Minime. 426



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 426 del 15 aprile 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Come volevasi dimostrare
2. Il 19 aprile a Bologna
3. A Rimini il 20 aprile
4. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
5. Monica Ruocco: Letteratura saudita
6. Gabriella Gagliardo presenta "Scrivere al buio" ed "Elogio del margine"
di bell hooks
7. Roberta Ronconi presenta "Speranza nel buio" di Rebecca Solnit
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: COME VOLEVASI DIMOSTRARE

1. Una ex-sinistra che nei due anni in cui ha governato ha violato la
Costituzione e fatto una politica guerriera e razzista, una politica anomica
e assassina, ovviamente ha portato alla vittoria la destra eversiva,
razzista, mafiosa.
*
2. Lungo questi due anni occorreva opporsi alla politica guerriera e
razzista del governo. Questo foglio si e' opposto. Tutti coloro che invece
alla guerra e al razzismo hanno ceduto misurino ora gli esiti pratici della
loro complicita'.
*
3. A queste elezioni era indispensabile che vi fosse la possibilita' di
votare per liste della sinistra della nonviolenza. Questo foglio si e'
lungamente battuto perche' esse vi fossero. Inascoltato. Resta a futura
memoria.
*
4. Ora occorre costruire subito la sinistra della nonviolenza: ma essa puo'
nascere solo da una rottura necessaria e urgente: la rottura di ogni
subalternita', la fine di ogni rassegnazione e pusillanimita', la cessazione
di ogni complicita' nei confronti della ex-sinistra ministeriale bombardiera
e razzista come nei confronti della pseudo-sinistra (ed effettuale destra
anch'essa) totalitaria degli squadristi e degli irresponsabili.

2. INCONTRI. IL 19 APRILE A BOLOGNA

Sabato 19 aprile, dalle ore 10 alle 17, a Bologna, nella sala sindacale
della stazione ferroviaria, si terra' l'assemblea "per una rete di donne e
uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza" promossa dai
partecipanti al precedente incontro del 2 marzo realizzato a seguito
dell'appello diffuso lo scorso febbraio da Michele Boato, Maria G. Di Rienzo
e Mao Valpiana.
Per informazioni e contatti coi promotori dell'iniziativa: Michele Boato:
micheleboato at tin.it, Maria G. Di Rienzo: sheela59 at libero.it, Mao Valpiana:
mao at nonviolenti.org

3. INCONTRI. A RIMINI IL 20 APRILE
[Dal Movimento Nonviolento (per contatti: tel. 0458009803, fax 0458009212,
e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) riceviamo e
diffondiamo]

Rimini, domenica 20 aprile 2008, seminario del Movimento Nonviolento su
"Informazione e nonviolenza".
Il Convivio dei oopoli ha affidato ad "Azione nonviolenta" la realizzazione
di un importante seminario sul tema cruciale "Informazione e nonviolenza"
per affrontare i seguenti aspetti:
- Come influire sui mass-media per un'informazione diversa e corretta sui
temi pace/guerra?
- Quale rapporto tra riviste cartacee e informazione web (blog, mailing
lists, giornali web, ecc.)?
- Quale futuro per le riviste "storiche" come la nostra?
- La legge sull'editoria finanzia gli organi di informazione dei partiti, ma
non tutela la stampa di movimento: come modificare una legge cosi' ingiusta?
Saranno presenti giornalisti esperti del settore per aiutarci nella
riflessione: Beppe Lopez (autore de La casta dei giornali), Roberto Natale
(presidente della Federazione nazionale della stampa italiana), Beppe Muraro
(giornalista Rai).
Il seminario si terra' a Rimini, domenica 20 aprile, dalle ore 10,30 alle
17,30, presso la "Sala degli Archi" che si trova sotto il porticato del
Palazzo Comunale in piazza Cavour.
La piazza si raggiunge a piedi dalla stazione in circa 10 minuti. Per chi
arriva in macchina, si puo parcheggiare nella adiacente piazza Malatesta.
*
Per ulteriori informazioni: rivista mensile "Azione nonviolenta", via Spagna
8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail:
an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

4. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per
molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per
la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza.
Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del
commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di'
chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

5. LIBRI. MONICA RUOCCO: LETTERATURA SAUDITA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 aprile 2008, col titolo "Giovani
autori bellicosi contro la censura saudita" e il sommario "In un paese dove
l'eta' media si aggira intorno ai vent'anni, e' emersa negli ultimi anni una
nuova generazione di scrittori che aggirano i filtri governativi e
affrontano temi come il sesso e il razzismo. Pubblicati all'estero, i
romanzi proibiti circolano clandestinamente nel paese e offrono dell'Arabia
Saudita un'immagine assai diversa da quella recepita in occidente: un
fertile miscuglio di tradizione e di eccentrica modernita'".
Monica Ruocco e' docente di lingua e letteratura araba all'Universita' di
Palermo; saggista, traduttrice, autrice di diversi lavori in volume e in
riviste sulla letteratura dei paesi arabi (e' autrice tra l'altro delle voci
sulla letteratura di Algeria, Egitto, Giordania, Iraq, Kuwait, Libia,
Libano, Marocco, Mauritania, Malta, Oman, Palestina, Siria, Sudan, Tunisia,
Yemen per l'Enciclopedia de Agostini, aggiornamento 1997); redattrice della
rivista scientifica "Oriente Moderno" pubblicata dall'Istituto per l'Oriente
"A. Nallino" di Roma dal 1994; ha partecipato come relatrice a convegni
nazionali e internazionali; ha organizzato il convegno della Societa di
studi per il Medio Oriente su "Pace e guerra nel Medio Oriente in eta
moderna e contemporanea" (Universita di Lecce, 2004); partecipa a vari
progetti di ricerca internazionali. Tra le opere di Monica Ruocco: Il mondo
arabo, Pendragon; L'intellettuale arabo tra impegno e dissenso, Jouvence,
Roma 1999; (a cura di), Migrazioni: idee, culture, identita in Medio Oriente
e Nord Africa, numero speciale della rivista "Meridione. Sud e Nord nel
Mondo", III, 1-2, 2003]

Per descrivere il grande numero di romanzi sauditi pubblicati negli ultimi
anni, un articolo apparso sul quotidiano "al-Sharq al-awsat" ha parlato di
un vero e proprio "tsunami". Una etichetta roboante che a prima vista trova
nelle cifre un riscontro solo parziale: tra il 1950 e il 1960 in Arabia
Saudita furono pubblicati appena sei romanzi, che diventarono 67 tra il 1981
e il 1990, poi 98 nel decennio successivo, fino a "esplodere", raggiungendo
quota 226 tra il 2000 e il 2006. Numeri esigui, secondo i nostri parametri,
ma che vanno letti nel contesto di un paese la cui popolazione (circa
ventisette milioni di abitanti, di cui oltre cinque milioni sono stranieri)
ha avuto fino a pochi anni fa un'altissima percentuale di analfabetismo e
dove le costrizioni religiose e sociali, piu' che politiche, condizionano
qualsiasi espressione artistica.
Il paradosso di questi romanzi dell'"ultima generazione" e' infatti che sono
introvabili nelle librerie del regno, dove invece continuano a dominare i
testi religiosi. Da sempre i libri piu' venduti sono quelli dei predicatori,
vere star del sistema editoriale e tuttora in cima alle preferenze dei
lettori. Alcuni testi riescono a vendere anche centinaia di migliaia di
copie, ed e' diventato un caso il libro del predicatore 'A'id al-Qarni
intitolato La tahzan ("Non essere triste") che, lo scorso marzo, ha
raggiunto la cifra di un milione di copie vendute.
*
Una fioritura di blog
Sebbene non abbia un codice scritto, la censura di Stato e' molto attiva.
Qualsiasi autore desideri pubblicare all'interno del regno, deve sottoporre
il proprio manoscritto al vaglio dei censori e accettare, nel caso in cui il
testo venga rifiutato, di modificarlo. Nella maggior parte dei casi, quindi,
gli scrittori preferiscono pubblicare i loro libri all'estero, presso case
editrici libanesi o egiziane. Anche in questo caso, pero', devono fare i
conti con la censura. Inizia infatti un nuovo iter, poiche' il testo viene
riesaminato, stavolta come libro straniero. Se, caso piu' che raro, al libro
viene accordato un permesso permanente, potra' essere distribuito nelle
librerie del paese, altrimenti potra' beneficiare di un permesso temporaneo
per essere esposto durante l'annuale fiera del libro.
