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Nonviolenza. Femminile plurale. 173
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 173
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 3 Apr 2008 11:13:39 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 173 del 3 aprile 2008 In questo numero: 1. A Carpi il 3 aprile 2. Hannah Arendt: L'esistenza 3. Edith Stein: Cogliere 4. Rossana Rossanda: Donne 5. Ilaria Troncacci: Virginia Woolf, la realta' e i suoi giudici 1. INCONTRI. A CARPI IL 3 APRILE [Dalla Fondazione Fossoli (per contatti: fondazione.fossoli at carpidiem.it) riceviamo e diffondiamo] Giovedi' 3 aprile, ore 17,30, a Carpi, in piazza Martiri, Museo Monumento al Deportato, si terra' la presentazione del volume Ricordi dalla casa dei morti e altri scritti, di Luciana Nissim Momigliano (Giuntina, 2008). Interverranno: Alessandra Chiappano, curatrice del volume; Bruno Maida, dell'Universita' di Torino. L'iniziativa e' promossa dalla Fondazione ex Campo Fossoli. * Luciana Nissim Momigliano, partigiana ebrea, viene arrestata e deportata ad Auschwitz-Birkenau, insieme a Primo Levi e Vanda Maestro, con il trasporto che parte da Fossoli il 22 febbraio 1944. Sopravvissuta, nel 1946 pubblica la sua testimonianza Ricordi della casa dei morti, uno dei primi scritti sulla realta' dei campi nazisti. Il volume, che esce oggi a dieci anni dalla scomparsa dell'autrice, riprende il testo pubblicato nel 1946 e mai piu' edito autonomamente, arricchito da uno scritto autobiografico della Nissim sulla sua famiglia e da alcune lettere inedite scritte, prima e dopo la liberazione, a Franco Momigliano, noto economista e partigiano, a cui la Nissim si unira' in matrimonio nel 1946. 2. MAESTRE. HANNAH ARENDT: L'ESISTENZA [Da Hannah Arendt, "Che cos'e' la filosofia dell'esistenza?" (1946), in Archivio Arendt, Feltrinelli, Milano 2001, p. 220. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano 2006; i recentissimi Diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] L'esistenza, per sua stessa natura, non e' mai isolata; esiste solo nella comunicazione e nella consapevolezza dell'esistenza degli altri. 3. MAESTRE. EDITH STEIN: COGLIERE [Da Edith Stein, L'empatia, Angeli, Milano 1986, 2006, p. 183. Edith Stein, filosofa tedesca, e' nata a Breslavia nel 1891 ed e' deceduta nel lager di Auschwitz nel 1942. Di famiglia ebraica, assistente di Husserl, pensatrice tra le menti piu' brillanti della scuola fenomenologica, abbraccio' il cattolicesimo e nel 1933 entro' nella vita religiosa. I nazisti la deportarono ed assassinarono. Opere di Edith Stein: le opere fondamentali sono Il problema dell'empatia, Franco Angeli (col titolo L'empatia) e Studium; Psicologia e scienze dello spirito, Citta' Nuova; Una ricerca sullo Stato, Citta' Nuova; La fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso d'Aquino, Memorie Domenicane, poi in La ricerca della verita', Citta' Nuova; Introduzione alla filosofia, Citta' Nuova; Essere finito e Essere eterno, Citta' Nuova; Scientia crucis, Postulazione generale dei carmelitani scalzi. Cfr. anche la serie di conferenze raccolte in La donna, Citta' Nuova; e la raccolta di lettere La scelta di Dio, Citta' Nuova, Roma 1974, poi Mondadori, Milano 1997. Opere su Edith Stein: per un sintetico profilo cfr. l'"invito alla lettura" di Angela Ales Bello, Edith Stein, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo 1999 (il volumetto contiene un breve profilo, un'antologia di testi, una utile bibliografia di riferimento). Lavori sul pensiero della Stein: Carla Bettinelli, Il pensiero di Edith Stein, Vita e Pensiero, Milano 1976; Luciana Vigone, Introduzione al pensiero filosofico di Edith Stein, Citta' Nuova, Roma 1991; Angela Ales Bello, Edith Stein. La passione per la verita', Edizioni Messaggero di Padova, 1998, 2003; Angela Ales Bello, Edith Stein. Patrona d'Europa, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2000. Per la biografia: Edith Stein, Storia di una famiglia ebrea, Citta' Nuova, Roma 1994, 1999; Elio Costantini, Edith Stein. Profilo di una vita vissuta nella ricerca della verita', Libreria Editrice Vaticana, Citta' del Vaticano 1987, 1998; Laura Boella, Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000] Il cogliere dei valori e' gia' esso stesso un valore positivo. 4. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: DONNE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 marzo 2008, col titolo "Parliamo di donne". Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari 1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste] Siamo davanti a elezioni che si autodefiniscono costituenti, e di donne non si parla. Sono meta' del paese, anzi un poco di piu' e in politica contano meno che in qualsiasi altro campo. Ci sono donne capi di stato e di governo nei paesi d'occidente e nei paesi terzi. Che in questi siano perlopiu' moglie o figlia, orfana o vedova di un illustre defunto e' un arcaismo ma, rispetto a una tradizione che non ammetteva donne al comando, e' una frattura. Negli Usa l'avvocata Hillary Rodham corre anch'essa con il nome del marito, perche' e' l'ex presidente Clinton. In Italia non siamo neanche a questo, e arrivarci non sembra urgente ne' alle destre ne' alle sinistre. In Francia Nicolas Sarkozy ha composto il suo governo meta' di uomini e meta' di donne. Piu' abile delle nostre maschie mummie, con tre di esse ha preso due piccioni con una fava: la maghrebina e la senegalese sono, socialmente parlando, due belve, la femminista non ha piu' seguito. E' vero che Sarkozy interviene su tutto e tutti, maschi o femmine che siano, ma in quanto monarca e' piu' avvertito dei nostri. I quali non riescono a fare fifty-fifty non dico un governo, ma le liste, lasciando al sessismo ordinario dell'elettorato di scremare le presenze femminili. Per cui sarei a proporre - non per la prima volta e come recentemente l'Udi - che le Camere siano composte meta' di uomini e meta' di donne. Almeno finche' esiste in Italia, e non si schioda da oltre mezzo secolo, una democrazia che discrimina il genere. Insomma il maschio politico italiano e' ancora un bel passo indietro rispetto alla semplice emancipazione. E le donne italiane come sono? Ne conosciamo i frammenti minoritari che hanno accesso alla parola, i numeri muti delle statistica, le immagini tv. Dalle quali trarre deduzioni e' rischioso: piangenti, al mercato, rare imprenditrici brillanti, rare ministre, zero segretarie di partito, zero segretarie delle confederazioni sindacali (e' arrivata prima la Confindustria), qualche insegnante o professionista, e una gran massa di veline, tutte carine, tutte uguali. E' un valido campionamento del paese? Mah. Una volta la Regione campana prese la tv cosi' sul serio da organizzare corsi professionali per le aspiranti veline. Tradotto in "desiderio politico", che cosa sono? Emancipate? Certo in uscita transitoria dallo stereotipo donna al focolare. Se arrivano a farsi conoscere, sono in grado di mandare a spasso un marito, salvo congruo assegno. Ma se emancipate significa che ambiscono a prendere il posto degli uomini, non direi. Le emancipate che lo ambiscono sono relativamente rare, salvo nell'insegnamento, dove costituiscono la maggioranza ma non ne reggono le redini ne' una riforma del sistema e' stata avanzata da riconoscibili donne. Quanto alla massa di carine, sono giunte a professionalizzare (precariamente) il classico desiderio maschile e il nostro, pare altrettanto classico, esibizionismo, senza grande spesa e trasgressione. Difficile immaginare che idea di societa' abbiano. Come le casalinghe per scelta, sempre di meno ma con la bizzarra componente delle figlie super emancipate e disinibite dal 1968. Strana generazione, che a un certo punto sceglie di tenersi sul sicuro, cosa che mamma ai suoi tempi non ha fatto. Devono essere elettrici tendenzialmente democratiche, magari "riformiste". Poi ci sono quelle che parlano. Anche di politica, emancipate o femministe. Il desiderio delle prime, che spesso hanno avuto un passaggio femminista light, e' di affermarsi nell'arco politico esistente. Con una qualita' in meno o in piu' dei maschi: sono capaci di "staccare". E' interessante il percorso di decine di migliaia di amministratrici locali, spesso ottime: uno o due giri da consigliere, assessore o sindaco e poi se ne tirano fuori. E non irate o deluse, ma per voglia di fare altro. Questa caratteristica e' importante per capire quanto la politica conti per la donna che ci si e' messa: raro che ci muoia. Sarebbe garanzia di un equilibrio? Somiglierebbe al disinteresse personale? E intanto mezzo secolo di amministratici locali hanno mutato o no il potere locale? Ne hanno modificato le regole? Accresciuto l'autonomia? Credo di no. Non diversamente dalle istituzioni nazionali, in quelle locali le donne non hanno reclamato, e tanto meno ottenuto, cambiamenti ne' di fini ne' di regole. Di qui il rapporto acerbo fra le femministe e la sfera politica. Inutile girarci attorno. La' dove avrebbero in via di principio un ascolto, cioe' a sinistra - e' stato un penoso errore da parte di un loro gruppo credere che uno spazio ci fosse a destra per via di Lady D e Irene Pivetti - i leader della medesima si spendono in parole e stringono poco nei fatti. Gli uomini di sinistra imbrogliano o si imbrogliano da se', le