Nonviolenza. Femminile plurale. 173



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 173 del 3 aprile 2008

In questo numero:
1. A Carpi il 3 aprile
2. Hannah Arendt: L'esistenza
3. Edith Stein: Cogliere
4. Rossana Rossanda: Donne
5. Ilaria Troncacci: Virginia Woolf, la realta' e i suoi giudici

1. INCONTRI. A CARPI IL 3 APRILE
[Dalla Fondazione Fossoli (per contatti: fondazione.fossoli at carpidiem.it)
riceviamo e diffondiamo]

Giovedi' 3 aprile, ore 17,30, a Carpi, in piazza Martiri, Museo Monumento al
Deportato, si terra' la presentazione del volume Ricordi dalla casa dei
morti e altri scritti, di Luciana Nissim Momigliano (Giuntina, 2008).
Interverranno: Alessandra Chiappano, curatrice del volume; Bruno Maida,
dell'Universita' di Torino.
L'iniziativa e' promossa dalla Fondazione ex Campo Fossoli.
*
Luciana Nissim Momigliano, partigiana ebrea, viene arrestata e deportata ad
Auschwitz-Birkenau, insieme a Primo Levi e Vanda Maestro, con il trasporto
che parte da Fossoli il 22 febbraio 1944. Sopravvissuta, nel 1946 pubblica
la sua testimonianza Ricordi della casa dei morti, uno
dei primi scritti sulla realta' dei campi nazisti. Il volume, che esce oggi
a dieci anni dalla scomparsa dell'autrice, riprende il testo pubblicato nel
1946 e mai piu' edito autonomamente, arricchito da uno scritto
autobiografico della Nissim sulla sua famiglia e da alcune lettere inedite
scritte, prima e dopo la liberazione, a Franco Momigliano, noto economista e
partigiano, a cui la Nissim si unira' in matrimonio nel 1946.

2. MAESTRE. HANNAH ARENDT: L'ESISTENZA
[Da Hannah Arendt, "Che cos'e' la filosofia dell'esistenza?" (1946), in
Archivio Arendt, Feltrinelli, Milano 2001, p. 220.
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo
l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen
(1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita'
e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano
2006; i recentissimi Diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah Arendt:
fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt,
Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella,
Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della
politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores
d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente
e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di),
Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro
sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann,
Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt,
Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie
divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang
Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg
Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

L'esistenza, per sua stessa natura, non e' mai isolata; esiste solo nella
comunicazione e nella consapevolezza dell'esistenza degli altri.

3. MAESTRE. EDITH STEIN: COGLIERE
[Da Edith Stein, L'empatia, Angeli, Milano 1986, 2006, p. 183.
Edith Stein, filosofa tedesca, e' nata a Breslavia nel 1891 ed e' deceduta
nel lager di Auschwitz nel 1942. Di famiglia ebraica, assistente di Husserl,
pensatrice tra le menti piu' brillanti della scuola fenomenologica,
abbraccio' il cattolicesimo e nel 1933 entro' nella vita religiosa. I
nazisti la deportarono ed assassinarono. Opere di Edith Stein: le opere
fondamentali sono Il problema dell'empatia, Franco Angeli (col titolo
L'empatia) e Studium; Psicologia e scienze dello spirito, Citta' Nuova; Una
ricerca sullo Stato, Citta' Nuova; La fenomenologia di Husserl e la
filosofia di san Tommaso d'Aquino, Memorie Domenicane, poi in La ricerca
della verita', Citta' Nuova; Introduzione alla filosofia, Citta' Nuova;
Essere finito e Essere eterno, Citta' Nuova; Scientia crucis, Postulazione
generale dei carmelitani scalzi. Cfr. anche la serie di conferenze raccolte
in La donna, Citta' Nuova; e la raccolta di lettere La scelta di Dio, Citta'
Nuova, Roma 1974, poi Mondadori, Milano 1997. Opere su Edith Stein: per un
sintetico profilo cfr. l'"invito alla lettura" di Angela Ales Bello, Edith
Stein, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo 1999 (il volumetto contiene un
breve profilo, un'antologia di testi, una utile bibliografia di
