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Minime. 433
- Subject: Minime. 433
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 22 Apr 2008 00:38:39 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 433 del 22 aprile 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Il coltello nel ventre 2. Luciana Giani intervista Aime' Cesaire (1998) 3. Liliana Rampello: Daphne du Maurier 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: IL COLTELLO NEL VENTRE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Con Michele Boato e Mao Valpiana ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81] Gli stupratori non nascono tali. Vengono "costruiti", addestrati, come si addestrano i soldati ad uccidere. E la cultura che fa di un uomo uno stupratore e' la stessa che "fa" noi tutti/e. Non e' una questione femminile, e' una questione condivisa, e come tale va affrontata. Molti uomini pensano, e sono sinceri, che la violenza sessuale, quella domestica ed il sessismo siano problemi altrui: segnatamente oggi, dopo gli ultimi fatti di cronaca, e' problema/responsabilita' dei barbari invasori stranieri. Sono dipinti un po' come gli Orchi di Tolkien, forse non malvagi in origine ma ormai irrecuperabili, spaventapasseri mediatici, fasci di impulsi incontrollati, marionette guidate da fili di odio, massa di pupazzi insensibili, privi di autocontrollo, che seguono semplicemente la pulsione violenta ovunque essa li conduca, anche quando finira' per schiantarli nel processo. Ma Tolkien ha molto chiaro che c'e' un manovratore di questi burattini, un potere piu' grande e piu' distruttivo di loro stessi, che li istiga con la seduzione delle parole (gli imbattitibili Uruk-hai!) e la promessa di impunita'. * Il linguaggio sessista, i modelli sessisti, la gerarchia di valore per genere, ed il loro logico compimento, la violenza sessuale, promettono agli uomini potere e impunita'. Si', ci sono le leggi, possiamo persino inasprirle, ma la condanna morale va ancora principalmente alla donna. Cosa ci faceva la', perche' era vestita in quel modo, ci ha ballato insieme, ci e' andata a cena, avrebbe dovuto capire... Cosa dovremmo capire, spiegatemelo. Che dobbiamo smettere di provar gioia nella vita, di aver voglia di conoscere persone nuove, di lavorare, di studiare, di andare per strada, di vestirci come ci pare, di avere desideri, di innamorarci, di esistere? Alla maggior parte degli uomini non salterebbe mai in testa di esaminare il proprio comportamento e di misurare il continuum tra il fare "apprezzamenti" pesanti ad una ragazzina ed il violentarla, o il rapporto fra il valutare, in una delle nostre ong "eque e solidali", i seni della volontaria (episodio realmente accaduto) quale requisito per l'assunzione ed il piantarle un coltello nel ventre prima di stuprarla. Eppure la connessione e' diretta, e chiara come la luce del giorno. * Se la questione venisse almeno nominata (ma non si puo', sono le femministe a farlo e le femministe sono molto noiose) ci sarebbe il permesso simbolico di affrontarla e di vedere la verita'. Quanto siano seccanti queste personagge lo aveva capito bene il giovane uomo che uccise quattordici studentesse e ne feri' altre tredici all'Ecole Polytechnique, la facolta' di ingegneria dell'Universita' di Montreal in Canada. Stava ben attento a non colpire gli uomini. Aveva spesso ripetuto questo mantra, prima di tradurlo in azione: "Le femministe hanno rovinato la mia vita". Ha avuto la sua gloria, l'eroe, e' passato alla storia come l'autore del "Massacro di Montreal", uno splendido riscatto per un'esistenza distrutta da qualche lurida cagna che gli aveva detto no, ripetuto no, e ribadito che no significa no. Ma questo dev'essere uno dei "mostri" colti da raptus sulla via di Damasco, non ha a che fare con noi, ci mancherebbe. E se ad essere aggressivo e volgare e' il tuo compagno di vita, di scuola, o di lotta, be', quello stava solo scherzando. Non si spingerebbe mai a violentarti. Sta semplicemente, con il suo comportamento, e con la tacita accettazione del mito di una mascolinita' superiore perche' violenta, continuando a nutrire chi lo fara'. Sta' tranquilla, e passagli il fazzoletto quando si lamenta della propria sensibilita' urtata da femmine moleste. Cosa credi, che non ci sia passata nessuna prima di te? A me il buon compagno comincio' a parlare di quanto era infelice con sua moglie, e non fermo' l'auto dove gli avevo chiesto di portarmi. Stavamo andando, invece, verso una comoda e solitaria boscaglia. E' vero, gli ho tolto le chiavi dal cruscotto e le ho buttate dal finestrino, molto violento da parte mia, piu' della sua mano untuosa sul mio ginocchio e dei probabili sviluppi di quel viaggio in auto. Ma visto che doveva correre in giro a recuperare le chiavi sono potuta scendere intatta, se si eccettuano la paura, la rabbia, e il gran cumulo di insulti vomitatimi dietro dal sensibile e sofferente individuo. * E' possibile che a piu' di vent'anni di distanza io debba ancora parlare di questo? E' possibile che i metodi, le tecniche, le giustificazioni, e cioe' il cumulo di spazzatura ideologica