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Voci e volti della nonviolenza. 170
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 170
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 22 Apr 2008 11:39:57 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 170 del 22 aprile 2008 In questo numero: 1. Nadine Gordimer: Lessico famigliare (2001) 2. Roberto Carnero intervista Nadine Gordimer (2007) 3. Mariella Delfanti intervista Nadine Gordimer (2007) 4. Alessandra Iadicicco intervista Nadine Gordimer (2008) 5. Emilia Ippolito intervista Nadine Gordimer (2008) 1. NADINE GORDIMER: LESSICO FAMIGLIARE (2001) [Dal "Corriere della sera" del 22 agosto 2001, col titolo "Gordimer: io, una Ginzburg sudafricana" e il sommario "La scrittrice nemica dell'apartheid, premio Nobel per la letteratura, si ispira al Lessico famigliare dell'autrice italiana per raccontare la storia della propria famiglia". Nadine Gordimer e' una delle piu' grandi scrittrici contemporanee, sudafricana, impegnata contro l'apartheid, Premio Nobel per la letteratura. Opere di Nadine Gordimer: oltre i suoi numerosi volumi di racconti e romanzi (tra cui: Un mondo di stranieri, Occasione d'amore, Il mondo tardoborghese, Un ospite d'onore, La figlia di Burger, Luglio, Qualcosa la' fuori, Storia di mio figlio, L'aggancio, Sveglia, Beethoven era per un sedicesimo nero, tutti presso Feltrinelli; Il bacio del soldato, presso La Tartaruga) segnaliamo Vivere nell'interregno, Feltrinelli, Milano 1990; Scrivere ed essere, Feltrinelli, Milano 1996. Opere su Nadine Gordimer: AA. VV., Nadine Gordimer: a bibliography of primary and secondary sources, 1937-1992, Hans Zell, London 1994] Ora che quei lessici familiari mi tornano in mente dalla casa nella citta' mineraria in Sudafrica dove sono nata e cresciuta, comincio a rendermi conto che, coinvolta com'ero da razzismo e antirazzismo, non sentivo l'altra voce, di cui non avevo mai cercato di capire il senso. E' un dato di fatto: non conosci i tuoi genitori, mai, soprattutto se sono emigranti e ti hanno fatto crescere, com'e' successo a me, totalmente immersa nella realta' del Paese dove sei nato e non nel loro Paese d'origine. Mia madre e i nonni materni (gli unici che abbia mai conosciuto) sono arrivati in Sudafrica dall'Inghilterra; mio padre dalla Lettonia. In Europa c'erano rivoluzioni e guerre; nessuno torno' indietro. Posso dire con certezza che abbiamo vissuto interamente nel presente, nella citta' mineraria dove abitavamo. Per me, la vita dei miei genitori e dei miei nonni, inizio' con la mia. Il mio tempo, il mio luogo. Solo ora sono portata a decodificare i lessici famigliari che costituiscono l'Atlantide sommersa del passato dove hanno vissuto senza di me, prima di me. Mio nonno, Mark Myers, era innamorato della sua vecchia moglie, Phoebe, questo lo si vedeva, ma era scettico sulla sua intelligenza come compratrice. Quando lei arrivava al suo appartamento di Johannesburg, di ritorno dal fruttivendolo, doveva svuotare la borsa a rete davanti ai suoi occhi. Lui prendeva il melone e lo annusava, poi passava un dito sopra la peluria della pesca, pronto a scoprire l'ammaccatura. A volte era l'avocado, troppo duro o troppo maturo. Poi la presa in giro, addolcita dall'uso di un vezzeggiativo dei vecchi tempi: "Bob, ti hanno vista arrivare". Nella lingua del Sudafrica non esiste il rimprovero spiritoso. Mark Myers era un tipico londinese che aveva imparato tutti i modi di dire al Covent Garden. Nessuno di noi sapeva quale fosse il suo lavoro prima di arrivare in Africa con l'intento di cercare, senza successo, i diamanti a Kimberley. Ma il lessico e' diventato nostro; se qualcuno nella famiglia rimaneva fregato, la beffa affettuosa era a portata di mano, da Londra: Bob, ti hanno vista arrivare. Se per mio nonno il passato esisteva ancora, in modo privato, nelle copie del "News of the World", un giornale scandalistico londinese che gli arrivava per posta, il passato di mio padre era affondato a cinque braccia di profondita'. * Il classico "shtetl", il villaggio ebraico della regione di Riga da cui proveniva, era scomparso oppure gli avevano cambiato nome in seguito allo spostamento delle frontiere; i suoi abitanti rimasti uccisi in un pogrom o piu' tardi in guerra. Aveva lasciato la scuola quando aveva 11 anni, apprendista orologiaio, e, dopo l'immigrazione in Sudafrica a 13 anni, per un certo periodo esercito' la sua attivita' nelle miniere d'oro. Riusci' a diventare proprietario di una gioielleria, dove ebbe abbastanza successo per assumere qualcun altro che riparasse gli orologi. Questo era quanto sapevamo. Ed era tutto: chiaramente le sue origini erano modeste, se paragonate a quelle di mia madre, il cui padre si guadagnava da vivere con i mezzi sofisticati del gioco della Borsa, un giocatore d'azzardo rispettabile. Mia madre era il prodotto di una buona scuola per ragazze e suonava il piano. Non rassicuro' in alcun modo suo marito sulle sue origini; quando litigavano, lei aveva l'ultima parola apostrofandolo con una battuta familiare: proviene da persone che "hanno dormito sulla stufa". Mio padre non parlo' mai del suo Paese d'origine, ed io, senza dubbio influenzata dal rifiuto che mia madre aveva del suo modesto passato straniero, non gli chiesi mai nulla. Il senso d'inferiorita' di mio padre, per contro, aveva un aspetto di superiorita'. Si era sposato "al di sopra delle sue possibilita'", come mia madre gli sottolineava sempre. Forse lui non conosceva l'espressione, ma di certo era consapevole del suo significato. A differenza di altri suoi compatrioti, non aveva mandato a chiamare dal suo Paese d'origine una moglie del suo rango, una di quelle che "dormivano sulla stufa". La fonte principale della sua inferiorita' superiore era che mia madre era di madrelingua