riferimento). Lavori sul pensiero della Stein: Carla Bettinelli, Il pensiero
di Edith Stein, Vita e Pensiero, Milano 1976; Luciana Vigone, Introduzione
al pensiero filosofico di Edith Stein, Citta' Nuova, Roma 1991; Angela Ales
Bello, Edith Stein. La passione per la verita', Edizioni Messaggero di
Padova, 1998, 2003; Angela Ales Bello, Edith Stein. Patrona d'Europa,
Piemme, Casale Monferrato (Al) 2000. Per la biografia: Edith Stein, Storia
di una famiglia ebrea, Citta' Nuova, Roma 1994, 1999; Elio Costantini, Edith
Stein. Profilo di una vita vissuta nella ricerca della verita', Libreria
Editrice Vaticana, Citta' del Vaticano 1987, 1998; Laura Boella, Annarosa
Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2000]

Il cogliere dei valori e' gia' esso stesso un valore positivo.

4. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: DONNE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 marzo 2008, col titolo "Parliamo di
donne".
Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio
Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per
aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in
rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del
"Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata
da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu'
drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti.
Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari
1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica
come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna,
persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro
Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con
Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita',
Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La
ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del
lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della
riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora
dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste]

Siamo davanti a elezioni che si autodefiniscono costituenti, e di donne non
si parla. Sono meta' del paese, anzi un poco di piu' e in politica contano
meno che in qualsiasi altro campo. Ci sono donne capi di stato e di governo
nei paesi d'occidente e nei paesi terzi. Che in questi siano perlopiu'
moglie o figlia, orfana o vedova di un illustre defunto e' un arcaismo ma,
rispetto a una tradizione che non ammetteva donne al comando, e' una
frattura. Negli Usa l'avvocata Hillary Rodham corre anch'essa con il nome
del marito, perche' e' l'ex presidente Clinton.
In Italia non siamo neanche a questo, e arrivarci non sembra urgente ne'
alle destre ne' alle sinistre. In Francia Nicolas Sarkozy ha composto il suo
governo meta' di uomini e meta' di donne. Piu' abile delle nostre maschie
mummie, con tre di esse ha preso due piccioni con una fava: la maghrebina e
la senegalese sono, socialmente parlando, due belve, la femminista non ha
piu' seguito. E' vero che Sarkozy interviene su tutto e tutti, maschi o
femmine che siano, ma in quanto monarca e' piu' avvertito dei nostri.
I quali non riescono a fare fifty-fifty non dico un governo, ma le liste,
lasciando al sessismo ordinario dell'elettorato di scremare le presenze
femminili. Per cui sarei a proporre - non per la prima volta e come
recentemente l'Udi - che le Camere siano composte meta' di uomini e meta' di
donne. Almeno finche' esiste in Italia, e non si schioda da oltre mezzo
secolo, una democrazia che discrimina il genere.
Insomma il maschio politico italiano e' ancora un bel passo indietro
rispetto alla semplice emancipazione. E le donne italiane come sono? Ne
conosciamo i frammenti minoritari che hanno accesso alla parola, i numeri
muti delle statistica, le immagini tv.
Dalle quali trarre deduzioni e' rischioso: piangenti, al mercato, rare
imprenditrici brillanti, rare ministre, zero segretarie di partito, zero
segretarie delle confederazioni sindacali (e' arrivata prima la
Confindustria), qualche insegnante o professionista, e una gran massa di
veline, tutte carine, tutte uguali. E' un valido campionamento del paese?
Mah. Una volta la Regione campana prese la tv cosi' sul serio da organizzare
corsi professionali per le aspiranti veline.
