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Minime. 424
- Subject: Minime. 424
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 13 Apr 2008 00:37:25 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 424 del 13 aprile 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Il 19 aprile a Bologna 2. Enrico Piovesana: Processi sommari 3. Enrico Piovesana: Guantanamo si e' spostata in Afghanistan 4. Enrico Piovesana: Il lager Usa di Bagram (2004) 5. Francesco Pistolato intervista Alberto L'Abate 6. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 7. Alcuni estratti da "Tra Oriente e Occidente" di Luce Irigaray 8. Sara Sesti presenta "La vita sullo schermo" di Sherry Turkle 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. INCONTRI. IL 19 APRILE A BOLOGNA Sabato 19 aprile, dalle ore 10 alle 17, a Bologna, nella sala sindacale della stazione ferroviaria, si terra' l'assemblea "per una rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza" promossa dai partecipanti al precedente incontro del 2 marzo realizzato a seguito dell'appello diffuso lo scorso febbraio da Michele Boato, Maria G. Di Rienzo e Mao Valpiana. Per informazioni e contatti coi promotori dell'iniziativa: Michele Boato: micheleboato at tin.it, Maria G. Di Rienzo: sheela59 at libero.it, Mao Valpiana: mao at nonviolenti.org 2. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: PROCESSI SOMMARI [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo dell'11 aprile 2008, dal titolo "Afghanistan, giustizia arbitraria" e il sommario "Processi sommari a porte chiuse su commissione della giustizia militare statunitense". Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter", per cui segue la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; e' stato piu' volte in Afghanistan in qualita' di inviato] Un rapporto dell'organizzazione statunitense Human Rights First denuncia che nel braccio D della prigione afgana di Pol-i-Charki, alla periferia di Kabul, si tengono processi sommari a porte chiuse agli ex prigionieri di Guantanamo e della base Usa afgana di Bagram. Processi-lampo, nei quali l'imputato, nel giro di 10-20 minuti, viene condannato a decenni di prigione sulla sola base delle discutibili prove fornite dalla giustizia militare statunitense. In molti casi, senza nemmeno la presenza di un avvocato difensore. Tutto questo, ironia della sorte, in virtu' di una legge speciale del codice penale afgano approvata nel 1987, durante l'occupazione sovietica. Alla faccia della riforma della giustizia afgana gestita dal governo italiano. * Prove inconsistenti, perfino per i tribunali militari di Guantanamo Dal 2002, l'amministrazione Bush ha condizionato l'estradizione dei detenuti di Guantanamo alla promessa che i "prigionieri di guerra" rimpatriati sarebbero stati processati nel loro Paese d'origine. La maggior parte degli Stati interessati, perfino gli alleati piu' fedeli come la Gran Bretagna, si sono sempre rifiutati, dicendo che le prove fornite dalla giustizia militare statunitense non avrebbero retto in nessun tribunale degno di questo nome. L'Afghanistan occupato dalla Nato e controllato dal governo filo-Usa di Karzai rappresenta la principale eccezione. "Le prove fornite ai giudici afgani dalla giustizia militare Usa sarebbero inammissibili non solo nei tribunali di uno Stato di diritto, ma perfino nei tribunali militari di Guantanamo", spiega Jonathan Horowitz, investigatore di Human Rigts First. * Il Pentagono prende le distanze, ma i giudici afgani confermano Sandra Hodgkinson, assistente per le politiche detentive del Pentagono, prende le distanze: "Questi non sono processi istruiti su richiesta del governo degli Stati Uniti: sono procedimenti istruiti dalla giustizia afgana per crimini commessi in territorio afgano". Ma il giudice afgano Rashid, intervistato da Human Rigts First, non e' di questo avviso: "Tutti questi processi sono stati preparati dai nostri amici americani, sulla base di informazioni fornite da loro che noi riteniamo della massima affidabilita'". * Un esempio delle prove "made in Usa" Rais Muhammad Khan e' stato arrestato al confine con il Pakistan nel 2006 perche' sospettato di aver preso parte a un fallito attentato suicida. Secondo la giustizia militare Usa, nonostante la totale mancanza di prove e testimonianze, Khan e' colpevole perche' avrebbe mentito alla macchina della verita'. Su questa base, l'imputato e' stato condannato a otto anni di prigione. Questi processi sommari sono gestiti dai servizi segreti afgani comandati da Amrullah Saleh, sotto la responsabilita' del direttore del braccio D di Pol-i-Charki, il generale Safiullah Safi. Dallo scorso ottobre questi processi sono stati 82, di cui 65 si sono conclusi con pesanti condanne detentive. Altri 120 sono in programma per i prossimi mesi. 3. