e l'esclusione sono le due lame
delle stesse forbici. Ai giovani si nega la titolarita' dei diritti
democratici, vengono ridotti a stereoti e strumentalizzati, e per questo
provano una rabbia che e' matura per essere sfruttata da altri. So che non
e' permesso fare questa domanda (almeno per molti) ma cosa ha trasformato
Mohammad Sadiq Khan, istruito e padre affettuoso, in un terrorista? Mi
dispiace, pero' non credo che sia stato semplicemente qualche turpe mullah.
Qualcosa di piu' disturbante sta avanzando. Zulf, che e' studente di
medicina e fa parte dei "Musulmani inglesi per la democrazia laica" lo
spiega cosi': "Nessuno vuol capire. Non siamo degli imbecilli, siamo solo
seccati per quanto il giorno e' lungo perche' non ci viene mai permesso di
essere noi stessi. Fai questo, fai quello, non sei mai libero. Quand'e' che
i nostri diritti verranno rispettati, nelle nostre comunita' e nel nostro
paese?". Giusto, quando?
In effetti, la situazione segnala la mancanza di dialogo costruttivo non
solo fra le elite e i funzionari del governo, ma anche fra i musulmani e i
non musulmani quali intellettuali, studenti, genitori, e tutti gli altri
segmenti che compongono ogni societa'. L'assenza di dialogo propaga
l'ignoranza dell'altro, se assumiamo che un "altro" esista. E l'ignoranza
crea la paura.
La cosa principale da fare e' decostruire gli elementi della paura che si
originano dall'assenza di ponti sicuri fra la persone. Io non credo che le
persone possano essere rinchiuse in compartimenti identitari, perche'
l'identita' ti permette destinazioni differenti. Io potrei essere egiziana
perche' vengo da quella nazione, ma anche affiliata alle civilta' arabe, e
sono orientata da elementi culturali musulmani, americani, europei, latini
ed asiatici: e ognuna di queste culture si intreccia con le altre.
E' possibile estrarre conoscenza da una sola fonte culturale, da una sola
civilta': ma la civilta' stessa e' la confluenza di diverse esperienze
umane, legate dal ricordarci che siamo tutti esseri umani. Chi pensa di
poter ricavare l'intera conoscenza da un'unica fonte, chiude a se stesso le
altre vie e crea un'enclave separata che genera non solo paura, ma odio e
arroganza.

3. RIFLESSIONE. MAO VALPIANA: DA CITTA' DELL'AMORE A CITTA' DELLA VIOLENZA.
VERONA PUO' RINASCERE CON LA NONVIOLENZA
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: azionenonviolenta at sis.it) per
questo intervento.
Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della
nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come
assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel
Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come
metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di
coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa
della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione
Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al
servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla
campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione
della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario
nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione
diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per
"blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio
direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio
della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione
di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato
di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per
la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il
digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana
rapita in Afghanistan e poi liberata. Con Michele Boato e Maria G. Di Rienzo
ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e
uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita
l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di
donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". Un suo
profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su
nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in
cammino"; una sua ampia intervista e' nelle "Minime" n. 255 del 27 ottobre
2007]

Il tragico pestaggio di via Leoni e' l'ennesimo campanello d'allarme. Guai a
non prestare la dovuta attenzione. Sbaglia il Sindaco Tosi a minimizzare e
limitarsi ad invocare la mano pesante della Magistratura. Quei giovani
naziskin (liceali modello figli della borghesia, o semianalfabeti figli di
manovali) con il mito della violenza fine a se stessa, sono il frutto di una
societa' carica di violenza strutturale. Proviamo a pensare cosa sarebbe
accaduto se gli aggressori fossero stati stranieri. Si sarebbe invocata la
pena di morte. Sarebbe stato chiamato l'esercito a presidiare il territorio.