I romanzi tuttavia circolano nel paese dove entrano clandestinamente. E
anzi, piu' sono vietati, piu' se ne parla nei tanti circoli letterari che
animano la vita culturale del paese, e che si svolgono nelle case private o
sul web, dove non si contano i blog dedicati alla letteratura. L'accesso
alla letteratura e' infatti garantito da internet (i siti piu' seguiti sono
www.kikah.com, www.arabicstory.com, www.jehat.com, www.jsad.net), e da
riviste come "al-Yamamah", "Qawafil", e "al-Majalla".
Grazie a questa non troppo sotterranea vitalita', negli anni piu' recenti si
e' formato un nuovo pubblico di lettori che ha cominciato ad apprezzare i
romanzi dei maestri della "nuova" letteratura saudita. E' il caso di Ghazi
al-Qusaybi che ha ricoperto la carica di ambasciatore in Gran Bretagna e che
e' autore di testi come Shiqqat al-hurriyya ("Un appartamento chiamato
liberta'", 1994), vietati nel paese. Lo stesso destino tocca ai romanzi di
Turki al-Hamad, autore di fama internazionale la cui trilogia Atyaf
al-aziqqah al-mahjurah ("Fantasmi dei vicoli deserti", 1997) dipinge un
ritratto dell'Arabia Saudita tra gli anni '60 e '70. A questi si aggiunge
Abd al-Rahman Munif, che ha vissuto la maggior parte della sua vita in
esilio, autore gia' noto in Italia (anche su www.arablit.it), la cui prima
parte della "pentalogia" sulle trasformazioni del regno dopo la scoperta del
petrolio e' stata pubblicata in italiano con il titolo Citta' di sale
(traduzione di Cinzia Bonadies, Baldini Castoldi Dalai 2007).
Tratto distintivo della recente produzione saudita (come nota l'intervento
Romans d'Arabie saoudite (2/2): outrages et "islam soft" su
culturepolitiquearabe.blogspot.com) e' comunque la giovane eta' degli
scrittori. Il dato non deve sorprendere, considerato il fatto che l'eta'
media della popolazione e' una delle piu' basse del pianeta, appena ventun
anni, stando al World Factbook 2008. E sono proprio questi autori
giovanissimi, veri protagonisti della nuova cultura del regno, ad aver avuto
il coraggio di scardinare quelle dinamiche culturali profondamente radicate
nel paese. Secondo Yousef al-Mohaimeed (www.al-mohaimeed.net), tra i primi
autori a proporre un nuovo modo di fare letteratura, la differenza tra
romanzieri sauditi del passato e quelli della nuova generazione consiste
proprio nel fatto che questi ultimi - e lui per primo - vogliono scrivere
sul loro paese e sui loro problemi. Portatori di un messaggio di
contestazione, questi nuovi romanzi parlano di schiavitu', di razzismo, di
disgregazione sociale, di contrabbando di alcool, affrontano i temi dei
complicati rapporti tra uomo e donna e dell'omosessualita'. Anche il sesso
trova molto spazio, e i giovani autori non temono di affrontare questioni
delicate come la pedofilia e gli abusi sessuali. Inutile dire che i loro
romanzi sono vietati nel paese, anche se circolano comunque.
*
Donne al volante
In Fikhakh al-ra'iha ("Le trappole del profumo", 2003), il primo importante
testo di Yousef al-Mohaimeed tradotto gia' in inglese e francese, e che
meriterebbe di essere letto anche in italiano, l'autore affronta il problema
della schiavitu', abolita ufficialmente nel regno nel 1960. In uno scenario
che mette a confronto le cosmopolite citta' saudite con l'eredita' della
societa' nomade, tre personaggi incrociano le loro storie di emarginazione.
Segue al-Qarurah ("La bottiglia", 2004), ambientato all'indomani
dell'invasione del Kuwait: incentrato sulla questione femminile, il libro
rievoca la famosa manifestazione delle donne al volante del novembre 1990,
in cui quarantacinque donne appartenenti a famiglie importanti trasgredirono
il divieto in vigore nel paese che impedisce loro di guidare. Nel suo ultimo
romanzo Nuzhat al-delphin ("L'escursione del delfino", 2006), al-Mohaimeed
affronta le difficolta' dei rapporti tra i due sessi, in una storia d'amore
che coinvolge due uomini e una donna, tutti e tre appartenenti a un ambiente
intellettuale.