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: GUANTANAMO SI E' SPOSTATA IN AFGHANISTAN [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 9 gennaio 2008, dal titolo "Guantanamo si e' spostata in Afghanistan" e il sommario "Camp Delta si svuota mentre la prigione Usa di Bagram, vicino Kabul, straripa di detenuti"] Anni di denunce e di battaglie condotte dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani di mezzo mondo hanno costretto l'amministrazione Bush a cedere sul lager di Guantanamo, ormai destinato alla chiusura e gia' oggi parzialmente svuotato. Una vittoria solo apparente, visto che lontano dai riflettori, in Afghanistan, il Pentagono ha nel frattempo ampliato quella che si puo' a buon titolo definire come "la madre di tutte le prigioni Usa della vergogna": il centro di detenzione militare statunitense di Bagram, a nord di Kabul, dove nel 2002 vennero sperimentate le tecniche d'interrogatorio successivamente esportate ad Abu Ghraib e nella stessa Guantanamo. Inizialmente usata come centro di detenzione temporanea dei prigionieri di guerra appena catturati in Afghanistan e Pakistan, in attesa del loro trasferimento oltreoceano a Guantanamo, Bagram, con la progressiva dismissione della prigione cubana, ha accumulato detenuti prendendo di fatto il posto del famigerato "Camp Delta" come centro di detenzione Usa in via definitiva. Se i detenuti di Guantanamo sono scesi dai 775 iniziali ai 275 di oggi, gli "ospiti" di Bagram sono progressivamente cresciuti fino agli attuali 630. * Torture e violenze sistematiche Nei mesi scorsi, la Croce Rossa Internazionale (Icrc), unica organizzazione ad avere un limitato acceso a Bagram, ha denunciato che nella "nuova Guantanamo" i detenuti vengono trattati peggio che nella vecchia, sottoposti a "trattamenti crudeli contrari alle Convenzioni di Ginevra". Gia' nel 2004, quando Bagram era ancora un piccola prigione, Human Rights Watch aveva denunciato le torture e le violenze, spesso letali, a cui i prigionieri vengono sottoposti in questo centro di detenzione: privazione del sonno, del cibo e della luce, isolamento completo dei detenuti, tenuti per giorni incappucciati, appesi per i polsi e violentemente picchiati a intervalli regolari. Emblematica la storia di Habibullah e Dilawar, 28 e 22 anni: il primo mori' il 4 dicembre 2002, appeso al soffitto della sua cella, per un'embolia polmonare dovuta ai grumi di sangue provocati dalle percosse ricevute; il secondo mori' sei giorni dopo in seguito a un infarto, anch'esso attribuito alle percosse. * Bagram, dove tutto e' iniziato A ideare questi sistemi "sperimentali" di interrogatorio nel 2002 fu il capitano Carolyn Wood, una soldatessa di 34 anni, comandante del plotone d'interrogatorio di Bagram, che nel gennaio 2003 venne premiata con una medaglia al valore per il suo "servizio eccezionalmente meritevole". Nel luglio del 2003, la "signora delle torture" e la sua squadra vennero trasferiti dall'Afghanistan all'Iraq con la missione di insegnare il "modello Bagram" ai carcerieri della prigione militare di Abu Ghraib, dove la Wood fece affiggere un cartellone d'istruzioni che prescriveva in maniera dettagliata il ricorso alle tecniche sperimentate a Bagram, compresa la sospensione al soffitto e l'utilizzo dei cani. L'estate scorsa l'esercito Usa ha lasciato il carcere di Abu Ghraib in mano agli iracheni. Buona notizia, almeno per le coscienze degli statunitensi. Ora il cerchio si chiude e tutto torna dove era iniziato, a Bagram, destinato a diventare il piu' grande lager statunitense del mondo. 4. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: IL LAGER USA DI BAGRAM (2004) [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 9 marzo 2004, dal titolo "Il lager Usa di Bagram" e il sommario "Dal rapporto di Human Rights Watch"] Gli ex detenuti nel campo di prigionia Usa della base militare di Bagram, raccontano i maltrattamenti fisici e psicologici cui sono stati sottoposti dai soldati americani. Privazione prolungata del sonno, divieto assoluto di parlare con chiunque, punizioni corporali e costrizione in posizioni dolorose, pestaggi, esposizione a temperature estreme, catene sempre ai piedi e umiliazioni di ogni genere. Tutte "tecniche comuni" confermate dagli ufficiali della base. Mohammed Naim e' stato arrestato nel marzo 2002 in un villaggio vicino a Gardez, nella provincia di Paktia, assieme ad altre quattro persone. "Ci hanno portati via in piena notte, in elicottero. Ci hanno legato le mani dietro la schiena con dei nastri di plastica e messo un cappuccio nero in testa. Per tutto il viaggio ci hanno tenuto i fucili puntati addosso. Appena atterrati alla base di Bagram, ci hanno buttati in un'altra stanza e costretti per ore faccia a terra. Poi mi hanno fatto alzare e mi hanno portato in una stanza. Qui mi hanno denudato, rasato barba e capelli