donne di sinistra protestano. O da lontano, scrivendo con amarezza della irreversibile crisi della politica, o da vicino, organizzando proteste su obbiettivi indiscutibili, come la violenza, ma poco cavandone fuori. Quale dirigente maschio oserebbe dire: "Insomma, se il marito la pesta (una donna ogni tre donne viene picchiata in Francia) o le ammazza (idem, una ogni tre giorni), se la sara' cercata". Quando mai. Soltanto che nessuna gli pone in termini secchi la domanda: "Non ti chiedi perche' il tuo sesso continua ad ammazzarci?". Il leader condanna sinceramente ma pensa: quelli non sono come me, sono perversi o assassini, roba da codice penale. Non lo sfiora che la brutale negazione fisica di lei abbia una parentela con la negazione simbolica che lo induce a discriminarla dalle cariche decisive ("non ce la farebbe"). In politica resta inesplorata la zona oscura del conflitto millenario fra i sessi. Soprattutto in Italia e in Francia, dove le "emancipate" che partecipano al potere eludono il tema, e le femministe, fra loro diverse, non partecipano gran che al primo e rompono i ponti sul secondo. Non e' senza interesse chiedersi perche' resti cosi' profonda o, se da qualcuna praticata, irrisolta in lei stessa, la separazione fra coscienza e partecipazione femminista e coscienza e partecipazione politica. Penso alle recenti interviste sul nostro giornale di Ida Dominijanni a Judith Butler e Wendy Brown ("Il manifesto" del 25 marzo). Butler e' impegnata a fondo su tutti e due i terreni, esplora la zona oscura in termini sovversivi proponendo l'intersessualita' come norma - "Gender Trouble" - e prendendo di petto, e non genericamente, temi scottanti dell'attuale politica degli Usa. C'e' probabilmente una diversa tradizione intellettuale, perche' non e' che le europee siano meno radicali; probabilmente il sistema politico americano e' cosi' precluso - per fare un presidente (o un governatore) ci vogliono centinaia di milioni e quasi due anni di campagna elettorale full-time - che la presa di parola politica non ha mediazioni con istituzioni e partiti, o si espone direttamente o non e'. Insomma si interviene in politica a prezzo di impegno e competenza specifica dalla societa' civile, considerano milizia femminile e milizia politica un unicum, come a mio avviso realmente sono. Non investono ambedue il sistema delle relazioni? In Italia no. Forse per il ritardo della emancipazione in presenza d'una gerarchia cattolica invadente. E' stata piu' la modernizzazione capitalistica della societa' che la politica a farla avanzare. Forse per l'essersi formato il primo e il secondo femminismo in collegamento stretto con la sinistra; il primo con il Pci e il Psi e il secondo - anche se non collegato altrettanto strettamente - con il 1968 e il rivoluzionamento che esso ha comportato nei paradigmi del politico per tutti gli anni '70, finendo con l'essere l'unica vera trasformazione culturale che ne e' rimasta, minoritaria ma irreversibile. Piu' che in Francia e in Germania, credo. Ma la sua contiguita' originaria con il bacino "marxista" - marxista piu' come pratica etica ed emozionale che come elaborazione teorica, caratteristica di tutta la sinistra italiana - ha portato le donne a un corto circuito: rapido investimento e rapida disillusione, 1968 incluso, e peggio con i successivi gruppi extraparlamentari. Vibra ancora indolenzito un cordone che si e' spezzato. Gli uni non capiscono le altre e viceversa, fino a ignorarsi, al di la' di qualche convenevole, come se fossero due settori separati d'esperienza e competenza. (Di questo bisogna chiedere alle donne, dice lui. La politica non mi interessa piu', dice lei). Non che sia agevole fare una mappa dei gruppi femministi italiani. Proprio perche' sono, mi sembra, piu' diffusi che altrove e frammentati si rischiano giudizi facili. Ma molto sommariamente si puo' avanzare che le principali posizioni rispetto al "fare" politico sono due. L'una vede nel conflitto fra i sessi una costante metastorica, o quanto meno originaria, irrisolta quanto piu' introiettata senza esplicitazione, certo fra gli uomini e in molta parte delle donne; e finche' tale resta, il conflitto non conscio di se' mutila e conforma l'uno e l'altro sesso, reciprocamente confusi, dolenti. E ormai traversati brutalmente dalle biotecnologie che tendono a modificare la posta in gioco della riproduzione. Di qui l'oscillazione fra il rifiuto conservatore della chiesa, l'interesse alla liberta' della scienza (che si presume) disinteressata, e un rifiuto femminile in nome di un diritto primario e autentico che non e' riconosciuto ne' dalla chiesa ne' dalla scienza e, come ha dimostrato