Voci e volti della nonviolenza. 167



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 167 del 14 aprile 2008

In questo numero:
1. Gaetano Arfe': Giustizia e Liberta' (parte prima)
2. Et coetera

1. GAETANO ARFE': GIUSTIZIA E LIBERTA' (PARTE PRIMA)
[Dal sito www.ossimoro.it riprendiamo il seguente intervento di Gaetano
Arfe' dal titolo "Giustizia e Liberta': la storia di uomini che non
trionfarono mai, ma che non furono mai vinti"]

Ho dato inizio alla mia milizia politica nel 1942 aderendo a un piccolo
gruppo clandestino di "Italia Libera", che faceva capo a un libraio di
Napoli, Ettore Ceccoli, originariamente comunista, amico di mio padre,
socialista, devoto al culto di Benedetto Croce, frequentatore abituale della
sua libreria. Con Croce egli mi procuro' un incontro nel corso del quale
ebbi preziosi consigli, scrupolosamente seguiti, di letture risorgimentali,
tra cui le lettere dal carcere di Silvio Spaventa: l'idea dell'antifascismo
come "secondo Risorgimento" mi e' venuta, precocemente, di la', quando mi
trovai anch'io a fare un breve assaggio di galera.
Ricordo questo piccolo episodio perche', al di la' del caso personale, mi
pare indicativo dei modi attraverso i quali si poteva diventare giellisti:
una educazione vagamente e genericamente socialista, indirizzata, al momento
della scelta, da un ex-comunista, fervido credente della crociana religione
della liberta'.
Ho partecipato poi alla Resistenza nelle formazioni Giustizia e Liberta'
dell'Alta Valtellina. Saltai l'esperienza del Partito d'Azione per aderire
nel maggio del '45 al Partito socialista, seguendo questa volta la
tradizione familiare, ma rimanendo in rapporti di collaborazione assai
stretta con gli azionisti e per essi in particolare, ritornato nella mia
Napoli, con Francesco De Martino. Seguii Saragat nella sua scissione e a
darmi la spinta decisiva fu un discorso di Tristano Codignola, fortemente
critico nei confronti del comunismo, che prendeva le mosse dal libro di
Koestler, Buio a mezzogiorno. Presto, pero', giunsi alla convinzione che
alla rivendicata e conquistata autonomia dal Partito comunista corrispondeva
una non voluta, ma ineluttabile, subalternita' alla Democrazia cristiana e
rientrai cosi' nella casa madre in coincidenza con la confluenza in essa
della maggioranza del Partito d'Azione, guidata da Riccardo Lombardi.
Ricordo l'emozione che provai quando lessi il testo del discorso col quale
egli annunciava e motivava la confluenza nel Partito socialista. Alcune
frasi, non piu' rilette, mi sono rimaste impresse nella memoria: tra esse
quella del "crisma", della sacra unzione, che ciascun azionista si sarebbe
portato addosso per tutta la vita.
Considero tra i maggiori privilegi che mi siano toccati quello di essere
stato legato come a padri o fratelli maggiori a uomini - rammento solo
alcuni di quelli scomparsi - come Gaetano Salvemini, Ferruccio Parri, Piero
Calamandrei, Ernesto Rossi, Riccardo Lombardi, Tristano Codignola, Piero
Caleffi, Luciano Bolis, Giuliano Pischel, Enzo Enriques Agnoletti, Altiero
Spinelli, Franco Venturi, Manlio Rossi Doria.
Ho tra i miei ricordi piu' cari quello di un compagno, tra i meno noti e tra
i piu' nobili, che a questo gruppo appartenne, Nello Traquandi, il solo uomo
capace di intimidire Salvemini con uno sguardo di disapprovazione, il quale
volle, a suggello di un'amicizia che ancora mi riempie di commosso orgoglio,
che io lo accompagnassi in una delle sue visite alle tombe di Trespiano, a
salutare, mi disse, Carlo e Nello, quasi a presentarmi a loro.
Tutto questo mi consente di sottrarmi alla regola, oggi tornata di moda, che
sterilizza la ricerca storica in nome di una presunta scientificita',
liberandola anche dall'impegno alla riflessione che perennemente ritorna su
se stessa, via via adeguando la nostra capacita' di intendere la storia al
perenne maturare della nostra coscienza.
Andro' ancora oltre dicendo che scrivo non gia' nelle vesti di storico, ma
di chi e' stato partecipe, tra gli ultimi e i piu' modesti, di una storia
che ha avuto i colori dell'epopea e l'andamento di una chanson de geste, la
storia di uomini che non trionfarono mai, ma che non furono mai vinti e che
del loro operare hanno lasciato un segno incancellato e incancellabile. E'
un fatto che mentre la seconda generazione giellista, la mia, si viene
anch'essa estinguendo, gruppi di giovani si vanno formando per i quali
Giustizia e Liberta' non e' una sigla depositata negli archivi, ma un motto
che indica le ragioni per le quali la vita e' degna di essere vissuta.