e mi hanno fatto ristendere sul pavimento. Un soldato mi immobilizzava tenendomi uno scarpone pigiato sulla schiena. Poi hanno cominciato a farmi domande e a fotografarmi, mentre ero ancora nudo. Tutto nudo! Continuavano a chiedermi cose che non sapevo, a domandarmi se conoscessi i comandanti talebani, e io continuavo a rispondere che faccio il macellaio nel mio villaggio". Saif-ur Rahman e' stato arrestato nell'agosto del 2002. Lo hanno portato via dal suo villaggio nella provincia di Kunar in elicottero nella prigione di Bagram. Appena arrivato lo hanno spogliato e gli hanno fatto passare la prima notte in una cella frigorifera dopo averlo "lavato" con un getto di acqua fredda. Il giorno dopo lo hanno portato in catene in una stanza, sempre nudo. Qui i soldati Usa lo hanno fatto stendere faccia a terra sul pavimento, immobilizzandolo con una sedia. Poi e' cominciato l'interrogatorio, la cui dinamica e' stata raccontata da diversi ex-detenuti. Il prigioniero viene fatto stare in piedi, spesso nudo, per ore e ore, con un potente faro puntato in faccia. Solo dopo un'ora in cui l'interrogato riesce a rimanere perfettamente fermo e in silenzio, iniziano le domande. A ogni movimento o parola, i soldati "resettano l'orologio" facendo ripartire il conto dell'ora. L'interrogatorio e' estremamente duro. I militari urlano domande e insulti da dietro il faro e non di rado, se non ottengono le risposte desiderate, passano alle pressioni fisiche, cioe' calci e pugni. Ma sanno bene che le prime volte i prigionieri non parlano, e che prima bisogna "ammorbidirli" con un trattamento studiato nei minimi particolari. Tutti i detenuti intervistati dopo il rilascio da Bagram raccontano di essere stati tenuti sempre nudi e in catene, anche durante la notte. Notti insonni, dato che le celle in cui venivano stipati erano costantemente illuminate da luci molto forti e i soldati, ogni quarto d'ora, li svegliavano battendo sulle porte di metallo. Questa privazione del sonno durava per settimane. Di giorno i prigionieri, sempre tenuti in catene, tranne che per gli interrogatori, non potevano parlare tra loro ne' ai soldati, se non interpellati. Chi trasgrediva veniva incatenato per le mani ad una trave sopra una porta, rimanendo cosi' per ore con le braccia alzate sopra la testa: una punizione molto dolorosa secondo quelli che l'hanno subita. Roger King, portavoce militare della base di Bagram, conferma tutto. "Si', abbiamo notato che la prolungata privazione del sonno e' un modo efficace di ridurre l'inibizione dei detenuti a parlare, la loro resistenza a rispondere agli interrogatori. E lo stesso vale per il divieto assoluto di parlarsi tra loro: se lo fanno si danno coraggio e si sostengono, diventando troppo sicuri di loro stessi. Chi infrange questa regola, per punizione, viene costretto a stare in posizioni scomode per un po' di tempo". Altri ufficiali Usa della base, rimanendo anonimi, hanno confermato che i prigionieri vengono tenuti sempre in catene, anche quando dormono. Vengono liberati dai ceppi solo per gli interrogatori, durante i quali sono costretti a stare in piedi, in ginocchio o in altre posizioni che provocano dolore per ore, con un cappuccio nero in testa o occhiali oscurati con spray nero. Hanno confermato anche che i detenuti vengono privati del sonno o tenuti in condizioni di isolamento per tempi prolungati, o esposti a temperature estreme, caldo asfissiante di giorno e gelo di notte. 5. RIFLESSIONE. FRANCESCO PISTOLATO INTERVISTA ALBERTO L'ABATE [Ringraziamo Francesco Pistolato (per contatti: fpistolato at yahoo.it) per averci messo a disposizione la seguente intervista pubblicata sul "Messaggero Veneto" di Udine il 7 aprile 2008. Francesco Pistolato, studioso, docente, impegnato nel Centro interdipartimentale di ricerca sulla pace "Irene" dell'Universita' di Udine, e' coordinatore scientifico della Biblioteca di studi austriaci presso l'Universita' di Udine; si occupa di diffusione della lingua tedesca, della cultura austriaca e della cultura della pace; e' tra i promotori di un programma di cultura di pace all'interno delle universita' e delle scuole della macroregione Alpe Adria, comprendente il Friuli-Venezia Giulia, la Carinzia e la Slovenia; e' altresi' impegnato nell'Associazione Biblioteca Austriaca di Udine, che ha tra l'altro realizzato una mostra fotografica itinerante sulla Resistenza, gia' esposta in vari luoghi, tra cui la Risiera di S. Sabba di Trieste, e che e a fine 2005 e' stata esposta nella Gedenkstaette des Deutschen Widerstands di Berlino, ed e' visitabile in rete nel sito: www.abaudine.org/virtunascosta/virtu.htm Tra le opere di Francesco Pistolato: (a cura di), Per un'idea di pace, Cleup, Padova 2006; (a cura di), Die verborgene Tugend - La virtu' nascosta. Eroi sconosciuti e dittatura in Austria 1938-1945, Europrint