Nonviolenza. Femminile plurale. 174



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 174 del 10 aprile 2008

In questo numero:
1. Caterina Soffici intervista Anna Bravo (parte prima)
2. Nadia Fusini presenta "Disobbedienza" di Naomi Alderman

1. RIFLESSIONE. CATERINA SOFFICI INTERVISTA ANNA BRAVO (PARTE PRIMA)
[Dal sito www.festivaleconomia.it riprendiamo il seguente colloquio di
Caterina Soffici con Anna Bravo sul tema "Le relazioni sociali nella lente
della storia", svoltosi a Trento il primo giugno 2007.
Caterina Soffici (Firenze, 1967) e' giornalista; dal 1998 e' caporedattrice
della sezione Cultura del quotidiano "Il giornale"; laureata in Scienze
politiche ha iniziato la professione alla cronaca locale di Firenze,
scrivendo per "Repubblica" e per "Paese Sera"; a Milano dal 1990, ha
lavorato a "Italia Oggi" e poi ha partecipato alla nascita
dell'"Indipendente" di Ricardo Franco Levi; dal 1994 e' al "Giornale" dove
ha ricoperto vari incarichi, tra cui caposervizio della pagina di societa' e
capocronista; si e' occupata di politica interna, cronaca, societa' e
cultura; collabora con "Vanity Fair" e con la rivista "Zero".
Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha
insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e
genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non
omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni
nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha
diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione
nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle
storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza
in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni
culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della
verita'. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli,
Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991;
(con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della
deportazione dall'Italia,  Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone),
In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995,
2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999;
(con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne
nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra
Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia
contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna
2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008]

- Caterina Soffici: Per introdurre l'incontro odierno vorrei innanzitutto
presentare la relatrice. Anna Bravo e' una storica e docente universitaria,
che vive e lavora a Torino, dove ha insegnato storia sociale. Tra i suoi
numerosi interessi compaiono la storia delle donne, i temi della
deportazione e del genocidio, la resistenza armata e la resistenza civile.
Certo ricorderete la notevole risonanza che suscito' lo scorso anno un suo
intervento riguardo alla violenza negli anni Sessanta e Settanta, tema che
e' attualmente al centro degli studi della nostra ospite. Anna Bravo e' in
procinto di pubblicare un nuovo libro per l'editore Laterza, sul quale la
inviterei a spendere due parole prima di introdurre la relazione odierna.
- Anna Bravo: Colgo volentieri l'invito. Il libro cui sto lavorando non
ambisce a presentarsi come una storia dei movimenti. A questo studio, anche
per l'enorme quantita' di energie che richiede, dovrebbero dedicarsi le
giovani generazioni. Esorto quindi i piu' giovani ad occuparsi dello studio
di storie complessive. Io mi occupo piuttosto dell'analisi di singoli
problemi, tra cui l'amore, le relazioni personali, le politiche, letti in
un'ottica trasversale che si estende dal Sessantotto al femminismo, con uno
sguardo anche agli anni Settanta. Il libro, piu' che presentarsi come una
storia di quel periodo, tratta di questioni che mi stanno a cuore.
*
- Caterina Soffici: Non solo. Anna Bravo si occupa di relazioni sociali ma
la sua ricerca si e' distinta per un approccio diverso da quello degli
storici del potere o degli storici dell'economia. Del resto la storia puo'
essere analizzata da molteplici prospettive e questa considerazione
introduce l'argomento di cui si discutera' nell'incontro odierno.
Tra le pubblicazioni di Anna Bravo troviamo infatti libri propriamente
storici come In guerra senza armi. Storie di donne (1), assieme a Bruzzone;
I fili della memoria. Uomini e donne nella storia (2), scritto con Foa e
Scaraffia; o La storia sociale delle donne dell'Italia contemporanea (3),
pubblicati con l'editore Laterza; e si possono trovare anche opere che hanno
trattato argomenti che potremo definire piu' "frivoli", come il divertente
Il fotoromanzo (4), edito da Il Mulino, nella collana storica di Ernesto
Galli della Loggia. Proprio per questa sua capacita' Anna Bravo parla di
come spesso siano le relazioni sociali a provocare dei mutamenti nella
storia e addirittura a "scriverla". Non e' allora casuale che le sue
ricerche siano sempre state rivolte alla storia delle donne, le quali
raramente sono considerate parte della cosiddetta "storia ufficiale".
Vorrei quindi sentire l'opinione di Anna Bravo sulle diverse modalita' di
scrittura della storia. Tendenzialmente vi sono due impostazioni: da un lato
ci si puo' occupare della storia del potere, ossia della storia delle guerre
e di come le relazioni economiche influenzano certi cambiamenti storici.
Esiste poi un approccio alternativo, che studia le relazioni sociali intese
come elementi in grado di influenzare e determinare pesantemente l'andamento
della storia.
Per fare un esempio, dato che ci troviamo qui a Trento, vorrei chiedere ad
Anna Bravo se lo scoppio della Grande Guerra era inevitabile oppure se, in
presenza di relazioni sociali e personali diverse, la storia avrebbe potuto
essere diversa.
- Anna Bravo: In primo luogo vorrei ringraziare per l'invito, Caterina
Soffici per la gentile presentazione e il pubblico qui presente.