inglese, con autentici genitori inglesi. Era uno dei vantaggi del vivere con lei; ascoltandola ed avendo almeno la fortuna di avere un orecchio da pappagallo, parlo' quella lingua senza quasi alcun accento da ebreo dell'Europa Orientale. La lingua di sua madre doveva essere l'yiddish. Nessuno, nella nostra famiglia lo ha mai parlato: per lui era una lingua morta. Quando alcune persone di lingua tedesca, immigrati, questa volta dal pogrom nazista, divennero clienti del suo negozio, si scopri' che mio padre sapeva un poco di tedesco, imparato nel suo breve periodo scolastico. Durante la seconda guerra mondiale, quando giungevano notizie dal fronte russo, si scopri' che sapeva anche un po' di russo. Aveva imparato abbastanza afrikaans per trattare con i clienti bianchi, gli afrikaaner che vivevano in citta'. In piu' aveva imparato qualcosa di quel modo di comunicare inventato dalle societa' minerarie coloniali per permettere ai capi bianchi di comunicare con gli operai neri provenienti dall'Africa del Sud, centrale e orientale: una lingua composta da verbi e sostantivi, piu' o meno comprensibile a tutti, una miscela di zulu, afrikaans ed inglese, conosciuta come "Fanagalo". Un linguaggio che consisteva soprattutto di imperativi: sii cosi', fai questo, comportati in questo modo. Un linguaggio che deve aver acquisito quando andava di miniera in miniera a riparare gli orologi degli operai. Mio padre aveva un inglese sufficientemente fluente per consentire la nostra comunicazione quotidiana. Aveva affinato la sua pronuncia con la scelta della moglie. Aveva figlie inglesi che leggevano accanto a lui, la sera, Dottor Dolittle e Piccole donne, libri di cui non aveva mai sentito parlare appartenenti a una cultura che sua moglie gli assicurava non appartenergli. Ora lo sento ancora. Quando rientrava dal negozio, alla fine della giornata e gli amici di mia madre erano raccolti intorno ai loro gin e vermut, avrebbe salutato tutti con "Che cosa c'e' di nuovo sul Rialto?". Da dove veniva questa citazione? Non leggeva altro che il quotidiano; sicuramente non aveva mai letto Il mercante di Venezia. Quanto deve avere lottato con il dizionario, quanto deve aver risparmiato per permettersi quelle lezioni d'inglese che gli consentivano di padroneggiare il lessico familiare? Il linguaggio di mio nonno, tipicamente londinese, affermava il suo passato; quello di mio padre rappresentava la sua necessita' di mantenere un posto nel presente. Quando la gente si lamentava di una disgrazia, delle mancanze del consiglio municipale o dei problemi di guadagnarsi la vita, egli aveva un'altra massima, piu' espressiva nel suo afrikaans adottivo che nel suo equivalente inglese: "So gaan dit in die wereld", cosi' va il mondo. Era pronto con "More is nog 'n dag", domani e' un altro giorno, se qualcuno si disperava per qualcosa di grave o perdeva il primo giro a un torneo di golf. Non riconoscevo in questi modi di dire, sentiti piu' e piu' volte, la tattica di un immigrante che cercava accettazione. Lo sconosciuto che mio padre era, stava cercando attenzione, stava reinventando qualcosa: se stesso. * Quanta parte dell'autostima deriva dall'avere qualcuno che si puo' considerare inferiore nella scala sociale? Per caso e storia, mio padre e' arrivato in un paese dove l'autostima, attraverso il razzismo, e' stata appagata da coloro che avevano forza politica e controllo sociale. Quella comunita' bianca del Sudafrica - alla quale egli poteva "appartenere" almeno per il pallore della pelle - disprezzava la gente di colore, alla quale aveva colonizzato il Paese e su cui governava con la forza. Quindi, anche un immigrante proveniente da un popolo "che dorme sulle stufe", poteva considerare qualche essere umano inferiore a lui. Mio padre si e' conformato ai giudizi sociali razzisti dei cittadini bianchi, i nostri amici di famiglia, i suoi colleghi negozianti, che usavano il lessico di questa famiglia allargata di bianchi. Quando un bianco, ubriaco o sobrio, si comportava in modo grezzo, il modo piu' duro per condannarlo era quello di chiamarlo "un negro bianco". Tra gli ebrei vi era un'altra espressione di disgusto: di un ebreo che si comportava in modo offensivo e volgare si diceva "Quello e' un vero peruviano". Perche' questo comportamento volgare dovrebbe essere associato al Peru', dove nessuno della nostra comunita' era mai stato? Oltretutto tra la nostra popolazione bianca di origine inglese, scozzese, irlandese, gallese, olandese, ebrea, tedesca e greca, nessuno proveniva da questo Paese. Per chi usava questa espressione, il Peru' rappresentava la fine della Terra, oltre la civilizzazione, l'ultimo luogo creato da Dio; remoto, come l'Africa potrebbe sembrare ai peruviani. * In questi giorni, passeggio nei viali eleganti dello shopping nei sobborghi di Johannesburg, attraverso mercati dove ci sono maschere e gioielli, intagli e sculture, sonagli di conchiglie e di semi. I venditori sono arrivati da tutta l'Africa; tra loro parlano le lingue madri dei loro vecchi Paesi - Mali, Nigeria, Congo, Zimbabwe, Zambia, Kenya, Senegal, Etiopia -, dovunque e in ogni luogo c'e' una guerra, disastri naturali quali inondazioni, siccita' e poverta', al cui confronto noi siamo un Paese ricco, nonostante la nostra parte di poveri e senza lavoro. Le frasi usate e riportate in modo persuasivo, comprese soltanto nel loro significato generale, rappresentano il loro lessico familiare. Sono gli ultimi arrivi dell'infinita "No nation" degli immigranti, che formano e riformano il mondo, una globalizzazione che da tempo precede qualsiasi concetto attuale. C'e' questo di nuovo, sul Rialto: niente di nuovo. Solamente la sopravvivenza. 