Tradotto in "desiderio politico", che cosa sono? Emancipate? Certo in uscita
transitoria dallo stereotipo donna al focolare. Se arrivano a farsi
conoscere, sono in grado di mandare a spasso un marito, salvo congruo
assegno. Ma se emancipate significa che ambiscono a prendere il posto degli
uomini, non direi. Le emancipate che lo ambiscono sono relativamente rare,
salvo nell'insegnamento, dove costituiscono la maggioranza ma non ne reggono
le redini ne' una riforma del sistema e' stata avanzata da riconoscibili
donne. Quanto alla massa di carine, sono giunte a professionalizzare
(precariamente) il classico desiderio maschile e il nostro, pare altrettanto
classico, esibizionismo, senza grande spesa e trasgressione. Difficile
immaginare che idea di societa' abbiano. Come le casalinghe per scelta,
sempre di meno ma con la bizzarra componente delle figlie super emancipate e
disinibite dal 1968. Strana generazione, che a un certo punto sceglie di
tenersi sul sicuro, cosa che mamma ai suoi tempi non ha fatto. Devono essere
elettrici tendenzialmente democratiche, magari "riformiste".
Poi ci sono quelle che parlano. Anche di politica, emancipate o femministe.
Il desiderio delle prime, che spesso hanno avuto un passaggio femminista
light, e' di affermarsi nell'arco politico esistente. Con una qualita' in
meno o in piu' dei maschi: sono capaci di "staccare". E' interessante il
percorso di decine di migliaia di amministratrici locali, spesso ottime: uno
o due giri da consigliere, assessore o sindaco e poi se ne tirano fuori. E
non irate o deluse, ma per voglia di fare altro. Questa caratteristica e'
importante per capire quanto la politica conti per la donna che ci si e'
messa: raro che ci muoia. Sarebbe garanzia di un equilibrio? Somiglierebbe
al disinteresse personale? E intanto mezzo secolo di amministratici locali
hanno mutato o no il potere locale? Ne hanno modificato le regole?
Accresciuto l'autonomia?
Credo di no. Non diversamente dalle istituzioni nazionali, in quelle locali
le donne non hanno reclamato, e tanto meno ottenuto, cambiamenti ne' di fini
ne' di regole.
Di qui il rapporto acerbo fra le femministe e la sfera politica. Inutile
girarci attorno. La' dove avrebbero in via di principio un ascolto, cioe' a
sinistra - e' stato un penoso errore da parte di un loro gruppo credere che
uno spazio ci fosse a destra per via di Lady D e Irene Pivetti - i leader
della medesima si spendono in parole e stringono poco nei fatti. Gli uomini
di sinistra imbrogliano o si imbrogliano da se', le donne di sinistra
protestano. O da lontano, scrivendo con amarezza della irreversibile crisi
della politica, o da vicino, organizzando proteste su obbiettivi
indiscutibili, come la violenza, ma poco cavandone fuori. Quale dirigente
maschio oserebbe dire: "Insomma, se il marito la pesta (una donna ogni tre
donne viene picchiata in Francia) o le ammazza (idem, una ogni tre giorni),
se la sara' cercata". Quando mai. Soltanto che nessuna gli pone in termini
secchi la domanda: "Non ti chiedi perche' il tuo sesso continua ad
ammazzarci?". Il leader condanna sinceramente ma pensa: quelli non sono come
me, sono perversi o assassini, roba da codice penale. Non lo sfiora che la
brutale negazione fisica di lei abbia una parentela con la negazione
simbolica che lo induce a discriminarla dalle cariche decisive ("non ce la
farebbe").