Effettivamente essendo qui a Trento e' interessante parlare della Grande
Guerra. Per decenni e' prevalsa una concezione della storia pesantemente
meccanicistica, secondo cui, in presenza di determinate condizioni, deve
necessariamente avverarsi una conseguenza precisa. In tale ottica si e'
sostenuto che l'omicidio di Sarajevo avesse costituito solamente un
pretesto, giacche' la situazione era talmente satura ed esplosiva che il
conflitto sarebbe scoppiato comunque. Rispetto ad una simile posizione, che
e' ancora oggi maggioritaria, occorre porsi degli interrogativi.
Prima dello scoppio della Grande Guerra c'erano state le due crisi
marocchine e le guerre balcaniche; e in entrambi i casi le situazioni erano
comunque roventi ma non erano sfociate in una guerra totale, che
coinvolgesse dapprima l'Europa intera e poi gli Stati Uniti. Probabilmente
erano stati messi in atto dei meccanismi tra diplomatici e tra monarchi, che
avevano evitato lo scoppio di un conflitto. Cio' non e' invece accaduto nel
1914. Inoltre, le condizioni che avrebbero reso ineluttabile la guerra nel
'14, forse presenti anche nel 1909 o nel 1912, non erano sfociate in un
conflitto grazie ad una rete di relazioni che si era tessuta, e che
riguardavano non solo la storia dal basso, ma anche quella che si crea ai
livelli piu' alti, attraverso una serie di dialoghi tra capi di stato e di
governo.
Un aspetto significativo della cecita' che ha caratterizzato la storiografia
e' che si sono scritti una gran quantita' di libri su come e' scoppiata la
Grande Guerra. Piuttosto, sarebbe interessante che venisse scritto un libro
sul perche' la guerra non sia scoppiata nelle occasioni precedenti,
riflettendo sulla rete di contatti tessuta nel tentativo di evitare il
peggio, anziche' insistere sull'interpretazione che si fonda sulla
competizione imperialistica per i mercati. Cio' non e' stato finora
possibile perche' siamo ancora ipnotizzati dagli eventi avvenuti e non si
indaga mai sugli eventi che sono stati evitati, nonostante questi, a mio
parere, presentino notevole interesse in ottica futura.
A me piace molto la storia analizzata "con i se e con i ma", perche' da'
l'idea di come le relazioni siano verticali e attraversino la societa', non
rappresentino soltanto la sua base.
*
- Caterina Soffici: Sulla storia scritta in questa prospettiva c'e' un
floridissimo filone, chiamato "ucronia", che si colloca a meta' fra la
fantascienza e la storia. In questi tipo di opere si ipotizzano scenari
diversi, quale ad esempio la prospettiva di un mondo successivo ad
un'immaginaria vittoria di Hitler. Questo filone comunque non e' alimentato
da storici, ma da scrittori di fiction, che creano, di fatto, dei romanzi di
fantascienza. Tornando al tema del nostro dialogo, cos'e' che stabilisce, in
definitiva, le relazioni sociali? Prevalgono i rapporti di potere o i
rapporti politici ed economici; ossia, quali sono le reti interpersonali che
interagiscono nelle relazioni sociali?
- Anna Bravo: Esistono una molteplicita' di tipologie di reti di relazione.
In prima battuta si puo' affermare che le relazioni sociali costituiscono
una sorta di corpi intermedi tra il cittadino e lo stato. Proprio questa
loro natura le ha rese molto temute dai totalitarismi, poiche' in una rete
di relazioni o in un gruppo intermedio si discute, si confrontano le
opinioni e si concerta un'azione, un agire sociale.
Come dimostra la storia del fascismo, del nazismo e del comunismo, il potere
da sempre ha cercato in ogni modo di infiltrarsi all'interno di questi
gruppi, di sciogliergli, di introdurvi una spia. Tutti questi esempi di
totalitarismo hanno perseguito tale obiettivo con un accanimento
straordinario, dimostrando che quanto e' stato a lungo trascurato da noi
storici, era invece assolutamente percepito dai dittatori, perfettamente
consci dell'importanza fondamentale delle relazioni sociali.
Le reti si articolano in diverse forme. Possono svilupparsi nell'ambito
familiare o parentale, nascere dai rapporti di lavoro, nella colleganza, nel
vicinato o nel quartiere. Si rilevano anche reti che si strutturano partendo
da legami nati a scuola, caratterizzate dall'essere visibili, abbastanza
forti, di genere maschile, quali ad esempio i Chicago Boys, di cui Wolfowitz
era un componente. Si tratta di gruppi che entrano in politica o nell'alta
amministrazione insieme e sono clan di potere molto forti e robusti, capaci
di manipolare le situazioni, nel bene e nel male.
Peraltro, non sempre le relazioni sociali sono contraddistinte da un valore
positivo. Possono essere funzionali sia a scopi progressivi sia a fini
regressivi. Pensiamo ad esempio alle donne, che a volte rivestono un ruolo
propulsivo che, poco a poco, diventa invece regressivo. In fondo ogni
individuo e' inserito nel meccanismo delle relazioni sociali e, se
osserviamo la nostra stessa vita, possiamo vederci talvolta al centro,
talvolta ai margini di questa ragnatela di rapporti.