Sarebbero accorsi Calderoli e Borghezio invocando l'autodifesa padana. E le
teste rasate sarebbero immediatamente diventate il baluardo della civilta',
i difensori dei valori cattolici contro gli islamici. Invece si scopre che
la violenza cieca viene dal ventre molle della citta', dai suoi figli
coccolati. Probabilmente sono i figli piu' fragili di una citta' malata;
vittime psicologiche che diventano carnefici fisici.
*
Non sono fatti isolati. Eí un fenomeno che esiste da anni. Troppo spesso
sottovalutato, a volte addirittura tollerato o giustificato. E' a Verona che
prende corpo la "violenza purificatrice" di Ludwig, prime metastasi di un
corpo malato. Poi, negli anni, le violenze dentro e fuori lo stadio, le
scorribande del sabato sera, le aggressioni di gruppo, i pestaggi e le
bombe, i saluti romani, i manichini impiccati, le bandiere naziste. Ogni
volta tutto viene messo a tacere come caso unico, estremisti isolati, frutti
marci. Invece, forse, si tratta della manovalanza che fa il lavoro sporco,
necessario al mantenimento dello status quo con la faccia pulita. Verona
deve imparare a guardarsi, senza nascondere il proprio lato impresentabile.
Vivere solo sullo stereotipo della "citta' dell'amore" non serve piu'.
Occorre ammettere di essere anche una "citta' violenta". Violenta nei
disvalori, nella ricchezza, nell'ipocrisia. La citta' dei due pesi e due
misure.
Solo riconoscendosi per quello che e', nel bene e nel male, Verona potra'
ritrovare se stessa. Bisogna saper essere impietosi anche nella ricerca
della verita' storica recente. Questa e' una citta' che si e' arricchita ed
e' cresciuta durante il fascismo, che ha fatto affari d'oro anche negli anni
bui della Repubblica di Salo'. Pochi anni dopo e' stata pronta a fare nuovi
affari con gli americani liberatori e occupanti. Poi e' stata una citta' che
ha ospitato oscure trame eversive. Analizzare senza paura e senza rancore il
proprio passato aiuta spesso a scrivere un futuro migliore.
*
Tocca alle agenzie educative diventare protagoniste. Alle istituzioni, alla
scuola, alle chiese, alle famiglie, anche e soprattutto ai mezzi di
informazione. Per curare la malattia bisogna creare gli anticorpi. Bisogna
valorizzare le tante realta' positive che esistono, dare spazio alle
iniziative nonviolente, riscoprire e sostenere la Verona dell'accoglienza,
della tolleranza, dell'ospitalita', della solidarieta', della cultura.
Bisogna anche avere l'umilta' di farsi aiutare. I nuovi veronesi, gli
immigrati che contribuiscono all'economia della citta', possono immettere
fiducia, creare confronto, dare una spinta di novita'.
La nonviolenza attiva (che e' stata ignorata, irrisa, sbeffeggiata,
ridicolizzata) e' lo spartiacque, la pietra angolare su cui ricostruire
rapporti civili. La nonviolenza e' l'antidoto. La nonviolenza puo' essere la
chiave per ritrovare l'anima di Verona. Bisogna, pero', prenderla sul serio.
Iniziamo dalla compassione per Abele, la vittima, e dal rispetto del monito
"nessuno tocchi Caino". Per vivere in pace, bisogna saper essere
pacificatori.

4. MATERIALI. ARRICCHITO IL SITO DEL COMITATO CHE SI OPPONE AL DEVASTANTE
MEGA-AEROPORTO DI VITERBO
[Riportiamo il seguente comunicato del 5 maggio 2008 del comitato che si
oppone all'aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto
aereo, dal titolo completo "Arricchito il sito del comitato che si oppone al
devastante mega-aeroporto di Viterbo. Nel sito www.coipiediperterra.org
alcuni classici della riflessione morale, cvile, scientifica: da Piero
calamandrei a Primo Levi, da Giulio A. Maccacaro a Vandana Shiva"]

www.coipiediperterra.org - il sito del comitato che si oppone all'aeroporto
di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della
salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti - si e'
arricchito di una nuova sezione, "Testi", che propone saggi di prestigiosi
autori per l'approfondimento culturale e scientifico dei temi su cui il
comitato interviene: il diritto alla salute e alla sicurezza, il rispetto
dei diritti e della dignita' umana, la difesa della biosfera.