che copre la violenza sessuale sia sempre lo stesso? Fino a che l'equazione "mascolinita' = violenza" resta la forma egemonica di socializzazione maschile proporre un modello alternativo, di partnership, e' una delle azioni piu' potenti che possiamo intraprendere a lungo termine. Abbiamo bisogno di "mascolinita' sostenibile" e di una "decrescita felice del machismo". Il femminismo ha parlato alle donne mostrando ed aprendo loro altre possibilita'; ha detto senza timori e con argomentazioni solide: questa cultura e' nociva, ferisce donne ed uomini, uccide, rade al suolo, inquina, devasta. Deve cambiare. Tu puoi cambiarla. E' ora che anche gli uomini si impegnino in questo processo, che elaborino modelli diversi, per un cumulo di buone ragioni oltre quella imprescindibile del fermare la violenza di genere. Una su tutte: il nesso tra il modello dominatore maschile e le tecnologie nucleari, biologiche, chimiche, la Terra non riesce piu' a reggerlo; a livello simbolico (ed e' un livello terribilmente potente) e' il produttore principale del surriscaldamento globale, dei conflitti armati, dell'economia di rapina eccetera. * I violentatori sono uomini che si identificano in maniera sproporzionata con i valori "mascolini tradizionali" (quelli che passano con tranquillita' nei media, nei programmi scolastici, negli sport soprattutto di contatto, e filtrano felici in tutte le sub-culture presenti in Italia) e sono particolarmente attenti a cio' che gli altri uomini pensano di loro. In ragione di cio', oscillano fra un'arroganza insopportabile ed un'autostima bassissima, e quando i dubbi e i sentimenti di esclusione arrivano al culmine hanno il nemico da punire a portata di mano. Forse non possono prendere a cazzotti quel tizio che li ha maltrattati all'ufficio di collocamento o li ha derisi in cantiere, ma possono "mettere sotto" una donna. La moglie o la prima che incontri per strada va bene lo stesso, tanto "sono tutte puttane". Moltissimi altri uomini e ragazzi, invece, sono a disagio rispetto a quanto e' stato insegnato loro sull'essere "maschi", con il suo corollario di omofobia, eterosessismo e stupri, vorrebbero uscirne, ma spesso il prezzo da pagare (scherno, umiliazione, solitudine) e' troppo alto. E anche se si rivolgono a socialita' "alternative" per appagare il bisogno di appartenenza, in esse ritrovano fin troppo spesso i medesimi schemi dell'interazione femmina/maschio. Johan Galtung non e' una fastidiosa femminista, vero? Bene, assieme alle sue analisi di altro tipo, gli uomini potrebbero cominciare a valutare la sua affermazione che la misoginia (l'odio per le donne ed il "possesso" delle donne) e' uno dei piu' grandi problemi mondiali che abbiamo. * Abbiamo bisogno di quella campagna nazionale contro la violenza di genere che io chiedo da un bel pezzo. E abbiamo bisogno di coinvolgere in essa quanti piu' soggetti e' possibile. Possiamo cominciare da dove localmente abbiamo piu' risorse. Qualche gruppo o rete potra' portare avanti programmi educativi, per esempio. Se gli uomini e i ragazzi apprendono i meccanismi della socializzazione di genere possono muoversi oltre l'usuale modulo difensivo che adottano quando viene loro proposta la questione della violenza sessuale. Si tratta di offrirgli l'opportunita' di liberarsi dai concetti strangolatori del paradigma patriarcale, e di abbracciare piu' largamente la propria umanita'. Certo, comportera' impegno e fatica. Come ha detto un mio amico: "Ognuno di noi deve faticare durante il viaggio che collega la sua testa al suo cuore. E' il viaggio piu' lungo e difficile di tutti, ma di certo e' quello che ti offrira' la ricompensa maggiore". Diversi tipi di associazioni possono intervenire con iniziative pubbliche di qualsiasi tipo per far conoscere la realta' della violenza di genere nel nostro paese; possiamo costruire delle coalizioni di "pronto intervento" che facciano un gran rumore ogni volta in cui i media biasimano la vittima di stupro, denigrano donne e ragazze, sessualizzano pre-adolescenti, usano linguaggi sessisti, incoraggiano o celebrano la violenza, e cosi' via. * Mi dispiace dirlo, ma credo che noi femministe dovremmo diventare ancor piu' moleste, importune e seccanti di quanto siamo gia', molto, molto di piu'. Per le ragazze e le donne che soffrono in questi giorni e di cui abbiamo saputo. Per quelle di cui non sapremo mai. Per gli uomini e i ragazzi che amiamo e per quelli di cui non vorremmo piu' aver paura. 