In politica resta inesplorata la zona oscura del conflitto millenario fra i
sessi. Soprattutto in Italia e in Francia, dove le "emancipate" che
partecipano al potere eludono il tema, e le femministe, fra loro diverse,
non partecipano gran che al primo e rompono i ponti sul secondo. Non e'
senza interesse chiedersi perche' resti cosi' profonda o, se da qualcuna
praticata, irrisolta in lei stessa, la separazione fra coscienza e
partecipazione femminista e coscienza e partecipazione politica. Penso alle
recenti interviste sul nostro giornale di Ida Dominijanni a Judith Butler e
Wendy Brown ("Il manifesto" del 25 marzo). Butler e' impegnata a fondo su
tutti e due i terreni, esplora la zona oscura in termini sovversivi
proponendo l'intersessualita' come norma - "Gender Trouble" - e prendendo di
petto, e non genericamente, temi scottanti dell'attuale politica degli Usa.
C'e' probabilmente una diversa tradizione intellettuale, perche' non e' che
le europee siano meno radicali; probabilmente il sistema politico americano
e' cosi' precluso - per fare un presidente (o un governatore) ci vogliono
centinaia di milioni e quasi due anni di campagna elettorale full-time - che
la presa di parola politica non ha mediazioni con istituzioni e partiti, o
si espone direttamente o non e'. Insomma si interviene in politica a prezzo
di impegno e competenza specifica dalla societa' civile, considerano milizia
femminile e milizia politica un unicum, come a mio avviso realmente sono.
Non investono ambedue il sistema delle relazioni?
In Italia no. Forse per il ritardo della emancipazione in presenza d'una
gerarchia cattolica invadente. E' stata piu' la modernizzazione
capitalistica della societa' che la politica a farla avanzare. Forse per
l'essersi formato il primo e il secondo femminismo in collegamento stretto
con la sinistra; il primo con il Pci e il Psi e il secondo - anche se non
collegato altrettanto strettamente - con il 1968 e il rivoluzionamento che
esso ha comportato nei paradigmi del politico per tutti gli anni '70,
finendo con l'essere l'unica vera trasformazione culturale che ne e'
rimasta, minoritaria ma irreversibile. Piu' che in Francia e in Germania,
credo.
Ma la sua contiguita' originaria con il bacino "marxista" - marxista piu'
come pratica etica ed emozionale che come elaborazione teorica,
caratteristica di tutta la sinistra italiana - ha portato le donne a un
corto circuito: rapido investimento e rapida disillusione, 1968 incluso, e
peggio con i successivi gruppi extraparlamentari. Vibra ancora indolenzito
un cordone che si e' spezzato. Gli uni non capiscono le altre e viceversa,
fino a ignorarsi, al di la' di qualche convenevole, come se fossero due
settori separati d'esperienza e competenza. (Di questo bisogna chiedere alle
donne, dice lui. La politica non mi interessa piu', dice lei).
Non che sia agevole fare una mappa dei gruppi femministi italiani. Proprio
perche' sono, mi sembra, piu' diffusi che altrove e frammentati si rischiano
giudizi facili. Ma molto sommariamente si puo' avanzare che le principali
posizioni rispetto al "fare" politico sono due. L'una vede nel conflitto fra
i sessi una costante metastorica, o quanto meno originaria, irrisolta quanto
piu' introiettata senza esplicitazione, certo fra gli uomini e in molta
parte delle donne; e finche' tale resta, il conflitto non conscio di se'
mutila e conforma l'uno e l'altro sesso, reciprocamente confusi, dolenti. E
ormai traversati brutalmente dalle biotecnologie che tendono a modificare la
posta in gioco della riproduzione. Di qui l'oscillazione fra il rifiuto
conservatore della chiesa, l'interesse alla liberta' della scienza (che si
presume) disinteressata, e un rifiuto femminile in nome di un diritto
primario e autentico che non e' riconosciuto ne' dalla chiesa ne' dalla
scienza e, come ha dimostrato il referendum sulla riproduzione assistita,
spesso dalle donne stesse.