il referendum sulla riproduzione assistita, spesso dalle donne stesse. La seconda posizione, all'inizio derivata da Luce Irigaray, vede piu' che il conflitto - il conflitto e' comunque un rapporto - un'eteronomia dei sessi che darebbe luogo, fra natura e storia, a una differenza insorpassabile. E del resto perche' sorpassarla? Nel momento in cui la donna spezza il presunto universalismo del maschile (il patriarcato) e si riconosce il suo sesso come principio di se' - si era fin suggerita una "specie umana femminile" - si scopre come un valore, si da' una genealogia e un ordine simbolico (materno invece che paterno), la rivoluzione e' gia' avvenuta, il patriarcato se non finito e' incrinato. A questo punto o le donne si appartano nella separatezza (la comunita' dello Scamandro di Christa Wolf), o restano nel mondo intervenendovi come un complesso interrelazionale autonomo, che risponde ai suoi propri principi. Soprattutto alla seconda posizione il sistema politico, con il quale si e' inutilmente incontrata e scontrata, e con esso l'intero pensiero politico della modernita' appare segnato da un solo codice, quello maschile, e cosi' il lessico, e cosi' il linguaggio. A questo punto il dialogo appare impraticabile. Riscoprirsi nella propria interiorita' svalorizza ogni pretesa di universalismo come e' proprio specie della costituzione di un diritto, punto centrale della politica. L'avvertimento "non credere di avere dei diritti" volge facilmente in un "non ce ne importa del diritto", occorre una revisione ab imis che costituisce "la politica prima". Basta guardare alla sorte delle donne entrate nella poderosa macchina delle istituzioni per aver la conferma di quel che pare un eccesso. Ma lo stesso vale per chi non arriva a questo limite di separatezza e ha cercato di partecipare o almeno collaborare al sistema politico per non isolarsi, sperando di inserire un cuneo, un dubbio. Qui siamo. Non sembra che le forme e le figure attuali della politica o dei partiti ne siano coscienti o almeno se ne facciano un problema. Non la destra o il centro cattolico, per i quali il problema non esiste. Non il Partito democratico, invischiato fra cultura cattolica e una laica che rinnega il passato e prende a prestito qua e la' del presente non esiste. Ma non e' chiaro se ne sia sfiorato quel work in progress che sarebbe la Sinistra Arcobaleno, che il Partito democratico farebbe volentieri a pezzi. Non e' chiaro se ne sono coscienti neppure le culture dell'autonomia. Ma qualcuno e' disposto a sostenere seriamente che senza prender questo toro per le corna - questi tori, perche' e' il tema fondamentale delle relazioni che e' in causa - una convivenza moderna o postmoderna si possa civilmente dare? Io non credo. 5. RIFLESSIONE. ILARIA TRONCACCI: VIRGINIA WOOLF, LA REALTA' E I SUOI GIUDICI [Ringraziamo Ilaria Troncacci (per contatti: crazyi85 at hotmail.com) per averci messo a disposizione questo suo saggio, dal titolo originale "La realta' nel rapporto con la tradizione", redatto in ambito universitario come tesina per un corso di studi di genere, sezione teoria e critica letteraria femminile. Ilaria Troncacci, amica della nonviolenza e persona di infinita dolcezza e profondita' d'animo, e' da anni impegnata nell'esperienza scoutistica ed in molte iniziative di solidarieta' concreta; e' attualmente volontaria in servizio civile nell'associazione di solidarieta' "Terra e liberta'" di Bracciano (Roma). Virginia Woolf, scrittrice tra le piu' grandi del Novecento, nacque a Londra nel 1882, promotrice di esperienze culturali ed editoriali di grande rilievo, oltre alle sue splendide opere narrative scrisse molti acuti saggi, di cui alcuni fondamentali anche per una cultura della pace. Mori' suicida nel 1941. E' uno dei punti di riferimento della riflessione dei movimenti delle donne, di liberazione, per la pace. Opere di Virginia Woolf: le sue opere sono state tradotte da vari editori, un'edizione di Tutti i romanzi (in due volumi, comprendenti La crociera, Notte e giorno, La camera di Jacob, La signora Dalloway, Gita al faro, Orlando, Le onde, Gli anni, Tra un atto e l'altro) e' stata qualche anno fa pubblicata in una collana ultraeconomica dalla Newton Compton di Roma; una pregevolissima edizione sia delle opere narrative che della saggistica e' stata curata da Nadia Fusini nei volumi dei Meridiani Mondadori alle opere di Virginia Woolf dedicati (ai quali rinviamo anche per la bibliografia). Tra i saggi due sono particolarmente importanti per una cultura della pace: Una stanza tutta per se', Newton Compton, Roma 1993; Le tre ghinee, Feltrinelli, Milano 1987 (ma ambedue sono disponibili anche in