2. MAESTRI. LUCIANA GIANI INTERVISTA AIME' CESAIRE (1998) [Dal sito www.disp.let.uniroma1.it/kuma riprendiamo la seguente intervista realizzata a Fort-de-France il 27 maggio 1998. Luciana Giani, giornalista, foto e videoreporter free-lance, ha realizzato reportage di indagine sociale e politica particolarmente sull'Africa Australe, l'America Latina e i Caraibi. Aime' Cesaire, poeta e combattente contro il razzismo e il colonialismo, nato a Basse-Pointe, in Martinica, il 26 giugno 1913, deceduto a Fort-de-France, sempre in Martinica, il 17 aprile 2008, studio' in Francia dove con Senghor e Damas fondo' la rivista "L'etudiant noir" e il movimento culturale della negritude. Insegnante in Martinica, avra' tra i suoi allievi Frantz Fanon. Poeta, drammaturgo, uomo politico, parlamentare e pubblico amministratore, e' una delle grandi figure della cultura del Novecento. Dalla Wikipedia, edizione italiana, riprendiamo per stralci la seguente scheda: "Aime' Cesaire (Basse-Pointe, 26 giugno 1913 - Fort-de-France, 17 aprile 2008) e' stato un poeta, scrittore e politico francese nato in Martinica. Dopo aver compiuto studi secondari in Martinica, poi a Parigi (presso il LÃceo Louis-le-Grand), e studi universitari a Parigi (Ecole normale superieure), fa conoscenza con il senegalese Leopold Sedar Senghor e il guaianese Leon Gontran Damas. Insieme scoprono, grazie alla lettura di opere sull'Africa di autori europei, i tesori artistici e la storia dell'Africa nera, e creano la negritude (negritudine), cioe' la nozione che comprende i valori spirituali, artistici, filosofici dei neri dell'Africa; nozione che diventera' l'ideologia delle lotte dei neri per l'indipendenza. Lui stesso voleva liberare la sua isola - la Martinica - dal giogo del colonialismo francese; l'isola divento', nel 1946, un Dipartimento d'oltremare della Francia. Deputato della Martinica all'Assemblea generale francese, sindaco di Fort-de-France (capitale della Martinica), membro (fino al 1956) del Partito comunista francese. Come poeta, e' uno dei rappresentanti piu' celebri del surrealismo francese, come scrittore e' autore di drammi illustranti la sorte e le lotte degli schiavi dei territori colonizzati dalla Francia (come Haiti)... Il suo poema piu' conosciuto e popolare e' il Cahier d'un retour au pays natal (Diario del ritorno al Paese natale, 1939)... e' deceduto il 17 aprile 2008 all'ospedale di Fort-de-France, dove era ricoverato dal 9 aprile". Da www.girodivite.it riprendiamo la seguente scheda: "Aime' Cesaire e' nato a Basse-Pointe, in Martinica, nel 1913. Educato in Francia, ma profondamente radicato nella cultura caraibica, fondo' insieme a Senghor e a L. Damas, il movimento della negritudine che rivelo' una poetica africana e segno' una demarcazione rispetto alla cultura bianca e europea. Cesaire si dedico' anche particolarmente al recupero dell'identita' antillana, non piu' africana e certamente non bianca, attraverso una ricca produzione di poesia drammatica e poi specificamente teatrale. Nel 1939 comparve il Diario di un ritorno al paese natale (Cahier d'un retour au pays natal) tragedia in versi di ispirazione surrealista, la sua opera forse piu' nota. Seguirono varie raccolte poetiche: Le armi miracolose (Les armes miraculeuses, 1946), E i cani tacevano (Et les chiens se taisaient, 1956), Catene (Ferraments, 1959), Cadastre (1961). Nel 1955 pubblico' il Discorso sul colonialismo (Discours sur le colonialisme, 1955) che fu accolto come un manifesto di rivolta. A partire dagli anni '60, per evitare che la sua attivita' raggiungesse solo gli intellettuali africani e non le grandi masse, lascio' la poesia per dedicarsi alla formazione di un teatro politico popolare. Tra le sue opere teatrali piu' rilevanti: La tragedia del re Christophe (La tragedie du roi Christophe, 1963), Una stagione in Congo (Une saison au Congo, 1967) ispirata al dramma di Lumumba, e Una tempesta (Une tempete, 1969)". Opere di Aime' Cesaire: in italiano un'utile antologia e' Poesie e negritudine, Accademia, Milano 1969 (a cura e con un ampio saggio critico di Lylian Kesteloot); cfr. inoltre: Le armi miracolose, Guanda, Parma 1962; La tragedia del re Christophe, Einaudi, Torino 1968; Io, Laminaria, Bulzoni, Roma 1995; Una stagione nel Congo, Argo, Lecce 2003; Diario del ritorno al paese natale, Jaca Book, Milano 2004; Negro sono e negro restero'. Conversazioni con Francoise Verges, Citta' Aperta, Troina (Enna) 2006. Opere su Aime' Cesaire: per un avvio: Graziano Benelli, Aime' Cesaire, La nuova Italia, Firenze 1075: Graziano Benelli, La negritudine in Italia. A. Cesaire, L. G. Damas, L. S. Senghor (1950-1994), Bulzoni, Roma 1995] Martinica. Aprile 1830: una nave negriera avvista il largo di Diamant carica di schiavi africani, "uomini strappati ai loro dei, alla loro terra, alle loro abitudini, alla loro vita, alla vita, alla danza, alla saggezza", scrivera' nel 1955 Aime' Cesaire nel violento j'accuse del "Discours sur le colonialisme". Di fronte alla spiaggia dell'Anse Caffard avviene il naufragio: dei 345 schiavi incatenati a bordo soltanto 86 si salveranno, in maggioranza donne e bambini. I 26 uomini sopravvissuti verranno spediti in Guyane. Di fronte alla roccia di Diamant,dove sono sepolti alcuni di questi schiavi, sorge oggi un monumento alle vittime della tratta degli africani; quindici statue alte tre metri orientate verso il golfo di Guinea,il golfo degli schiavi. Aime' Cesaire discende da schiavi africani. Vanta tra i suoi antenati un Cesaire condannato a morte, nel 1833, per aver fomentato una rivolta di schiavi nelle piantagioni, la miccia che portera', infine, all'abolizione della schiavitu' in Martinica il 22 maggio 1848. Padre della negritudine, "della battaglia cioe' per il riscatto del mondo