Voci e volti della nonviolenza. 165



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 165 del  5 aprile 2008

In questo numero:
1. Enrico Peyretti: Martin Luther King e Mohandas K. Gandhi
2. Et coetera

1. ENRICO PEYRETTI: MARTIN LUTHER KING E MOHANDAS K. GANDHI
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci
messo a disposizione il seguente intervento dal titolo "Martin Luther King e
Gandhi" e dal sommario "Un messaggio di Gandhi agli afro-americani; Gesu' e
Gandhi; La scoperta di Gandhi; Spiritualita' nera; Pacifismo non
superficiale; Il modello di Cristo reinterpretato; Religione e storia; La
condanna della guerra; Democrazia, violenza, guerra; Originalita' di Martin
Luther King; Parole ultime, supreme" predisposto per le iniziative delle
Chiese Battiste in Piemonte per il quarantesimo anniversario della morte di
Martin Luther King, iniziative che culmineranno a Torino l'11 aprile 2008]

Cerchero' di vedere, nel suo cammino di formazione, di pensiero e di azione,
il rapporto di Martin Luther King con Gandhi, l'influenza di Gandhi sul suo
spirito e sulla sua azione.
Ernesto Balducci scrive che il linguaggio dei  sermoni di Martin Luther Kimg
e' "piano, empirico, scevro da profondi concetti". Sembra una svalutazione,
ma, continua Balducci, essi "nascono da una sintesi profonda e svelano
inaspettate possibilita' storiche" (Presentazione, in King, La forza di
amare, Sei, Torino 1967, p. 14). Si potrebbe dire lo stesso dei discorsi,
conversazioni, lettere e articoli di Gandhi, anch'egli efficace comunicatore
diretto, piu' che scrittore, di calde verita' scoperte nell'esperienza.
Anche King come Gandhi potrebbe intitolare una sua autobiografia Storia dei
miei esperimenti con la verita'.
*
Un messaggio di Gandhi agli afro-americani
Si scopre subito un curioso casuale punto di contatto fra Gandhi e King:
Gandhi, nel 1929, attraverso una delegazione guidata proprio da Mordecai
Johnson (influente maestro di King), invia un messaggio agli afro-americani:
"Non lasciate che dodici milioni di neri si vergognino del fatto di essere
nipoti di schiavi. Non v'e' disonore nell'essere schiavo. C'e' disonore
nell'essere proprietari di schiavi. Ma non pensiamo in termini di onore o
disonore in rapporto al passato. Rendiamoci conto che il futuro e' con
quelli che vorranno essere veritieri, puri e amorevoli. Giacche', come gli
antichi saggi hanno detto, la verita' sempre e', la menzogna non e' mai
stata. L'amore soltanto vincola, e verita' e amore maturano solo per chi e'
sinceramente umile".
Molti afro-americani andavano in pellegrinaggio da Gandhi. Ad un altro
gruppo di loro, sei anni dopo, nel 1935, Gandhi chiese di cantare un inno
cristiano, che amava, Were you there when they crucified my Lord? Gandhi era
molto sensibile, come dimostro' anche nel suo passaggio a Roma nel 1931,
alla figura di Cristo crocifisso, che in quella occasione contemplo' nella
Cappella Sistina. Dopo quel canto, egli rimase un po' in silenzio, poi
disse: "Forse sara' attraverso il nero che il messaggio della nonviolenza
non adulterato sara' consegnato al mondo" (cfr. Gabriella Lavina, Serpente e
colomba. La ricerca religiosa di Martin Luther King, Edizioni Citta' del
Sole, Napoli 1994, pp. 290-291. Il messaggio di Gandhi del 1929 fu
pubblicato nel fascicolo di luglio 1929 di "The Crisis", periodico per la
promozione della gente di colore).
Non sembra forse, quel messaggio di Gandhi, un sermone di King? Egli infatti
"ne ripetera' il concetto, fino alla fine, quasi alla lettera" (Lavina, op.
cit., p. 310). Ma la coincidenza curiosa, si direbbe addirittura
provvidenziale e profetica, e' che King e' nato il 15 gennaio 1929, ed e' un
bambino di pochi mesi quando Gandhi, quasi come Simeone nel tempio col
piccolo Gesu' tra le braccia (Luca 2, 25-35), pronuncia queste parole ai
neri americani, come per investire Martin Luther King della sua missione,
per le vie invisibili dello spirito. Sono entrambi membri di una popolazione
assoggettata, privata di diritti, di indipendenza, di autonomia.
Accomuna i due personaggi la condizione di appartenenza ai poveri e
oppressi. King, nero, discendente da schiavi, e Gandhi, extraeuropeo, membro
di un popolo colonizzato, hanno in comune piu' di quanto li separa. Prima
del metodo di lotta per il loro diritto, prima della coscienza, della
cultura, della spiritualita', della forza della pazienza, hanno in comune la
condizione di partenza. E noi cristiani vediamo che quella condizione di
servo e' la condizione umana assunta dal Figlio di Dio: non solo l'umanita',
ma la condizione di servo: "Non stimo' un bene irrinunciabile l'essere
uguale a Dio, ma annichili' se stesso prendendo natura di servo, diventando
simile agli uomini; ed essendo quale uomo, si umilio' facendosi obbediente
fino alla morte e alla morte di croce" (Filippesi, 2, 6-8).