*
- Caterina Soffici: Concordo. Soffermandoci sulla tematica storica, tra gli
episodi che Anna Bravo ha raccontato nei suoi libri, troviamo degli
accadimenti ritenuti "minori" dalla storia, dispersi tra i suoi risvolti
forse perche' nessuno li aveva studiati e divulgati. In molti dei suoi libri
ha scritto proprio di questa storia dimenticata, raccontando di personaggi e
figure che si inseriscono in questo discorso di relazioni sociali. Anna
Bravo mi raccontava in precedenza di un episodio dell'8 settembre, che
esplicita pienamente il senso di queste considerazioni.
- Anna Bravo: Per l'appunto, vi sono degli episodi che dimostrano
nitidamente come queste reti di relazioni, e in particolare alcune
personalita' al loro interno, abbiano un ruolo politico rilevante.
Amo raccontare la storia di una persona che non ho mai conosciuto, ma che
considero assolutamente una mia eroina. Si tratta di un episodio che risale
all'8 settembre 1943, in un'Italia brulicante di sbandati dell'esercito, che
tentavano disperatamente di sfuggire all'arruolamento coatto nelle leve
della Repubblica di Salo' e che, se trovati in divisa, venivano fucilati o
mandati nei lager nazisti. Questi ragazzi e uomini di leva avevano un
disperato bisogno d'aiuto. A Torino, una signora, operaia di mestiere, che
costituiva una figura centrale del suo quartiere ed era comunista piu' nei
sentimenti che nell'ideologia, intui' che la possibilita' di aiutare quei
ragazzi non poteva dipendere esclusivamente da una persona sola. Occorreva
preparare scarpe e vestiti civili, affinche' i fuggiaschi non venissero
riconosciuti nel loro cammino verso casa. La donna agi' come avrebbe fatto
un manager: raggiunse tutte le conoscenze del suo quartiere operaio, animato
da reti di relazioni, bussando alla porta di amiche, parenti, ma anche in
parrocchia e in un convento di suore (le relazioni che aveva intessuto erano
quindi le piu' diverse). In tal modo riusci' ad accumulare nella sua cantina
una grande scorta di vestiti e scarpe civili (spesso erano proprio le scarpe
a tradire i militari). Comincio' cosi' un "dopo 8 settembre" assolutamente
imprenditoriale. I soldati si passavano la voce e arrivavano in molti, e lei
e' riuscita in quel modo a rivestirne in quantita'. Un'azione siffatta
assume un significato politico. In primo luogo, questa signora salvo' delle
vite, e la politica dovrebbe occuparsi principalmente proprio di spargere la
minor quantita' di sangue possibile. In secondo luogo, muto' lo status degli
individui, dato che quando si indossa una divisa si e' militari e quando si
indossano gli abiti comuni si e' civili. Ella fece il contrario di quello
che fa lo Stato, che quando chiama un giovane a fare il militare trasforma
il civile in militare, mentre lei lo fa tornare civile.
Questa donna fu insomma artefice di un'azione bellissima, ma nota a pochi,
dato che la storiografia politica si fonda preferibilmente su categorie come
i partiti, le organizzazioni di massa e la linea politica. In questo senso
si puo' denunciare la cecita' della storiografia politica. Un tale episodio
e' stato riportato alla memoria grazie all'intervento di noi donne, tra
l'altro molto in ritardo, dato che ne sono venuta a conoscenza dal racconto
fattomi proprio dalla figlia della signora torinese. Ella ora non c'e' piu'
e non ha avuto alcun riconoscimento, come d'altronde molti altri.
*
- Caterina Soffici: Ad esempio, anche le suore si sono attivate molto per
salvare gli ebrei. Ci sono episodi interessanti della storia della
Resistenza, rimasti pressoche' sconosciuti, forse perche' sono stati
catalogati come antropologia o storia minore e non come storia vera e
propria. Anna Bravo, crede anche lei che questa catalogazione possa
costituire una chiave di lettura delle omissioni dalla storiografia
ufficiale di cui sta parlando?
- Anna Bravo: In parte si', particolarmente in Italia ed in Francia, dove e'
radicata le tendenza a considerare tutti questi episodi nel grande filone
dell'antifascismo che, pur essendo una parte consistente della Resistenza,
non la ricomprende per intero.
Vi furono delle suore di un paesino vicino a Torino, che con l'aiuto di un
medico, nascosero in una clinica psichiatrica numerose famiglie ebree.
Queste suore non erano ne' fasciste ne' antifasciste. Erano totalmente fuori
dalla politica: non si intende apolitiche, ma radicalmente su un altro
piano, come spesso sono o dovrebbero essere i religiosi. Essendo mosse dalla
pietas e non da motivazioni politiche, colsero il senso dell'ingiustizia che
veniva perpetrata e agirono.
L'aspetto problematico e' la comune tendenza ad analizzare la situazione
personale attraverso l'appartenenza o meno al fascismo. Sono queste
dicotomie che uccidono la storia della gran parte delle persone perche' non
sono catalogabili, non appartenendo ad un partito o a un gruppo politico in
senso proprio. La storia non si e' nemmeno resa conto della loro esistenza:
questa e' la cosa piu' grave.
*
- Caterina Soffici: Probabilmente uno dei settori in cui queste relazioni
personali e sociali ottengono qualche risultato e' quello dei movimenti
civili e della nonviolenza. Si puo' far riferimento ad esempio alle "black
mamas" oppure a tutti i movimenti per i diritti civili. Questo e' un tema
che interessa Anna Bravo e le sta molto a cuore.