negro, di cui il Martinicano e' uno dei massimi leaders mondiali" (Graziano Benelli, nell'introduzione a Io, Laminaria), Cesaire ha messo a nudo il grande crimine dell'intolleranza, del disprezzo, del razzismo, dell'alienazione che il colonialismo ha commesso contro gli africani. Pero' non vi e' traccia di odio, di risentimento in Cesaire. Con le armi della poesia (Cahier d'un retour au pays natal; Les armes miraculeuses; Soleil cou coupe'; Corps perdu; Et les chiens se taisaient; Ferrements; Cadastre; Moi, Laminaire), con le opere teatrali (La Tragedie du Roi Christophe; Une Saison au Congo; Une Tempete), con la saggistica (Discours sur le colonialisme; Lettre a' Maurice Thorez; Toussaint Louverture), dalle sue parole e dai suoi scritti scaturisce invece un profondo sentimento di umanita', di rispetto per l'uomo e la sua cultura, da qualsiasi parte del mondo essa venga. Oggi, a ottantacinque anni, vediamo Aime' Cesaire sempre coerente nella lotta per il riconoscimento della dignita' umana; coerente a cio' che gia' nel 1939 la coscienza gli faceva dire: "Comme il y a des hommes-hyenes et des hommes-pantheres, je serais un homme-juif un homme-cafre un homme-indou-de-Calcutta un homme-de-Harlem-qui-ne-vote-pas". * - Luciana Giani: Monsieur Cesaire, lei ha scritto: "Io parlo di milioni di uomini a cui e' stata inculcata abilmente la paura, il complesso d'inferiorita', il tremore, la genuflessione, la disperazione, la servitu'". Lo schiavismo e' alla base della cultura etnica antillese. Vorrei porle la questione dell'identita' antillese e dell'eredita' coloniale oggi. - Aime' Cesaire: E' dificile dire qual e' l'identita' antillese ma e' chiaro che questa identita' non puo' essere intesa che dal punto di vista storico. Per comprendere l'identita' antillese bisogna conoscere la storia della Martinica, la storia della popolazione della Martinica, perche' la societa' antillese e' frutto di apporti differenti e successivi. All'inizio il paese fu invaso dagli indiani Caraibes; in seguito arrivarono, e molto velocemente, degli europei, in particolare francesi. E' un apporto considerevole poiche' sono loro ad aver fornito lo scheletro della societa' antillese: i coloni francesi, che hanno dei discendenti chiamati oggi bekes (20.000 bekes circa su 400.000 martiniquais residenti, ai quali si devono aggiungere 10.000 francesi della metropole, funzionari e militari). Secondo apporto, a partire dal XVII secolo, apporto fondamentale e decisivo, e' stato dato dalla tratta dei negri. Una popolazione d'origine africana deportata e trasportata alla Martinica, e da quell'epoca forma l'essenziale, i tre quarti della societa' antillese. Ecco la composizione della societa' martiniquaise. A tutto cio', beninteso, si e' aggiunto un mescolamento, una lavorazione tra i gruppi, e da questi incroci e' nata la societa' martiniquaise attuale. * - Luciana Giani: E l'eredita' coloniale? - Aime' Cesaire: L'eredita' coloniale e' evidente. Noi siamo frutto di quel mondo. Beninteso, con il tempo ci sono degli elementi che si sono piu' o meno corrosi,che si sono piu' o meno attenuati, ma io sono persuaso che la base, l'essenziale, e' comunque rimasta perche', in fondo, bisogna comprendere che 150 anni, dal punto della storia, non sono niente, e' ieri. Alcuni elementi estremamente orribili sono scomparsi, in particolare la schiavitu', e' sicuro. Ci sono pero' dei postumi piu' o meno attenuati della schiavitu'. La nostra e' una societa' multirazziale ma dove i gruppi razziali sono comunque visibili; dove non c'e' discriminazione razziale ma c'e' lo stesso, c'e'... una certa riserva, ho l'impressione, degli uni riguardo agli altri. Con cio' non si vede una ostilita' franca e dichiarata, comunque. Noi non siamo in Bosnia, non siamo per fare delle epurazioni etniche. In conclusione, ognuno ha il suo proprio mondo e noi sappiamo di essere qui. * - Luciana Giani: Possiamo ancora parlare di discriminazione o pregiudizi all'interno della mixite' della societa' antillese? O per meglio dire, categorie sociali e colore della pelle sono legate? - Aime' Cesaire: No,non c'e' alcuna discriminazione razziale istituzionale. Facciamo parte di una repubblica, noi siamo una repubblica: liberta', uguaglianza, non so se c'e' fratellanza, ma non c'e' discriminazione a livello istituzionale. Peraltro dei lasciti razzisti possono essere perseguiti dalla legge, la stessa legge francese, ma e' talmente evidente che una societa' come questa ha sempre dei pesi, dei postumi. Ci sono dei pregiudizi ma non a livello collettivo bensi' a livello personale, e' un problema individuale. Bene, ci sono delle persone che non amano i bianchi e persone che non amano i bruni, non e' istituzionalizzato. Ma noi sappiamo, per esempio, che i discendenti dei coloni, i bekes, formano un circolo chiuso, ma non e' istituzionalizzato. Tutto cio' avviene a livello individuale e non influenza in maniera diretta la vita sociale martiniquaise. * - Luciana Giani: "La negritudine esistera' fino a che ci saranno dei negri ovunque". Cos'e' oggi la negritudine? - Aime' Cesaire: (ride) Perche' ci sono dei negri? Perche' ci