Il fatto che Dio assuma l'umanita' del sevo - scrive Raniero La Valle -
significa che "gli uomini considerati piu' lontani, piu' dissimili e
incommensurabili a Dio in questo mondo, proprio loro non si possono separare
dall'amore di Dio, (...) proprio loro, i servi, gli schiavi, i neri, gli
indigeni, le donne, i bambini, gli esclusi, gli esuberi, i poveri, i
profughi, sono i cittadini del regno" (Se questo e' un Dio, Ponte alle
Grazie, 2008, p. 158).
Appartenendo a popoli di servi, sia King che Gandhi, hanno questa
somiglianza col Cristo, e gli somigliano anche perche', nel servire i loro
popoli nel cammino della dignita', nel "pellegrinaggio alla nonviolenza",
anch'essi operano con un amore forte come la morte, che patiscono  entrambi,
ingiusta e violenta, a vent'anni di distanza l'uno dall'altro.
*
Gesu' e Gandhi
"Gesu' forniva lo spirito, Gandhi il metodo" (M. L. King, Stride toward
freedom. The Montgomery Story, 1958, p. 67; trad. ital. Marcia verso la
liberta', 1968). E' nota questa sintesi, per King, del rapporto tra Gesu',
il vangelo, la nonviolenza evangelica, e la lezione dell'esperienza di
Gandhi. Mentre gli autori afro-americani valorizzano in King la denuncia del
razzismo della societa' bianca, gli autori euro-americani identificano King
con la nonviolenza, intesa come ripudio della violenza. Per questi autori,
la nonviolenza sarebbe il frutto della tradizione sociale cristiana, e
precisamente della cultura teologica protestante di King, che avrebbe preso
il concetto da Gandhi, ma solo strumentalmente. Quella formula sintetica di
King su Gesu' e Gandhi darebbe ragione a questi autori.
Pero' la nonviolenza non e' automaticamente correlata al cristianesimo
storico, che ha trasmesso nella storia il messaggio di Gesu'. King e' un
cristiano che vive il suo cristianesimo nell'esperienza nonviolenta, che e'
gia' nell'evangelo ma e' chiarita, riscoperta, applicata alla politica e
alla storia, sviluppata nella pratica collettiva, rammemorata da Gandhi agli
stessi cristiani, i quali nella storia l'avevano largamente rinnegata (cfr
Lavina, op. cit., p. 38).
King dichiara, nel 1963, "Sono felice di dire che il movimento nonviolento
in America non e' derivato da forze secolari ma dal cuore della Chiesa Nera.
(...) I grandi principi di amore e giustizia che stanno al centro del
movimento nonviolento sono profondamente radicati nella nostra tradizione
giudaico-cristiana". Dice "dal cuore della Negro Church". Gabriella Lavina
ne deduce che "le fonti del pensiero di King non si esauriscono in quelle
incontrate in seminario" (p. 64). Nella tradizione giudaico-cristiana c'era
la radice, ma non c'era lo sviluppo, che e' avvenuto nella impresa dei
popoli schiavi di liberarsi dalla violenza evitando di cadere schiavi della
violenza.
Scrive King: "La tradizione religiosa del nero gli ha mostrato che la
resistenza nonviolenta dei primi cristiani ha costituito un'offensiva morale
di una tale devastante forza da far vacillare l'impero romano. La storia
americana gli ha insegnato che la nonviolenza, sotto forma di boicottaggi e
proteste, ha disorientato la monarchia britannica e posto le basi per la
liberazione delle colonie dall'ingiusta dominazione. E, nel corso di questo
secolo, l'etica nonviolenta del Mahatma Gandhi e dei suoi seguaci ha fatto
tacere le armi dell'impero britannico in India e ha liberato oltre 350
milioni di persone dal colonialismo" (testo citato in King, Il sogno della
nonviolenza. Pensieri, a cura di Coretta King, Feltrinelli 2006, pp. 76-77).
E scrive anche: "Noi abbiamo un potere, e' un potere che non si trova nelle
bottiglie molotov, ma noi abbiamo un potere. Un potere che non si trova
nelle pallottole o nelle pistole, ma noi abbiamo un potere. E' un potere
antico come la sapienza di Gesu' di Nazareth e moderno come le tecniche del
Mahatma Gandhi" (ivi, p. 71).
Dunque, Gandhi aiuta Martin Luther King non solo a riscoprire e valorizzare
le radici cristiane della nonviolenza, ma a capirla meglio correggendo un
modo errato di pensarla, come vedremo tra poco.