Editore, Quinto di Treviso 2007. Alberto L'Abate e' nato a Brindisi nel 1931, docente universitario di sociologia dei conflitti e ricerca per la pace, promotore del corso di laurea in "Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti" dell'Universita' di Firenze, e' impegnato nel Movimento Nonviolento, nella Peace Research, nell'attivita' di addestramento alla nonviolenza, nelle attivita' della diplomazia non ufficiale per prevenire i conflitti; amico e collaboratore di Aldo Capitini, ha collaborato alle iniziative di Danilo Dolci e preso parte a numerose iniziative nonviolente; come ricercatore e programmatore socio-sanitario e' stato anche un esperto dell'Onu, del Consiglio d'Europa e dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'; ha promosso e condotto l'esperienza dell'ambasciata di pace a Pristina, e si e' impegnato nella "Campagna Kossovo per la nonviolenza e la riconciliazione"; e' portavoce dei "Berretti Bianchi" e promotore dei Corpi civili di pace. Tra le opere di Alberto L'Abate: segnaliamo almeno Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha, Torino 1985; Consenso, conflitto e mutamento sociale, Angeli, Milano 1990; Prevenire la guerra nel Kossovo, La Meridiana, Molfetta 1997; Kossovo: una guerra annunciata, La Meridiana, Molfetta 1999; Giovani e pace, Pangea, Torino 2001] - Francesco Pistolato: Parliamo di prevenzione dei conflitti: perche' si fa poco o niente per prevenire le guerre? - Alberto L'Abate: La prima ragione deriva da quella che chiamo la cultura militarista, inficiata dall'idea della cattiveria connaturata dell'uomo, cattiveria che e' stata smentita da ricerche scientifiche e dalla Dichiarazione di Siviglia, pure essa opera di scienziati; tuttavia continua a essere opinione comune che di guerra non se ne possa fare a meno. Un'altra ragione e' che la guerra serve a far vendere le armi a molti paesi, compreso il nostro. Il superamento del conflitto est-ovest fu seguito da un momento di disorientamento dei venditori di armi, tanto che esistono documenti, non smentiti ufficialmente, che indicano che ci si dovette dar da fare per trovare un altro nemico, poi identificato in Saddam. Anche la ricostruzione postbellica e' un grande affare. Invece per la prevenzione non si spende quasi niente. Secondo stime, nemmeno le piu' pessimistiche, il rapporto tra spese per la prevenzione e spese per la guerra e' di 1 a 10.000: dunque non si spende ad esempio per i corpi civili di pace, proposti da Alex Langer al Parlamento Europeo gia' nel 1995, ma non ancora realizzati, mentre si spende moltissimo per la guerra. La prevenzione e' studiata teoricamente, ma i decisori reali, gli Stati, non puntano sulla prevenzione, ma sulla guerra. * - Francesco Pistolato: Cosa sono i corpi civili di pace? - Alberto L'Abate: Sono corpi addestrati, professionali, con il compito di operare in maniera nonviolenta, facendo opera di mediazione, pacificazione e interposizione nonviolenta; questa in particolare funziona soprattutto se effettuata da persone interne al conflitto, coordinate con altre esterne al conflitto stesso. Poi molto importante dopo il conflitto e' la riconciliazione, alla quale non ci e' quasi mai dedicati: e' evidente che la guerra causa odi e difficolta' di dialogo, che occorre superare se si vuole veramente la pace. Qui gruppi di civili disarmati possono operare concretamente, come si rese conto il Generale Harbottle, che aveva scritto il primo manuale di peacekeeping delle Nazioni Unite, e che era il comandante dei Caschi Blu a Cipro. Egli, vedendo che il lavoro delle World Peace Brigades, che operavano in quella stessa isola, era piu' efficace nel superamento del conflitto di quello dei militari perche' riusciva a mettere insieme sia greci che turchi per ricostruire le case distrutte dai due eserciti, divenne un importante consulente delle Brigate di pace e dette vita, in Inghilterra, ad un noto Centro studi per la risoluzione Nonviolenta dei conflitti. * - Francesco Pistolato: Com'e' la legislazione in Europa in materia di corpi civili di pace? - Alberto L'Abate: In Europa piu' avanti di tutti sono i tedeschi, che finanziano, con cifre considerevoli, interventi civili attraverso il servizio civile di pace. La nostra legge ha creato un comitato consultivo per la difesa popolare nonviolenta, che pero' finora non ha funzionato e non si sa come possa evolvere. A livello europeo ci sono varie dichiarazioni del Parlamento sull'importanza della prevenzione e dei corpi civili di pace, ma il tutto si e' annacquato anche a causa delle difficolta' ad approvare una vera e propria Costituzione europea. Che io sappia e' stato finanziato solo uno studio di fattibilita'. * - Francesco Pistolato: Ci parli del suo tentativo di prevenire la guerra in Kosovo. - Alberto L'Abate: Trovammo una situazione di conflittualita' aperta