sono dei bianchi, dei bianchi che hanno umiliato i negri. A partire dal momento in cui e' iniziato il pregiudizio bianco, il privilegio bianco, gli altri, i negri, si sono ribellati. Detto in altro modo, vorrei dire che il processo della negritudine e' stato una reazione contro il razzismo bianco. Ecco cosa significa. Se non ci fosse razzismo bianco non parleremmo di negritudine, ma a partire dal momento che i bianchi si considerano come i bianchi, e che hanno dei privilegi legati al loro essere bianchi, ebbene noi, i negri, dobbiamo sottometterci o possiamo ribellarci. Dunque, noi abbiamo scelto di ribellarci poiche' siamo fieri di riconoscerci neri quanto voi di essere bianchi. Ecco cosa significa. E beninteso, il mio desiderio e' quello di una societa' dove queste distinzioni non esistano piu'. * - Luciana Giani: C'e' ancora bisogno, dunque, di negritudine? - Aime' Cesaire: Ma come puo' essere finita? Non ci sono ancora dei bianchi razzisti? Non c'e' il signor Le Pen? Non ci sono ancora dei bianchi che disprezzano i negri? Come vuole che sia finita, per niente! La negritudine esiste, esiste perche' ci sono dei negri, esiste perche' ci sono dei bianchi. Nient'altro. Ma quello che voglio dire e' che noi siamo molto coscienti della nostra identita', del nostro passato, della nostra storia, e la rivendichiamo pienamente. E il mio ideale non e' di lotta razziale, al contrario! E' un ideale di coabitazione, e piu' di questo, di fraternita'. Io sono un negro; io so di essere fiero dei miei antenati e credo fermamente che nel mondo si debba assicurare la coabitazione armoniosa ed anche la collaborazione tra differenti elementi etnici e che ciascuno per la sua parte assuma la propria identita'. Dobbiamo rifiutare la lotta tra le razze; dobbiamo rifiutare la discriminazione. Noi dobbiamo rifiutare la dominazione di un gruppo etnico su un altro, per me e' fondamentale. E' necessaria la coabitazione tra le razze. Ma e' essenziale il rispetto dell`uomo in rapporto all'altro. E' il rispetto, non la gerarchizzazione, il rispetto! Io rispetto gli altri gruppi, e perche'? Perche' io rispetto le culture. Non e' il sangue a fare la razza, e' soprattutto la cultura. C'e' una cultura europea, c'e' una cultura africana, c'e' una cultura cinese, c'e' una cultura andina, e io rispetto tutte queste culture che sono fondamentali, sono preziose. Sono le esperienze che ciascun gruppo umano ha fatto su questioni fondamentali. Mi interessa molto sapere come gli egiziani hanno affrontato il problema della morte, per esempio. Ma sono molto felice di conoscere come i greci hanno affrontato lo stesso problema; come i romani l`hanno affrontato. Come i bianchi d'Europa affrontano questo problema. Mi interessa sapere come i Kanak, la popolazione dell'Oceania, come hanno affrontato il problema della vita e della morte. E come i negri africani, i cinesi, i giapponesi... Sono esperienze infinitamente preziose e insostituibili. In altre parole, io sono l'uomo di una identita', di una cultura, ma sono curioso di tutte le culture del mondo perche' io trovo che tutto cio' sia espressione dell'umanita' stessa. E non mi trova per niente indifferente il sapere come gli altri popoli, come, diciamo, le altre etnie, hanno affrontato il problema poiche' tutti abbiamo ugualmente lo stesso problema, tutti l`abbiamo. Quale problema? Una vita sopportabile e come si affronta la morte, dalla quale non possiamo scappare. * - Luciana Giani: Lei ha parlato spesso di "disumanizzazione progressiva". Nei Caraibi, America Latina, Africa e Asia si esercita la piu' orribile forma di neo-schiavitu', lo sfruttamento sessuale dei bambini. Il turismo sessuale aumenta ogni anno. Quale potrebbe essere la soluzione per frenare questo crimine contro la dignita' dei bambini? - Aime' Cesaire: Sono soprattutto gli europei a fare turismo sessuale. E' una questione orribile che coinvolge sia gli adulti che i bambini e questo dimostra il profondo disordine che regna nel mondo. I bambini hanno diritto alla vita, alla dignita', al rispetto e all'educazione. Allora, cio' che e' indispensabile fare e' di far prevalere l'idea della dignita' dell'uomo e della dignita', per conseguenza, del bambino.Bisogna dunque nutrirli, bisogna educarli, crescerli, e hanno diritto al nostro rispetto, alla nostra sollecitudine e al nostro affetto. Quella del turismo sessuale e' una terribile depravazione contro la quale bisogna lottare tenacemente per arrivare ad assicurare la protezione dell'infanzia. 