- Anna Bravo: Mi ha molto interessato occuparmi di queste situazioni, che
evidenziano un tessuto di relazioni di base del sud degli Stati Uniti, che
rappresenta un circuito di auto-aiuto dei piu' poveri.
Figura centrale di tale circuito sono le black mamas, ossia madri di
famiglia quasi assimilabili a delle matriarche. Queste donne badano
all'educazione dei figli, si occupano della distribuzione degli aiuti,
beneficiandone esse stesse in caso di bisogno. Esse rappresentavano una
struttura decisamente vitale per la sopravvivenza di queste comunita' nere
del sud, che nei primi anni Sessanta erano discriminate e poverissime. Le
ragazze del nord che scendevano a sud impegnate nella campagna per i diritti
civili, si legavano molto alle black mamas, dato il loro rappresentare un
modello di donna magari non politicizzata, ma importante e attiva nella
comunita' e spesso ne prendevano esempio.
Altro aspetto che colpisce, anche se in senso negativo, e' che le dirigenze
dei movimenti per i diritti civili adottavano comportamenti molto simili a
quello dei Chicago Boys, il noto gruppo di economisti tra cui, come
ricordato in precedenza, Wolfowitz. Con cio' si intende che, mentre a
livello teorico il movimento per i diritti civili si dichiarava movimento
ugualitario, tendente ad una democrazia diretta e di base, che aveva
profonde radici religiose e teorizzava l'amore e l'uguaglianza fra tutti,
nella realta' dei fatti, le sue leve erano in gran parte in mano a piccoli
gruppi di amici che avevano studiato nelle stesse scuole, si erano legati
con rapporti d'amicizia, fraternita' e solidarieta', condividevano lo stesso
pensiero e, di fatto, ne costituivano informalmente il gruppo dirigente.
Erano un gruppo di persone che, di fatto, bloccava l'accesso e il ricambio
della leadership: ne facevano parte esclusivamente uomini, contraddistinti
da quella che la studiosa americana Jo Free chiama "la mentalita' da
spogliatoio". E' un modo di pensare che cresce all'interno di un gruppo di
uomini che, praticando sport, condividono un momento di affermazione del
corpo e di intimita' fisica in cui si parla e si scambiano idee. Quando
pero' entrano in politica queste persone, a prescindere dalle loro buone
intenzioni, si comportano in realta' come un'elite informale che, in quanto
tale, e' priva di sistemi di ricambio e di meccanismi di controllo e al
contempo detiene il potere decisionale. In questo senso tale rete di
relazioni, che assomiglia molto alle reti maschili dei nostri giorni, e' un
fattore che, se non si arriva a definire antidemocratico, rappresenta
perlomeno un momento di chiusura in se stessa della leadership.
*
- Caterina Soffici: Queste reti maschili con la mentalita' da spogliatoio,
di cui i Chicago Boys rappresentano un esempio eclatante, sono sempre
esistite. Il fenomeno dei Chicago Boys aveva precedenti nei club maschili
dell'800 o in quelli militari, contraddistinti da una mentalita' del tipo:
"ci fumiamo un sigaro e decidiamo senza le donne". A mio parere, il vero
interrogativo e' capire se, con i cambiamenti verificatisi soprattutto negli
ultimi cinquant'anni, con l'arrivo massiccio delle donne nel mondo del
lavoro, siano mutate le prospettive per la popolazione femminile. E'
interessante chiedersi se in Italia, nonostante rispetto alle altre nazioni
europee siano ancora poche le donne in posizioni di rilievo (veniamo persino
dopo la Turchia), si stiano creando delle relazioni femminili legate a
questi nuovi ruoli oppure se dobbiamo attendere cambiamenti piu' profondi.
Reti femminili che potevano influire sulla societa' esistevano gia'
nell'Ottocento, si pensi alle suffragette. Qual e' il pensiero di Anna Bravo
al riguardo?
- Anna Bravo: Per quanto riguarda il piano politico dei movimenti di donne,
ricordo le parole di una femminista francese, che lamentava con veemenza che
quelle che apparivano essere le teste pensanti, decidevano in una sorta di
"democrazia del telefono", cui partecipavano solo i gruppi elitari. Il
telefono e' strumento di democrazia ma anche di esclusione; pertanto la
critica alla democrazia del telefono, diretta da poche persone che si
conoscono, viene da gruppi di donne che non riescono a inventare nulla di
nuovo.
Nel settore lavorativo, invece, si sono manifestati esempi interessanti,
quali le numerose piccole cooperative che riescono a rimanere tali. Le
piccole cooperative spaziano tra le tematiche piu' diverse: un gruppo,
magari legato a correnti di pensiero di lunga data, si accorda per
costituire un asilo steineriano, altri gruppi si occupano di lavori di
artigianato o artistici. A mio parere e' interessante osservare come, dai
pochi dati in mio possesso, non si rilevino tentativi, da parte di queste
piccole aziende, di acquisire le dimensioni peculiari alla grossa
cooperativa. E' ipotizzabile che questo salto di dimensione non avvenga a
causa della penuria di finanziamenti, ma sembra altresi' chiara la volonta'
di rimanere all'interno del gruppo delle cooperative di piccola taglia: non
pare essere diffusa la tentazione di espandersi in misura sempre maggiore,
che e' una delle dannazioni del nostro tempo. Osserviamo, invece, donne
attive all'interno di una struttura che da' loro soddisfazioni e un guadagno
dignitoso, non oppresse dall'ambizione coatta ad ingrandirsi, a guadagnare
sempre di piu', a "contare" sempre di piu'.