*
La scoperta di Gandhi
Quando parla della sua vita, a piu' riprese, Martin Luther King ne parla
come di un pellegrinaggio, e precisamente un "pellegrinaggio alla
nonviolenza". Con questo titolo King pubblico' in successive versioni un
testo autobiografico (apparso in italiano in due differenti versioni nel
volume citato La forza di amare, e nella rivista "Azione nonviolenta",
aprile-maggio 1968, poi, insieme a Lettera dal carcere di Birmingham, del
1963, nel n. 14 dei Quaderni di Azione Nonviolenta, Edizioni del Movimento
Nonviolento, 1993, dal quale cito). In esso, King riferisce dei suoi studi
superiori in teologia e filosofia, intrapresi nel 1948, delle ampie letture,
tra cui il Saggio sulla disobbedienza civile, di Thoreau (che gia' aveva
ispirato Gandhi; e attraverso Gandhi, King capi' Thoreau piu' come
trascendentalista che come anarchico; v. Lavina, op. cit., p. 240, 262-263);
lesse Marx, Nietzsche, gli utilitaristi, Hobbes, Rousseau.
Aveva sentito parlare di Gandhi, ma non lo aveva mai studiato seriamente,
quando, nella primavera del 1950 (Lavina, op. cit., p. 287), ascolto' a
Philadelphia un sermone del dottor Mordecai Johnson, che era appena tornato
da un viaggio in India e parlo' della vita e dell'insegnamento di Gandhi.
"Il suo messaggio era cosi' profondo ed elettrizzante che lasciai la
riunione e acquistai una mezza dozzina di libri sulla vita e le opere di
Gandhi", scrive King. "Fui profondamente affascinato dalle sue campagne di
resistenza nonviolenta". "Il mio scetticismo riguardo la potenza dell'amore
gradualmente diminui' e giunsi, per la prima volta, a capire la sua
efficacia nel campo della riforma sociale".
Aggiunge che, prima, credeva che l'etica di Gesu' fosse efficace soltanto
nei rapporti individuali, "ma, dopo aver letto Gandhi, vidi che ero
completamente in errore". "Gandhi fu probabilmente la prima persona della
storia ad elevare l'etica dell'amore di Gesu' al di sopra dei rapporti
individuali e a trasformarla in una forza sociale su larga scala, potente ed
efficace, (...) strumento potente per operare un mutamento sociale
collettivo". In Gandhi "scoprii il metodo per la riforma sociale, del quale
ero andato alla ricerca per tanti mesi". "Giunsi a sentire che questo era
l'unico metodo, moralmente e praticamente valido, a disposizione delle
persone oppresse nella loro lotta per la liberta'" (Pellegrinaggio alla
nonviolenza, pp. 21-22).
Nell'autunno dello stesso 1950, King fa una relazione su Gandhi in un corso
sulle "personalita' religiose", con una bibliografia notevolmente ampia, e
ne approfondisce la personalita' e il pensiero. Tuttavia, il suo interesse
per Gandhi non lo fa ancora impegnare, come altri studenti, in nessuna
organizzazione "pacifista" (Lavina, op. cit., pp. 286-287 e 308).
*
Spiritualita' nera
Restiamo un momento sulla figura di questo maestro di King, Mordecai
Johnson: predicatore battista, personalita' della cultura afro-americana,
conscio di dovere ricostruire una visione del mondo libera dai
condizionamenti della schiavitu', esprime la delusione degli afro-americani
al termine della prima guerra mondiale, ma non condivide atteggiamenti di
protesta radicale. Negli anni Venti aveva dichiarato: "Un piu' largo gruppo
tra noi crede nella religione e crede nei principi della democrazia, ma non
nella religione delliuomo bianco e non nella democrazia delliuomo bianco".
Egli e' persuaso che il credo schiavista e' il credo tacito dell'intera
nazione americana, e che "il nero non puo' aspettarsi di acquisire liberta'
economica, politica e spirituale in America". All'epoca, partecipava al
movimento per la fondazione della Republic of Africa. Anche la concezione di
Dio era contrapposta a quella dei bianchi: "un Dio che si oppone allo
sfruttamento e che ama tutta l'umanita'". I bianchi affermano i principi, ma
nella realta' li applicano per millimetri e con riluttanza. Mordecai Johnson
era persuaso della imminente sconfitta del colonialismo grazie a "un uomo
religioso in India che non conosceva violenza". L'abolizione della
segregazione avrebbe distrutto le fondamenta stesse della civilta' americana
e della supremazia bianca nel mondo, percio' era tanto paventata e impedita.
Un vero superamento del sistema non poteva venire dalla legislazione, ma da
convinzione morale e forza spirituale; non sarebbe bastato l'assenso della
maggioranza, ma occorreva un "salto" nella "qualita' dell'anima" (cfr.
Lavina, op. cit., pp. 288-290). E' evidente l'affinita' col sentire di King.
Grazie a queste correnti spirituali che incontra, King trova nella comunita'
afro-americana un interesse e una disponibilita' allo spirito di Gandhi.
*
Pacifismo non superficiale
King fa anche lui un viaggio in India nel 1959, per studiare le tecniche
nonviolente di Gandhi, ed e' ospite di Nehru. Scalzo, rende omaggio al
mausoleo di Gandhi, nel punto in cui fu eretto il rogo funebre, a Delhi
(strano errore quello di Lavina, che parla della "tomba" di Gandhi, a p.
62).