varie altre edizioni). Numerosissime sono le opere su Virginia Woolf: segnaliamo almeno Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti, Milano 1974; Mirella Mancioli Billi, Virginia Woolf, La Nuova Italia, Firenze 1975; Paola Zaccaria, Virginia Woolf, Dedalo, Bari 1980; Nadia Fusini, Possiedo la mia anima. Il segreto di Virginia Woolf, Mondadori, Milano 2006; Liliana Rampello, Il canto del mondo reale. Virginia Woolf, la vita nella scrittura, Il saggiatore, Milano 2005. Segnaliamo anche almeno le pagine di Erich Auerbach, "Il calzerotto marrone", in Mimesis, Einaudi, Torino 1977] Che cos'e' la realta'? Chi sono i suoi giudici? Tra le tante che si sollevano nelle pagine del saggio "Mr. Bennett e Mrs. Brown" di Virginia Woolf, trovo queste due domande estremamente interessanti per chi, come me, inizia ad accostarsi all'accorto lavoro del critico letterario. Queste domande scardinano completamente le sicurezze del lettore, mettono sotto accusa il critico, il teorico e il letterato. Le risposte sono necessarie per affrontare uno studio che sia effettivamente "posizionato" e quindi criticabile a partire dalle specificita' di chi scrive, chi legge, chi critica. Virginia Woolf le rivolge prima di tutto a se stessa. La risposta, pero', e' la risposta di una donna inglese, appartenente alla classe borghese, dei primi anni del XX secolo. Come puo' questa risposta avere valore universale? Allora l'autrice rivolge la domanda al suo personaggio. Non a Mrs. Brown, che viene ad essere soggetto implicito della domanda, ma a Mr. Bennett, vero oggetto dell'intera disquisizione. Alla domanda: "chi sono i giudici della realta'?" e' facile immaginare Mr. Bennett rispondere con nomi illustri di emeriti studiosi, professori encomiabili e autori immortali. Studiosi, professori, autori ritenuti da Mr. Bennett immortali, encomiabili ed emeriti, probabilmente perche' fondatori, con i loro giudizi, delle solide basi su cui il suo stesso sapere e' edificato. Rispondendo a questa domanda, quindi, il signor Bennet non farebbe altro che porre se stesso come giudice unico degli strumenti attraverso i quali approcciare la realta'. E' evidente come nella scelta dei mezzi sia implicito il potenziale attribuibile alla realta' stessa. E' cosi' che Mr. Bennett, ponendo al vaglio i criteri adatti a giudicare la realta', avvia in pratica il processo tramite il quale la realta' viene a formarsi. Grazie a queste solide ed inattaccabili basi, il suo giudizio puo' non incorrere nel dubbio. Ma come puo' il parere di un Mr. Bennett, anche se largamente condiviso, definire in modo universale cosa sia reale (e quindi normale) e cosa no? Puo' egli definire i criteri che stabiliscono come reale o meno un carattere? * E' a partire da questo dubbio che la Woolf lancia la sua provocazione, la sua accusa. Mr. Bennett e' in grado di definire la realta', poiche' la sua realta' e' sottile, uniforme, sorretta da una tradizione salda ed autorevole di cui egli e' parte ed emblema. Tradizione che tiene fuori tutto cio' che risulti vagamente controverso o differente. Mr. Bennett e' quindi un giudice, ma e' giudice in realta' impotente. I criteri con i quali egli si rapporta alla realta', infatti, altri non sono che quegli stessi criteri utilizzati da altri, nel formare il suo sapere. Non e' in base ad un'autonoma speculazione che arriva a definire la realta'. Egli e' guidato da criteri che divengono acriticamente lente per osservare il mondo. Parlo di acriticita' perche' il sapere di Mr. Bennett e' povero di termini di paragone, dal momento che elementi dissimili vengono catalogati al di fuori del codice, perdendo cosi' il potere di mettere in crisi idee e strumenti. "Nessuno potrebbe non accorgersi del predominio del Professore. Il potere, il denaro e l'influenza sono i suoi. E' il proprietario del giornale, il suo direttore e il suo redattore. E' il ministro degli esteri e il giudice [...], ha lasciato milioni alle opere di beneficenza e ai colleges da lui stesso diretti [...], a parte la nebbia sembra controllare tutto" (1). La ridondanza di questo meccanismo e' fin troppo evidente. Mr. Bennett e' parte del sapere tradizionale. Quel sapere lo rispecchia, parla di lui, con lui. Cosi' non e' per gli scrittori che l'autrice chiama georgiani. Cosi' non puo' essere per la Woolf. I georgiani non sono in grado di dare una risposta, non sono sorretti da una cultura autoconservativa, da uno stato di cose che permette di avere tutta la realta' indiscutibilmente nelle proprie mani. I georgiani sono figli di tempi durante i quali il mondo e' cambiato, ed i caratteri sono mutati con esso. Hanno visto l'orrore della guerra crescere e divenire