2. ROBERTO CARNERO INTERVISTA NADINE GORDIMER (2007) [Da "Letture", n. 635, marzo 2007, col titolo "Gordimer: Africa, e' ora di scrivere!", e il sommario "Nella figura del Nobel sudafricano la dimensione della scrittura e quella dell'impegno civile sono intrecciate in una eccezionale carriera, a cui sono stati tributati numerosi riconoscimenti: ultimo il Grinzane Cavour per la letteratura"] Annuncia l'uscita, il prossimo autunno, di una raccolta di tredici racconti sui temi dell'amore, della politica, del razzismo, della storia del suo Sudafrica. Sono questi, del resto, i motivi tradizionalmente presenti un po' in tutta l'opera di Nadine Gordimer. Opera che nel 1991 le merito' il Nobel per la letteratura. Allora nel suo Paese c'era l'apartheid e lei ricorda ancora oggi l'amarezza di un ritorno in patria, dopo la cerimonia a Stoccolma, nell'assenza di qualsiasi cenno di congratulazioni da parte del governo. Ma anche se era la prima volta che quel prestigioso riconoscimento andava al Sudafrica, quella freddezza non la stupi' piu' di tanto, poiche' sapeva che i suoi libri cosi' scomodi e la sua militanza per l'abolizione del regime di segregazione la rendevano sgradita alle forze piu' reazionarie. Oggi Nadine Gordimer e' un'elegante signora di 83 anni (e' nata nei pressi di Johannesburg il 20 novembre 1923) che, anche se per fortuna molte cose nella sua nazione sono cambiate, non ha perso la voglia di combattere per denunciare le ingiustizie presenti nel mondo. E' forse per questo che il Grinzane Cavour le ha attribuito a gennaio il Premio per la letteratura - Fondazione Crt 2007, una sorta di omaggio alla carriera dato ogni anno a una personalita' di rilievo mondiale: una carriera che conta quattordici romanzi (di cui l'ultimo, Sveglia!, e' stato pubblicato in Italia da Feltrinelli lo scorso anno), oltre a numerosi altri libri di racconti e interventi. * - Roberto Carnero: Signora Gordimer, grazie a Dio in Sudafrica oggi l'apartheid non c'e' piu'. Quali sono le sue nuove battaglie? - Nadine Gordimer: Non mancano le tematiche di cui uno scrittore, un intellettuale deve interessarsi. Oggi il pericolo piu' grande e' il fondamentalismo religioso, ma anche questioni come la tragedia dell'Aids o il problema dello sviluppo sostenibile suscitano il mio interesse. * - Roberto Carnero: Qual e' secondo lei il destino delle societa' multiculturali? - Nadine Gordimer: Penso che, affinche' si realizzi una convivenza pacifica e virtuosa tra le diverse componenti, vi debba essere uno scambio tra i vari gruppi etnici e religiosi. I problemi piu' grossi sorgono quando le persone non parlano tra di loro, ma si isolano in piccole comunita'. Questo genera sospetto e incomprensioni reciproche. * - Roberto Carnero: Qual e' la situazione attuale del suo Paese? Il sogno di Nelson Mandela di un Sudafrica autenticamente democratico si e' realizzato? - Nadine Gordimer: Abbiamo alcuni problemi, che sono i problemi di tutte le democrazie: la poverta', le sperequazioni sociali, la criminalita', la corruzione... Ma per fortuna c'e' una stampa libera, e cio' consente che di questi argomenti si parli apertamente e che essi vengano discussi alla luce del sole, cosa che in molti Paesi africani purtroppo non accade. C'e' un detto, in inglese, che recita "I poveri sono sempre con noi". Io dico invece: "I ricchi sono sempre con noi". Perch'e e' il capitalismo selvaggio a impoverire le masse. Questo mi sembra il maggiore fallimento della globalizzazione. Cosi', dopo la disillusione del comunismo (che era diventato dittatura), oggi viviamo la disillusione della globalizzazione. E anche una grande democrazia come gli Stati Uniti, per il tipo della loro presenza sullo scacchiere internazionale, oggi assomiglia a una dittatura. * - Roberto Carnero: In Sudafrica c'e' piena democrazia? - Nadine Gordimer: Stiamo cercando di costruirla, e mi pare che siamo a un buon punto, se si pensa che sono passati solo sedici anni dalla fine dell'apartheid. E non dobbiamo dimenticare che alle spalle non abbiamo solo l'apartheid, ma anche secoli di colonialismo. In fondo anche molti Stati europei, con le loro antiche tradizioni democratiche, si trovano oggi ad affrontare gli stessi nostri problemi. * - Roberto Carnero: Dunque e' ottimista sul futuro? - Nadine Gordimer: Sono, insieme, ottimista e realista. Mi sembra che il Sudafrica stia facendo tutto il possibile per risolvere i suoi problemi. Ma so anche che sono problemi enormi. * - Roberto Carnero: Veniamo alla letteratura. Per quello che ci e' dato conoscere, in Europa a volte abbiamo l'impressione di una grande vitalita' dell'attuale produzione africana, a fronte di una certa stagnazione in quella europea. E' cosi'? - Nadine Gordimer: Rispetto alla letteratura europea, quella africana e' molto piu' giovane, ma c'e', in Africa, una tradizione orale molto antica, che oggi sta transitando alla pagina scritta attraverso modalita' molto interessanti. Cio' e' un bene, perche' la narrazione orale ha un suo fascino primigenio, ma per forza di cose la sua diffusione e' limitata a piccole comunita' e la sua fruizione legata all'atto performativo di chi parla. Percio' dico che l'Africa oggi deve scrivere. * - Roberto Carnero: E in Sudafrica questo succede? - Nadine Gordimer: Abbiamo una notevole generazione di nuovi scrittori, nati e a volte anche cresciuti durante l'apartheid, che magari hanno fatto pure l'esperienza del carcere e comunque hanno vissuto sulla propria pelle, o su quella dei propri amici e familiari, quella situazione. E' per questo che spesso tali scrittori tendono ad andare indietro nel passato, alla loro storia, a quella dei loro genitori o dei loro nonni. Il presente invece e' poco rappresentato nella narrativa odierna. In parte lo fa il teatro, ma il romanzo ancora troppo poco. * - Roberto Carnero: Secondo lei la letteratura africana e' sufficientemente tradotta in Occidente? - Nadine Gordimer: Credo proprio di