La seconda posizione, all'inizio derivata da Luce Irigaray, vede piu' che il
conflitto - il conflitto e' comunque un rapporto - un'eteronomia dei sessi
che darebbe luogo, fra natura e storia, a una differenza insorpassabile. E
del resto perche' sorpassarla? Nel momento in cui la donna spezza il
presunto universalismo del maschile (il patriarcato) e si riconosce il suo
sesso come principio di se' - si era fin suggerita una "specie umana
femminile" - si scopre come un valore, si da' una genealogia e un ordine
simbolico (materno invece che paterno), la rivoluzione e' gia' avvenuta, il
patriarcato se non finito e' incrinato. A questo punto o le donne si
appartano nella separatezza (la comunita' dello Scamandro di Christa Wolf),
o restano nel mondo intervenendovi come un complesso interrelazionale
autonomo, che risponde ai suoi propri principi.
Soprattutto alla seconda posizione il sistema politico, con il quale si e'
inutilmente incontrata e scontrata, e con esso l'intero pensiero politico
della modernita' appare segnato da un solo codice, quello maschile, e cosi'
il lessico, e cosi' il linguaggio. A questo punto il dialogo appare
impraticabile. Riscoprirsi nella propria interiorita' svalorizza ogni
pretesa di universalismo come e' proprio specie della costituzione di un
diritto, punto centrale della politica. L'avvertimento "non credere di avere
dei diritti" volge facilmente in un "non ce ne importa del diritto", occorre
una revisione ab imis che costituisce "la politica prima". Basta guardare
alla sorte delle donne entrate nella poderosa macchina delle istituzioni per
aver la conferma di quel che pare un eccesso.
Ma lo stesso vale per chi non arriva a questo limite di separatezza e ha
cercato di partecipare o almeno collaborare al sistema politico per non
isolarsi, sperando di inserire un cuneo, un dubbio.
Qui siamo. Non sembra che le forme e le figure attuali della politica o dei
partiti ne siano coscienti o almeno se ne facciano un problema. Non la
destra o il centro cattolico, per i quali il problema non esiste. Non il
Partito democratico, invischiato fra cultura cattolica e una laica che
rinnega il passato e prende a prestito qua e la' del presente non esiste. Ma
non e' chiaro se ne sia sfiorato quel work in progress che sarebbe la
Sinistra Arcobaleno, che il Partito democratico farebbe volentieri a pezzi.
Non e' chiaro se ne sono coscienti neppure le culture dell'autonomia.
Ma qualcuno e' disposto a sostenere seriamente che senza prender questo toro
per le corna - questi tori, perche' e' il tema fondamentale delle relazioni
che e' in causa - una convivenza moderna o postmoderna si possa civilmente
dare? Io non credo.

5. RIFLESSIONE. ILARIA TRONCACCI: VIRGINIA WOOLF, LA REALTA' E I SUOI
GIUDICI
[Ringraziamo Ilaria Troncacci (per contatti: crazyi85 at hotmail.com) per
averci messo a disposizione questo suo saggio, dal titolo originale "La
realta' nel rapporto con la tradizione", redatto in ambito universitario
come tesina per un corso di studi di genere, sezione teoria e critica
letteraria femminile.
Ilaria Troncacci, amica della nonviolenza e persona di infinita dolcezza e
profondita' d'animo, e' da anni impegnata nell'esperienza scoutistica ed in
molte iniziative di solidarieta' concreta; e' attualmente volontaria in
servizio civile nell'associazione di solidarieta' "Terra e liberta'" di
Bracciano (Roma).