e non dialogo, un muro tra le due parti. Proponemmo l'apertura di un'ambasciata di pace finanziata dagli obiettori alle spese militari italiane, che avesse il compito di studiare il problema e trovare possibili soluzioni: autonomia particolare come le Isole Aland: neutralita' non armata e protezione internazionale; era il 1995, discutemmo con tutti i leader albanesi compreso Rugova e con quelli serbi dell'opposizione - non con quelli del governo, che consideravano il tutto un problema interno. Milosevic avrebbe accettato i corpi civili di pace, come accetto' i verificatori, ma la comunita' internazionale avrebbe dovuto interessarsi prima della cosa, e invece non venne fatto nulla fino al conflitto. Gli albanesi dicevano: noi lottiamo con la nonviolenza, ma se la comunita' internazionale non ci sostiene, saremo costretti a ricorrere alla violenza, il che sara' la rovina, perche' i serbi hanno molte piu' armi, e cosi' e' successo. Con una politica di prevenzione la guerra in Jugoslavia si sarebbe potuta evitare. 6. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di' chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 7. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "TRA ORIENTE E OCCIDENTE" DI LUCE IRIGARAY [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Luce Irigaray, Tra Oriente e Occidente. Dalla singolarita' alla comunita', Manifestolibri, Roma 1997. Luce Irigaray, nata in Belgio, direttrice di ricerca al Cnrs a Parigi, e' tra le piu' influenti pensatrici degli ultimi decenni. Tra le opere di Luce Irigaray: Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975; Questo sesso che non e' un sesso, Feltrinelli, Milano 1978; Amante marina. Friedrich Nietzsche, Feltrinelli, Milano 1981, Luca Sossella Editore, 2003; Passioni elementari, Feltrinelli, Milano 1983; Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985; Sessi e genealogie, La Tartaruga, Milano 1987, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007; Il tempo della differenza, Editori Riuniti, Roma 1989; Parlare non e' mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991; Io, tu, noi, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Amo a te, Bollati Boringhieri, Torino 1993; Essere due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; La democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; L'oblio dell'aria, Bollati Boringhieri, Torino 1996; Tra Oriente e Occidente, Manifestolibri, Roma 1997; Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano 1997, 2000; In tutto il mondo siamo sempre in due, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2006; Preghiere quotidiane, Heimat, 2007; La via dell'amore, Bollati Boringhieri, Torino 2007; Oltre i propri confini, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007] Indice del volume: Introduzione; Il tempo della vita. Dalla specie al genere; Insegnamenti orientali; La via del respiro; La dialettica infinita del genere; La famiglia comincia a due; Avvicinarsi all'altro come altro; La differenza, principio di rifondazione della comunita'. * Da p. 101 La famiglia comincia a due Recentemente, in occasione di una presentazione del libro La democrazia comincia a due, un uomo e' intervenuto nel dibattito per dire che la famiglia incomincia a tre, e non a due. Non mi sento in accordo con simile affermazione. A mio parere, una famiglia nasce quando due persone, di solito un uomo e una donna, decidono di vivere insieme in un modo duraturo, come si dice "per sempre", cioe' quando decidono di "fondare un focolare" per usare un'antica parola che, in fondo, e' bella. Fondare un focolare significa stabilire una nuova dimora, creare una nuova casa, in particolare attorno a un centro spesso assimilato al fuoco domestico: luogo che serve a cucinare, a riscaldarsi, ad avvicinarsi, ecc. Cosi' si racconta che nel passato, in Grecia, la madre portava una fiamma del suo stesso focolare per accendere il fuoco domestico della figlia novella sposa. La famiglia, di fatto, non e' basata sul tre ma sul due. Farla incominciare a tre rischia di ridurla a quell'unita' indifferenziata che ha descritto Hegel, unita' nella quale l'uomo, la donna, il figlio o i figli, perdono o alienano ogni identita' propria, sia fisica che affettiva e giuridica, in un tutto cementato da una naturalita' di fatto gia' astratta e neutra. In questo tipo di organizzazione familiare, la promessa da parte di un uomo e di una donna di vivere insieme, in due, svanisce di fronte alla sottomissione dell'uomo, della donna e dei figli alle necessita' della riproduzione naturale, ormai legata alla riproduzione della societa' e dello Stato. La famiglia allora non e' fondata su un legame d'amore e di spiritualita' ma corrisponde a un insieme piu' o meno unificato attraverso la procreazione, la genealogia o filiazione, l'autorita' parentale, in