*
Poco meno di sessant'anni sono passati dalla morte di Carlo Rosselli e circa
mezzo secolo dalla scomparsa del Partito d'Azione che fu, per breve
stagione, l'incarnazione del movimento di Giustizia e Liberta'. Il ciclo
storico dell'antifascismo militante si e' chiuso e si e' chiusa con esso una
fase della storia della nostra repubblica. Non si e' spento il dibattito
sulla tradizione giellista e azionista, anzi, al contrario di quanto e'
avvenuto per altri movimenti politici, esso e' trapassato dal piano
storiografico a quello ideologico e politico.
Quanto forte sia la carica di questo dibattito e quanto ancora calato esso
sia nella "battaglia delle idee" lo prova il fatto che di volta in volta
Rosselli e' stato presentato come il precursore di un liberal-socialismo
pudibondo - sia detto con tutto il rispetto per la persona - alla Giuliano
Amato; come il costruttore di una ideologia da "utili idioti", che ha fatto
del giellismo e dell'azionismo la maschera del frontismo comunista - si e'
inventata nelle accademie la formula un po' goffa, da agit-prop piu' che da
studiosi, di gramsci-azionismo -; come l'ispiratore remoto - e qui siamo
alla faziosita' sfrontata e canagliesca - delle Brigate rosse.
Una rassegna critica e ben ragionata di tali interpretazioni costituirebbe
un contributo di notevole interesse alla storia delle sub-ideologie
politiche del nostro tempo.
Vero e' che nella tradizione giellista coesistono e convivono in connessione
dialettica motivi contraddittori che non sono meramente ideologici, che
esprimono contraddizioni reali, a volte laceranti, le quali necessariamente
si riflettono in chi nella storia in divenire intende incidere. Basti solo
pensare che la formazione del gruppo dirigente di Gl avviene nei brevi anni
che vedono l'avvento di Hitler nella acquiescenza delle democrazie e delle
socialdemocrazie; la sedizione franchista di fronte alla quale, da solo, si
schiera dalla parte del governo legittimo, facendo gravare, pero',
attraverso i partiti comunisti una pesante e a volte fosca ipoteca sulla
pericolante repubblica aggredita dal fascismo internazionale, mentre
contemporaneamente esplode a Mosca, in forme ripugnanti, il terrorismo
staliniano, mentre le democrazie preparano la vile e miope capitolazione di
Monaco.
*
Nella notte che segui' la conclusione del congresso di Venezia del 1957,
nelle lunghe ore di attesa dei risultati, Nenni, che Rosselli aveva voluto
al suo fianco nella impresa di "Quarto Stato", la rivista dell'autocritica
socialista, mi parlo' a lungo di lui e delle ragioni per le quali era stato
possibile l'inserimento nel partito socialista di molti degli elementi
migliori dell'azionismo giellistico, ma non la saldatura delle due
esperienze.
Tra le ragioni della singolarita' della vicenda di Gl egli collocava al
primo posto l'ispirazione aristocraticamente libertaria del socialismo
rosselliano, che era stimolo a intuire e antivedere i fatti ma incorrendo
nell'errore, non sempre rimediabile e difficilmente perdonato, di aver
ragione prima del tempo. Questo lo aveva predestinato a una funzione
preziosa ma necessariamente minoritaria. Un destino analogo egli prevedeva
per Riccardo Lombardi, in quel momento suo alleato nella guida della svolta
autonomistica.
La vocazione libertaria di Rosselli esiste e tra le sue componenti entra
anche l'attrazione irresistibile per l'eresia, il gusto, a volte ostentato,
per l'avventura intellettuale e politica. Va pero' anche detto che, pur
restando in ogni momento un eretico, a differenza di quanto accade presso
altri gruppi minoritari, egli non contrappone mai una propria ortodossia a
quella delle maggioranze, e' aperto al dialogo su tutti i versanti, dagli
anarchici e dai trotzkisti ai neo-socialisti francesi, conservando sempre
acuta e vigile la capacita' di intendere la relativita' e la precarieta'
delle ideologie, di cogliere in esse quello che viene via via travolto e
ridotto ad ammasso di ruderi resi inutilizzabili dal procedere vorticoso
degli avvenimenti. A preservarlo da quello che nel gergo comunista veniva,
un tempo, definito avventurismo sta il culto, professato con religioso
rigore, dei principi, saldati in nesso indissolubile e sintetizzati nel suo
motto "Giustizia e Liberta'".