Tra gli autori di cui sono state incluse alcune fondamentali opere: Guenther
Anders, Piero Calamandrei, Aldo Capitini, Susan George, Martin Luther King,
Alexander Langer, Primo Levi, Giulio A. Maccacaro, Vandana Shiva.
Altri testi verranno inseriti nei prossimi giorni. La prospettiva e' di
mettere a disposizione nel giro di poche settimane una sorta di vera e
propria piccola biblioteca di testi classici dell'impegno civile in difesa
dei diritti umani, dell'ambiente, della salute, della democrazia.

5. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per
molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per
la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza.
Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del
commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di'
chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

6. LIBRI. SARA ANTONELLI PRESENTA "AUTOBIOGRAFIA DI UNA RIVOLUZIONARIA" DI
ANGELA DAVIS
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 5 maggio 2007, col titolo "Una vita
eccezionale. Torna Angela Davis".
Sara Antonelli, docente, saggista, traduttrice, insegna lingue e letterature
anglo-americane presso l'Universita' di Roma Tre. La sua attivita' di
ricerca verte principalmente sull'Ottocento e sulla cultura contemporanea,
con un'attenzione particolare sulla letteratura afro-americana e sui
rapporti tra letteratura e arti visive (fotografia e cinema). Tra le opere
di Sara Antonelli: a) monografie: Dai "sixties" a Bush jr.: la cultura Usa
contemporanea, Roma, Carocci, 2001; Rinascita di una nazione. Le scrittrici
americane e la Guerra civile, Roma, Bulzoni, 2004; (con Anna Scacchi e Anna
Scannavini), La Babele americana. Lingue e identita' negli Stati Uniti,
Roma, Donzelli, 2005; Margaret Bourke-White fotografa, Roma, Contrasto -
Fundacion Caixa Galicia, 2005; b) articoli: "Il ritorno di Sarah Jane:
strategie della copertura in Imitation of Life", Letterature d'America, Anno
XXV, n. 106, 2005; "L'America come genere letterario", Acoma 31, inverno
2005; "The New American Woman and Her Camera Work", in Networking Women:
Subjects, Places, Links. Europe-America. Towards a Re-writing of Cultural
History, 1890-1939, edited by Marina Camboni, Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 2004; "I capelli della schiava: Ellen Craft tra potere e
desiderio", in Donne d'America. Studi in onore di Biancamaria Tedeschini
Lalli, a cura di Cristina Giorcelli, Palermo, Ila Palma, 2003; "Con mani,
occhi e corpi di donne: giornalismo e documentazione negli Usa", Dwf 58-59,
aprile-settembre 2003; "The African Company Presents Richard III di Carlyle
Brown", in Shakespeare nel Novecento, a cura di Agostino Lombardo, Roma,
Bulzoni, 2002; "Eliot, Matthiessen e la tradizione letteraria americana", in
Saggi su T. S. Eliot, a cura di Agostino Lombardo, Roma, Bulzoni, 2001; "La
riscoperta dell'America: Carpentier e Pascarella", Il Veltro 1-2, Anno XLIV
(gennaio-aprile), 2000; "An Omnivorous Third Point of View: Richard Wright
on the Gold Coast", Anglistica, new series, vol. 2 (1998), n. 2; c)
miscellanee e monografie (curatrice): Bob Adelman e Raymond Carver, Carver
Country. Il mondo di Raymond Carver, introduzione e cura dell'edizione
italiana di Sara Antonelli, Roma, Contrasto, 2006; Alfred Stieglitz e i
fotografi di Camera Work. Catalogo della mostra, a cura di Sara Antonelli e