Nel dicembre scorso un altro romanzo saudita ha fatto molto parlare di se',
perche' la sua vendita e' stata proibita anche in Libano, il piu' liberale
dei paesi arabi, dove e' stato pubblicato. Si tratta di Ikhtilas
("Appropriazione illecita") di Hani Naqshabandi. Narrato con un linguaggio
molto crudo, il romanzo alterna due voci, quella di Hisham, redattore di una
rivista femminile a Londra, e di Sara, una trentenne di buona famiglia che
denuncia la solitudine sentimentale, psicologia e sessuale a cui sono
costrette le ragazze saudite. Tra gli autori piu' giovani si e' messo in
luce il ventenne Ibrahim Badi (www.ibadei.com), redattore del quotidiano
"al-Hayat" e drammaturgo, il cui romanzo Hubb fi 'l-sa'udiyya ("Un amore in
Arabia Saudita") e' stato di recente pubblicato dalla prestigiosa casa
editrice libanese Dar al-Adab. Anche questo testo infrange, sin dalle prime
pagine, le interdizioni politiche, religiose e sociali imposte ai cittadini
sauditi.
*
Nel regno dei telefonini
Un discorso a parte meriterebbe l'exploit delle scrittrici saudite, salite
alla ribalta grazie al successo internazionale di Rajaa Alsanea che, con il
suo Ragazze di Riad del 2005 (traduzione di Valentina Colombo e Berta
Smiths-Jacob, Mondadori 2008) ha venduto, solo nel primo anno, oltre
sessantamila copie. Esaltato o criticato per la sua impostazione troppo
"leggera" alla Sex and the city, il romanzo ha comunque acceso un riflettore
sulla vita delle ragazze saudite e sull'enorme ruolo dei mezzi di
comunicazione alternativi, dai telefonini a internet, nelle comunicazioni
tra i giovani abitanti del regno.
Anche le scrittrici - a cominciare da Laila al-Giuhni che nel 1998, in
al-Firdaws al-yabab (Il canto perduto, traduzione di Francesca Addabbo,
Ilisso, 2007), aveva affrontato il tema dei rapporti prematrimoniali e
dell'aborto - sembrano fare a gara a chi infrange piu' tabu'. Tra le
giovanissime spicca per esempio Saba al-Hirz, pseudonimo di una scrittrice
ventenne che, nel romanzo al-Akharun ("Gli altri", 2006) affronta la
complessa questione della minoranza shiita del paese. Le pagine che hanno
fatto piu' scalpore sono tuttavia quelle in cui l'autrice descrive senza
reticenze rapporti sessuali tra donne. E il sesso irrompe pure nel romanzo
al-Awba ("Il ritorno", 2007), la cui giovane autrice, Warda 'Abd al-Malik -
anche in questo caso si tratta di uno pseudonimo -, cerca di raccontare la
voglia, da parte delle donne saudite, di riappropriarsi del proprio corpo e
della propria sessualita'.
Traspare, da tutti questi libri, una immagine dell'Arabia Saudita molto
lontana da quella normalmente recepita in occidente. La societa' saudita ne
emerge come un fertile miscuglio di tradizione ed eccentrica modernita', e
chi governa dovra' fare i conti prima o poi con "l'onda anomala" delle
giovani generazioni che vogliono vivere apertamente, anche all'interno del
proprio paese, quella liberta' inseguita all'estero o di nascosto.

6. LIBRI. GABRIELLA GAGLIARDO PRESENTA "SCRIVERE AL BUIO" ED "ELOGIO DEL
MARGINE" DI BELL HOOKS
[Dal sito http://isole.ecn.org/reds/donne/culturadonne.html riprendiamo la
seguente recensione, pubblicata sul mensile "Reds" nell'ottobre 1998.
Gabriella Gagliardo, insegnante, impegnata nella Flc-Cgil, nell'associazione
Iemanja' ed in altre esperienze di impegno civile, e' particolarmente attiva
nella solidarieta' con le donne afgane, e in molte iniziative di
solidarieta' e per i diritti.
bell hooks (le iniziali minuscole sono una sua scelta), e' una delle
principali pensatrici femministe e antirazziste americane. Dal sito della
casa editrice Feltrinelli riprendiamo la seguente scheda: "bell come la
madre, Rosa Bell Watkins, hooks come la nonna materna, Bell Blair Hooks.