Virginia Woolf, scrittrice tra le piu' grandi del Novecento, nacque a Londra
nel 1882, promotrice di esperienze culturali ed editoriali di grande
rilievo, oltre alle sue splendide opere narrative scrisse molti acuti saggi,
di cui alcuni fondamentali anche per una cultura della pace. Mori' suicida
nel 1941. E' uno dei punti di riferimento della riflessione dei movimenti
delle donne, di liberazione, per la pace. Opere di Virginia Woolf: le sue
opere sono state tradotte da vari editori, un'edizione di Tutti i romanzi
(in due volumi, comprendenti La crociera, Notte e giorno, La camera di
Jacob, La signora Dalloway, Gita al faro, Orlando, Le onde, Gli anni, Tra un
atto e l'altro) e' stata qualche anno fa pubblicata in una collana
ultraeconomica dalla Newton Compton di Roma; una pregevolissima edizione sia
delle opere narrative che della saggistica e' stata curata da Nadia Fusini
nei volumi dei Meridiani Mondadori alle opere di Virginia Woolf dedicati (ai
quali rinviamo anche per la bibliografia). Tra i saggi due sono
particolarmente importanti per una cultura della pace: Una stanza tutta per
se', Newton Compton, Roma 1993; Le tre ghinee, Feltrinelli, Milano 1987 (ma
ambedue sono disponibili anche in varie altre edizioni). Numerosissime sono
le opere su Virginia Woolf: segnaliamo almeno Quentin Bell, Virginia Woolf,
Garzanti, Milano 1974; Mirella Mancioli Billi, Virginia Woolf, La Nuova
Italia, Firenze 1975; Paola Zaccaria, Virginia Woolf, Dedalo, Bari 1980;
Nadia Fusini, Possiedo la mia anima. Il segreto di Virginia Woolf,
Mondadori, Milano 2006; Liliana Rampello, Il canto del mondo reale. Virginia
Woolf, la vita nella scrittura, Il saggiatore, Milano 2005. Segnaliamo anche
almeno le pagine di Erich Auerbach, "Il calzerotto marrone", in Mimesis,
Einaudi, Torino 1977]

Che cos'e' la realta'? Chi sono i suoi giudici?
Tra le tante che si sollevano nelle pagine del saggio "Mr. Bennett e Mrs.
Brown" di Virginia Woolf, trovo queste due domande estremamente interessanti
per chi, come me, inizia ad accostarsi all'accorto lavoro del critico
letterario.
Queste domande scardinano completamente le sicurezze del lettore, mettono
sotto accusa il critico, il teorico e il letterato.
Le risposte sono necessarie per affrontare uno studio che sia effettivamente
"posizionato" e quindi criticabile a partire dalle specificita' di chi
scrive, chi legge, chi critica.
Virginia Woolf le rivolge prima di tutto a se stessa. La risposta, pero', e'
la risposta di una donna inglese, appartenente alla classe borghese, dei
primi anni del XX secolo.
Come puo' questa risposta avere valore universale?
Allora l'autrice rivolge la domanda al suo personaggio. Non a Mrs. Brown,
che viene ad essere soggetto implicito della domanda, ma a Mr. Bennett, vero
oggetto dell'intera disquisizione.
Alla domanda: "chi sono i giudici della realta'?" e' facile immaginare Mr.
Bennett rispondere con nomi illustri di emeriti studiosi, professori
encomiabili e autori immortali. Studiosi, professori, autori ritenuti da Mr.
Bennett immortali, encomiabili ed emeriti, probabilmente perche' fondatori,
con i loro giudizi, delle solide basi su cui il suo stesso sapere e'
edificato.
Rispondendo a questa domanda, quindi, il signor Bennet non farebbe altro che
porre se stesso come giudice unico degli strumenti attraverso i quali
approcciare la realta'.
E' evidente come nella scelta dei mezzi sia implicito il potenziale
attribuibile alla realta' stessa.
E' cosi' che Mr. Bennett, ponendo al vaglio i criteri adatti a giudicare la
realta', avvia in pratica il processo tramite il quale la realta' viene a
formarsi. Grazie a queste solide ed inattaccabili basi, il suo giudizio puo'
non incorrere nel dubbio.
Ma come puo' il parere di un Mr. Bennett, anche se largamente condiviso,
definire in modo universale cosa sia reale (e quindi normale) e cosa no?