3. PROFILI. LILIANA RAMPELLO: DAPHNE DU MAURIER [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "L'Unita'" del 16 aprile 2008 col titolo "La fosca grandezza di Daphne du Maurier". Liliana Rampello e' un'autorevolissima intellettuale femminista, saggista e docente, insegna Estetica all'Universita' di Bologna; ha collaborato a molte riviste, tra cui "Il Verri", "Rinascita", "Studi di estetica", "Critica marxista", "Via Dogana"; nel sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) cura la stanza "Paradiso", dedicata a libri e recensioni; per la casa editrice Pratiche ha diretto la collana "Strumenti per scrivere e comunicare", e' consulente del gruppo editoriale Il Saggiatore. Opere di Liliana Rampello: La grande ricerca, Pratiche, Milano 1994; (a cura di, con Annarosa Buttarelli e Luisa Muraro), Duemilaeuna. Donne che cambiano l'Italia, Pratiche, Milano 2000; (a cura di), Virginia Woolf tra i suoi contemporanei, Alinea, Firenze 2002; Il canto del mondo reale. Virginia Woolf. La vita nella scrittura, Il Saggiatore, Milano 2005. Daphne du Maurier (1907-1989), scrittrice inglese, autrice di racconti e romanzi da alcuni dei quali furono tratte trasposizioni cinematografiche di grande successo. Dalla Wikipedia, edizione intaliana, riprendiamo per stralci la seguente scheda: "Daphne du Maurier (Londra, 13 maggio 1907 - Par, 19 aprile 1989) e' stata una scrittrice britannica. I genitori di Daphne provengono entrambi dal mondo del teatro. Gerald, il padre, e' un attore e impresario di fama, mentre le madre, Moriel Beaumont, ha un passato da attrice, pur avendo da tempo abbandonato le scene per dedicarsi alla cura della famiglia. Ultima di tre sorelle, Daphne non sembra a proprio agio nell'ambiente della nobilta' edoardiana, che vive di privilegi e ama ritrovarsi per grandi eventi mondani. Fin da piccola mostra la grande timidezza e la propensione alla solitudine che l'accompagneranno per tutta la vita. Quando Daphne viene mandata a Parigi per completare gli studi, la sua vita subisce una svolta. Lontana dalla frenetica Londra, trova il tempo per coltivare il proprio talento per la scrittura e decide di dedicarvisi. Tornata in Inghilterra, segue la famiglia in Cornovaglia, a Fawey, dove il padre ha preso in affitto una casa indicatagli dall'amico scrittore Edgar Wallace. La Cornovaglia, con le sue misteriose atmosfere e i suoi ampi spazi deserti, conquista immediatamente Daphne, la quale vi trova subito quel senso di liberta' che le era mancato in citta'. Nel 1931, grazie anche all'aiuto di uno zio editore, Daphne pubblica il suo primo libro Spirito d'amore. Da questo momento Daphne sara' sempre piu' restia a seguire la famiglia a Londra ed eleggera' Ferryside, la casa vicino al porto di Fawey, come sua dimora fissa. Nel 1932 Daphne sposa sir Frederick Arthur Montagne Browning, un maggiore dell'esercito di Sua Maesta'. A dispetto di una vita pubblica da eroe di guerra, fin dai primi mesi di matrimonio Frederick rivela un'incredibile fragilita' nervosa. Daphne si trova cosi' a doversi prendere cura del marito nel privato, mentre lui mantiene sempre un'immagine pubblica di uomo forte e coraggioso. Nel 1939 Frederick viene nominato ufficiale del Secondo battaglione e la coppia e' costretta a trasferirsi ad Alessandria d'Egitto. Per Daphne comincia un periodo molto duro, sia per la lontananza dall'amata Cornovaglia, sia per la difficolta' a adempiere ai doveri mondani della moglie di un ufficiale, che le impongono ancora una volta ricevimenti che non riesce a tollerare. Durante il soggiorno in Egitto comincia la stesura di Rebecca, la prima moglie, il suo romanzo piu' conosciuto. Negli anni successivi segue il marito in molte delle localita' nelle quali viene assegnato, ma in alcune occasioni preferisce lasciarlo solo per trascorrere qualche periodo nella campagna inglese. Li' apprende che la propriet‡ di Menabilly, in Cornovaglia, dove ha ambientato Rebecca, e' in vendita. Per un attimo sogna di acquistarla e di trasferirvisi ma la guerra imminente la costringe a raggiungere il marito. Nel 1943 la coppia fa ritorno in Inghilterra e il nuovo padrone del maniero e' disposto ad affittarlo. Daphne vi si trasferisce con i figli poco tempo dopo. Frederick torna a Londra solo successivamente, come segretario di Stato. La guerra pero' ha definitivamente separato le vite dei due sposi. Daphne e' ormai una scrittrice di successo, grazie anche alle prime e piu' celebri trasposizioni sul grande schermo delle sue opere, mentre il marito e' occupato a raccogliere i frutti delle sue gesta militari. Quando Frederick viene nominato tesoriere del duca di Edimburgo e Daphne deve raggiungerlo nella capitale per partecipare alle celebrazioni per l'assegnazione dell'incarico, il rapporto fra i due giunge a un punto di rottura. Nel 1964 il contratto d'affitto di Manabilly scade ed e' costretta a trasferirsi poco lontano. L'evento ha una grande influenza sulla vita della scrittrice. Privata del luogo che aveva tanto amato, Daphne perde il proprio entusiasmo e con esso l'ispirazione letteraria. Quando poi, l'anno successivo, muore Frederick, Daphne si rinchiude in una solitudine definitiva, concedendo pochissime interviste e rifiutandosi persino di recarsi di persona a Londra per la sua investitura a Dama dell'Ordine dell'Impero britannico. Nel 1978 viene premiato con il Mystery Writers of America Grand Master insieme con Dorothy B. Hughes e Ngaio Marsh. Daphne du Maurier muore il 19 aprile 1989, nella sua amata Cornovaglia. Le ceneri vengono sparse, secondo i suoi desideri, nei campi che circondano la sua ultima residenza. Bibliografia: Spirito d'amore (The Loving Spirit) (1931); Non saro' piu' giovane (I'll never be young again) (1932); Progresso