no, ma questo e' un problema legato all'industria editoriale. Tuttavia non si puo' neanche fare un torto agli editori attribuendo loro tutta la colpa. Perche' giustamente un editore prima di far tradurre e stampare un libro si deve chiedere chi lo leggera', quante copie potra' vendere. Dunque il punto critico non e' l'editoria, ma l'assenza di lettori. Mi ha stupito, ad esempio, apprendere che oggi in Italia i lettori sono percentualmente meno di quelli che erano una generazione fa. Una volta c'erano anche piu' riviste di recensioni e di informazioni librarie. Questo e' un servizio molto importante ai lettori e se periodici di questo tipo vengono a mancare la situazione della lettura in un dato Paese non puo' che peggiorare. * - Roberto Carnero: Pensa che Internet possa fare qualcosa per la letteratura? Oppure, come sostengono alcuni, questa nuova risorsa rappresenta una minaccia? - Nadine Gordimer: Non credo, come qualcuno ritiene, che Internet mettera' a repentaglio l'esistenza dell'oggetto-libro. Non penso, cioe', che un giorno leggeremo i romanzi su uno schermo a cristalli liquidi. Ma non penso neanche che Internet possa fare granche' per la letteratura. Caso mai puo' fare qualcosa, anzi puo' fare molto, per l'informazione, favorendo l'accesso ad essa da parte di un sempre piu' ampio numero di persone, soprattutto nei Paesi meno avanzati. * - Roberto Carnero: Lei apri' il discorso per l'assegnazione del Nobel con una citazione: il prologo del Vangelo di Giovanni. Perche'? - Nadine Gordimer: "In principio era il verbo" significa, per me, che nella parola, e quindi nella letteratura, risiede la sapienza piu' antica degli uomini. Le sue origini sono gia' nei primi graffiti tracciati sulle pareti delle caverne dagli uomini primitivi. Da li' l'uomo ha iniziato a umanizzarsi. 3. MARIELLA DELFANTI INTERVISTA NADINE GORDIMER (2007) [Dal "Corriere del Ticino" del 20 gennaio 2007, col titolo "Nadine Gordimer, la forza del verbo", e il sommario "La scrittrice sudafricana ospite d'onore del Grinzane Cavour"] In una gremitissima sala dell'Accademia delle Scienze di Torino, Nadine Gordimer, premio Nobel della letteratura, ha inaugurato giovedi', con una Lectio magistralis dal titolo "Il leone nella letteratura", le giornate che il Premio Grinzane Cavour dedica quest'anno alla letteratura africana. Il Grinzane, che gia' nel 1986 le aveva attribuito il sommo riconoscimento per la Sezione narrativa straniera, celebra cosi' per la seconda volta l'autrice sudafricana, e le consegnera' oggi pomeriggio a Palazzo Reale il Premio Grinzane Lettura. Cinquant'anni di militanza letteraria e di passione civile continuano ad illuminare lo sguardo e a sostanziare la coerenza di questa ottantatreenne esile e austera, parca nell'esibire emozioni, essenziale come i suoi scritti, animata da una fiducia aliena dalla retorica nel potere della parola scritta. "In principio era il verbo" recitava il suo discorso di accettazione del Nobel nel 1991 e il "verbo", la parola, e' il potere divino della creazione: lo ha ribadito nella Lectio magistralis sottolineando l'universale capacita' della parola scritta di resistere a tutto cio' che vorrebbe marginalizzarla o ridurla all'oblio. In questa funzione di denuncia e di all'erta la scrittrice ha creduto per tutta la sua carriera letteraria. Nel frattempo il suo orizzonte si e' allargato dai problemi dell'emarginazione a quelli delle nuove emergenze del pianeta - dall'Aids all'inquinamento, allo strapotere delle multinazionali - come si e' visto nel suo ultimo libro, Sveglia!, pubblicato come tutti gli altri in italiano da Feltrinelli. Di Nadine Gordimer uscira' a breve termine una nuova raccolta di racconti. Ecco cosa ci ha detto. * - Mariella Delfanti: Signora Gordimer, lei ha vissuto in prima persona le conseguenze dell'apartheid: tre dei suoi libri sono stati messi al bando e il regime sudafricano ha sempre mal tollerato la sua opera. Come mai nel mondo si ha tanta paura degli scrittori: significa che essi hanno una reale incidenza sul corso degli eventi? - Nadine Gordimer: Penso che sia abbastanza lusinghiero dire che uno scrittore sia temuto, perche' significherebbe riconoscere la sua influenza. Invece, se guardo indietro alla mia esperienza e a quella di altri, mi sembra che i casi in cui la letteratura ha avuto un effetto sui governi siano davvero rari. Solo Jean-Paul Sartre e Albert Camus in Francia ci sono riusciti. E' vero che tre dei miei romanzi sono stati messi al bando, cosi' come una raccolta di testi di poeti africani che avevo messo insieme, ma questo non significa che la mia opera abbia avuto qualche effetto immediato. Pero' quando si scrive in una lingua conosciuta in tutto il mondo, come nel mio caso, la possibilita' di far sentire la propria voce fuori dai confini ha certamente un impatto sull'opinione pubblica internazionale. La stampa e la televisione mostravano gli eventi, le uccisioni, i disordini, ma era questione di un attimo, mentre noi scrittori raccontavamo che incidenza avevano questi episodi sulla vita delle persone, delle loro famiglie; che cosa dava loro la forza, l'audacia di sfidare la polizia, anche a livello dei bambini che a scuola si rifiutavano di studiare in afrikaans, ossia nella lingua dell'oppressore. Leggendo le nostre storie la gente capiva quali forme l'apartheid assumeva e questo ha portato il mondo a mettersi piu' in opposizione al regime. * - Mariella Delfanti: Lei ha vinto un premio Nobel in un momento decisivo per la storia del Sudafrica; quest'anno il premio allo scrittore turco Orhan Pamuk ha sottolineato una situazione altrettanto critica vissuta dal suo Paese. Quanto crede che vincere un Nobel possa aiutare una buona causa? - Nadine Gordimer: Spesso ha l'effetto contrario a quello che ci si aspetta. Nel mio caso addirittura