Minuscole, in entrambi i casi, le iniziali. Lo pseudonimo militante con cui
Gloria Jean Watkins sostituisce il proprio nome anagrafico ha la funzione di
confermare il valore politico di questo atto, ancorando il nuovo io a un
continuum femminile di discendenza che attraverso il rifiuto del sistema dei
nomi sfida l'asse maschile di attribuzione di individualita' e continuita'.
Distinguished Professor di inglese presso il City College di New York e
autrice di numerosi saggi di teoria e critica culturale, bell hooks e' una
delle figure di punta del femminismo e del pensiero radicale statunitensi".
Da "La nonviolenza e' in cammino" n 1330 riportiamo anche la seguente scheda
di Vittoria Giannuzzi: "bell hooks e', senza dubbio, una delle figure di
punta del femminismo e del pensiero radicale  statunitensi. Nata nel 1952 in
una famiglia appartenente al proletariato povero afroamericano, costrui' una
propria coscienza critica sin dall'adolescenza, tanto che pubblico' il suo
primo libro a soli diciannove anni. In esso, Ain't I a woman: Black Women
and Feminism, la hooks combina il suo amore per l'inglese e la sua rabbia
per quello che chiama white supremist capitalist patriarchy che, secondo la
scrittrice, struttura, negativamente, la societa' americana. Tutto il suo
lavoro, in generale, copre un'ampia gamma di argomenti, tra cui il concetto
di genere, la razza, il valore dell'insegnamento e l'importanza dei media
per la cultura contemporanea. bell hooks crede fermamente che questi non
siano argomenti separati, ma che vadano analizzati in quanto strettamente
interconnessi. Innegabile e', pero', che bell hooks sia popolare soprattutto
in quanto impegnata come femminista, benche' anche in questo caso lei
ribadisca che l'attuale situazione delle donne nere nella societa' sia un
tema strettamente connesso con i concetti di genere e di razza.
Distaccandosi dalla battaglia femminista tradizionale (che nasce dall'unione
di donne bianche, di buona classe sociale, eterosessuali e acculturate), la
hooks si colloca in una posizione nettamente opposta e, in Scrivere al buio
(1998) dichiara: "La loro posizione... era radicalmente diversa dalla mia:
per loro il problema centrale era l'esclusione delle donne dalla forza
lavoro. Tornavo a casa dicendomi che non riuscivo neppure a capire di cosa
stessero parlando: tutte le donne [nere] che in vita mia avevo conosciuto
avevano sempre lavorato". Partendo da questa posizione, la hooks s'impegna
ad analizzare l'importanza delle donne nere nella battaglia per la liberta'
degli afroamericani, sostenendo come, storicamente, le donne abbiano
resistito al dominio suprematista bianco impegnandosi nella costruzione di
un "focolare domestico", difendendo i loro figli e i loro uomini dalla
disperazione, consentendo cosi' a molti di loro di essere in grado di
combattere per la liberta'. Il suo impegno in questo campo e' evidente nel
deliberato uso di uno pseudonimo: bell come la madre, hooks come la nonna
materna. Minuscole, in entrambi i casi, le iniziali. Lo pseudonimo militante
con cui Gloria Jean Watkins (questo il vero nome) sostituisce il proprio
nome anagrafico ha la funzione di rigettare quell'identita' che vi era
legata e che la scrittrice non considerava completamente sua, e di ancorare
il nuovo io ad un continuum femminile che, attraverso il rifiuto del sistema
dei nomi, sfida il potere (maschile) di attribuzione di individualita' e
continuita'. L'uso delle minuscole e dello pseudonimo sono delle maniere
attraverso cui la scrittrice vuol focalizzare l'attenzione del lettore non
sull'autore, ma sul contenuto del suo lavoro. Le idee, in sostanza, vengono
sempre prima del nome e dell'identita' dell'autore". Opere di bell hooks:
Scrivere al buio. Maria Nadotti intervista bell hooks, La Tartaruga, Milano
1998; Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale, Feltrinelli,
Milano 1998; Tutto sull'amore. Nuove visioni, Feltrinelli, Milano 2000,
2003]

Recentemente sono stati pubblicati in Italia due volumi relativi a Gloria
Jean Watkins, femminista nera afroamericana nota con lo pseudonimo di bell
hooks. Entrambi curati da Maria Nadotti, il primo, Scrivere al buio, per i
tipi della Tartaruga edizioni, e' una lunga intervista; il secondo, edito
dalla Feltrinelli, e' una raccolta antologica di testi tratti da diverse
opere, e porta il titolo Elogio del margine.