Continuando a narrare il suo "pellegrinaggio alla nonviolenza", King ci dice
di aver letto la critica che al pacifismo rivolgeva Reinhold Niebuhr (che
pure era stato presidente del Mir, Movimento per la Riconciliazione).
Niebuhr rifiutava il pacifismo soprattutto perche' esso "non era in grado di
rendere giustizia alla dottrina della Riforma sulla giustificazione per
fede, sostituendo ad essa un perfezionismo settario, che crede che 'la
grazia divina realmente solleva gli uomini fuori dalle immorali
contraddizioni della storia e pone l'uomo al di sopra dei peccati del
mondo'". Niebuhr giudicava che Gandhi avesse avuto buon gioco con gli
inglesi perche' questi possedevano una coscienza morale. Noi pero' sappiamo
che il dominio inglese fu anche assai duro, fino a casi estremi come la
strage di Amritsar (1919) e i bombardamenti dei villaggi (cfr Eknath
Easwaran, Badshah Khan il Gandhi musulmano, Sonda, Torino 1990, pp. 14-15):
il bombardamento aereo sistematico di obiettivi civili fu praticato dagli
inglesi, ben prima dei tedeschi a Guernica, su Kabul e Jalalabad nel 1919
dalla Royal Air Force, e su villaggi della Frontiera, sostenendo che con
quelle popolazioni non si poteva condurre la "guerra civilizzata". Alla
conferenza sul disarmo aereo, Ginevra 1933, non la Germania ma la Gran
Bretagna si oppose alla proposta di bando del bombardamento aereo su civili.
Dapprima confuso dalla critica di Niebuhr, King ne vide poi piu' chiaramente
gli errori, e scrive: "Egli interpretava il pacifismo come una specie di
non-resistenza passiva al male" e una "ingenua fiducia nel potere
dell'amore". Questo era un "grande fraintendimento", scrive King: "Il mio
studio di Gandhi mi aveva convinto che il vero pacifismo non e'
non-resistenza al male, ma resistenza nonviolenta al male. Fra  le due
posizioni c'e' enorme differenza".
Pero', Niebuhr influenzo' su diversi punti il pensiero di King, in maniera
costruttiva: egli riconosce che il grande contributo di Niebuhr consiste nel
"rifiuto del falso ottimismo" teologico nella concezione dell'uomo. Questo
aiuto' King "a riconoscere le illusioni di un superficiale ottimismo
concernente la natura umana, e i pericoli di un falso idealismo". Egli
vedeva che molti pacifisti "avevano un ottimismo infondato riguardo all'uomo
e tendevano inconsciamente verso l'ipocrisia". Per questo motivo King non
entro' mai a far parte di una organizzazione pacifista. Egli scrive ancora:
"Dopo aver letto Niebuhr, cercai di arrivare a un pacifismo realistico. In
altre parole, giunsi a considerare la posizione pacifista non senza peccato,
ma come il minor male nelle attuali circostanze. Sentii allora, e sento ora,
che i pacifisti troverebbero maggior consenso, se non affermassero di essere
liberi dai dilemmi morali che i non-pacifisti cristiani affrontano"
(Pellegrinaggio alla nonviolenza, pp. 22-23).
Concludendo questo testo con la descrizione di sei aspetti fondamentali
della nonviolenza, King dimostra di avere studiato e compreso a fondo lo
spirito e i metodi di Gandhi, che vede in armonia con l'agape cristiana,
l'amore fino ai nemici (ivi, pp. 25-28).
Quando ancora, negli anni '50, King e' occupato nell'approfondimento del
pensiero di Niebuhr, incontra quel suo interrogativo, confermato dalla
storia, relativo alla Realpolitik: "Se per distruggere una forza [un
egoismo] ce ne vuole un'altra [altri egoismi], che garanzie ci sono che la
seconda forza possa essere resa piu' morale della prima?". Niebuhr si
accontenta della proposta di contenere la coercizione necessaria nei limiti
minimi compatibili con i fattori morali e razionali. King, avvicinandosi a
Gandhi, comprende che il problema si sposta dal dilemma irrealistico
coercizione/persuasione a quello "tra coercizione violenta e coercizione
nonviolenta" (cfr Lavina, op. cit., pp. 353-354). La nonviolenza, infatti,
e' una forza, e' anche una forza che piega e costringe l'avversario. Ma e'
una costrizione che non infligge sofferenza ingiusta, non viola la liberta'
altrui, ma certamente preme sull'oppressore col rendergli, mediante la
resistenza, piu' costosa la continuazione dell'oppressione che il suo
abbandono o attenuazione (v. il mio Esperimenti con la verita'. Saggezza e
politica di Gandhi, Ed. Pazzini, 2005, pp. 48 e 51-52, e Giuliano Pontara,
Il pensiero etico-politico di Gandhi, saggio introduttivo a Gandhi, Teoria e
pratica della nonviolenza, Einaudi 1996, pp. CII-CIV). Questa e' la
coercizione nonviolenta, che non e' una violenza mascherata, non e' affatto
costringere l'avversario a fare la mia volonta' per mezzo della sofferenza
che gli infliggo; e' invece mettere l'avversario nella condizione di vedere
che, se infligge a me sofferenza ingiusta, anche lui deve incontrare un
costo, un prezzo, che gli conviene evitare. La parte che lotta per la
giustizia resiste all'ingiustizia  accollandosi la sofferenza invece di
infliggerla; ma cosi' il dominare e far soffrire uno che non subisce
passivamente, fa spendere piu' energia e mezzi al dominatore, fino a
indurlo, per convenienza se non per coscienza, a scendere a patti e
negoziare una relazione meno ingiusta o piu' giusta.