controproducente. Il primo ministro, di fronte al primo Nobel mai attribuito a uno scrittore di quella parte dell'Africa, semplicemente lo ignoro'. Per me questo ha significato il riconoscimento ufficiale della mia opposizione ferrea nei confronti del regime. * - Mariella Delfanti: Dopo l'apartheid il Sudafrica non sembra ancora avviato sulla strada della "normalizzazione"; la corruzione non risparmia nessuno, la violenza che vi si esercita e' oggi indipendente dal colore della pelle e il governo non sembra capace di farvi fronte. Lo scrittore sudafricano Andre' Brink ha addirittura parlato di tradimento del sogno di Nelson Mandela. Cosa ne pensa? - Nadine Gordimer: E' vero, abbiamo grossi problemi, ma molti di questi sono comuni a tutto il mondo. La corruzione nei circoli politici e' purtroppo diffusa a livello planetario. Sembra che sia nella natura stessa del potere - e non solo del potere assoluto - la capacita' di corrompere; quindi anche noi abbiamo la nostra parte. Pero' quando questo succede, viene rapidamente alla luce, perche' abbiamo, per fortuna, una stampa libera, cosa importantissima, di cui non tutte le nazioni possono godere, soprattutto quelle in via di sviluppo. Quanto alla violenza, questa e' un'altra emergenza planetaria ed e' la conseguenza dell'enorme divario tra ricchi e poveri. Secondo un detto in inglese, i poveri sono sempre con noi. Io dico che i ricchi sono sempre con noi. Il predominio di grandi poteri finanziari internazionali ha un tale effetto che la gente comune non puo' reagire. Ed e' questo uno dei fallimenti della globalizzazione, che in un certo senso sembrava affermarsi come una nuova fede. La mia generazione e' stata delusa dal comunismo che purtroppo e' confluito nelle dittature, delusa dal potere delle grandi democrazie, perche' abbiamo visto dove si e' spinta la democrazia americana. Pero' sono passati solo sedici anni da quando si e' instaurata la democrazia nel nostro Paese e abbiamo vissuto centinaia di anni di dominazione coloniale e di conseguente razzismo, perche' e' nella natura del colonialismo essere razzista: aspettarsi una democrazia compiuta significa non tener conto di tutto cio'. Come potremmo aver risolto il problema della poverta' e gli altri problemi che ci affliggono, con alle nostre spalle una storia come questa, quando la stessa Europa sta ancora lottando, dopo secoli, per stabilire delle vere democrazie e risolvere il problema del divario tra ricchi e poveri? * - Mariella Delfanti: Dunque il suo sguardo sulla realta' del Sudafrica e' ottimista? - Nadine Gordimer: Io mi definisco un'ottimista realista. Sono convinta che stiamo facendo tutto quello che e' in nostro potere per ridurre le disuguaglianze dopo centinaia di anni di oppressione, ma ho una visione realistica della gravita' ed estensione di questi problemi. * - Mariella Delfanti: Come mai il suo Paese adotta modelli cosi' invasivi di sviluppo come quelli della costruzione di un reattore nucleare che lei denuncia nel suo ultimo libro? - Nadine Gordimer: La scelta del governo circa il reattore di Pebble Bed e' inquietante, ed e' altrettanto inquietante che queste notizie non occupino mai le prime pagine. Ci sono organizzazioni ambientaliste che hanno espresso le loro preoccupazioni, ma il governo ha scelto di sostenere i finanziatori del progetto e avviato una controricerca per dimostrare che il luogo dove e' posizionato il reattore e' sicuro. Per giunta si tratta di un luogo ad alta densita' di popolazione e si tratta di popolazioni povere, ovviamente. Questo e' in contraddizione con il fatto che abbiamo firmato il trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Ma il rischio piu' probabile non e' la conversione della centrale in attivita' belliche, ma la possibilita' che ci siano delle fughe di materiale radioattivo. * - Mariella Delfanti: Che cosa pensa dell'apporto alle letteratura degli scrittori africani che sembrano molto vivaci e in movimento, rispetto a un panorama come quello occidentale contemporaneo piuttosto cristallizzato e fiacco? - Nadine Gordimer: La letteratura africana e' cosi' giovane che certamente ha una carica diversa, sconosciuta in Europa. Puo' contare ad esempio su una tradizione orale molto ricca, ma questa tradizione, appunto perche' orale, e' limitata alla fruizione del momento. Cosi', malgrado sia tramandata di generazione in generazione, e dunque sia qualcosa di antico, non puo' avere una distribuzione, ne' puo' essere ripercorsa, quindi ha una diffusione limitata nello spazio e nel tempo. Se ci basiamo sulla letteratura scritta, pero', ci sono oggi in Africa dei grandi scrittori; basti pensare a Chinua Achebe, Wole Soyinka, per citarne solo alcuni. In Sudafrica abbiamo ancora una certa lentezza nell'indagare sul presente. E' come se i giovani fossero ancora freudianamente attratti dal rimosso, avesse avuto un'eccellente generazione di scrittori durante l'apartheid, talvolta nelle celle delle prigioni. Nel nuovo Sudafrica invece noto ancora come avessero bisogno di liberarsi di un passato vissuto personalmente sulla loro pelle e quella delle loro famiglie, e opponessero una certa resistenza. Non nel teatro, che invece sta affrontando con determinazione il qui ed ora. 4. ALESSANDRA IADICICCO INTERVISTA NADINE GORDIMER (2008) [Da "Il giornale" del 6 aprile 2008, col titolo "Nadine Gordimer: io, bianca e nera", e il sommario "Intervista alla scrittrice sudafricana premio Nobel nel 1991. Che parla dell'apartheid e di Tolstoj, dei suoi personaggi e di come potrebbe essere l'aldila'..."] Dedica la sua vita alla letteratura da oltre settant'anni, Nadine Gordimer. Dal 1937 del Sudafrica d'anteguerra in cui - quattordicenne - faceva i primi esperimenti di scrittura. Agli anni Sessanta delle piu' aspre lotte antiapartheid in cui, scrittrice