Per conoscere qual e' effettivamente lo stato attuale, occorrerebbe svolgere
delle ricerche, probabilmente mai condotte prima, facendo un censimento
nelle citta', per raccogliere informazioni sufficienti.
*
- Caterina Soffici: A tal proposito e' degno di nota il fatto che in queste
reti di relazioni tra persone non sempre il parametro economico e' vincente.
Su queste cooperative occorre probabilmente approfondire l'indagine, ma e'
comunque ovvio come non sia la motivazione economica a portare le donne a
unirsi a fini cooperativi. Queste situazioni ricordano in un certo senso il
concetto del microcredito, coniato dal premio Nobel Yunus. E' in queste
situazioni che si inserisce la fiducia come elemento nuovo nelle relazioni
interpersonali.
- Anna Bravo: Yunus ha ottenuto questa onorificenza per il suo impegno per
promuovere la pace, ma viene naturale interrogarsi sul perche' non gli sia
stato assegnato invece il premio Nobel per l'economia. Egli e' un grande
banchiere, che ha fondato una rete di microcredito straordinaria, nonostante
comunemente non si riesca a capire che questa e' una formula di sviluppo
economico fondamentale. Ma il suo agire e' da banchiere, non da "anima pia".
Yunus, nonostante lo faccia con un interesse minimo, si occupa sempre e
comunque del prestito di denaro. L'elemento innovativo e' stato evidenziato
prima da Caterina Soffici e risiede nel rapporto tra il soggetto che chiede
denaro a prestito e la banca: fondamentale e' difatti la fiducia. Yunus ha
sostanzialmente effettuato una scommessa nel concedere dei piccoli crediti
sulla fiducia, per poi verificare l'esito dell'operazione. L'esito e' stato
assolutamente positivo. Sottolineo, peraltro, che il banchiere privilegiava
le donne nella concessione di questi microcrediti.
*
- Caterina Soffici: In questo senso mi collegavo al tema delle reti
femminili. Questo sistema e' rivoluzionario in quanto in qualsiasi altro
paese occorre possedere del denaro per ottenerne dell'altro in prestito; le
banche richiedono delle garanzie a fronte della concessione di un mutuo e
cio' e' una negazione, una follia. Invece il meccanismo del microcredito,
effettivamente tale in quanto spesso vengono prestati pochi dollari, si basa
semplicemente su una relazione tra il banchiere e il soggetto che chiede il
prestito, e che non puo' recare altro che la garanzia del proprio lavoro. Il
meccanismo si basa su una fiducia totale. Non dovrebbero nemmeno esserci
contratti scritti, ma conclusi solamente a parole.
- Anna Bravo: Come si diceva in precedenza, e' tipica di questi rapporti di
tipo sociale o privato, piuttosto che politico o pubblico, la fiducia
accordata a donne che chiedono a prestito pochi dollari. Nel Bangladesh e in
paesi con caratteristiche simili, una tale tipologia di prestito puo'
consentire di avviare una piccolissima azienda e risollevare la propria
condizione. Il progetto di Yunus ha avuto un effetto straordinario, anche se
a mio giudizio, come ho gia' affermato in precedenza, gli si sarebbe dovuto
attribuire il premio Nobel per l'economia, piuttosto che quello per la pace.
Dicevo poc'anzi che in tale sistema l'elemento fondamentale e' comunque la
fiducia basata sul rapporto tra persone. Non si puo' avere fiducia in
un'entita' astratta e, riagganciandomi al nostro discorso iniziale, si
intuisce come i totalitarismi temessero moltissimo le reti di relazione,
dove una delle modalita' per entrare in rapporto con l'altro e' proprio la
fiducia, in particolar modo nelle famiglie e nei circuiti parentali. I
totalitarismi erano terrorizzati dall'esistenza di luoghi dove si potesse
discutere e confrontarsi, ove le persone avevano fiducia l'uno dell'altro, e
ove ci si accingeva all'azione.
*
- Caterina Soffici: Volevo riportare l'attenzione sul discorso riguardante
le donne. Se abbiamo riconosciuto l'esistenza di reti di base, a livello di
potere, invece, queste reti di relazione non si sono ancora create.
Regolarmente, sui giornali, sui settimanali, anche femminili, e' diffuso il
tormentone sull'esistenza del "branco rosa"; in realta' si accavallano tutta
una serie di interventi e opinioni che portano alla conclusione che detto
"branco rosa" non esiste. Si sostiene che le donne non abbiano la capacita'
di crearsi delle reti di relazione, dato che da poco si cimentano
nell'utilizzo di questi strumenti, mentre gli uomini parrebbero possedere in
questo una grande abilita'. Questa e' una proposta di lettura del fenomeno,
ma potremmo anche affacciare l'ipotesi di una diversita' nella mentalita',
di una fondamentale mancanza d'interesse, di una tendenza a cimentarsi in
altre forme di relazioni personali. La tematica indubbiamente presenta
aspetti piuttosto problematici.