Rosselli e' socialista perche' liberale. Il suo liberalismo e' umanesimo
integrale, e' processo permanente di liberazione dell'uomo dai vincoli di
classe e questo nella realta' del XX secolo si definisce come socialismo e
in esso si esprime. La societa' socialista potra' anche non realizzarsi, il
"paradiso socialista" potra' anche non esser raggiunto: giustizia e liberta'
restano gli imperativi etici ai quali uniformare la propria condotta.
Il partito al quale aderisce e' il partito di Matteotti, l'uomo che egli
erigera' a esempio, per la vita e per la morte. Elegge Turati a
rappresentante dell'Italia libera, ne progetta, ne organizza e ne conduce
l'evasione in Francia, gli restera' legato da filiale affetto. Il libro che
egli scrive a Lipari, Socialismo liberale, sviluppa in sede dottrinale il
tema della rivalutazione del volontarismo contro il determinismo marxista,
riprende in sede politica, rielaborandoli originalmente, i motivi della
polemica antiriformista di Salvemini, disegna il modello di un laburismo
dinamico e volitivo di cui il movimento operaio inglese fornisce un
apprezzabile esempio, resta, tuttavia, nell'ambito della tradizione del
socialismo democratico europeo.
Quel libro dovrebbe segnare il suo punto di approdo, e tale generalmente e'
stato considerato: e', invece, il punto di partenza di un processo di
revisione permanente che lo portera' a un graduale, crescente distacco dalla
ideologia socialdemocratica, dalla sua cultura, dalla sua politica. Le tappe
del suo revisionismo procedono al passo con gli avvenimenti, sul filo di un
serrato superamento critico, nutrito di robusto senso della storia.
Lo scritto dedicato alla memoria di Turati e' un commosso atto d'amore per
il vecchio maestro, e' il riconoscimento argomentato e documentato di quanto
egli ha dato, fino all'ultimo suo giorno di vita, alla causa della liberta',
del socialismo, della nazione; e' anche storicizzazione di una esperienza
irripetibile perche' irreversibile e' il mutamento avvenuto nei moduli della
lotta sociale, politica, ideologica. I motivi polemici che egli verra' via
via sviluppando fondono le riflessioni sul passato, l'analisi del presente,
le intuizioni su quel che sara' l'imminente e incombente futuro; e' stato
merito del socialismo democratico, per Rosselli, avere indirizzato il
movimento operaio sulla via della legalita', ma il legalitarismo condanna
alla sconfitta qualora sia elevato a dogma: lo dimostra il caso
dell'Aventino, quando si erano affidate le sorti della battaglia a una forza
esterna e tendenzialmente avversa, la monarchia.
La sovranita' popolare espressa col voto e' sacrosanta, ma in circostanze
date - questa volta e' il caso della Saar, dove gli operai socialdemocratici
avevano votato per l'annessione alla Germania di Hitler - essa puo'
plebiscitariamente soffocare la liberta'.
La pace resta il bene supremo dei popoli, ma l'avvento del nazismo annuncia,
fuor d'ogni equivoco, "la guerra che torna", la guerra dei fascismi contro
l'Europa, e non sara' il rugiadoso pacifismo socialista ne' l'ignavia delle
diplomazie democratiche a fermarla.
L'internazionalismo socialista e' meritevole di ogni rispetto, ma esso resta
una patetica manifestazione di ecumenico sentimentalismo quando non sa
calarsi nella realta' nella quale il socialismo opera e che e' quella
europea.
Le dottrine, le ideologie, le formule organizzative democratiche e
socialdemocratiche sono vecchie, sono l'espressione di un mondo che non
vive, ma sopravvive, non sono piu' capaci di animare fedi, di suscitare
trascinanti passioni, di ispirare etiche di combattimento in una fase nella
quale lo scontro frontale coi fascismi sta per diventare inevitabile.