di Julius (Julius) (1933); Gerald: Un ritratto (Gerald: A Portrait) (1934); Taverna alla Giamaica (Jamaica Inn) (1936); I du Maurier (The du Mauriers) (1937); Rebecca, la prima moglie (Rebecca) (1938); Come Wind, Come Weather (1940); Donna a bordo (Frenchman's Creek) (1941); La collina della fame (Hungry Hill) (1943); Il generale del re (The King's General) (1946); I parassiti (The Parasites) (1949); Il giovane George du Maurier: Una scelta delle sue lettere (The Young George du Maurier) (1951); Mia cugina Rachele (My Cousin Rachel) (1951); Gli uccelli (The Birds) (1953); Baciami ancora, sconosciuto (Kiss me again, Stranger) (1953); Sua bellezza Mary Anne (Mary Anne) (1954); Il capro espiatorio (The Scapegoat) (1957); Il punto di rottura (The Breaking Point) (1959); Early Stories (1959); The Infernal World of Branwell Bronte (1960); Castle Dor (1962), scritto insieme a Sir Arthur Quiller-Couch; Il calice di Vandea (The Glass-blowers) (1963); Volo del falcone (The Flight of the Falcon) (1965); Vanishing Cornwall (1967); La casa sull'estuario (The House on the Strand) (1969); Non dopo mezzanotte e altri racconti (Not After Midnight) (1971); Un bel mattino (Rule Britannia) (1972); Golden Lads (1975); The Winding Stairs (1976); Growing Pains - the Shaping of a Writer (1977); The Rebecca Notebooks (1981); The Rendez-vous (1981); Cornovaglia incantata (Enchanted Cornwall) (1989), pubblicazione postuma". Opere di Daphne du Maurier in recenti edizioni italiane: Cornovaglia magica, Mursia, Milano; Monte Verita' e altri racconti, La Tartaruga, Milano 1990; Rebecca, la prima moglie, Mondadori, Milano 1994, Il Saggiatore, Milano 2007; Non dopo mezzanotte e altri racconti, Sellerio, Palermo 1996; Gli uccelli, La Tartaruga, Milano 1996, Sellerio, Palermo 1997; Alla Giamaica, Sellerio, Palermo 1996; Non voltarti, Sellerio, Palermo 1997; L'alibi, Sellerio, Palermo 1997; Il calice della Vandea, Sellerio, Palermo 1997; Mia cugina Rachele, Rizzoli, Milano 2003; Il generale del re, Rizzoli, Milano 2003; Gli uccelli e altri racconti, Il Saggiatore, Milano 2008] "A. H.: Non e' un 'film di Hitchcock'... Era una storia di vecchio tipo, piuttosto demode'... una storia che manca di umorismo. - F. T.: In ogni caso ha il pregio della semplicita'. Una giovane donna (Joan Fontaine) sposa un bellissimo Lord (Laurence Olivier), tormentato dal ricordo della prima moglie Rebecca, morta in circostanze misteriose. Nella grande dimora di Manderley, la nuova sposa non si sente all'altezza della situazione e teme di sfigurare nel suo nuovo ruolo; si lascia dominare, poi atterrire dalla governante, la signora Danvers, legata al ricordo di Rebecca. Un'inchiesta tardiva sulla morte di Rebecca, l'incendio di Manderley e la morte dell'incendiaria, la signora Danvers, porranno fine ai tormenti della protagonista". Sono battute tratte da Il cinema secondo Hitchcock, di Francois Truffaut, libro mille volte ristampato tanto e' bello, in cui leggiamo la facile trama di un racconto cosiddetto demode'... Rebecca la prima moglie. L'autrice del romanzo, appena uscito dal Saggiatore con una nuova traduzione, e' l'inglese Daphne Du Maurier, scrittrice prolifica, nata a Londra nel 1907 da una nobile famiglia di origine francese, morta nel 1989, e vissuta, lontana dalla mondanita', quasi sempre nell'amata Cornovaglia, dove inventava e spesso ambientava storie di ogni genere, storico, gotico, biografico, suspence. Una penna dai molti registri e dall'indubitabile talento (non e' un caso che ben nove dei suoi numerosi testi abbiano conosciuto la trasposizione cinematografica, e proprio di recente una fiction televisiva - Rebecca, appunto), troppo spesso catalogata fra le minori, graziosamente dette "popolari". In realta' la Du Maurier arriva al grande pubblico perche' e' capace di raccontare una storia, di delineare con precisione psicologica i personaggi, di creare un'atmosfera che radica il suo naturalismo nel perturbante, di tenere con avido fiato in gola il suo lettore fino all'ultima riga. * Se prendiamo proprio Rebecca la prima moglie, pubblicato nel 1938, dimenticando sia il bel film, del 1940, sia la mediocre fiction di poche settimane fa, ci troviamo tra le mani pagine che sulla semplicita' della fabula costruiscono un intreccio di lenti ma continui e imprevedibili colpi di scena, basato tecnicamente sull'inversione della temporalita' (si comincia dalla fine della storia, con un sogno-incubo, e la storia finisce con un altro sogno-incubo), su una voce narrante unica, quella della protagonista, che non ha mai un nome proprio (e' sempre e solo "la seconda signora de Winter"), su una scena affollata da molti protagonisti, tra cui indubitabilmente la grande dimora, Manderley, che da ambiente-sfondo diventa vero e proprio personaggio con un'anima sempre mutevole, gioiosa, carezzevole, bellissima, ma anche spettrale, immobile, piena di ombre, avvolgente come un'oscura ragnatela viva e parlante. Specchio e riflesso di un'altra specularita', quella tra la nuova signora, che era in precedenza una giovanissima dama di compagnia, e la vecchia governante, che