- Anna Bravo: Provo a esprimere qualche mia impressione in merito.
Non sono in grado di affermare se vi sia o no una vera differenza di
mentalita' tra uomini e donne. Indubbiamente le donne sono piuttosto diverse
tra loro e non e' facile che possa affermarsi il cosiddetto "branco" che,
del resto e' un'espressione spiacevole, non per ragioni stilistiche, ma
perche' evoca l'assenza di una struttura formale.
Nella mia giovinezza ritenevo che l'essere informali rappresentasse il
massimo della democrazia. Col passare degli anni, grazie alla lettura e
all'analisi, ho capito che in realta' la democrazia e' presente laddove
esiste una forma, che significa dibattito, ricambio della dirigenza, dei
capi, che sono conosciuti e possono essere sostituiti. L'idea del branco e'
probabilmente anche un modo di risolvere la questione della leadership, che
tra le donne e' pressante, data anche la cosi' lunga lontananza dal potere,
che ne complica pesantemente la gestione innovativa, quando lo si ha a
portata di mano.
Ritengo, pur affermando un concetto che puo' apparire tremendamente
estremista, che la permanenza in luoghi di potere nuoccia al libero
pensiero. Osservando il mondo circostante, di fronte alle affermazioni di
certe persone, mi chiedo se siano possibili tali aberrazioni, e mi convinco
che chiunque di noi, messo di fronte alle medesime scelte, agirebbe con
maggior buon senso. Il buon senso, d'altro canto, e' e rimane un elemento
fondamentale e assolutamente necessario. Mi interrogo quindi sul fatto se il
potere, non inteso in senso generale, ma ad esempio nella particolare
struttura italiana, non sia un elemento che grava sul libero pensiero delle
persone. Mi rendo conto della spinosita' della mia affermazione, che rasenta
veramente la teorizzazione dell'anarchia, intesa non come caos, ma come un
"non ordine" che presenta comunque, in qualche modo, delle modalita' di
rapporto.
*
- Caterina Soffici: Fino ad ora abbiamo parlato di esempi positivi di
relazioni sociali. Indubbiamente vi sono anche degli esempi molto negativi.
Per approfondire a fondo il tema della politica occorrerebbe soffermarsi a
lungo: sara' forse possibile occuparcene in seguito.
Vorrei ora aprire una breve parentesi su un interessante episodio narrato da
Roberto Saviano nel noto libro Gomorra (5), in cima alle classifiche lo
scorso inverno. Il libro del giovane scrittore campano e' una sorta di
inchiesta sui meccanismi che governano la camorra, che domina il territorio
nelle zone di Napoli e dell'hinterland napoletano. Nel libro di Saviano si
descrivono dei modelli di relazione tra i personaggi che costituiscono i
clan, in cui si capisce chiaramente quali sono i capiclan mafiosi. Questi
sono degli esempi di relazione nefasta: si tratta di associazioni criminali.
Nel libro si descrivono in maniera molto dettagliata le ramificazioni e le
modalita' con cui il capoclan esercita il suo dominio, attraverso un sistema
che non si fonda esclusivamente sulla paura e sulla minaccia. L'interesse
economico non e' l'unico elemento che sorregge il clan, benche' esso
rappresenti uno dei presupposti fondamentali. Il libro narra inoltre storie
molto curiose di donne che, a seguito dell'arresto o dell'uccisione del loro
marito, si troverebbero a diventare loro i capoclan e a gestire la
situazione conseguente, costituita da ricatti e minacce ai clan rivali.
L'essenza criminale di queste associazioni provoca un indubbio effetto
negativo, sulla cui portata non si e' ancora indagato appieno.
- Anna Bravo: Molti storici, tra cui molti anni fa anch'io, si erano illusi
che le relazioni costituissero la storia dal basso e che fossero
contraddistinte da un'intima bonta', in contrapposizione al potere cattivo.
Invece l'esempio descritto da Caterina Soffici dimostra chiaramente come la
bonta' delle relazioni dipenda dalle persone che entrano in relazione tra
loro e dai loro obiettivi. Assistiamo altresi' al verificarsi di fenomeni di
criminalita' come quelli cui si accennava poc'anzi, oppure situazioni di
violenza e controllo, perpetrati in particolare a danno delle donne.
La singolarita' e' rappresentata dalla struttura delle relazioni. Tale
struttura puo' essere finalizzata ad un'azione eroica: cio' che avvenne in
Danimarca nell'agosto del 1944, dove, attraverso reti di relazione dei
cittadini e delle istituzioni, furono salvati i 6.000 ebrei danesi,
trasferendoli tutti in Svezia, e' un esempio che dimostra come le reti di
relazione possano essere veramente eroiche. Sono particolarmente legata a
questo episodio, di cui tra l'altro Hannah Arendt tratta molto di frequente
ne La banalita' del male (6).
Se ne puo' trarre un insegnamento che ci porta a riflettere sul fatto che
quando si discute del contributo di un paese alla guerra, lo si fa in
riferimento al numero dei caduti; probabilmente occorrerebbe invece
concentrarsi sulle vite salvate. Se ci si dedica alla contabilita' del
sangue versato, se ne abbiano speso di piu' i russi, gli americani o gli
inglesi, si dovrebbero anche contabilizzare le vittime sfuggite a Hitler nei
casi in cui si e' mobilitato un intero paese, come nel caso della Danimarca.