La risposta, sfortunata ma eroica, degli operai socialisti di "Vienna la
rossa" ai clerico-fascisti di Dollfuss, quella degli operai e dei contadini
spagnoli alla sedizione franchista indicano la strada da battere nella lotta
contro il fascismo e il nazismo. In questo quadro il grande fatto nuovo: la
svolta, dopo l'avvento di Hitler, in senso antifascista della politica
estera sovietica, cui corrisponde quella della Internazionale Comunista e
dei suoi partiti, che accantonano la formula del "social-fascismo", della
equivalenza tra socialismo e fascismo rispetto all'obiettivo della
rivoluzione proletaria, e lanciano la parola d'ordine delle larghe alleanze
antifasciste che troveranno nei fronti popolari la loro espressione. Non
sfugge a Rosselli quanto c'e' di ambiguo e di strumentale nella svolta
dell'Urss e della sua Internazionale, ma il fatto nuovo e' innegabile ed e'
di portata tale da imporre una revisione delle posizioni dell'antifascismo
nei confronti del comunismo. L'operazione di Stalin, infatti, e' stata resa
possibile ed e' diventata inevitabile per effetto di due fatti reali e
concomitanti: l'interesse dello stato sovietico alla difesa da una ormai
ipotizzabile aggressione nazista, l'iniziativa spontanea delle avanguardie
proletarie, controllate ancora dai vecchi gruppi dirigenti, ma cariche di un
potenziale autonomistico che non manchera' di farsi valere perche' sara' il
corso stesso delle cose a creare le condizioni idonee a che esso si
sviluppi. Ma perche' il moto cosi' avviato proceda lungo la linea giusta e'
necessario affermare, nelle parole e nei fatti, la piena autonomia
dell'antifascismo non soltanto dallo stato sovietico, ma anche dalle
gerarchie partitiche e sindacali, influenzabili dai governi, quelli
democratici come quello comunista, ai quali ideologicamente e politicamente
esse fanno capo. Il Rosselli di Socialismo liberale diventa a questo punto
l'autore della proposta, rivoluzionaria, classista, sovietista, "per
l'unificazione politica del proletariato italiano" nel quadro di una
europeizzazione della lotta antifascista.
Non puo' essere considerato neanche questo un punto di approdo: a troncare
il filo non sara' il compimento di una esperienza, ma il ferro freddo di
mussoliniana memoria.
"Il partito unico del proletariato - egli scrive poco prima di morire - se
vorra' essere una forza innovatrice autentica, dovra' essere, piu' che un
partito in senso stretto, una larga forza sociale, una sorta di
anticipazione della societa' futura, di microcosmo sociale, con la sua
organizzazione di combattimento, ma anche con la sua vita intellettuale dal
respiro ampio incitatore".
*
Gl si propone di esserne una delle componenti essenziali, portandovi un
programma i cui cardini sono due: la liberazione dal fascismo deve essere
opera del popolo italiano, riallacciando il filo della tradizione della
sinistra risorgimentale - ne sara' Parri l'interprete piu' fedele -, dovra'
avere il proletariato come forza motrice e dirigente, non potra' limitarsi a
proporre la restaurazione del regime prefascista; la lotta non potra' essere
condotta da un partito solo ma da un vasto e possente schieramento unitario,
rispettoso delle reciproche autonomie e animato dalla stessa volonta'.
Il quadro e' quello europeo: in esso si colloca, senza riserve e senza
residui la rivoluzione antifascista italiana.
A tracciare le grandi linee e' Rosselli, ma egli da' voce a motivi discussi
e maturati nell'ambito del movimento, in rapporto, in una prima fase, con
Salvemini, col concorso di compagni come Silvio Trentin, come Emilio Lussu,
come Andrea Caffi, come Franco Venturi, come Aldo Garosci, in costante
rapporto di scambio con la cultura europea, soprattutto quella francese. Su
questo tema, mi piace ricordare, associandovi la rinnovata espressione del
nostro omaggio, le pagine scritte con la finezza del grande intellettuale,
il rigore dello storico, la passione del testimone, da Franco Venturi,
scomparso nella giornata conclusiva del nostro convegno su Parri.
Questo insieme di ispirazioni e di motivazioni diverse e tendenzialmente
divergenti non puo' comporsi in dottrina, ma crea qualcosa di piu' che una
dottrina, un ethos politico che ha il rigore dei comandamenti. Ne scaturisce
un'etica che si caratterizza, come quella comunista, per la sua carica di
volontarismo teorico e pratico, ma che non e' condizionata dalla mistica del
partito: la fedelta' e' tutta e solo ai principi che si professano, la
responsabilita' delle scelte e' tutta e solo di chi le compie. E' un'etica
necessariamente minoritaria, di una aristocrazia militante e combattente,
nella quale l'eroismo entra, si potrebbe dire, come componente organica.
Nella graduatoria di Rosselli al primo posto e' Matteotti, ma tutti gli
eroi, dai martiri del Risorgimento ai fucilati e ai perseguitati di
Mussolini, ai combattenti di Vienna e di Madrid sono oggetto di culto.
*
E' un ethos che cerca e trova le sue radici nella storia nazionale. Il
richiamo al Risorgimento non ha nulla di strumentale o di occasionale.
Acquisizione tardiva per i comunisti, esso e' per Rosselli il motivo
ispiratore dominante fin dal suo primo ingresso nella lotta politica e
penetra nella cultura giellista, decantandosi lungo una linea
storiograficamente revisionistica nella quale Mazzini e Pisacane diventano i
simboli. E' il tema che Nello Rosselli affronta in sede storica - i suoi
studi lasciano su Parri, oltre che su Carlo, una impronta profonda - e che
riallaccia il filo con la tradizione della sinistra risorgimentale,
mazziniana, garibaldina, anarchica, quella della propaganda del fatto,
quella per la quale il sacrificio personale diventa un dovere quando esso
serve a svegliare le coscienze, a propagare una fede, a tener viva e desta
una volonta' di lotta. La sua sconfitta ha lasciato aperto il problema
storico di una rigenerazione nazionale che abbia a protagoniste le classi
popolari.