Puo' egli definire i criteri che stabiliscono come reale o meno un
carattere?
*
E' a partire da questo dubbio che la Woolf lancia la sua provocazione, la
sua accusa. Mr. Bennett e' in grado di definire la realta', poiche' la sua
realta' e' sottile, uniforme, sorretta da una tradizione salda ed autorevole
di cui egli e' parte ed emblema. Tradizione che tiene fuori tutto cio' che
risulti vagamente controverso o differente. Mr. Bennett e' quindi un
giudice, ma e' giudice in realta' impotente. I criteri con i quali egli si
rapporta alla realta', infatti, altri non sono che quegli stessi criteri
utilizzati da altri, nel formare il suo sapere. Non e' in base ad
un'autonoma speculazione che arriva a definire la realta'. Egli e' guidato
da criteri che divengono acriticamente lente per osservare il mondo.
Parlo di acriticita' perche' il sapere di Mr. Bennett e' povero di termini
di paragone, dal momento che elementi dissimili vengono catalogati al di
fuori del codice, perdendo cosi' il potere di mettere in crisi idee e
strumenti.
"Nessuno potrebbe non accorgersi del predominio del Professore. Il potere,
il denaro e l'influenza sono i suoi. E' il proprietario del giornale, il suo
direttore e il suo redattore. E' il ministro degli esteri e il giudice
[...], ha lasciato milioni alle opere di beneficenza e ai colleges da lui
stesso diretti [...], a parte la nebbia sembra controllare tutto" (1).
La ridondanza di questo meccanismo e' fin troppo evidente.
Mr. Bennett e' parte del sapere tradizionale. Quel sapere lo rispecchia,
parla di lui, con lui.
Cosi' non e' per gli scrittori che l'autrice chiama georgiani. Cosi' non
puo' essere per la Woolf.
I georgiani non sono in grado di dare una risposta, non sono sorretti da una
cultura autoconservativa, da uno stato di cose che permette di avere tutta
la realta' indiscutibilmente nelle proprie mani. I georgiani sono figli di
tempi durante i quali il mondo e' cambiato, ed i caratteri sono mutati con
esso. Hanno visto l'orrore della guerra crescere e divenire reale e la
societa' smembrarsi sotto il suo peso.
L'individuo, orfano di quelle strutture rigide frutto di una societa' ormai
disgregata, si e' fatto avanti con la potenza della propria individualita'.
Hanno visto la realta' acquisire di conseguenza uno spessore impensato,
ingestibile per molti versi. Hanno visto l'individualita' accrescere il
proprio potere ed impossessarsi di una realta' oramai difficilmente
imbrigliabile nelle fisse categorie del signor Bennett.
La tradizione con la sua positivita' e' stata smentita. All'univocita' viene
contrapposta la varieta' e la complessita', alla certezza il dubbio.
La domanda rimane, quindi, necessariamente senza risposta. "Tale, penso, era
la situazione nella quale si trovavano i giovani georgiani intorno all'anno
1910. Molti di essi sciuparono i loro primi lavori perche', invece di gettar
via quegli strumenti, tentarono di usarli. Tentarono di raggiungere un
compromesso. [...] ma avevano un senso troppo acuto, troppo irresistibile di
Mrs. Brown e delle sue peculiarita' per continuare a tentare ancora per
molto tempo. Bisognava fare qualcosa. A qualsiasi costo di vita, di arti, e
danni a cose di valore, Mrs. Brown andava salvata, espressa e posta nei suoi
rapporti alti con il mondo [...]" (2).
I georgiani sono costretti a reinventare nuove categorie e nuovi criteri per
sezionare la propria realta'. Gli strumenti del signor Bennet non possono
definire una realta' nuova, che non conoscono e che non sono in grado di
interpretare.
Forse, non e' questa la realta'. Ma, allora, "Che cos'e' la realta'?".