*
Il modello di Cristo reinterpretato
L'affinita' "intima, e non presuntuosa o 'strategica'" tra King e Gandhi si
era stabilita sulla base di una reinterpretazione del modello di Cristo: non
piu' il modello della acquiescenza umile e passiva, della sua disposizione
alla sofferenza (Lavina, op. cit. p. 295). Secondo il teologo Howard
Thurman, frequentato da King, le chiese cristiane avevano "tradito gli
ultimi, con la loro enfasi sul paradiso, il perdono, l'amore e simili".
Addirittura, diceva che "trovava molto poco di significativo o intelligente
negli insegnamenti della chiesa concernenti Gesu' Cristo".
Thurman aveva personalmente chiesto a Gandhi: "Qual e' il piu' grande
ostacolo che Gesu' ha in India?". E Gandhi aveva risposto "istantaneamente":
"Il cristianesimo" (Lavina , op. cit. p. 297). E' noto che Gandhi, profondo
ammiratore di Gesu', era convinto che il cristianesimo ortodosso "ha
travisato il messaggio di Gesu'. (...) Quando ebbe l'appoggio di un
imperatore romano, esso divento' una fede imperialista, quale rimane
tutt'ora. Naturalmente ci sono nobili seppur rare eccezioni, ma
l'orientamento generale e' quello che ho indicato" (Gandhi, Antiche come le
montagne, Edizioni di Comunita', 1965, p. 83). Thurman possedeva una lettera
di Gandhi indirizzata a Muriel Lester, nella quale leggeva lo stesso
atteggiamento di "completa e devastante sincerita'", di devozione alla
verita', che fu di Gesu' col discorso del "si' se e' si', no se e' no",
senza modifiche ne' aggiunte.
Sicuramente Gandhi ha, come Gesu', la capacita' di soffrire per gli altri e
di testimoniare con questa forza coraggiosa la verita' del suo messaggio,
ma, contro ogni collaborazione passiva al male, esorta a ribellarsi anche
con la violenza piuttosto che subire l'ingiustizia, ma ricorda sempre che
c'e' una terza migliore possibilita', che e' la forza della nonviolenza. In
prima istanza deve esserci la risposta attiva al male, in seconda istanza
deve esserci la scelta della risposta nonviolenta invece che violenta (cfr.
Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Pisa
University Press, 2004, pp. 287-288). King ha insegnato e ha vissuto il
coraggio di saper soffrire per la giustizia, insieme alla franca
"assertivita'", come viene definito l'atteggiamento che Erich Fromm chiama
"aggressivita' benigna", azione costruttiva, differente dalla aggressione
maligna, distruttiva (cfr. tutta la terza parte di Anatomia della
distruttivita' umana, Mondadori 1979).
Il "potere su se stessi" e' l'insegnamento piu' forte che Thurman raccoglie
da Gandhi, e che, attraverso la mediazione gandhiana, vede anche piu'
lucidamente in Gesu'. La coscienza interiore di Gesu', la sua totale
comunione con Dio, sono quel "potere di", e non "potere su" qualcun altro,
che gli consente di resistere alle tentazioni, di sostenere la sua missione
fino al coraggio di morire per amore, di amare totalmente l'umanita' e la
verita'. Cosi', come scrive Benjamin Mays (un'altra personalita' influente
su King), se anche si volesse giudicare fallita la campagna nonviolenta di
Gandhi, "il fatto che Gandhi abbia dato alle masse indiane una nuova
concezione del coraggio, nessuno puo' onestamente negarlo. Disciplinare la
gente a guardare in faccia la morte, a morire, ad andare in carcere per la
causa, senza paura e senza ricorrere alla violenza, e' un risultato di prima
grandezza. E quando una razza oppressa smette di avere paura, e' libera. I
principi cardinali della nonviolenza sono amore e impavidita'" (cfr Lavina,
op. cit., p. 307).
Analogamente, scrive Galtung: "Una rivolta del tipo auspicato da Gandhi ha
inizio dall'acquisizione di un forte potere su se stessi, e la chiave e' il
rispetto di se stessi, connesso con un forte sistema di credenza" (Johan
Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele, 1987, p. 175, citato da Lavina,
p. 373).