Alessandra Mauro, Roma, PdE Edizioni, 2002; Gli americani e la Repubblica
romana del 1849, a cura di Sara Antonelli, Daniele Fiorentino e Giuseppe
Monsagrati, Roma, Gangemi, 2000; d) traduzioni: Louisa May Alcott, Racconti
d'amore e di guerra, introduzione, traduzione e cura di Sara Antonelli,
Roma, Donzelli, 2008; Nathaniel Hawthorne, Il libro delle meraviglie e I
racconti della casa del bosco, introduzione, traduzione e cura di Sara
Antonelli e Igina Tattoni, Roma, Donzelli, 2007; Nathaniel Hawthorne, Tutti
i racconti, traduzione, introduzione e cura di Sara Antonelli e Igina
Tattoni, Roma, Donzelli, 2006; Sam Shepard, Il diario del Rolling Thunder,
traduzione, postfazione e cura di Sara Antonelli, Roma, Cooper, 2005;
Harriet A. Jacobs, Vita di una ragazza schiava. Raccontata da lei medesima
(1861), prefazione, traduzione e cura di Sara Antonelli, Roma, Donzelli,
2004; Ritratti americani. 15 scrittori raccontano gli Stati Uniti (2002),
edizione italiana e introduzione a cura di Sara Antonelli, Roma, Elleu
Multimedia, 2004; Margaret Bourke-White. Il mio ritratto (1969), traduzione,
cura e introduzione di Sara Antonelli e Alessandra Mauro, Roma, Contrasto,
2003.
Angela Davis (Birmingham, Alabama, 1944), pensatrice, militante, docente
universitaria, saggista, insegna attualmente "Storia della coscienza"
all'Universita' della California di Santa Cruz, e vi dirige il Women
Institute. Ha studiato filosofia con Marcuse e con Adorno, in varie
universita' americane, a Parigi, a  Francoforte. Attivista e teorica
marxista, femminista, antirazzista, e' stata duramente perseguitata;
continua tuttora la sua lotta e la sua attivita' di insegnamento, di
studiosa, di militante. Opere di Angela Davis: a) in italiano: Autobiografia
di una rivoluzionaria, Garzanti 1975, Minimum fax, 2007; Bianche e nere,
Editori Riuniti, 1985; Lady day, lady night, Greco & Greco, 2004; b) in
inglese: Angela Davis: An Autobiography, 1974, 1989; Women, Race and Class,
1981; Women, Culture and Politics, 1989; The Prison Industrial Complex,
2000; Are Prisons Obsolete?, 2003]

Tornare a immergersi nella lettura dell'autobiografia di Angela Yvonne Davis
(Autobiografia di una rivoluzionaria, Minimum fax, con una dotta postfazione
di Luca Briasco) significa attraversare a forte velocita' quell'epoca
frastagliata, violenta e contraddittoria quali sono stati gli anni Sessanta
negli Stati Uniti; significa procedere a bordo di una vettura dalla
carrozzeria ingombrante - il genere dell'autobiografia americana - che
ciononostante procede leggera tra gli ingorghi della Storia grazie a uno
stile di guida intrepido, ma non per questo meno abile o esperto; significa
seguire le fasi avvincenti di una vita rappresentativa che caparbiamente
rifiuta gli abiti sgargianti dell'eccezionalita'.
"Non intendevo scrivere questo libro", avvertiva la trentenne Davis nella
prefazione. "Un'autobiografia, alla mia eta' mi sembrava presuntuosa... Mi
pareva che un libro del genere rischiasse, alla fine, di far perdere di
vista il fatto essenziale: le forze che hanno fatto della mia vita cio' che
e' sono le stesse forze che hanno formato e deformato la vita di milioni di
uomini e donne del mio popolo... Ero contraria a scrivere questo libro
perche' concentrando l'attenzione sulla mia vicenda personale rischiavo di
sminuire il movimento stesso che ha portato il mio caso davanti al popolo".