Queste stesse reti di relazioni, cosi' progressive, democratiche,
coraggiose, a liberazione avvenuta si sono trasformate in una sorta di
soggetto vendicatore nei confronti delle ragazze che avevano fatto l'amore,
spesso innamorate, con i soldati tedeschi. Queste donne, non di rado molto
giovani, furono prese, rapate a zero e gli fu dipinta una svastica sul
cranio. Cio' evidenzia come nella medesima rete di relazione, possano
convivere due caratteristiche contraddittorie: da un lato quella
progressista, dall'altro il lato regressivo, terribile, violento, ingiusto.
In Danimarca non si arrivo' ad uccidere le ragazze, come invece avvenne in
Francia, ma cio' non cancella l'ingiustizia di quel trattamento.
*
- Caterina Soffici: Nell'esempio che lei cita, si trattava peraltro di una
rete di relazione composta dalle medesime persone.
- Anna Bravo: Si', spesso i soggetti erano gli stessi.
*
Note
1. Bravo A., Bruzzone A.M, In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945,
Laterza, Roma-Bari 1995.
2. Bravo A. Foa A., Scaraffia L., I fili della memoria. Uomini e donne nella
storia, Laterza, Roma-Bari 2000.
3. Bravo A., Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza,
Roma-Bari 2001.
4. Bravo A., Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003.
5. Saviano R., Gomorra. Viaggio nell'impero economico e nel sogno di dominio
della camorra, Mondadori, Milano 2006.
6. Arendt. H., La banalita' del male, Feltrinelli, Milano 1964.
(parte prima - segue)

2. LIBRI. NADIA FUSINI PRESENTA "DISOBBEDIENZA" DI NAOMI ALDERMAN
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo la seguente recensione tratta dal quotidiano "La Repubblica" del
4 gennaio 2008, col titolo "La figlia che visse due volte".
Nadia Fusini, nata ad Orbetello nel 1946, acuta intellettuale, fine
saggista, narratrice, traduttrice e curatrice di edizioni di classici,
docente universitaria (laureata in lettere e filosofia all'Universita' La
Sapienza di Roma nel luglio 1972 con Agostino Lombardo e Giorgio Melchiori
con una tesi sul tema dell'iniziazione nella letteratura del Novecento; dopo
un periodo di studi nel campo della letteratura americana negli Stati Uniti
presso le universita' di Ann Arbor e di Harvard, ha studiato Shakespeare e
il teatro elisabettiano presso lo Shakespeare Institute di Birmingham, in
Gran Bretagna; e' stata nel 1978-'82 professore incaricato di lingua e
letteratura inglese all'Universita' di Bari e dal 1982 ha la cattedra di
lingua e letteratura inglese all'Universita' La Sapienza di Roma; dal
2000-2001 insegna, oltre letteratura inglese, critica shakespeariana), e'
impegnata nelle esperienze del movimento delle donne. Opere di Nadia Fusini:
segnaliamo particolarmente (a cura di, con Mariella Gramaglia), La poesia
femminista, Savelli, Roma 1974; La passione dell'origine. Studi sul tragico
shakespeariano e il romanzesco moderno, Dedalo, Bari 1981; Pensieri di pace
e di guerra, Centro Virginia Woolf, Roma 1984; Nomi. Dieci scritture
femminili, Feltrinelli, Milano 1986, nuova edizione Donzelli, Roma 1996;
Due. La passione del legame di Kafka, Feltrinelli, Milano 1988; La luminosa.
Genealogia di Fedra, Feltrinelli, Milano 1990; B e B. Beckett e Bacon,
Garzanti, Milano 1994; La bocca piu' di tutto mi piaceva, Donzelli, Roma
1996; Due volte la stessa carezza, Bompiani, Milano 1997; Uomini e donne.
Una fratellanza inquieta, Donzelli, Roma 1996; Il figlio negato, Mondadori,
Milano; L'amor vile, Mondadori, Milano 1999; Lo specchio di Elisabetta,
Mondadori, Milano 2001; I volti dell'amore, Mondadori, Milano 2003; La bocca
piu' di tutto mi piaceva, Mondadori, Milano 2004; Possiedo la mia anima. Il
segreto di Virginia Woolf, Mondadori, Milano 2006. Ha curato traduzioni e
edizioni, tra gli altri, di testi di Mary Shelley, Keats, Ford, Shakespeare,
Wallace, Virginia Woolf (di cui ha curato l'edizione delle opere nei
Meridiani Mondadori).
Naomi Alderman e' una scrittrice inglese di origine ebraica. Opere di Naomi
Alderman: Disobbedienza, Nottetempo, 2007]

A scuola abbiamo studiato la retorica e la dialettica, e dunque gia' di
primo acchito di un titolo cosi', che ci affascina, riconosciamo
l'ambivalenza. Disobbedienza e' la prova d'esordio senz'altro notevole di
Naomi Alderman, appena pubblicata per Nottetempo (traduzione Maria Baiocchi,
pp. 373, euro 18). E' una figlia che racconta la propria fuga (per sempre) e
ritorno (temporaneo) alla casa e alla comunita' in cui e' nata. Il padre e'
rabbino di una comunita' ortodossa a Londra; da li' Ronit e' fuggita a New
York in cerca di un'esistenza libera; ma ora la morte del padre la obbliga
al viaggio di ritorno. Non puo' non tornare: e' in gioco un'eredita' che,
essendo il padre in vita, e' vero, aveva rifiutato; ma ora che il padre e'
morto il rifiuto si fa impossibile. A conferma che il padre e' la potenza
del nome, l'insistenza di un fantasma. L'esperienza stessa della scrittura
per la giovane scrittrice non a caso si radica nel grembo familiare. Siamo
in pieno romanzo famigliare, direbbe Freud. La protagonista e' orfana. In
prima battuta e' orfana di madre; il matricidio e' in effetti il primo atto.