A questi aspetti cruciali dell'insegnamento e dell'esperienza di Gamdhi,
Martin Luther King mostrera' di consentire profondamente, anzitutto con le
sue decisioni, le azioni personali e gli incoraggianti esempi agli altri,
poi anche in alcune grandi pagine, come, per esempio, il capitolo "Antidoti
per la paura", ne La forza di amare (gia' citato), e, in questo stesso
libro, quella specie di intimazione d'amore agli avversari: "Noi faremo
fronte alla vostra capacita' di infliggere sofferenza con la nostra
capacita' di sopportare le sofferenze, andremo incontro alla vostra forza
fisica con la nostra forza d'animo. Fateci quello che volete e noi
continueremo ad amarvi. (...) Ma siate sicuri che vi vinceremo con la nostra
capacita' di soffrire. Un giorno, noi conquisteremo la liberta', ma non solo
per noi stessi: faremo talmente appello al vostro cuore e alla vostra
coscienza che alla lunga conquisteremo voi, e la nostra vittoria sara' una
duplice vittoria" (La forza di amare, p. 87).
Quando traccia un bilancio dell'esperienza di Montgomery, King intreccia
costantemente l'insegnamento di Gandhi con quello di Gesu'. Sempre piu'
chiaramente, ai suoi occhi, l'amore di cui parlo' Gesu' si e' andato
identificando con la nonviolenza e la disponibilita' al sacrificio di Gandhi
(cfr. Lavina, op. cit., p. 557).
*
Religione e storia
Abbiamo visto, dunque, che l'interesse per Gandhi aveva radici profonde
nella comunita' afro-americana, e che King lo mutua anzitutto dal suo
ambiente, anche se vi aggiunge un'attenzione viva e personale. Ma solo piu'
tardi, nel vivo dell'azione diretta, questo impatto verra' alla luce piu'
pienamente, e sara' pienamente compreso dallo stesso King. Da Gandhi si
sente affascinato. Ne studia le campagne sudafricane, poi le lotte indiane.
Dichiara "profondamente significativo" per lui il concetto di Satyagraha
che, eguagliando verita' (satya) e amore, egli traduce immediatamente in
"forza della verita', ovvero forza dell'amore", espressione sua
caratteristica. Come abbiamo gia' sentito, riconosce in Gandhi "la prima
persona nella storia ad elevare l'etica dell'amore di Gesu', al di sopra
della semplice interazione tra individui, a forza sociale potente ed
efficace su una larga scala. Per Gandhi l'amore era uno strumento potente
per la trasformazione sociale e collettiva". Dice che grazie a Gandhi
scopri' "nell'amore e nella nonviolenza (...) il metodo per la riforma
sociale di cui ero stato alla ricerca per tanti mesi" (Cfr. Lavina, op.
cit., p. 319 e 338).
"Qualsiasi religione che professa l'interesse per le anime degli uomini e
non per le condizioni sociali ed economiche che sfregiano l'anima, e' una
religione spiritualmente moribonda in attesa del giorno della sepoltura. E'
stato affermato giustamente: 'Una religione che finisce con l'individuo,
muore'" (Pellegrinaggio alla nonviolenza, p. 18).
"Io non riesco a vedere alcun conflitto tra la nostra devozione a Gesu'
Cristo e la nostra azione presente. In effetti, io vedo una relazione
necessaria. Se si e' veramente devoti alla religione di Gesu' si cerchera'
di liberare la terra dai mali sociali. Il vangelo e' sociale tanto quanto
personale. Stiamo soltanto facendo in tono minore quello che Gandhi fece in
India, e certamente egli e' considerato da molti un santo" (Stride toward
freedom, citato, p. 98; in  Lavina, p. 477).
*
La condanna della guerra
Sappiamo che King passo', nell'ultimo periodo, dalla lotta per i diritti
civili dei neri, alla condanna della guerra, che era allora la guerra del
Vietnam. Probabilmente fu questo che gli costo' la vita. In un discorso del
4 aprile 1967, un anno esatto prima di essere ucciso, diceva di condurre "un
processo appassionato alla mia amata nazione", di essere "costretto a vedere
sempre piu' nella guerra il nemico diretto dei poveri", di dover denunciare
"il piu' grande produttore di violenza del mondo d'oggi: il governo della
mia stessa nazione". Il problema era "salvare l'anima dell'America".
Ripercorre la storia del Vietnam, fino al momento presente, in cui "siamo
stati vittime della nostra omicida arroganza occidentale, che avvelena da
tanto tempo la scena internazionale". "Il vero senso, il valore reale della
compassione e della nonviolenza e' aiutarci a comprendere il punto di vista
del nemico, ascoltare le sue ragioni, conoscere il modo con cui ci giudica".
"Siamo noi che abbiamo cominciato la guerra. Sta a noi prendere l'iniziativa
per fermarla. (...) L'immagine dell'America non sara' mai piu' l'immagine
della rivoluzione, della liberta' e della democrazia, ma della violenza e
del militarismo". "Un'autentica rivoluzione dei valori significa, in ultima
istanza, che le nostre fedelta' debbono divenire ecumeniche, e non
semplicemente parziali, perche' e' sviluppando una fedelta' primordiale
all'umanita' tutta intera che le nazioni preserveranno il meglio della loro
originalita'" (Martin Luther King, Oltre il Vietnam, La Locusta, Vicenza
1968, pp. 9, 11, 14, 19, 27, 32, 45).
*
Democrazia, violenza, guerra
In queste parole molto gravi di King si vede pure l'influenza implicita di
Gandhi.