In piena sintonia col proponimento di sfumare la propria presenza sullo
sfondo della Storia, nel 1974 - l'anno della prima edizione americana del
volume - Davis si era preoccupata di istruire i lettori circa la corretta
fruizione del racconto delle sue esperienze fin dal titolo, optando per un
laconico An Autobiography. Il racconto della sua vita, cioe', non andava
considerato la biografia rappresentativa, bensi' un'autobiografia tra le
tante possibili in quegli anni; un'esistenza che non aveva nulla di speciale
per se', perche' nella sostanza non si discostava dalla trama delle altre
ugualmente oppresse dal pregiudizio razzista. Un'autobiografia, dunque, che
meritava di essere divulgata solo ed esclusivamente in virtu' della
resistenza che questo particolare io narrante, oppresso ma anche circondato
dai movimenti politici di liberazione, ha opposto a quel medesimo
pregiudizio. Solo a patto di tenere a mente tutto questo - ovvero che la
violenza esercitata su un singolo puo' generare una resistenza collettiva -
Davis ha potuto accettare di diventare rappresentativa e, dunque, di
raccontarsi in un'autobiografia. Solo a patto che quella biografia
diventasse "politica".
Imprimendole un sapore dichiaratamente antagonista, la prima traduzione
Garzanti del 1975 - a firma di Elena Brambilla - trasformo' il titolo
originale, An Autobiography, nel piu' vivace e combattivo Autobiografia di
una rivoluzionaria. Segno dei tempi, si dira'. Di una temperie culturale in
cui l'aggettivo "rivoluzionaria" aveva la capacita' di catalizzare
l'attenzione di noi lettori, senza necessariamente farci barricare in casa.
Di un'epoca preistorica in cui gli editori italiani accoglievano con
prontezza nei loro cataloghi anche gli scritti radicali - non solo quelli di
maniera - che venivano prodotti nel mondo. Oggi diremmo che, almeno con
questa riedizione di Autobiografia di una rivoluzionaria, Minimum fax stia
provando a fare qualcosa di simile. Soprattutto quando ci rendiamo conto che
questo nuovo volume, pur rivisitando la pionieristica traduzione di
Brambilla per correggerne il fisiologico invecchiamento, davanti al titolo
sceglie di conservare la sterzata antagonista del passato, permettendo ai
lettori di incassare tutti gli interessi maturati da allora. Presentandosi
come Autobiografia di una rivoluzionaria, infatti, questo libro ci invita
non solo a riscoprire Angela Davis, ma anche a includere la sua esperienza
in quel pantheon di giovani esistenze votate a una causa (e invariabilmente
maschili) cui molti di noi volgono lo sguardo in cerca di ispirazione. Due
proposte, queste, che in tempi pacati come i nostri - in cui la sempre piu'
invisibile radicalita' delle vite e delle scelte stride con la cautela delle
idee - non si dovrebbero trascurare, se non altro per amore del diversivo e
per alimentare il flusso ormai esangue di voci fuori dal coro.
"Tempo fa, rileggendo l'autobiografia di Angela Davis, sono rimasta
sbalordita dal suo coraggio. Ho preso nota di tutti gli ostacoli che ha
dovuto superare e della sua capacita' di andare avanti in un modo nuovo",
scriveva nel 1992 la femminista nera bell hooks. Il "modo nuovo" e' quello
che di generazione in generazione ha sempre contraddistinto l'agire politico
delle donne nere americane piu' anticonformiste. Un "modo nuovo" che bell
hooks ravvisa nella solitaria ed eroica battaglia per la definizione di se'
contro la schiavitu' di Harriet Jacobs; o nella crociata contro i linciaggi
che a fine Ottocento ha animato Ida B. Wells; o nell'esuberanza
intellettuale della scrittrice degli anni Venti Zora Neale Hurston, morta
poverissima e a lungo dimenticata da tutte; o nel radicalismo scomodo e
provocatorio di Shirley Chisolm, la prima donna nera eletta, nel 1972, al
Congresso Usa; o nel carattere stravisante delle donne che si incontrano nei
romanzi di Alice Walker e Toni Morrison. E, naturalmente, nella vita
eccezionalmente intensa di Angela Davis.