reale e la societa' smembrarsi sotto il suo peso. L'individuo, orfano di quelle strutture rigide frutto di una societa' ormai disgregata, si e' fatto avanti con la potenza della propria individualita'. Hanno visto la realta' acquisire di conseguenza uno spessore impensato, ingestibile per molti versi. Hanno visto l'individualita' accrescere il proprio potere ed impossessarsi di una realta' oramai difficilmente imbrigliabile nelle fisse categorie del signor Bennett. La tradizione con la sua positivita' e' stata smentita. All'univocita' viene contrapposta la varieta' e la complessita', alla certezza il dubbio. La domanda rimane, quindi, necessariamente senza risposta. "Tale, penso, era la situazione nella quale si trovavano i giovani georgiani intorno all'anno 1910. Molti di essi sciuparono i loro primi lavori perche', invece di gettar via quegli strumenti, tentarono di usarli. Tentarono di raggiungere un compromesso. [...] ma avevano un senso troppo acuto, troppo irresistibile di Mrs. Brown e delle sue peculiarita' per continuare a tentare ancora per molto tempo. Bisognava fare qualcosa. A qualsiasi costo di vita, di arti, e danni a cose di valore, Mrs. Brown andava salvata, espressa e posta nei suoi rapporti alti con il mondo [...]" (2). I georgiani sono costretti a reinventare nuove categorie e nuovi criteri per sezionare la propria realta'. Gli strumenti del signor Bennet non possono definire una realta' nuova, che non conoscono e che non sono in grado di interpretare. Forse, non e' questa la realta'. Ma, allora, "Che cos'e' la realta'?". * Se quella descritta dai georgiani non rientra nella categoria, tanto meno puo' farlo quella descritta o rappresentata dalla Woolf. Da sempre la scrittura delle donne e' stata tagliata fuori dal codice, in quanto difficilmente riconducibile all'interno del sistema di generi convenzionali. Immaginiamo dunque Mr. Bennett con il suo bagaglio di saperi, con il suo college e le sue compagnie. Il signor Bennett con il suo posto in societa' e la sua indipendenza. Immaginiamolo alle prese con un manoscritto di una donna qualsiasi, proveniente se fortunata da un college femminile, o formata nella casa paterna da un istitutrice, assunta con il compito di prepararla alla societa'. Forse autodidatta, formata grazie ai libri presi per caso nella biblioteca paterna, magari di nascosto. La storia della letteratura femminile e' piena di casi simili, piu' o meno illustri (ma a questo punto la domanda e': chi decide quali siano illustri e quali no?). Una donna, che ha alle spalle generazioni di donne vissute all'ombra di una tradizione culturale che fa di loro un oggetto utile. Utile in quanto "altro", in cui sia possibile guardarsi, definirsi e vedere con orgoglio la propria superiorita'. Con quali strumenti Mr. Bennett analizzera' quel manoscritto? Probabilmente con gli unici che possiede. In questo consiste la differenza tra la situazione delle donne e quella dei nuovi letterati. I georgiani sono figli di tempi mutevoli, le donne sono invece figlie della tradizione, sebbene solo figliastre. Entrambi, non trovano posto nel panorama culturale, la loro realta' non e' riconosciuta, ma le donne rincorrono l'emancipazione da tempi considerevolmente piu' lunghi. Da tempi ancor piu' remoti, subiscono il potere del sapere costituito. A partire dalla disparita' nell'iter formativo di maschi e femmine che, sebbene avesse visto notevoli passi avanti al tempo della Woolf, caratterizzava l'istruzione inglese fin dal XVII secolo (prima di questo periodo l'istruzione obbligatoria non era prevista neanche per i maschi). Sotto il profilo etico d'altronde, la donna che si dedicava alla cultura era vista come traditrice del suo ruolo, o meglio, della sua stessa natura. "Le donne il cui lavoro lasciava percepire il genio, erano considerate anormali o, nel migliore dei casi, asessuate. Gli attributi della femminilita' erano diametralmente opposti a quelli del genio [...] I valori dell'attivita', dell'immaginazione, della creativita' e della sessualita' degli uomini erano legati l'un l'altro e collocati in opposizione ai valori, ugualmente indivisibili, della passivita', dell'imitazione, della riproduzione e della sessualita' femminile: gli uomini creavano opere d'arte originali, le donne ricreavano se stesse nei loro bambini" (3). Infine l'epoca del progresso scientifico aggiunse, alla gia' lunga serie di giustificazioni, una ricerca scientifica volta a dimostrare l'inferiorita' biologica della donna. Questa e' la situazione di partenza della Woolf, ovviamente vicina alle rivendicazioni degli autori a lei contemporanei. Portare avanti la battaglia del riconoscimento, e' cio' che