Ma di qui non derivano ripiegamenti nazionalistici e neanche patriottici nel
senso tradizionale del termine. Partito da un'analisi del fascismo quale
fenomeno tipicamente italiano, sbocco di un processo di unificazione
nazionale compresso, mortificato e corrotto dal moderatismo, dal
trasformismo, dal giolittismo, egli e' il primo nell'antifascismo italiano,
tra i primi in quello europeo, a cogliere tutta l'importanza del fatto nuovo
costituito dall'avvento di Hitler che fa del fascismo nella sua nuova,
imponente e minacciosa dimensione il fattore necessariamente sconvolgente
dell'equilibrio internazionale. Tutta l'Europa libera, a questo punto, e'
chiamata a una prova che ha per posta la sopravvivenza della sua civilta'
quale l'hanno costruita il cristianesimo, il liberalismo, il socialismo.
Quei motivi si arricchiranno negli anni successivi con l'apporto dei
giellisti d'Italia.
*
A Giustizia e Liberta', prima rappresentanza unitaria della emigrazione
antifascista non comunista, aveva fatto capo nei primi anni Trenta tutta la
cospirazione democratica e socialista attiva in Italia. La costituzione di
Gl in movimento autonomo aveva provocato differenziazioni e divisioni che si
erano ripercosse anche tra i suoi fondatori. Ma di qui prende le mosse il
processo di formazione di nuovi gruppi, presenti nei maggiori centri
d'Italia, dove piu', dove meno direttamente influenzati dalla centrale
parigina, ciascuno portandovi proprie esperienze e proprie tradizioni: a
Torino sono gli echi dei consigli operai di Gramsci e della rivoluzione
liberale di Piero Gobetti; a Milano e' la tradizione risorgimentale
impersonata da uomini come Parri e Riccardo Bauer e il moderno liberalismo
di Ugo La Malfa, il giovane economista che conosce Keynes; nel Mezzogiorno
intorno al pugliesi Tommaso Fiore e Michele Cifarelli, all'avellinese Guido
Dorso, ai napoletani Pasquale Schiano e Francesco De Martino rinasce il
meridionalismo democratico. Firenze, che coi Rosselli, con Salvemini, con
Rossi, con Calamandrei, di Gl era stata la culla, e' centro di un episodio
di grande interesse nella storia ideale e culturale del movimento: il
rapporto che si instaura tra il socialismo liberale di Rosselli e il
liberalsocialismo che ha in Guido Calogero e in Aldo Capitini i suoi teorici
e trova in Toscana le adesioni di Tristano Codignola, di Enzo Enriques
Agnoletti, di Carlo Ludovico Ragghianti di Mario Bracci, di Mario Delle
Piane. Lo stesso Codignola, che ne diventera' il rappresentante politico di
maggiore originalita' e di maggiore spicco, ha raccontato, ricostruendola
dall'interno con lucida intelligenza storica, l'avventura intellettuale e
politica del gruppo di giovani, maturati sotto il fascismo ma nel solco del
crocianesimo, e che per quella via pervennero all'antifascismo militante.
L'ultimo episodio di rilievo internazionale e' quello che ha per
protagonista il primo compagno di Carlo Rosselli, Ernesto Rossi, veterano
della galera, deportato a Ventotene, che si associa a un ex-comunista,
Altiero Spinelli - finira' anche lui nel Partito d'Azione - per lanciare, in
collaborazione col socialista Eugenio Colorni il Manifesto che dall'isola ha
preso il nome "Per una Europa libera e unita", per una federazione europea
da costruire sulle rovine della guerra in corso. Sara' opera loro la
fondazione a Milano del Movimento federalista europeo, che sara' di fatto,
con la eccezione di Colorni, una articolazione del Partito d'Azione nella
Resistenza e un efficace strumento di collegamento tra i movimenti
europeistici fioriti, a partire dal '41, in tutta l'Europa occupata e nella
stessa Germania. In Francia e' un giellista, un amico di Rosselli, Silvio
Trentin a dar vita un gruppo di resistenza che ha per motto "Liberer et
federer".
*
E' necessario soffermarsi, anche se assai fugacemente e lacunosamente, su
Carlo Rosselli e sulla fase di formazione del Partito d'Azione perche' senza
di questo diventa impossibile spiegare il fenomeno - Calamandrei diceva "il
miracolo" - di Gl nella Resistenza e piu' ancora il fatto che il "giellismo"
sopravvive al Partito d'Azione, diventa anima di quel filone di cultura
storica e politica la cui vitalita' e' confermata dalla constatazione che
contro di esso e' ancora in atto, virulenta, l'offensiva ideologica dei
fondatori della "seconda repubblica".