Perche', nonostante l'opacita' del titolo e l'excusatio in sede di
prefazione, l'autobiografia di Davis non puo' definirsi altro che
eccezionale. In soli ventotto anni l'io narrato passa dalle elementari in
una scuola fatiscente di Birmingham (Alabama) a un liceo di ispirazione
socialista a New York; dall'ottima universita' di Brandeis - dove studia con
Marcuse - prima alla sofisticata Sorbona poi alla prestigiosa universita' di
Francoforte - dove studia con Adorno; dal dottorato all'universita' di Los
Angeles all'insegnamento in quella di San Diego; da posizioni socialiste
all'iscrizione al partito comunista; dalla militanza in movimenti di
liberazione nera progressivamente piu' radicali fino al Black Panther Party;
da un rocambolesco soggiorno a Cuba, dagli arresti e dalle minacce fino alla
clandestinita' (per qualche mese e' nella lista delle dieci persone
considerate piu' pericolose per gli Stati Uniti e, dunque, most wanted
dall'Fbi) e poi al carcere, da cui, in un finale in crescendo, esce assolta
dalle accuse di omicidio, rapimento e cospirazione, ma solo al termine di un
processo durissimo che l'ha portata sulle pagine dei giornali di tutto il
mondo.
Quanti possono dire di aver vissuto cosi' intensamente, quanti hanno avuto
un bagaglio di esperienze paragonabile a questo? Quante donne? Quante donne
nere? Poche, pochissime, risponderebbe bell hooks: soltanto le donne nere
rivoluzionarie; soltanto le donne nere che si muovono contro corrente;
soltanto le donne nere che per il loro agire politico sono condannate a
restare isolate. Rispettate, magari, ma comunque sole.
E forse e' proprio per questo, oltre che per consapevole strategia politica,
che Davis insiste tanto per non voler essere considerata un'eccezione: per
non sentirsi sola. Proprio per questo, forse, a intervalli regolari,
nell'autobiografia, ha bisogno di fermarsi per guardarsi intorno alla
ricerca di volti neri, finendo talvolta per non trovarne nessuno. Guardarsi
attorno le capita non solo mentre Davis viaggia in Europa, ma soprattutto
quando frequenta i primi movimenti politici radicali, o quando arriva come
studentessa e piu' tardi come docente nelle prestigiose istituzioni che
fanno da sfondo alla sua brillante carriera accademica (oggi Davis insegna
filosofia all'Universita' di Santa Cruz, in Califomia). Invariabilmente dopo
qualche tempo scopre sempre di essere l'unica nera, l'unica donna nera
rivoluzionaria.
Significativamente, la sensazione di essere isolata la abbandona soltanto
nelle prigioni che si trova prima a frequentare e poi ad abitare. Qui la
presenza nera e' massiccia, sia dietro alle sbarre sia tra il personale
carcerario. Ed e' riflettendo sulle prigioni e nelle prigioni americane che
l'analisi di Davis dell'incrocio perverso che lega insieme oppressione
sociale e razzismo diventa particolarmente efficace. Parlando delle
secondine nere, per esempio, scrive: "A quanto pare a New York (quello di
sorvegliante) era uno dei lavori meglio pagati che non richiedesse studi
superiori. In un certo senso erano anch'esse prigioniere, e alcune erano
acutamente consapevoli di ricoprire una posizione ambigua. Come i loro
predecessori, i sorveglianti neri di schiavi, facevano la guardia alle
proprie sorelle in cambio di un tozzo di pane. E come i sorveglianti di
schiavi, anch'esse scoprivano che una parte della ricompensa consisteva
nella loro stessa oppressione. Ad esempio gli straordinari erano
obbligatori". Giunta in California nota pure che "le guardiane chiamano le
donne indistintamente 'ragazze', che abbiano sedici anni o settanta. Erano
tutte contente di covarsi le loro prigioniere bambine felicemente occupate
in giochi inoffensivi".