affermata, scendeva in campo con l'African National Congress di Nelson Mandela. Agli anni Novanta in cui teneva a battesimo la neonata democrazia incoronata gia' da un Premio Nobel. E oltre ancora... Dedica a lei quindici giorni di festival la citta' di Pordenone. Due settimane per leggerla, approfondirla, incontrarla, conoscerla. E' il minimo per prendere le misure di una simile gigantessa. Minuta e delicata nella persona quanto alata e grandiosa negli slanci. Sottile (e tagliente) nell'invenzione. Acuta (puntuta) nell'ironia. Eccola, Nadine Gordimer e' proprio cosi', come ci aspettavamo: severa, appassionata, implacabile, irresistibile. Ma non serve aspettarla, adesso e' qui, fino al 19 di aprile. Per dare lumi tra l'altro, o lampi, sullo spettacolo del nuovo Sudafrica. Dove ultimamente e' venuto fuori che Beethoven era per un sedicesimo nero. Cosi' annuncia lo speaker alla radio con una battuta ripresa nel titolo del primo racconto e poi di tutta la raccolta ora uscita da Feltrinelli nella traduzione di Grazia Gatti (pp. 180, euro 16). * - Alessandra Iadicicco: Beethoven era nero, davvero? - Nadine Gordimer: Qualcuno lo dice. Nel seguito del racconto non ho appurato la diceria. Ma e' utile a illustrare l'attuale cambiamento nel senso dell'identita' in Sudafrica. In un Paese da sempre attraversato da differenze razziali, sociali e politiche la gente comincia a rovesciare i criteri di valutazione. Ai tempi della discriminazione istituzionalizzata era una colpa, una macchia avere parentele di colore. Ora cambia tutto. Pur di mostrarsi liberi da pregiudizi, si va sbandierando la piu' lontana discendenza da parenti neri. E' buffo. Ma sia chiaro: non prendo in giro nessuno. Mi sarebbe piaciuto che il fenomeno si fosse manifestato tempo fa. Mi piacerebbe vantare io stessa un sedicesimo di sangue nero. Ma non ho la fortuna di Beethoven. Non si sa mai pero'. Dovrei farmi un test del Dna... * - Alessandra Iadicicco: Nelle sue vene pero' scorre sangue ebraico, tali erano suo padre e sua madre. Nella sua vena d'artista c'e' tutta l'eredita' della narrativa europea: Joyce, Camus, Tolstoj. O Kafka: evocato fin in questi racconti. La sua esistenza e militanza si radicano in Sudafrica. Come si intrecciano tante radici nella sua identita'? - Nadine Gordimer: Io sono africana, non sono europea. Sono bianca e sono nata in Africa. (Punto fermo e lunga pausa di silenzio. Non c'e' altro da aggiungere. A meno che...) Aggiungo, per capire. Se sei bianco e sei nato in Sudafrica non ti basta essere nativo per definire la tua identita'. Ci vuole di piu'. Ci vuole la tua partecipazione attiva al movimento e allo slancio che hanno trasformato il Paese. Essere un bianco sudafricano significa impegnarsi per il Sudafrica. Potrai dirti figlio di questo Paese solo se lo avrai meritato. * - Alessandra Iadicicco: "Frederick Morris (ovviamente non e' il suo nome: presto capirete che sto parlando di me)", dice presentando un suo personaggio. E' sincera? Parla di se' attraverso i suoi personaggi? - Nadine Gordimer: Mai. Mento, fingo. Sempre. Ne ho fatto un punto fermo della mia narrativa. Letteratura non e' autobiografia. Non e' di me che scrivo. Anche se scrivo in prima persona. Ho dato voce a personaggi che non mi somigliano per niente. Diversi da me per sesso, eta', razza, specie (nel racconto "Una lunga solitudine" e' addirittura una tenia a prendere la parola - ndr). L'unico caso in cui ho voluto mettere un puntino, tradurre in finzione una minuscola parte di me e' il racconto Sognando i morti. Vi evoco in sogno gli amici che mi hanno lasciata, Edward Said e Susan Sontag, e immagino di incontrarli in un ristorante cinese di New York. Quella sognatrice potrei essere io. * - Alessandra Iadicicco: E a un certo punto quella sognatrice si rivolge a un "tu". Con un pensiero di delicatezza indicibile, come svelasse un segreto ineffabile: "Io aspettavo te". Indelicato chiederle chi e'? - Nadine Gordimer: Vogliamo parlare di cose delicate? Va bene. E' mio marito, Reinhold Cassirer. E' lui che avrei voluto incontrare, che avrei sognato di aspettare se fossi stata quella sognatrice. Ma e' solo un sogno. Ne' io ne' lui abbiamo mai creduto in Dio. Non credo che avro' l'occasione di incontrarlo al di la' della veglia o della vita. * - Alessandra Iadicicco: L'aldila'. Ne da' due visioni spregiudicate, in queste storie. Le appare in sogno come un convivio degli amici. E poi in volo, dal finestrino di un aereo, come "il niente, il vuoto che dalla terra chiamiamo cielo". Sara' cosi' il Paradiso? Un niente, il tavolo di un ristorante? - Nadine Gordimer: Non sappiamo. Non possiamo credere. I poeti ci aiutano a immaginare. Yeats in particolare, mio amatissimo insieme a Rilke, accenna a un misterioso faccia a faccia con cui ci troveremo uno di fronte all'altro al di la' del tempo e della vita. "What do we know/ but that we face/ one another in this place...". E' una bella scena. Da tirarci fuori un racconto. * - Alessandra Iadicicco: In vita pero', nei romanzi, ha evocato personaggi storici e viventi. Anthony Sampson, direttore britannico della leggendaria rivista "Drum", appare sotto falso nome in Un mondo di stranieri, del '58. E Abraham Fischer, l'avvocato comunista arrestato e condannato all'ergastolo dal regime di Pretoria nel '62 con Mandela, e' il padre di La figlia di Burger del '79... - Nadine Gordimer: Ma chi vuole che li riconosca? Forse il lettore li ignora. O non si ricorda di loro. E comunque non sono loro: non gli stessi. E' impossibile, credo, e sbagliato appropriarsi della vita di un altro per raccontare una storia. Tanti lo fanno, non io. Per quanto bene tu conosca una persona, per quanto a lungo tu abbia vissuto al suo fianco, ti sfuggira' sempre il lato di lui che lo distingue dal tuo personaggio. La finzione non e' una