Sulla "vera democrazia" Gandhi aveva scritto il 12 novembre 1938: "La
democrazia e la violenza non possono coesistere. Gli stati che oggi sono
formalmente democratici, o sono destinati a divenire apertamente totalitari,
oppure, se vogliono divenire veramente democratici, devono avere il coraggio
di divenire nonviolenti" (Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza,
citato, pp. 270-271).
Nell'appello del 7 luglio 1940 aveva proposto all'Inghilterra, aggredita
dalla Germania nazista, un coraggioso metodo alternativo di resistenza
nonviolenta, che non avrebbe comportato la contaminazione ma la piu'
radicale resistenza al nazismo: "Voi volete eliminare il nazismo, ma non
riuscirete mai ad eliminarlo adottando i suoi stessi metodi. (...) La guerra
non puo' essere vinta in altro modo. In altre parole voi dovrete divenire
piu' crudeli dei nazisti", se vorrete contrastarli con la guerra (ivi, pp.
248-251).
E prima ancora, il 18 maggio dello stesso 1940, con un severo giudizio che
non si puo' liquidare in fretta, Gandhi affermava cio' che e' piu' grave,
cioe' che questa contaminazione non e' soltanto l'effetto della guerra, ma
e' gia' nella concezione politica alla base delle democrazie che non
escludono la violenza: "La democrazia, finche' e' sostenuta dalla violenza,
non puo' fare l'interesse dei deboli o proteggerli. La mia concezione della
democrazia e' che sotto di essa il piu' debole deve avere le stesse
possibilita' del piu' forte. Questo puo' avvenire soltanto attraverso la
nonviolenza. (...) Nel vostro paese [gli Stati Uniti] la terra appartiene a
pochi capitalisti. Lo stesso avviene in Sud Africa. Queste grandi proprieta'
possono essere mantenute soltanto con la violenza, velata o aperta. La
democrazia occidentale, nelle sue attuali caratteristiche, e' una forma
diluita di nazismo o di fascismo. Al piu' e' un paravento per mascherare le
tendenze naziste e fasciste dell'imperialismo. (...) Le vostre guerre non
riusciranno mai a salvaguardare la democrazia" (ivi, pp. 140-141).
Sono giudizi severi, che possiamo anche discutere, noi occidentali, ma
dobbiamo ascoltarli per esaminarci. Martin Luther King e' una delle poche
voci occidentali che hanno osato prendere in esame gli avvertimenti di
Gandhi sulla qualita' delle nostre democrazie cosi' attrezzate per la
guerra, nelle menti, nelle economie e nelle armi.
*
Originalita' di King
Si potrebbero osservare altri aspetti del rapporto tra King e Gandhi. Mentre
Gandhi fece del suo ascetismo, sebbene sereno e gioviale, una condizione
necessaria per la pratica della nonviolenza, King era "empaticamente vicino
alla terra. Egli conosceva il valore della preghiera e del digiuno, ma non
era da meno di nessun uomo negli ordinari piaceri della vita. Non sentiva
alcuna necessita' di rinunciare a un abbigliamento elegante, al buon cibo o
al sesso per essere efficacemente nonviolento" (William Robert Miller, che
ha scritto Gandhi and King, un articolo del 1969, cit. da Lavina, op. cit.,
p. 524). Si sa che King fu spiato dalla polizia in qualche avventura
sentimentale, per ricattarlo. Coretta affermo' di essere certa che Martin
Luther non aveva mai mancato di amare la sua famiglia.
King non considera negativo o immorale il potere, il quale "inteso in modo
corretto, non e' altro che la capacita' di realizzare uno scopo" (citato in
Lavina, op. cit., pp. 524-525). In questo senso ammira anche Nietzsche, ma
e' evidente che King pensa al "potere di", che deve essere di tutti (la
"omnicrazia" di Aldo Capitini), e non al "potere su", di alcuni su altri,
che non puo' essere di tutti ed e' percio' sempre vicino alla violenza.
In questo ordine di idee, King, come gia' Gandhi, suggerisce una importante
distinzione tra forza e violenza: la forza e' una qualita' della vita, e'
costruttiva, moralmente e' la virtu' della fortezza, mentre la violenza e'
distruttiva e offensiva, immorale. Questa distinzione e' occultata,
artatamente confusa e persino capovolta dalla cultura violenta, che affida
assurdamente alla distruzione la difesa della vita.
*
Parole ultime, supreme
Gandhi, colpito con una pistola Beretta italiana, il 30 gennaio 1948, mori'
invocando il nome di Dio: "He Ram", che da vent'anni aveva l'abitudine di
ripetere mentalmente, anche durante il sonno. Martin Luther King, il 3
aprile 1968, il giorno prima di essere ucciso, disse in un discorso: "Non so
quel che accadra' ora. Abbiamo giorni difficili davanti a noi. ma davvero
non ha importanza per me adesso, perche' sono stato sulla cima della
montagna. E non mi preoccupo. Come chiunque altro, mi piacerebbe vivere a
lungo: la longevita' ha un suo valore. Ma non mi importa di questo, adesso.