Il Partito d'Azione immette questo patrimonio di pensieri e di azioni, tanto
ricco quanto composito, nel corpo vivo della Resistenza. Vi si trovano
uomini formatisi nella cospirazione, nella galera, nelle trincee di Spagna e
studiosi la cui vita si e' svolta nelle biblioteche e nelle accademie,
liberali alla Cavour e bolscevichi ravveduti, riformisti e rivoluzionari,
protestanti e cattolici: le loro biografie costituiscono la sintesi della
migliore storia d'Italia. Questo e' il dato da cui bisogna partire per
spiegare la singolarita' della vicenda dell'azionismo nella storia della
nostra repubblica.
*
L'operazione di innesto della tradizione giellista nel movimento
resistenziale ha il suo maggiore artefice in Ferruccio Parri.
Parri era stato con Rosselli l'organizzatore dell'evasione di Turati
dall'Italia. Il suo comportamento nell'impresa e di fronte alle persecuzioni
che ne erano seguite aveva profondamente impressionato Rosselli che con
l'enfasi in lui non rara, ma con sincera e commossa ammirazione, scriveva in
una pagina autobiografica di aver visto in Parri la reincarnazione, alta e
pura, dell'eroe mazziniano.
Parri non ha vocazioni libertarie, non sogna ardite sintesi delle diverse
esperienze di matrice socialista, non vagheggia unificazioni politiche a
base classista. Con la malinconica e sottilmente amara ironia che gli era
propria mi disse una volta: "Io sono un conservatore disperato perche' non
trovo molto che meriti di essere conservato".
Ma Parri e' l'interprete piu' fedele, piu' intransigente, piu' conseguente
della direttiva principale e centrale di Rosselli: la liberazione dal
fascismo deve essere opera del popolo italiano, deve coinvolgere le classi
popolari, deve portare a compimento quel processo di rigenerazione nazionale
rimasto incompiuto dal Risorgimento sabaudo-garibaldino. Quell'amor di
patria austero, pudico, ma granitico, che lo aveva portato all'interventismo
e che aveva fatto di lui uno degli eroi veri della prima guerra mondiale,
che lo aveva indotto a scendere in campo contro il fascismo, in nome, come
Matteotti, della dignita' nazionale offesa, e' il sentimento dominante nella
concezione che egli ha della funzione della Resistenza e dell'azione
militare e politica nella quale essa deve manifestarsi. I suoi amici sanno,
dalle ammissioni che a volte compaiono, si potrebbe dire traspaiono, nei
suoi scritti, dalle confessioni sommesse fatte a mezza voce, quanto strazio
questa scelta gli sia costata: al suo appello rispondevano giovani e
giovanissimi tanti dei quali andavano incontro a un destino ben piu' atroce
della morte in combattimento, al suo comando italiani combattevano non
soltanto contro l'invasore, ma anche contro italiani. Piu' volte il dubbio
lo attanaglio', ogni volta lo respinse, in solitudine.
Incarnazione dell'eroe mazziniano, simbolo di una unita' nazionale accolta
non come formula politica, ma come risposta storica a un imperativo etico,
egli apparve, percio', anche agli uomini, assai distanti tra loro che allora
gli furono vicini, a Luigi Longo e a Edgardo Sogno.
*
Confermato dai documenti e dalle testimonianze, emerge dagli studi dedicati
alla Resistenza giellista l'articolato quadro di un movimento organizzato e
diretto da un partito di freschissima costituzione e che pure e' il solo in
grado di emulare il Partito comunista sul terreno militare per efficienza e
audacia, di contendergli l'egemonia su quello etico-politico.
Va riconosciuto che a questo concorrono fattori di non secondaria
importanza. Le formazioni Gl costituiscono il nucleo piu' numeroso, piu'
combattivo e piu' compatto della Resistenza non comunista e c'e' chi
ipotizza il loro concorso al fine di fronteggiare i comunisti qualora essi
scendessero sul terreno rivoluzionario. Questo consente a Gl di accogliere
nelle proprie file uomini che appartengono ai ceti dirigenti inseriti in una
rete di efficienti ed efficaci solidarieta', quadri militari professionali -
il comandante della mia divisione e infine di tutta la zona Valtellina-Lario
era un tenente colonnello dei carabinieri, Edoardo Alessi, dichiaratamente
monarchico, caduto in combattimento alla immediata vigilia della
Liberazione - e di godere dei lanci di armi e viveri da parte degli Alleati,
generalmente negati alle formazioni comuniste.