realta'. * - Alessandra Iadicicco: Ma la finzione puo' raccontare la realta'. Una storia insegna piu' che un libro di storia... - Nadine Gordimer: Se e' cosi' che la mettiamo, si'. Un racconto, un romanzo va piu' in la', piu' in fondo di un manuale o un reportage. Se vuoi conoscere i fatti della campagna napoleonica di Russia puoi studiare tutti i libri di storia che credi. Ma per imparare qualcosa sulla verita' della guerra e dei destini umani che ne sono coinvolti, devi leggere Guerra e pace di Tolstoj. * - Alessandra Iadicicco: Pero' lei per anni ha letto anche Gramsci. Nel luglio 1981 (il romanzo Luglio scritto nell'81) cita una sua frase: "Il vecchio muore e il nuovo non puo' nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi piu' svariati". Potrebbe ripeterla adesso, riguardo al lungo, quindicinale interregno del Sudafrica post-apartheid? - Nadine Gordimer: E' un'idea interessante. La situazione non e' piu' tanto drammatica. Ma si', quelle parole valgono ancora per il mio Paese. E forse anche per il vostro... * - Alessandra Iadicicco: Il nostro non e' un Paese multirazziale, se mai multiculturale. Qual e' la differenza? - Nadine Gordimer: Un Paese multirazziale ha in piu' tutte le differenze di cultura, religione, classi, tradizioni che la globalizzazione tende a inglobare. * - Alessandra Iadicicco: E se le differenze sessuali incrociano la discriminazione razziale, che succede? - Nadine Gordimer: Quel che e' successo a una ragazza nera in minigonna violentata alla fermata dell'autobus da un gruppo di taxisti di colore. All'arroganza maschile, al pregiudizio di classe, allo sconcerto nel vedere una donna in atteggiamento rispettabile e in vesti (a parer loro) indecorose, si assomma la percezione della femmina nella cultura tradizionale. S'e' visto il risultato. Ultimamente pero' un corteo di donne bianche e nere unite per la stessa causa ha manifestato in minigonna cortissima. * - Alessandra Iadicicco: Un atto di coraggio. Lei e' sempre stata una donna coraggiosa. Nemmeno l'aggressione nella sua villa di Johannesburg l'anno scorso le ha messo paura. Eppure "la vita e' pericolosa", scrive, "la lotta continua a esistere". E il pendolo vita/paura/vita/paura ritma e conclude uno dei suoi romanzi piu' belli, Il mondo tardoborghese. La sua arma di difesa e' la scrittura? - Nadine Gordimer: Scrivo, ma non per paura. E poi, io non ho trascorso 27 anni nella prigione di Robben Island... La scrittura e' per me altrimenti un'arma. Serve a pungolare e tener viva quella curiosita' sul mistero della vita e della morte che e' in realta' un desiderio piu' profondo, che si dovra' sondare scavando molto a fondo... 5. EMILIA IPPOLITO INTERVISTA NADINE GORDIMER (2008) [Da "L'espresso", n.4, 2008, col titolo "Il mio Sudafrica. Colloquio con Nadine Gordimer"] "Gli esseri umani sono sempre una sorpresa. Anche se ami una persona, anche se ci vivi insieme per decenni, non la conosci mai abbastanza. Certo, c'e' identificazione ed empatia, ma una totale unita' di intenti e di sentimenti, quella no. Il fatto e' che a tanti di noi piace fare due vite parallele, senza sapere neanche perche'. Forse e' la forza sorprendente e travolgente della passione..." A 85 anni, un Nobel vinto nel 1991, 15 lauree honoris causa tra cui quelle di Yale, Oxford e Cambridge, e con 70 anni di lavoro di scrittrice alle spalle, Nadine Gordimer, e' un'acclamata regina della letteratura mondiale, nonche' una delle teste piu' lucide e spregiudicate del globo terrestre. Sudafricana, militante dell'African national congress, il partito di Nelson Mandela (era tra le prime persone che lui ha voluto vedere, appena liberato dalla prigione di Robben Island; mentre il suo impegno politico diretto risale al massacro di Sharpeville nel 1960), presidente del Pen Club International, la Gordimer dice a "L'espresso": "Ho avuto fortuna nella vita, ho conosciuto persone meravigliose come Mandela, ho potuto inventarmi dei personaggi immaginari, ho vissuto tempi di lotta all'apartheid e ho potuto raccontare tutto questo. Durante l'adolescenza mia madre mi incoraggiava a scrivere, forse per questo sono diventata una scrittrice". Infatti, la bibliografia di Gordimer conta svariate decine di titoli, non solo romanzi e racconti, ma anche testi politici e filosofici. Nata a Springs, un sobborgo di Johannesburg, Nadine a soli 15 anni pubblicava i suoi racconti. Nel 1949 esordisce con un vero libro, Faccia a faccia. Tra i lavori piu' recenti: L'aggancio, Sveglia!, Il salto, pubblicati in Italia da Feltrinelli. Ora, sempre da Feltrinelli sta per uscire: Beethoven era per un sedicesimo nero. E' un insieme di racconti, lodatissimi dalla critica anglosassone, in cui si parla di identita', amore, rapporti di coppia, e ovviamente del Sudafrica e della violenza. L'anno scorso, la Gordimer infatti fu aggredita a mano armata nella sua villa a Johannesburg. Ma non vuole dare ascolto a chi, tra gli amici, le consiglia di andarsene via. "Sarebbe ridicolo farlo dopo aver sopportato le difficolta' di 46 anni di segregazione razziale. E poi, cosa andrei a fare in Europa? Io sono africana e voglio cambiare la realta' del mio Paese", dice. * - Emilia Ippolito: Signora Gordimer, partiamo dal libro. Il racconto da cui prende il titolo, "Beethoven era per un sedicesimo nero", narra la storia di un accademico sudafricano bianco che all'improvviso scopre di avere antenati di colore. Ma la cosa non lo spaventa, anzi e' motivo di vanto e gioia. - Nadine Gordimer: Fino a poco tempo fa tutti noi, non soltanto nel mio Paese, ma ovunque, eravamo convinti che i bianchi, gli europei, dovessero governare il mondo. Ora quest'idea e' obsoleta. Ovunque stiamo scoprendo che siamo tutti un po' di colore. Non solo. Abbiamo scoperto di avere tante identita', spesso contraddittorie. Pensi