le donne in Inghilterra facevano da tempo. Il nuovo modo di guardare al mondo, non poteva che affiancare, alle richieste delle donne, le richieste di chi, come loro, non riusciva a trovare posto in cio' che veniva definito cultura, in cio' che a tutti gli effetti veniva a essere riconosciuto come realta'. * La presa di coscienza da parte delle donne, a differenza dei nuovi scrittori, era stata lenta e graduale, per questo molto ben radicata. In maniera quasi impercettibile, il modo delle donne di guardare alla letteratura era mutato, a partire dal loro rapporto con la lettura. Le donne iniziarono a confrontarsi con cio' che era attuale, dalle innovazioni tecnologiche alla rivoluzione. La nuova circolazione della cultura, apriva loro ampi spazi e dava la possibilita' di guardare alla lettura, non piu' solo come evasione, ma come vero e proprio mezzo di conoscenza. Una scuola che aiutava a prendere coscienza di se' e, cosa ancor piu' importante, coscienza di se' nel mondo. Le donne avevano lentamente iniziato ad appropriarsi di parole ed immagini, nel tentativo di fare propri quegli strumenti necessari a smembrare la realta' ed imparare a comprenderla. Le donne iniziarono a cercarsi tra le pagine. L'immagine che ne ricevettero pero' era lontana dalla realta'. Non era l'immagine delle donne che trovarono, bensi' quella degli uomini riflessa in esse. "Avete idea di quanti libri si scrivono sulle donne in un anno? Avete idea di quanti sono scritti da uomini? Sapete di essere l'animale forse piu' discusso dell'universo? [..] perche' Samuel Butler dice 'I saggi non dicono mai quello che pensano delle donne'? i saggi non dicono mai nient'altro, a quanto pare" (4). Ed ecco, dunque, quegli strumenti e quei criteri, propri della cultura di Mr. Bennett, divenire ancora una volta insufficienti. Non sono adatti all'analisi che le donne fanno della realta', ne' dell'analisi che le donne fanno di loro stesse, in quanto non le rispecchiano. L'immagine risulta distorta anche se sono donne ad usare quegli strumenti. Per questo la Woolf incita a metterli da parte, anzi di piu': a distruggerli. E' "rumore di cose rotte e cadenti, sfondate e distrutte" che l'autrice dice di sentire con piacere levarsi dagli scrittori del suo tempo. La sua speranza di cambiamento e' riposta nel "vigoroso e stimolante" (5) rumore delle accette dei georgiani. Percepisce l'incontrovertibilita' del cambiamento e vede l'impianto del sapere tradizionale scricchiolare sotto il peso ingombrante delle sue stesse regole e convenzioni. Vede nello spiraglio che lentamente si apre, la possibilita' di un necessario riconoscimento, per quanto tardivo, della produzione femminile. Crede in una maggiore liberta' ed indipendenza, conquistabile dalle donne, sebbene a colpi di accetta. Il processo come e' ovvio non e' lineare ne' semplice. * Le molte voci che si alzano in nome della varieta', sono sicuramente una forza aggiunta, ma la Woolf capisce che potrebbe non bastare. E' per questo che si rivolge con vigore ai lettori. Ai lettori cresciuti alla scuola di Mr. Bennett, e non. Ai lettori non in quanto pubblico, ma in quanto insieme di singoli. Il pubblico inglese, dice la Woolf, e' facilmente suscettibile, allora la sua opera di destabilizzazione e' da condurre anche qui. Si rivolge dunque, ad ogni singolo lettore, e rivolge a ciascuno la domanda: "qual e' la realta'?", "chi sono i suoi giudici?". Sprona quindi il lettore a divenire giudice, ad essere egli stesso metro della realta'. Perche'? Perche' egli e' portatore di una parte della realta' unica: "Nel corso della vostra vita quotidiana quest'ultima settimana voi avete avuto esperienze assai piu' strane ed interessanti di quella che ho tentato di descrivere. Avete udito senza volere brandelli di conversazione che vi hanno riempito di stupore. Siete andati a letto esterrefatti della complessita' dei vostri sentimenti. [...] Tuttavia,voi consentite agli scrittori di appiopparvi una versione di tutto questo, un'immagine di Mrs. Brown che non ha alcuna somiglianza con quella sorprendente apparizione" (6). Se e' vero che la convenzione letteraria e' punto d'incontro tra scrittore e lettore, allora che i lettori capiscano il loro ruolo, e si assumano le responsabilita' che da questo derivano. Poiche' laddove lo scrittore e' solo, il pubblico, ogni singolo lettore, e' sempre vicino a lui, nel sedile accanto. Laddove il posizionamento dell'autore e' limitato alla sua persona, il suo campo d'azione, la sua produzione non lo sono, date le innumerevoli e variegate possibilita' di interazione che un pubblico numeroso prevede. Qui si trova la credibilita' dell'autore, qui la