Ma questo non basta a spiegare il fenomeno. La Resistenza giellista non ha
una dottrina che la cementi, non ha una ideologia radicata nelle masse ma e'
nel suo quadro dirigente pervasa da valori etico-politici di respiro
universale, che superano i limiti del patriottismo tradizionale e le
angustie di un acerbo classismo, che non hanno bisogno di propagande per
risultar veri perche' si saldano a esperienze e speranze di tutto un popolo,
ne esprimono le aspirazioni massicciamente diffuse alla pace, alla liberta',
alla giustizia, alla restaurazione della dignita' nazionale, alla conquista
di una solidarieta' permanente tra tutti i popoli d'Europa. Sotto la stessa
bandiera, nella breve stagione il cui autunno comincia gia' il 25 aprile,
possono cosi' militare accademici di altissima levatura di fede liberale
come Adolfo Omodeo e Guido De Ruggero e rivoluzionari professionali come Leo
Valiani, per lunghi anni comunista, passato per la galera, per la guerra di
Spagna, per il campo del Vernet, moderni illuministi, aperti alle piu'
audaci riforme - si troveranno parecchi di essi intorno al "Mondo" di Mario
Pannunzio - e intellettuali inquieti come Riccardo Lombardi, proveniente
dalla estrema sinistra cattolica, vicino nella cospirazione ai comunisti,
approdato a un suo originale socialismo, democratico e autonomistico, e
federalisti come Altiero Spinelli che conserva nella forma mentis e nel
temperamento i tratti del leninista che era stato...
(Parte prima - segue)

2. ET COETERA

Gaetano Arfe', figura illustre della sinistra italiana, e' deceduto nel
2007. Dal sito della Fondazione Turati (www.pertini.it/turati) riprendiamo
alcune stralci della scheda a lui dedicata: "Gaetano Arfe' e' nato a Somma
Vesuviana (Napoli) il 12 novembre 1925. Si e' laureato in lettere e
filosofia all'Universita' di Napoli nel 1948. Si specializzo' in storia
presso l'Istituto italiano di studi storici presieduto da Benedetto Croce,
con cui entro' in contatto fin dal 1942. Nel 1944 si arruolo' in una
formazione partigiana di "Giustizia e Liberta'" in Valtellina. Nel 1945 si
iscrisse al Partito socialista e divenne funzionario degli Archivi di Stato
intorno al 1960. A Firenze era gia' entrato in contatto con Calamandrei,
Codignola e il gruppo de "Il Ponte" e aveva collaborato con Gaetano
Salvemini alla raccolta dei suoi scritti sulla questione meridionale. Nel
1965 ottenne la libera docenza in storia contemporanea e insegno' a Bari e a
Salerno. Nel 1973 divenne titolare della cattedra di storia dei partiti e
dei movimenti politici presso la facolta' di Scienze Politiche
dell'Universita' di Firenze. Nel 1959 venne nominato condirettore della
rivista "Mondo Operaio", carica che conservera' fino al 1971. Dal 1966 al
1976 fu direttore dell' "Avanti!". Dal 1957 al 1982 fu membro del comitato
centrale e della direzione del Psi. Nel 1972 venne eletto senatore... Nel
1976 venne eletto deputato... Nel 1979 venne eletto deputato al Parlamento
europeo... Nel 1985 lascio' il Psi, motivando la sua scelta nel volumetto La
questione socialista (1986). Nel 1987 venne eletto senatore per la sinistra
indipendente. Ha scritto numerosi libri e saggi, tra cui la Storia
dell'"Avanti!" (1958) e la Storia del socialismo italiano 1892-1926 (1965)".