particolare paterna, e il possesso di beni. * Da p. 112 Diventare genitori, diventare cittadini La generazione, di fatto, avverra' da se stessa quando la sovrabbondanza dell'amore vorra' frutti diversi dal divenire dell'uomo e della donna. Ma la generazione non deve imporsi come limite a priori dell'amore sotto pena di mutilare l'identita' dell'uomo, della donna, e del figlio. Non credo che la salvezza della famiglia possa limitarsi a considerare la semplice naturalita', almeno quella che oggi si ritiene tale, come sacra. Ho letto con stupore una simile affermazione proveniente da un responsabile religioso del livello piu' alto. Un tale discorso sembra pagano, e annulla la Storia, in particolare quella cristiana. Non e' la riduzione della famiglia alla sola naturalita' che la salvera', ma la cultura dell'unione fra l'uomo e la donna nel rispetto della loro differenza, cio' che implica che la natura divenga coscienza. Per essere due nell'amore, compreso quello carnale, bisogna in effetti che il corpo sia carne svegliata dalla parola, dalla coscienza. Bisogna che l'uomo e la donna abbiano una dignita' equivalente, e che cerchino insieme come alleare la natura e la spiritualita' attraverso le loro differenze di corpo e di soggettivita'. Se compiono cosi' la loro alleanza, non c'e' dubbio che l'uomo e la donna diventeranno cittadini preparati alla condivisione della vita comunitaria; la tappa piu' difficile per raggiungere un tale atteggiamento l'hanno gia' superata. Saranno anche preparati al compito parentale. La condivisione orizzontale fra l'uomo e la donna, la piu' necessaria, la piu' desiderabile ma la piu' difficile da realizzare, apre naturalmente e spiritualmente al rispetto degli antenati e all'accoglienza nei confronti delle future generazioni. Ma non conviene imporre come ostacolo prima cio' che avverra' da se stesso dopo. Il primo e principale compito per fondare o rifondare una famiglia e' il lavoro dell'amore tra un uomo e una donna che, in nome del desiderio, si propongono di vivere insieme in un modo duraturo, di alleare, in loro e fra loro, il sorgere o l'apparire dell'attrazione alla perennita' o eternita' dell'amore. * Da p. 115 Avvicinarsi all'altro come altro Siamo stati(e) educati(e) a fare nostro tutto cio' che ci piace, tutto cio' che e' vicino a noi, fa parte della nostra intimita'. Sia a livello della conoscenza sia a quello dei sentimenti facciamo nostro tutto cio' che accostiamo, che si avvicina a noi. Il nostro modo di ragionare, il nostro modo di amare corrisponde ad un'appropriazione. La nostra cultura, la nostra istruzione scolastica, vogliono che imparare e sapere equivalgano a far nostro attraverso strumenti di conoscenza capaci, lo crediamo, di apprendere, di capire, di dominare tutta la realta', tutto cio' che esiste, tutto quello che percepiamo con i nostri sensi e cio' che e' al di la' di essi. Vogliamo avere l'intero universo nella nostra testa, talvolta l'intero mondo nel nostro cuore. Non vediamo che un tale gesto trasforma la vita del mondo in qualcosa di finito, di morto in un certo senso, perche' il mondo perde cosi' la sua propria vita sempre estranea a noi, esterna a noi, altra da noi. Faro' un esempio. Se capissimo esattamente quello che fa la primavera, perderemmo probabilmente la contemplazione stupita davanti al mistero della crescita primaverile, perderemmo la vita, la vitalita' alle quali tale rinascita universale ci consente di partecipare senza che possiamo conoscere ne' controllare donde ci arrivino la gioia, la forza, il desiderio che ci animano. Ammesso che fosse possibile analizzare ogni elemento di energia che avviene nell'esplosione della primavera, ne perderemmo lo stato globale che proviamo quando siamo immersi(e) in essa con tutti i nostri sensi, il nostro intero corpo, la nostra anima. Questo stato, mi permettero' di dire: questo stato di grazia, che ci procura la primavera, lo conosciamo talvolta, per lo meno parzialmente, quando ci troviamo in un nuovo paesaggio, in una manifestazione cosmica straordinaria, in un ambiente che ci e' insieme percettibile e impercettibile, conosciuto e sconosciuto, visibile e invisibile. Siamo situati, in tal caso, in un'atmosfera, in un evento che sfuggono al nostro controllo, alla nostra competenza, alla nostra intenzione, al nostro stesso immaginario. La nostra risposta a tale "mistero" allora puo' essere la sorpresa, l'incanto, la lode, talvolta l'interrogazione, ma non puo' essere l'appropriazione, la riproduzione, la ripetizione. * La trascendenza irriducibile del tu Lo stato - fisico o spirituale - che produce in noi la primavera, certi paesaggi, certi fenomeni cosmici, puo' accadere all'inizio di un incontro con altri. L'altro ci commuove in tal modo nei primi momenti di un incontro, toccandoci in maniera globale, non