Voglio solo fare la volonta' di Dio. E lui mi ha concesso di salire sulla
montagna. E io ho guardato oltre. E ho visto la terra promessa. Potrei non
arrivarci insieme a voi. Ma stasera voglio che sappiate che noi, come
popolo, arriveremo alla terra promessa. E stasera sono felice. Non mi
impensierisco per nulla, non temo alcun uomo. I miei occhi hanno visto la
gloria dell'avvento del Signore" (dall'ultimo discorso a Memphis, Tennessee,
3 aprile 1968, in Martin Luther King, Il sogno della nonviolenza, citato, p.
92).

2. ET COETERA

Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di
pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato
con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il
foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel
Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian
Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro
Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo
comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione
col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento
Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora
a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di),
Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni,
Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi
1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?,
Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'.
Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e'
disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e
nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al
libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro
di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu'
volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli,
indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.cssr-pas.org,
www.ilfoglio.info e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia
degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n.
68.
*
Martin Luther King, nato ad Atlanta in Georgia nel 1929, laureatosi
all'Universita' di Boston nel 1954 con una tesi sul teologo Paul Tillich, lo
stesso anno si stabilisce, come pastore battista, a Montgomery nell'Alabama.
Dal 1955 (il primo dicembre accade la vicenda di Rosa Parks) guida la lotta
nonviolenta contro la discriminazione razziale, intervenendo in varie parti
degli Usa. Premio Nobel per la pace nel 1964, piu' volte oggetto di
attentati e repressione, muore assassinato nel 1968. Opere di Martin Luther
King: tra i testi piu' noti: La forza di amare, Sei, Torino 1967, 1994
(edizione italiana curata da Ernesto Balducci); Lettera dal carcere di
Birmingham - Pellegrinaggio alla nonviolenza, Movimento Nonviolento, Verona
1993; L'"altro" Martin Luther King, Claudiana, Torino 1993 (antologia a cura
di Paolo Naso); "I have a dream", Mondadori, Milano 2001; Il sogno della
nonviolenza. Pensieri, Feltrinelli, Milano 2006; cfr. anche: Marcia verso la
liberta', Ando', Palermo 1968; Lettera dal carcere, La Locusta, Vicenza
1968; Il fronte della coscienza, Sei, Torino 1968; Perche' non possiamo
aspettare, Ando', Palermo 1970; Dove stiamo andando, verso il caos o la
comunita'?, Sei, Torino 1970. Presso la University of California Press, e'
in via di pubblicazione l'intera raccolta degli scritti di Martin Luther
King, a cura di Clayborne Carson (che lavora alla Stanford University). Sono
usciti sinora sei volumi (di quattordici previsti): 1. Called to Serve
(January 1929 - June 1951); 2. Rediscovering Precious Values (July 1951 -
November 1955); 3. Birth of a New Age (December 1955 - December 1956); 4.
Symbol of the Movement (January 1957 - December 1958); 5. Threshold of a New
Decade (January 1959 - December 1960); 6. Advocate of the Social Gospel
(September 1948 - March 1963); ulteriori informazioni nel sito:
www.stanford.edu/group/King/ Opere su Martin Luther King: Gabriella Lavina,
Serpente e colomba. La ricerca religiosa di Martin Luther King, Edizioni
Citta' del Sole, Napoli 1994; Arnulf Zitelmann, Non mi piegherete. Vita di
Martin Luther King, Feltrinelli, Milano 1996; Sandra Cavallucci, Martin
Luther King, Mondadori, Milano 2004; Paolo Naso (a cura di), Il sogno e la
storia. Il pensiero e l'attualita' di Martin Luther King (1929-1968),
Claudiana, Torino 2008. Esistono altri testi in italiano (ad esempio Hubert
Gerbeau, Martin Luther King, Cittadella, Assisi 1973), ma quelli a nostra
conoscenza sono perlopiu' di non particolare valore: sarebbe invece assai
necessario uno studio critico approfondito della figura, della riflessione e
dell'azione di Martin Luther King (anche contestualizzandole e
confrontandole con altre contemporanee personalita', riflessioni ed
esperienze di resistenza antirazzista in America). Una introduzione
sintetica e' in "Azione nonviolenta" dell'aprile 1998 (alle pp. 3-9), con
una buona bibliografia essenziale.
*
Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo
pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della
nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio
d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di
convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra,
avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro
la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della
nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito
del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico.
Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la
teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione
economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il
30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di
quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va  mitizzato, e
che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti
discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione,
della sua opera. Opere di Gandhi:  essendo Gandhi un organizzatore, un
giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una
natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere
contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua
riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede
significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In
italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza,
Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e
autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la
liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton;
Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura
della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e
fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi
sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di
frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da
Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio
pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato
l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi
ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali
della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono
stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi
massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda
il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza
civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi:
tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente
accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro
di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung,
Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente
detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il
Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il
Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il
Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e'
quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia
cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti
nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente
utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L.
Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti
Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci,
Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di
Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti
pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero
nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark
Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini,
L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con
la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini)
2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi
in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006; Giuliano Pontara,
L'antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega,
Torino 2006.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 165 del 5 aprile 2008

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