Dalla Wikipedia, edizione italiana (http://it.wikipedia.org), riprendiamo
per stralci la seguente scheda: "Gaetano Arfe' (Somma Vesuviana, 12 novembre
1925 - Napoli, 13 settembre 2007) e' stato un politico, giornalista e
storico italiano. Nel 1942, subito dopo la licenza liceale, entra a far
parte di "Italia Libera", un gruppo clandestino di ispirazione azionista e
viene presentato a Benedetto Croce da Ettore Ceccoli, editore e libraio ex
comunista e amico del padre. All'universita' conosce Giorgio Napolitano e
prende a frequentare giovani antifascisti. La polizia pero' lo tiene
d'occhio e i genitori lo mandano da uno zio a Sondrio. Giunto nella citta'
lombarda ai primi del 1943, collabora con alcuni azionisti che aiutano
prigionieri di guerra, perseguitati politici ed ebrei a varcare il confine
svizzero. Arrestato e tornato libero dopo alcune settimane, svolge attivita'
di collegamento tra il Cln di Sondrio e Milano e i partigiani della
Valtellina ai quali si unisce nel 1944 militando in una formazione di
Giustizia e LIberta' fino alla Liberazione. Dopo la guerra, nel 1945 si
iscrive al partito socialista, nel quale rimarra' fino al 1985, e ricomincia
a studiare. Laureatosi in lettere e filosofia a Napoli nel 1948, si
specializza in storia presso l'Istituto Italiano per gli Studi Storici
presieduto da Benedetto Croce. Negli anni Cinquanta, mentre e' funzionario
presso l'Archivio di Stato di Napoli, partecipa ad una manifestazione per la
pace organizzata dalla "Gioventu' meridionale" con l'appoggio del Pci, e per
questo viene trasferito d'autorita' a Firenze, dove entra in contatto con la
rivista "Il Ponte" e con personalita' dell'antifascismo quali Romano
Bilenchi, direttore del "Nuovo Corriere", Delio Cantimori, Cesare Luporini,
Piero Calamandrei e Tristano Codignola. Collabora inoltre con Gaetano
Salvemini alla raccolta degli scritti sulla questione meridionale. Dal 1965
e' libero docente di Storia contemporanea nelle Universita' di Bari e
Salerno. Nel 1973 diviene titolare della cattedra di Storia dei partiti e
movimenti politici presso la facolta' di Scienze politiche dell'Universita'
degli Studi di Firenze. Dal 1959 al 1971 e' condirettore della rivista
socialista "Mondo Operaio", e dal 1966 diviene direttore del quotidiano
socialista "Avanti!", alla cui guida restera' per dieci anni. Proprio a
causa delle inchieste sulle "trame nere" pubblicate sul giornale da lui
diretto, Arfe' e' vittima di un attentato terroristico che il 2 aprile del
1975 devasta la sua abitazione con un ordigno esplosivo, provocando il
ferimento di tre persone. Nel Psi fa parte del comitato centrale e della
direzione del partito dal 1957 al 1982; nel 1972 e' eletto senatore nel
collegio di Parma, e ricopre il ruolo di vicepresidente della Commissione
istruzione e poi della Commissione esteri, ed e' relatore della legge sui
Provvedimenti urgenti per l'Universita'. Nel 1976 e' eletto deputato nel
collegio di Parma-Modena-Reggio-Piacenza; entra nella Commissione affari
costituzionali e rappresenta il gruppo socialista nelle trattative sul
Concordato. Nel 1979 viene eletto deputato al Parlamento europeo per il
collegio Nord-est per le liste del Psi: e' relatore sul tema della politica
televisiva europea e promuove la Carta dei diritti delle minoranze etniche e
linguistiche. E' stato membro della Commissione per la gioventu', la
cultura, l'educazione, l'informazione e lo sport e della Delegazione al
comitato misto Parlamento europeo/Assemblea della Repubblica del Portogallo.
Ha aderito al gruppo parlamentare del Partito del Socialismo Europeo. La
Risoluzione del Parlamento europeo dedicata alla tutela delle minoranze
etniche e linguistiche, approvata il 16 ottobre 1981, e' anche nota come
"Risoluzione Arfe'". Nel 1986, in totale disaccordo col segretario Bettino
Craxi, lascia il partito socialista, e da' alle stampe lo scritto La
questione socialista, con cui motiva la fuoruscita dal Psi. Nel 1987, e'
eletto senatore nel collegio di Rimini come indipendente nelle liste del
Pci. Muore a Napoli il 13 settembre 2007 in seguito ad una crisi
respiratoria. Fra i suoi scritti piu' importanti: Storia dell'Avanti!,
edizioni Avanti!, Milano 1956-1958, ristampato a cura di Franca Assante,
Giannini, Napoli, 2002; Storia del socialismo italiano 1892-1926, Einaudi,
Torino 1965; Storia delle idee politiche economiche e sociali, (cura del V
volume, sull'eta' della rivoluzione industriale), Utet, Torino 1972; La
questione socialista: per una possibile reinvenzione della sinistra.
Einaudi, Torino 1986; I socialisti del mio secolo, a cura di Donatella
Cherubini, Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 2002; Scritti di storia e politica,
a cura di Giuseppe Aragno, La Citta' del Sole, Napoli 2005. Numerosi i suoi
scritti ed interventi su personaggi e tematiche di storia dei movimenti
politici, con attenzione anche alle vicende di Giustizia e Liberta',
dell'anarchismo, su momenti e personaggi minori della storia del movimento
operaio. Negli ultimi anni della sua vita ha collaborato con la rivista
online "Fuoriregistro". Opere su Gaetano Arfe': Ciro Raia, Gaetano Arfe'. Un
socialista del mio paese, Piero Lacaita editore, Manduria-Bari 2003". Molti
utili materiali sono nel sito www.amicidigaetano.ilcannocchiale.it

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 167 del 14 aprile 2008

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