a Daniel Barenboim, israeliano e allo stesso tempo, da pochi giorni, cittadino palestinese. Riconoscere e accettare tutte queste nostre identita' e' auspicabile ed e' utile. Non si perde niente, ci si guadagna: altri sogni, altri amici. Le sorprese fanno bene agli umani. * - Emilia Ippolito: Amore, passione, tradimento, le tensioni tra desiderio di una famiglia e allo stesso tempo di eterna indipendenza, la perdita dell'innocenza e l'illusione dei sogni di gioventu'. Coppie che vivono questi conflitti popolano i suoi libri. Da dove prende spunto per queste tormentate vite di coppia? - Nadine Gordimer: L'essere umano e' sostanza complessa e non convenzionale, che genera storie intricate. Abbiamo mariti che all'improvviso si innamorano di una giovane donna dopo trent'anni di matrimonio perfetto, o donne in carriera che hanno un amante per anni, vivendo nell'ambiguita' di una vita matrimoniale armoniosa da un lato e di una passione torrida dall'altro. * - Emilia Ippolito: E come si vive questa ambiguita'? - Nadine Gordimer: Piu' o meno tranquillamente. Si vivono infatti due vite parallele. Ma sarebbe riduttivo e banale dire che tutto questo lo si fa semplicemente per soddisfare un latente desiderio di trasgressione. * - Emilia Ippolito: Vale a dire? - Nadine Gordimer: Bisogna accettare le persone, partner inclusi, per quello che sono. * - Emilia Ippolito: "Sognando i morti" e "Allesverloren", altri due racconti del libro in uscita, trattano il tema dell'aldila', della negazione della morte e della perdita a essa legata. Nel testo ricorda due dei suoi migliori amici che sono mancati da pochi anni: Susan Sontag ed Edward Said. La memoria puo' alleviare il dolore di una perdita definitiva? - Nadine Gordimer: La memoria ha un doppio valore. Puo' essere magnifico ricreare lieti eventi del passato legati a persone che abbiamo perso. E' bello sognare gli amici o i genitori che non ci sono piu'. Ma puo' essere terribile ricordare eventi spiacevoli, specie se legati a errori o a brutalita'. Molti sudafricani neri ricordano ogni giorno l'esperienza del carcere, o i propri morti assassinati. E questi ricordi influenzano il presente e quindi anche il futuro. Dall'altro lato esiste il ricordo personale, per esempio di una appassionata storia d'amore. Ma un bel ricordo di torride passioni ognuno se lo tiene gelosamente per se', nell'ambito strettamente individuale. * - Emilia Ippolito: Lei lo fa? Non usa le sue passioni come materiale narrativo? - Nadine Gordimer: Io faccio la scrittrice. La letteratura non e' autobiografia. * - Emilia Ippolito: Da tutto quello che ha detto si puo' desumere che la vita, per essere degna di essere vissuta, deve essere sorprendente. Lo suggerisce anche in "Finali alternativi", dove auspica addirittura la necessita' di una varieta' di finali in romanzi e racconti. - Nadine Gordimer: Gli scrittori non amano parlare di come scrivono. Si scrive e basta. Certo, ci vuole empatia e fantasia. Mi spiego. Se decidessi di scrivere su di lei, una giornalista che, un giorno, interrompe le sue attivita' quotidiane per chiedere di parlare con una scrittrice straniera all'altro capo del mondo, immaginerei lei, la sua casa, la sua giornata, le sue attivita', i suoi pensieri ed emozioni. In altre parole: in questo istante sto inventando la sua vita. Questa sua nuova vita inventata, quindi alternativa, non corrisponderebbe pero' alla sua vita reale, dal momento che non la conosco. Ecco le vite e i finali alternativi. Sono scelte arbitrarie che un autore compie di continuo, fa parte del mestiere. * - Emilia Ippolito: Nei suoi racconti parla pero' spesso della difficile situazione economica, e non solo, nel suo Paese, e della politica delle pari opportunita' che al momento colpisce i bianchi a vantaggio dei neri. Qualche volta la fiction ricalca la realta'? - Nadine Gordimer: Le difficolta' le provano soprattutto i cittadini di colore. * - Emilia Ippolito: Ma se il Sudafrica e' pieno di manager neri... - Nadine Gordimer: Nelle grandi citta' i neri stanno facendo carriere eccellenti, uguali ai bianchi. Ma nelle zone rurali vivono nelle baracche, senza luce, acqua o gas. Per quanto riguarda le pari opportunita', non dimentichiamo che il razzismo in Sudafrica e' stato istituzionalizzato per 46 anni, quindi non credo che noi sudafricani bianchi abbiamo motivo e diritto di lamentarci. Dobbiamo fare i conti con una eredita' terribile e vecchia alcuni secoli. E' a partire dal '700 che i bianchi, da queste parti, hanno oppresso chiunque fosse di colore diverso. Adesso tanti si sorprendono e mi chiedono: come mai ci sono tuttora tanti problemi in Sudafrica? Trovo questa ingenuita' storica sconcertante. Scusate, ma siamo una democrazia da appena tredici anni, meno di una generazione. Persino antichissime democrazie europee, come quella francese, si confrontano quotidianamente con problemi di criminalita' e sicurezza legati a conflitti razziali e sociali. Dateci tempo. * - Emilia Ippolito: Lei, oltre a scrivere libri, e' militante dell'Anc. Nel suo precedente romanzo Sveglia! (2006), parla di Aids, inquinamento, analfabetismo. - Nadine Gordimer: Sono problemi da risolvere. E ci sono le idee per affrontarli. Manca pero' il personale. I migliori professionisti vanno all'estero, dove sono meglio retribuiti. E sono preoccupata per la recente elezione di Jacob Zuma alla presidenza dell'Anc (carica da cui vorrebbe candidarsi a presidente della Repubblica - ndr). Zuma e' sospettato di corruzione in traffico d'armi. Si parla di somme ingenti. Ma non c'e' ancora una data per il processo. E non sappiamo se ci sara', e se verra' condannato. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 170 del 22 aprile 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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