L'interesse per questi scritti e' giustificato da molteplici forti
motivazioni.
Innanzitutto, l'autrice osserva con occhio critico e spregiudicato la
realta' americana dal suo particolare punto di vista di donna nera
proletaria che, pur avendo infine oltrepassato la frontiera che preclude a
quelle come lei l'ingresso nella societa' accademica - si e' affermata come
Distinguished Professor di inglese presso il City College di New York, e
come brillante autrice di letteratura, saggi e critica cinematografica e di
costume -, non ha perso le proprie radici familiari, sociali e culturali.
bell si presenta quindi situata "al margine".
Dal margine non si limita a osservare forte dei suoi raffinati strumenti di
analisi intellettuale, ma pretende di continuare a intervenire come
militante, vicina ai movimenti che dalla giovinezza le hanno fornito l'humus
della sua maturazione umana e politica: il movimento nero, quello
femminista, la sinistra marxista, in ognuno dei quali ha coltivato la sua
particolare sensibilita' nei confronti delle oppressioni di cui faceva
esperienza, cogliendone pero' dolorosamente i limiti teorici e pratici.
Il sovrapporsi di diversi punti di vista, o meglio il corto circuito tra
questi, le permette di dire con grande immediatezza verita' talmente "ovvie"
da restare invisibili nel sentire comune, ma proprio per questo
implacabilmente efficaci.
Si vedano ad esempio le pagine in cui bell parla dell'uso della sessualita'
nella dominazione razzista, da cui emerge il reciproco sostegno tra
"patriarcato suprematista bianco" e sessismo contro le donne bianche e nere,
esercitato dai maschi di entrambe le razze (in Elogio del margine, p. 36 e
seguenti): "... La sessualita' ha sempre fornito metafore di genere alla
colonizzazione. Paesi liberi uguale uomini liberi, dominazione uguale
castrazione, perdita di virilita', stupro - l'atto terroristico come
riattualizzazione del dramma della conquista, allorche' gli uomini del
gruppo dominante violano sessualmente il corpo delle donne presenti nel
gruppo dei dominati. Lo scopo di tale atto e' di ricordare continuamente ai
maschi dominati la loro perdita di potere; lo stupro e' un gesto di
castrazione simbolica. I maschi dominati vengono privati del loro potere
(vale a dire ridotti all'impotenza) ogni volta che le donne che essi
avrebbero il diritto di possedere, controllare, tenere in pugno, dominare,
fottere, vengono fottute e sottomesse dal gruppo maschile dominante
vittorioso... Nulla si dice del sadomasochismo sessuale, del padrone che
obbligava la moglie a dormire per terra mentre nel letto coniugale, una
notte dopo l'altra, lui stuprava una donna di colore... Nello stato di
oppressione in cui vivono, neri e nere hanno di rado sfidato l'uso delle
metafore di genere per descrivere l'impatto del dominio razzista e/o della
lotta di liberazione nera. Il discorso della resistenza nera ha quasi sempre
identificato liberta' e virilita', dominio economico e materiale sui maschi
neri e castrazione, evirazione. Accettare tali metafore sessuali ha creato
un vincolo tra i maschi neri oppressi e i loro oppressori bianchi. I due
gruppi condividono la credenza patriarcale che la lotta rivoluzionaria abbia
come proprio vero oggetto l'erezione fallica, la capacita' maschile di
stabilire un dominio politico equivalente al dominio sessuale...".
Bell si propone proprio di mettere in evidenza "quanto siano rilevanti i
modi in cui status razziale e di classe determinano fino a che punto si
possono affermare il dominio e il privilegio maschili e [...] in che forma
razzismo e sessismo sono sistemi interconnessi di dominio che si rafforzano
e si sostengono a vicenda" (op. cit., p. 39).
Sottolinea che quando si ragiona di sesso, razza e classe, non esiste una
condizione femminile, ma condizioni e destini delle donne molto differenti
tra i diversi paesi del mondo e all'interno di uno stesso paese. La
sensibilita' verso le questioni di razza e classe non a caso si e' affermata
prima tra le femministe lesbiche bianche che tra le altre: le lesbiche
infatti erano in grado di dire alle eterosessuali che tra il proprio modo di
percepire il mondo e di vivere, e il loro, la differenza e' grande: meglio
rinunciare alla nozione sentimentale dell'esperienza comune e dell'assoluta
identita' tra donne.