conoscibile, non padroneggiabile. Poi, troppo spesso, lo facciamo nostro - o la facciamo nostra - attraverso la conoscenza, la sensibilita', la cultura. Entrando nel nostro orizzonte, nel nostro mondo, l'altro perde la stranezza della sua attrazione. La sua presenza ci circondava di un certo mistero, comunicandoci un risveglio sia corporeo sia spirituale, ma lo riconduciamo a noi, lo conglobiamo a nostra volta. Al limite, non lo vediamo piu', non lo udiamo piu', non lo percepiamo piu'. Fa parte di noi. A meno che non lo respingiamo. L'altro e' dentro o fuori. Non e' dentro e fuori, facendo parte della nostra interiorita' ma rimanendo anche fuori, esterno, estraneo a noi, altro. Svegliandoci con la sua alterita', con il suo mistero, con l'infinito (in due parole: con l'assoluto) che rappresenta per noi. E' proprio quando non lo conosciamo, o quando accettiamo che resti per noi non conoscibile, che l'altro ci illumina in qualche modo, ma di una luce che ci rischiara senza che sia possibile afferrarla, capirla, analizzarla, farla nostra. La totalita' dell'altro, come quella della primavera, ci tocca al di la' di ogni conoscenza, di ogni giudizio, di ogni riduzione a noi, al nostro, a cio' che ci e' in qualche modo proprio. In termini un po' eruditi, potrei dire che l'altro, l'altro in quanto tale, in quanto altro, esiste al di la' di ogni predicato attribuito da noi: non e' mai un questo o un quello assegnato a lui/lei da noi. E' proprio quando sfugge a ogni giudizio da parte nostra che l'altro emerge come un tu, sempre altro e inappropriabile dall'io. * Da p. 122 Rifondare la societa', la cultura sulla differenza sessuale, significa anche chiamare in causa in modo radicale le nozioni di proprio, di proprieta', di appropriazione che regolano le nostre consuetudini mentali, culturali e sociali. Implica imparare a rinunciare, al livello piu' intimo, piu' appassionato e carnale della relazione con l'altro, a ogni possesso, a ogni appropriazione per rispettare nella relazione i due soggetti, senza mai ridurre l'uno all'altro. Affermare che l'uomo e la donna sono realmente due soggetti diversi non corrisponde pertanto a rinviarli a un destino biologico, a una semplice appartenenza naturale. L'uomo e la donna sono diversi culturalmente. Ed e' bene che la cosa sia cosi': risulta da una costruzione diversa della loro soggettivita'. La soggettivita' dell'uomo e quella della donna si costituiscono a partire da un'identita' relazionale specifica all'uno e all'altro. Questa identita' relazionale si situa fra natura e cultura e assicura un ponte grazie al quale e' possibile andare dall'una all'altra rispettandole tutte e due. Questa identita' relazionale specifica e' basata su alcuni dati irriducibili. Ad esempio: la donna nasce da una donna, da qualcuno del suo genere, l'uomo invece nasce da qualcuno di un genere diverso dal suo. La donna puo' generare in se' come sua madre, l'uomo invece genera fuori di se'. La prima situazione relazionale e' dunque molto diversa per il ragazzo e per la ragazza. E costruiscono la loro relazione con l'altro in modo molto differente. La ragazza e' situata dall'origine in un rapporto fra soggetti dello stesso genere che l'aiuta a strutturare un rapporto con l'altro, piu' difficile da costruire per il ragazzo. Ma il soggetto femminile e' piu' vulnerabile perche' ospita l'altro in se': nell'amore, nella maternita'. La costituzione della soggettivita' per la donna implica che lei esca da un rapporto esclusivo con la medesima di se', e che sia capace di scoprire una relazione con un altro diverso da se' rimanendo pure se stessa. Le strategie dell'uguaglianza e dei separatismo non possono risolvere un simile problema. Cio' che puo' incitare la donna a divenire soggetto e' la scoperta dell'altro, l'uomo, come trascendente in modo orizzontale, e non verticale, rispetto a lei. Non e' la sottomissione, l'assoggettamento alla legge del padre che puo' consentire alla donna il divenire se stessa, in modo corporale e spirituale, ma il riconoscimento, nell'amore e nella civilta', dell'altro come altro. Questo divenire culturale della donna potra' in seguito aiutare l'uomo a diventare uomo, e non padrone e padre del mondo. 8. LIBRI. SARA SESTI PRESENTA "LA VITA SULLO SCHERMO" DI SHERRY TURKLE [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo la seguente recensione. Sara Sesti, insegnante di matematica, fa parte dell'associazione Donne e scienza e collabora con la Mathesis. Ha curato, per il centro di ricerca Pristem dell'Universita' Bocconi, la mostra "Scienziate d'Occidente. Due secoli di storia", e ha fatto parte della redazione delle riviste "Lapis" e "Il Paese delle donne". Ha pubblicato con Liliana Moro il libro Donne di scienza. 