Nei tanti momenti come questi - numerosissimi e dispiegati lungo tutto il
testo, al punto di diventare una cifra stilistica - il racconto sempre
pacato degli eventi personali incontra senza forzature l'autobiografÏa
politica. Sono i momenti in cui la bambina di Birmingham, la liceale di New
York, la studentessa universitaria globe-trotter, la radicale nera, la
prigioniera nera, l'intellettuale nera, la femminista nera si fondono in una
voce lucida e potente che non arretra davanti a nulla. Una voce che non e'
una posa, ne' un abito da indossare nelle occasioni pubbliche, bensi'
l'unica voce di Angela Davis.
Una voce - e ovviamente una coscienza - che non si fa problemi ad analizzare
la tendenza degli attivisti neri di sesso maschile a "confondere la loro
attivita' politica con un'affermazione di virilita'"; una voce che facendo
autocritica racconta di un bracciante cubano, di un companero, che mette in
ridicolo la sua visione romantica del lavoro manuale e disumano dei
tagliatori di canna da zucchero; una voce che, nelle aule circolari del
tribunale di Marin County (California) disegnate da Frank Lloyd Wright,
invece di lasciarsi irretire da un'architettura che consente a giudice,
giuria, accusatore e imputato di disporsi in un cerchio virtuoso, canticchia
con irriverenza "Giro giro tondo, casca il mondo" e riflette sul modo
elegante con cui la contea espelle dal cerchio i bambini cattivi; una voce,
infine, che nel grottesco spettacolo del potere che mostra il pugno di ferro
coglie i tratti di un balletto di agghiacciante precisione e del quale si
affretta a scompaginare la coreografia. "Dovevo fare qualcosa - scrive -
qualunque cosa, per rovinargli la scena. D'impulso mi fermai sui miei passi.
Automaticamente, in risposta al mio piccolo gesto di rifiuto, le mani si
strinsero sul calcio delle pistole... Almeno avevo spezzato quel loro ritmo
di ineluttabilita'. Almeno li avevo colti di sorpresa...".
Una voce che nel 1994, in un articolo breve e fulminante pubblicato su
"Critical Inquiry" (eloquentemente intitolato "Afro Images: Politics,
Fashion and Nostalgia"), ha sottolineato, con fastidio, come le riviste di
moda si siano appropriate dei suoi abiti anni Settanta (minigonna, giacca di
pelle, stivali alti) e soprattutto dell'acconciatura afro della sua
giovinezza per trasformarli in oggetti e stili di vita alla moda,
riproducibili. Senza mai cadere nella deprecabile tentazione di parlare di
se' in terza persona - come da qualche anno sentiamo fare da chiunque abbia
attirato anche solo per sbaglio l'attenzione della stampa o del mondo dello
spettacolo - Davas ha continuato a scrivere la sua autobiografia
rivoluzionaria, stavolta per analizzare le politiche economiche che da
militante comunista l'hanno trasformata in "una delle cinquanta trend-setter
piu' influenti del Novecento": ad appena una generazione di distanza dagli
eventi storici che l'hanno scaraventata sulla scena pubblica - conclude
piccata, ma non senza ironia - e' umiliante scoprire di essere ricordata
solo per l'acconciatura".
Per annullare d'un sol colpo questa e altre semplificazioni, anche un blando
revisionismo in chiave edonista, si consiglia la lettura di Autobiografia di
una rivoluzionaria; fin dalla bella copertina di questa edizione, dove il
volto intenso di Angela Davis, incorniciato da un taglio di capelli al
naturale, ci accoglie in un mondo che promette di osservare di sbieco e a
distanza critica. Vi scopriremmo, oltre a una vita movimentata, un'analisi
dell'oppressione sociale fondata sul razzismo e sostenuta sul sistema
"carcerario-industriale" (come oggi lo definisce Davis) talmente lucida e
penetrante da costringerci oggi, soprattutto dopo gli effetti dell'uragano
Katrina, a riflettere su quanto da allora e' stato fatto e sul moltissimo
che resta ancora da fare.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 447 del 6 maggio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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