Impossibile quindi aggrapparsi ad un'identita' di gruppo precostituita,
malgrado la disseminazione "trasversale" di molte questioni "di genere", e
malgrado l'assimilazione delle categorie marxiste dell'analisi di classe:
"Mi definisco socialista, ma senza alcuna enfasi, perche' non ho mai voluto
identificarmi con un movimento politico che non ha saputo affrontare ne' la
questione del genere ne' quella della razza." (Scrivere al buio, p. 87).
La questione dell'identita' viene posta allora in questi termini: la
battaglia per una radicale soggettivita' - nera, femminista, di classe - fa
parte della ricerca di modi oppositivi e liberatori di costruire il se' e
l'identita'. E' necessario riconoscere il modo specifico in cui l'identita'
si e' andata costituendo nell'esperienza di lotta. Essa dipende infatti da
una molteplicita' di esperienze, cioe' dalle condizioni di vita che
consentono produzioni culturali diverse. "Dobbiamo e possiamo riarticolare
la base del patto collettivo" (Elogio del margine, p. 21).
La questione dell'identita' si gioca anche a livello della cultura di massa,
verso la quale l'autrice nutre un'attenzione critica privilegiata. A livello
popolare, delle notizie di cronaca come dei prodotti culturali di massa
quali il cinema e la musica, bell si impegna a mettere a nudo i meccanismi
di identificazione, ma anche di resistenza e di difesa dalle identificazioni
indotte e mortificanti, spesso messi in atto anche poco consapevolmente
dalle spettatrici.
La valorizzazione della resistenza femminile e nera viene promossa sia di
fronte al mercato culturale, sia in relazione ai tradizionali compiti
domestici delle donne - in particolare le nere - che vengono raccontati "dal
di dentro" recuperando la memoria di un'infanzia tutt'altro che edulcorata
del proprio villaggio di origine.
L'impressione che se ne trae e' di una "ordinaria" forza e dignita'
coltivata ad alto rischio di solitudine, ma sempre tesa al contrario verso
una comunicazione autentica e profonda dalla propria differenza.

7. LIBRI. ROBERTA RONCONI PRESENTA "SPERANZA NEL BUIO" DI REBECCA SOLNIT
[Dal quotidiano "Liberazione" del 28 ottobre 2005, col titolo "Rebecca
Solnit e le speranze americane".
Roberta Ronconi scrive sul quotidiano "Liberazione".
Rebecca Solnit e' un'intellettuale, scrittrice e attivista pacifista
americana, autrice di diverse opere che hanno ottenuto numerosi
riconoscimenti; vive a San Francisco e per il suo impegno culturale e
politico e' considerata l'erede di Susan Sontag. Opere di Rebecca Solnit:
Savage Dreams: A Journey Into the Landscape Wars of the American West
(1994); Book of Migrations: Some Passages in Ireland (1998); (con Susan
Schwartzenberg), Hollow City: The Siege of San Francisco and the Crisis of
American Urbanism (2002); Wanderlust: A History of Walking (2002); River of
Shadows: Eadweard Muybridge and the Technological Wild West (2003); As Eve
Said to the Serpent: On Landscape, Gender, and Art (2003); Hope in the Dark:
Untold Histories, Wild Possibilities (2006); (con Philip L. Fradkin, Mark
Klett, Michael Lundgren), After the Ruins, 1906 and 2006: Rephotographing
the San Francisco Earthquake and Fire (2006); A Field Guide to Getting Lost
(2006); Storming the Gates of Paradise: Landscapes for Politics (2007) . In
italiano sono disponibili: Storia del camminare, Bruno Mondadori, Milano
2002, 2005; Speranza nel buio. Guida per cambiare il mondo, Fandango, 2005]

Sino a poco tempo fa, chi in Italia conosceva il nome di Rebecca Solnit (in
America firma assai conosciuta del movimento per la pace) lo legava
principalmente alla sua Storia del camminare (Mondadori), inteso come
movimento corporeo di riappropriazione degli spazi, ma anche azione dal
forte valore metaforico che richiama alla democrazia dell'incontro. Da
qualche settimana e' in libreria, per Fandango, il suo ultimo lavoro:
Speranza nel buio, pamphlet politico dal sottotitolo impegnativo: "guida per
cambiare il mondo".