ferocemente venera la sua prima e unica signora, Rebecca, ed e' una vera, perfida antagonista, in un libro che racconta l'amore tra un uomo e una donna, ma anche, sebbene in via allusiva, quello tra due donne. E ancora racconta la paura, il terrore che il sentimento di una donna puo' incutere al sentimento di un'altra, la distruzione che ne puo' seguire. Lo sguardo dell'autrice sulle relazioni umane e' dunque affilatissimo, mai possiamo decidere tra personaggi a tutto tondo, semplicemente buoni o cattivi: e' buono il signor de Winter, che, non amato, insultato nel suo onore, diventa un assassino? E' buona la seconda signora de Winter che per amore del principe azzurro accetta fatalmente la sua confessione e se ne fa complice? E' cattiva la signora Danvers, vittima di un amore che non puo' dire nemmeno a se stessa, e puo' sopravvivere, si anima, solo e sempre girando attorno alla propria ossessione, a una stanza, un letto, una camicia da notte, una spazzola per capelli irrigidite dal soffio sinistro della morte? Si' e no, ed e' questa la grandezza di un'invenzione capace di vedere con occhio distante e lucido gli esseri umani nella loro complessita', di non idealizzare le donne "buone" ne' immiserire per banale misoginia i comportamenti di quelle "cattive", e facendo valere questa sua postura mentale anche nei confronti degli uomini, complici e avversari, mantenendo e rappresentando una differenza fra i sessi che non li impicca mai a un unico chiodo, il gia' detto e pensato. In questo sguardo si rinnova con la Du Maurier un filone inglese di lunga tradizione, quello delle governanti, alla Jane Eyre della Bronte, degli amori che portano incendi che parlano il silenzio della follia o l'amore lesbico, di uomini che alla fine non possono che scendere da cavallo. Una mescolanza di sentimenti e azioni che riguardano i sessi e le classi sociali, in cui la venatura "rosa", spesso attribuita alla scrittrice, si rivela del tutto fuorviante, perche' lei sa mettere in scena, piuttosto, rapporti crudeli ma veri, con la forza di una teatralita' appresa forse dai suoi genitori, entrambi attori. * Questa tonalita' di scrittura della Du Maurier e' ancora piu' eclatante nei suoi racconti, ad esempio in quelli raccolti sotto il titolo Gli uccelli e altri racconti (il Saggiatore 2008), notevoli tutti per ragioni diverse, la prima delle quali puo' essere riassunta dalle parole con cui, in una recente intervista, Nadine Gordimer definisce l'essenza stessa di questa forma rispetto al romanzo, il suo essere completa come "un uovo", senza tappe e passaggi dunque, tanto da poter essere tenuta "completamente in una mano". Se il primo, Gli uccelli, e' di nuovo forse il piu' famoso - per essere diventato un altro film di Hitchcock nel 1963 -, e' indubbio che la grande sfida vinta dalla Du Maurier e' quella di aver raccontato in 35 scarne paginette la massima concitazione in un quadro perfettamente immobile: una piccola fattoria abitata da una normale famigliola in una penisola qualunque, la vita di una piccola comunita' sconvolta da un evento inspiegabile e inspiegato, l'attacco di migliaia di uccelli, tanto imprevedibile da diventare l'architrave di un perfetto meccanismo a suspence. E' la rivolta della natura contro l'uomo che, immaginata gia' nel 1953, fa di questa autrice, non a caso cosi' abile nell'osservazione attenta e precisa della realta', un'anticipatrice di temi e problemi attuali dispiegati con innegabile maestria. La stessa che leggiamo ne Il vecchio, dieci sole pagine di un'inquietudine affilata che nascono da un'altra forma di inversione, l'attribuzione a una coppia di cigni di sentimenti che fino all'ultimo pensiamo appartenere a una coppia di umani. Alle donne, poi, nulla viene perdonato, la superficiale marchesa de Il piccolo fotografo paghera' la sua sventata e vanesia avventura con l'ometto storpio, l'amante passeggero e adorante, non con qualche soldo, come pensava, ma con la presenza persecutrice della sorella di lui, per sempre; la vita dell'appagato vedovo de Il melo sara' sopraffatta e perduta dal persistere della presenza insopportabile della moglie morta in quell'albero che gli toglie la vista serena del giardino, dei suoi frutti che sembrano volerlo seppellire per bruttezza e quantita', e che una volta abbattuto, lo fara' sprofondare nella neve e nell'oscurita', per sempre. Questa temporalita' algida e portatrice di morte torna di nuovo in Baciami ancora, sconosciuto, la cui sensuale e silenziosa protagonista, che promette amore e avventura, uccide invece senza pieta' ne' spiegazioni. A me pare che questo basti per ricominciare a leggere Daphne Du Maurier, appassionandoci alle sue atmosfere vertiginose, alla magia della sua immaginazione, in cui tutto puo' all'improvviso trascorrere dalla normalita' apparente all'angoscia piu' minacciosa; basti insomma a rimetterla, finita la lettura, nello scaffale degno di lei, quello delle grandi scrittrici. 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 433 del 22 aprile 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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