55 biografie dall'antichita' al duemila", Pristem - Universita' Bocconi, Milano 2002. Tiene i corsi di informatica della Libera Universita' delle Donne di Milano. E' una delle webmaster del sito www.universitadelledonne.it, per cui cura la ricerca delle immagini e le rubriche Scienza e tecnologie, Libri, Film, Mostre e Pensiamoci. Opere di Sara Sesti: con Liliana Moro, Donne di scienza. 55 biografie dall'antichita' al duemila, Pristem - Universita' Bocconi, seconda edizione 2002, ora nella nuova edizione ampliata Scienziate nel tempo. 65 biografie, Edizioni Lud, Milano 2008. Su Sherry Turkle dalla Wikipedia, edizione italiana, stralciamo il seguente profilo: "Definita come 'l'antropologa del cyberspazio', e' nata a New York nel 1948, ha studiato al Radcliffe College, con il Committee on Social Thought alla University of Chicago, si e' laureata in Sociologia ed in Psicologia della Personalita' presso l'Universita' di Harvard nel 1976, con una tesi dal titolo 'Psychoanalysis and Society: The Emergence of French Freud', ed e' psicologa clinica. Docente di Sociologia della Scienza nell'ambito del Programma su Scienza, Tecnologia e Societa' presso il Massachusetts Institute of Technology (Mit) e' anche membro della Boston Psychoanalytic Society, a Boston vive ed esercita la sua attivita' professionale. Consulente di psicologia del Department of Mental Health della Harvard University e co-presidente della Commission on Technology, Gender, and Teacher Education della American Association of University Women Educational Foundation, fa inoltre parte del Women Studies Steering Committee, del Massachussetts Women's Forum. Nota studiosa della cultura relativa ai mezzi di comunicazione informatici, analizza e studia le influenze psicologiche che il computer puo' avere nel sociale in rapporto alla costruzione dell'io individuale e alla percezione del mondo circostante; ha scritto in proposito alcuni saggi noti a livello internazionale come importanti punti di riferimento nell'ambito della sociologia per lo studio dei fenomeni virtuali legati al mondo digitale. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo La vita sullo schermo: nuove identita' e relazioni sociali nell'epoca di Internet, libro tradotto e pubblicato anche in Italia da Apogeo nel 1997; ha scritto inoltre numerosi articoli su psicoanalisi, sociologia e cultura, sugli aspetti relazionali tra individui e tecnologia. Ha ricevuto riconoscimenti sia in ambito accademico che extra-accademico: tra questi citiamo il Peter Livingston Award for Research in the Behavioral Sciences and Psychiatry (1975), il Matrix Award dalla Association for Women in Communications (1985), il Melcher Book Award da parte del Cambridge Forum per il libro Il secondo io. E' stata scelta come 'Donna dell'anno' da 'Ms Magazine' (1984), tra i '50 for the Future: the Most Influential People to Watch in Cyberspace' da 'Newsweek Magazine' (1995). Fa parte della 'Top 50 Cyber Elite' di 'Time Digital Magazine' (1997) ed e' una delle 'Boston's Top Wired Women' secondo Boston Webgirls. E' membro del Board of Incorporators dell''Harvard Magazine' e dell'Editorial Advisory Board di 'Science, Technology, and Human Values'. Tiene varie conferenze e corsi specialistici di cui ricordiamo: 'Identita' e Internet' (1996), 'Genere, tecnologia e cultura informatica' (1998)". Opere di Sherry Turkle: La vita sullo schermo, Apogeo, 1997] Sherry Turkle, La vita sullo schermo, Apogeo, 1997. * Negli ultimi dieci anni siamo andati incontro a grandi cambiamenti nel modo di usare e intendere il computer. Non si inviano piu' semplicemente comandi a una macchina, ma si dialoga con essa, si naviga in mondi simulati, si creano ambienti di realta' virtuale. L'interazione individuo-macchina non e' piu' a livello singolo, oggi milioni di persone interagiscono tra loro attraverso le reti telematiche che offrono la possibilita' di discutere, scambiare idee e sentimenti, assumere identita' appositamente create. Questo testo non si occupa di computer, ma piuttosto della gente e di come la macchina ci consenta di riconsiderare le nostre identita' nell'epoca di Internet. L'autrice, sociologa al Mit, esamina una serie di percorsi di confine, mentre racconta la storia dell'evoluzione che ha avuto l'impatto del computer sulle nostre vite psicologiche e sulle nostre concezioni della mente, del corpo, delle macchine. "La tendenza emergente, dice la Turkle, e' un nuovo senso di identita', decentrata e multipla". E ne descrive l'ascesa in campi quali progettazione di computer e intelligenza artificiale oltre che nelle esperienze di quanti popolano gli ambienti virtuali, ottenendo la piena conferma dell'enorme cambiamento in corso sul concetto di se', dell'altro, delle macchine e del mondo. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 424 del 13 aprile 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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