L'obbiettivo e' dunque preciso: ridare speranza al popolo americano (ma non
solo), in particolare al popolo della pace, dopo due massacranti delusioni:
l'inizio della guerra in Iraq nonostante le grandi manifestazioni per la
pace del 15 febbraio 2003 e la rielezione di George W. Bush. Seguito tragico
all'euforia e alla speranza di milioni di persone.
Un libro dunque che nasce "dall'avvertire nel mondo democratico della pace
un forte senso di disperazione - ci racconta l'autrice - dovuto all'idea che
i milioni scesi in piazza non fossero riusciti a fermare la guerra. E da li'
si passava direttamente al dire: 'allora non abbiamo abbastanza potere, non
siamo in grado di cambiare le cose, non abbiamo la forza sufficiente'. Ho
dunque tentato di mettere insieme una serie di considerazioni contro questa
disperazione e questo disfattismo".
La storia, scrive Solnit, non e' un esercito, non si muove in linea retta,
ma piuttosto "come un granchio spaventato, o un rivolo d'acqua che gocciola
sulla pietra, consumandola". A volte, invece, "un terremoto che spezza
secoli di tensione". Nel senso che non sempre le conseguenze di un'azione
sono immediatamente valutabili. E quello che a volte non riesce a milioni di
persone, puo' riuscire a una decina di donne.
Come racconta Solnit in un aneddoto su una militante che negli anni Sessanta
faceva parte di "Women Strike for Peace" contro il riarmo nucleare. Erano un
gruppetto fradicio di pioggia, una mattina sotto la sede del Comitato
parlamentare per le attivita' antiamericane, e si sentivano stupide e
inutili. Dopo molti anni quella militante seppe che Benjamin Spock - uno dei
futuri maggiori attivisti sul tema - le aveva viste e da loro aveva tratto
forza per le sue future e vittoriose battaglie.
Se l'inizio degli anni Duemila - scrive Solnit - sono, in occidente,
all'insegna dell'oscurantismo militarista, non va dimenticato cio' che
contemporaneamente succede in Sudamerica, terra che definisce "laboratorio
del futuro". Uruguay, Venezuela, Cile, paesi dove per decenni hanno
governato dittature, laboratorio preferito del neoliberismo, si sono
improvvisamente (come tempo storico) trasformati in "teatro delle rivolte
piu' significative contro questa disastrosa dottrina economica". Come dire:
non dimentichiamoci mai della guerra in Iraq, ma non dimentichiamo nemmeno
le battaglie vinte contro la privatizzazione e per la giustizia, la
democrazia, la riforma agraria e i diritti delle popolazioni indigene in
Brasile, Bolivia, Equador e Argentina. Non una cosa o l'altra, ma entrambe
le realta' fanno la storia di questi anni.
Qui Rebecca Solnit invita la sinistra, anzi le sinistre del mondo che in
questo si somigliano, ad avere un altro sguardo sulla realta', ad
abbandonare la tendenza al disfattismo e alle conclusioni dicotomiche, tutto
nero o tutto bianco. "Nella sinistra americana e' eclatante un certo
puritanesimo, secondo cui le cose devono essere perfette o e' meglio che non
siano, la rivoluzione o e' totale o niente. Invece la vittoria non e' il
punto finale, ma l'inizio di un processo. Le sinistre a mio avviso spesso
temono le vittorie. Perche' considerandole come obbiettivo finale non hanno
lavorato creativamente nella costruzione del dopo".
Solnit, che si definisce un'anarchica perche' non crede nei poteri dei
governi ma piuttosto in quel fenomeno di organizzazione della comunita'
civile che gli argentini hanno definito come "horizontalidad"
(orizzontalita'), lega la battaglia politica a quella culturale. E inserisce
nella riflessione continui richiami letterari, poetici, musicali.
All'insegna della speranza. Che non e' un'attesa messianica, come
l'ottimismo, ma l'esatto contrario. Non c'e' speranza senza assunzione di
responsabilita' e battaglia. Un altro mondo e' possibile, conclude
l'autrice, ma ricordiamo sempre che nessuno ce lo regala.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 426 del 15 aprile 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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