Che rende il vincolo col padre ancora piu' esclusivo. Il secondo atto e' la
fuga. Il terzo e' il ritorno, ma per tradire ancora.
E' un romanzo di formazione, questo; dove al posto di Wilhelm Meister,
disobbediente, in aperto conflitto edipico con l'ingombro paterno, troviamo
una giovane donna. Chissa', mi sono detta, se la lettura di questo romanzo
svelera' il mistero dei misteri; e cioe', se per la figlia femmina del padre
e' diverso fare i conti con la sua presenza e con la sua assenza. E' la
questione centrale della "differenza" sessuale. Non che sia necessariamente
tema di questo romanzo. Ma senz'altro e' uno dei suoi contenuti. Se il
contenuto di idee di un romanzo e' interessante, tanto meglio: un romanzo
perche' non dovrebbe avere un contenuto, oltre che una bella forma? Se un
romanzo, oltre che piacevole, e' anche intelligente, perche' no? Anzi,
confessero' che sono i romanzi che preferisco, rispetto ai romanzi
artificiosi, magari ben congegnati dal punto di vista della cucina, ma
inerti. E quando dico inerti, intendo dire che la lettura e' anche
un'esperienza intellettuale, della mente. E se non la si impegna in
qualcosa, che abbia almeno la parvenza di un'esperienza nuova, la mente si
annoia. Noi che ci identifichiamo con le "genti del Libro" siamo coinvolti
nella lettura in modo profondo. E ci fa piacere essere scossi. Anche per
questo leggiamo, per provare altre emozioni, per allargare le nostre
esperienze, per delirare, per allucinare, addirittura. Non vogliamo affatto
essere confermati nelle nostre convinzioni, siamo aperti alle scosse del
nuovo.
E' per questo motivo, credo, che i romanzi di formazione ebbero e hanno un
enorme fascino. Raccontano l'esperienza della vita, sottolineano come certi
atti della vita quotidiana vadano letti. O meglio, tradotti. In fondo, uno
scrittore, una scrittrice fanno questo: traducono. Trasportano al senso
quell'esperienza muta di altri "indifferent children of the world" per dirla
con l'Amleto - di tutti gli anonimi, tutti i "nessuno" di cui e' composta la
popolazione del mondo. Ora, come si fa a essere qualcuno? Un modo e'
"disobbedire". L'atto di disobbedienza e' il gesto che segna una differenza.
"Fa" differenza. "No" - la parola piu' bella del vocabolario, la parola
"ablativa", come la chiamo' Emily Dickinson, suprema fra le disobbedienti -
da' gusto. Tutte noi (e parlo al femminile pour cause) lo sappiamo bene:
dis-identificarsi e' il primo gesto della ricerca di se'. Distinguersi dalle
attese, le prime fra tutte quelle parentali, e' necessita' ineludibile per
chi voglia individuarsi.
Nel romanzo Disobbedienza la protagonista lo fa. Una prima volta grazie alla
fuga. La seconda volta al ritorno, quando rompe l'omerta' e dichiara di
essere lesbica. Non e' neppure vero del tutto. Ma Ronit ha bisogno di
rompere. Ha bisogno di tradire. Non sopporta quella gente, la sua gente. E'
sua l'intolleranza. Lei attacca, aggredisce per aperta insofferenza. Lo fa
per colpire chi si adagia soddisfatto in un sentimento di comunita' secondo
lei fasullo. Perche' la verita', secondo lei, e' che il popolo ebraico "e'
un popolo ostinato, testardo e disobbediente". E proprio per questi carismi
lei sente di potersene fare la rappresentante piu' autentica; molto piu' dei
repressivi, rigidi, ipocriti, farisaici custodi della tradizione. Accanto
alla voce della protagonista, che dice io, in un efficace e regolare schema
di alternanza, c'e' un altro locutore che parla in terza persona:
naturalmente l'autrice: la quale pero' sente la necessita' di disporre
questo doppio registro linguistico. Comprendere questa necessita' e'
arrivare al cuore del romanzo, che in tale modo e forma esprime
l'incomponibile conflitto tra il singolo e la comunita'. Si badi bene: di
ogni comunita'. O perlomeno, di ogni comunita' monoteista - sia ebraica,
cristiana, islamica. Dove c'e' il padre che comanda.
Ecco l'intelligenza del romanzo: la sua urticante verita' consiste nel
rappresentare l'irresolubile, l'intransitabile aporia del romanzo di
formazione. Non c'e' disobbedienza che conti; il figlio, la figlia non
saranno mai liberi. Anzi, nel disobbedire non e' detto che non si leghino
ancora piu' stretti nel debito simbolico che li stringe al nome del padre in
una reazione coatta.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 174 del 10 aprile 2008

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