realta', nel tenere presente l'incredibile potenziale della realta' stessa. Ogni singolo lettore ha il diritto e la responsabilita' di analizzare l'opera di uno scrittore, di cercare in essa la propria parte di realta', di gridare forte che l'autore non e' credibile se essa non e' presente. E' da irresponsabili attestare come realta' qualcosa, solo perche' un numero, seppur consistente, di studiosi, la afferma tale. Non si puo' credere che le donne abbiano la coda e gli uomini la gobba. E' necessario chiedersi perche' l'autore afferma questa "verita'". Si scoprirebbe, forse, che il suo proclamare che le donne hanno la coda, sia verita'. Una verita' legata alla sua personale esperienza. E' necessario che la particolarita' di questa verita' venga pero' definita. Per delineare con onesta' cosa sia la realta', il passaggio di soggettivizzazione risulta necessario. E' differente affermare: "le donne hanno la coda" o "anche le donne possono avere la coda". La seconda affermazione va ad inglobare nella realta' una realta' particolare. La prima, invece, definisce i limiti della realta' stessa. Solo coloro che hanno la coda sono donne, chi manca di tale attributo e' automaticamente scartato dalla categoria. "A voi tocca insistere affinche' gli scrittori scendano dai loro plinti e piedistalli, e descrivano, in modo bello se possibile, vero in ogni caso, la nostra Mrs. Brown. Dovreste insistere che costei e' una vecchia signora dalle capacita' illimitate e dall'infinita varieta' [...] ella e' naturalmente lo spirito di cui viviamo, la vita stessa" (7). E' dovere del buon lettore analizzare la realta' a partire dai criteri appartenenti alla propria soggettivita'. * Tanto piu' pressante e' il dovere della buona lettrice, poiche' e' a lei che viene delegato il potere di creare nuovi strumenti. Come la donna scrittrice, la lettrice ha su di se' un lungo carico di anni che l'hanno vista spettatrice passiva della produzione artistica. Ad altri e' stata delegata la liberta' della scelta, ad altri il potere della critica. La maggior parte della produzione non e' stata "per lei". Al di fuori dei generi tradizionalmente ritenuti femminili (narrativa di contenuti amorosi, diari), la produzione letteraria e' sempre stata qualcosa che mal si rapportava al ruolo della donna. La donna nell'immaginario comune non ha mai avuto bisogno di conoscenza. Il suo sapere indissolubilmente legato alle pratiche quotidiane, e' di fattura terrena, la sua mente non e' adatta a librarsi, ad esempio, tra i sublimi versi della lirica. La donna studiosa, come la donna scrittrice, non e' modello per la societa', ne scardina, anzi, gli impianti piu' basilari. Una lunga tradizione, anche a livello simbolico, si frappone tra la donna e la conoscenza: "andare oltre il santuario, trasgredire i confini dell'essere donna - il movimento comporta un passaggio dal sacro al profano. In questo schema la donna come silenziosa portatrice di un'ideologia (vergine, moglie, madre) e' il sacrificio necessario alla secolarita' maschile nell'accesso alla conoscenza proibita. Reso al femminile l'eroe faustiano diventa un'avventuriera militante, Eva, che raccoglie lo 'strano frutto luminoso', che porta sia conoscenza che infelicita'" (8). E' nell'opera destabilizzante della buona lettrice, che l'universo femminile puo' dunque sperare di trovare germi di sapienza a cui le letterate di domani potranno attingere. E' per questo che la Woolf nelle sue opere ricorda frequentemente e con gratitudine quelle donne che hanno fatto sentire la voce della propria realta'. La donna che sfida l'ordine, quindi, si incammina per una via non battuta, e' lei a creare sentieri in un processo nuovo, paritetico, che pone scrittrice e lettrice su di uno stesso piano. E' l'incontro di due soggettivita' che, con spirito di frontiera, rischiano le proprie certezze, per aggiungere un piccolo tassello alla complessita' della realta'. Realta' che non sarebbe tale a prescindere da quel tassello. * Note 1. Virginia Woolf, Una stanza tutta per se', Newton & Compton, Roma 2004. 2. V. Woolf, "Mr. Bennett e Mrs. Brown", in Eadem, La signora dell'angolo di fronte, Il Saggiatore, Milano 1979. 3. Lara Tanari, "Scrittura come espressione del mondo femminile", in "Argo" (www.argonline.it). 4. Virginia Woolf, Una stanza tutta per se', Newton & Compton, Roma 2004. 5. Virginia Woolf, "Mr. Bennett e Mrs. Brown", cit. 6. ibidem. 7. ibidem. 8. Catherine Belsey, Jane Moore, The feminist reader, MacMillan, London 1992. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 173 del 3 aprile 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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