*
Se quella descritta dai georgiani non rientra nella categoria, tanto meno
puo' farlo quella descritta o rappresentata dalla Woolf.
Da sempre la scrittura delle donne e' stata tagliata fuori dal codice, in
quanto difficilmente riconducibile all'interno del sistema di generi
convenzionali.
Immaginiamo dunque Mr. Bennett con il suo bagaglio di saperi, con il suo
college e le sue compagnie. Il signor Bennett con il suo posto in societa' e
la sua indipendenza. Immaginiamolo alle prese con un manoscritto di una
donna qualsiasi, proveniente se fortunata da un college femminile, o formata
nella casa paterna da un istitutrice, assunta con il compito di prepararla
alla societa'. Forse autodidatta, formata grazie ai libri presi per caso
nella biblioteca paterna, magari di nascosto.
La storia della letteratura femminile e' piena di casi simili, piu' o meno
illustri (ma a questo punto la domanda e': chi decide quali siano illustri e
quali no?). Una donna, che ha alle spalle generazioni di donne vissute
all'ombra di una tradizione culturale che fa di loro un oggetto utile. Utile
in quanto "altro", in cui sia possibile guardarsi, definirsi e vedere con
orgoglio la propria superiorita'.
Con quali strumenti Mr. Bennett analizzera' quel manoscritto? Probabilmente
con gli unici che possiede. In questo consiste la differenza tra la
situazione delle donne e quella dei nuovi letterati.
I georgiani sono figli di tempi mutevoli, le donne sono invece figlie della
tradizione, sebbene solo figliastre. Entrambi, non trovano posto nel
panorama culturale, la loro realta' non e' riconosciuta, ma le donne
rincorrono l'emancipazione da tempi considerevolmente piu' lunghi.
Da tempi ancor piu' remoti, subiscono il potere del sapere costituito.
A partire dalla disparita' nell'iter formativo di maschi e femmine che,
sebbene avesse visto notevoli passi avanti al tempo della Woolf,
caratterizzava l'istruzione inglese fin dal XVII secolo (prima di questo
periodo l'istruzione obbligatoria non era prevista neanche per i maschi).
Sotto il profilo etico d'altronde, la donna che si dedicava alla cultura era
vista come  traditrice del suo ruolo, o meglio, della sua stessa natura.
"Le donne il cui lavoro lasciava percepire il genio, erano considerate
anormali o, nel migliore dei casi, asessuate. Gli attributi della
femminilita' erano diametralmente opposti a quelli del genio [...] I valori
dell'attivita', dell'immaginazione, della creativita' e della sessualita'
degli uomini erano legati l'un l'altro e collocati in opposizione ai valori,
ugualmente indivisibili, della passivita', dell'imitazione, della
riproduzione e della sessualita' femminile: gli uomini creavano opere d'arte
originali, le donne ricreavano se stesse nei loro bambini" (3).
Infine l'epoca del progresso scientifico aggiunse, alla gia' lunga serie di
giustificazioni, una ricerca scientifica volta a dimostrare l'inferiorita'
biologica della donna.
Questa e' la situazione di partenza della Woolf, ovviamente vicina alle
rivendicazioni degli autori a lei contemporanei. Portare avanti la battaglia
del riconoscimento, e' cio' che le donne in Inghilterra facevano da tempo.
Il nuovo modo di guardare al mondo, non poteva che affiancare, alle
richieste delle donne, le richieste di chi, come loro, non riusciva a
trovare posto in cio' che veniva definito cultura, in cio' che a tutti gli
effetti veniva a essere riconosciuto come realta'.
*
La presa di coscienza da parte delle donne, a differenza dei nuovi
scrittori, era stata lenta e graduale, per questo molto ben radicata. In
maniera quasi impercettibile, il modo delle donne di guardare alla
letteratura era mutato, a partire dal loro rapporto con la lettura. Le donne
iniziarono a confrontarsi con cio' che era attuale, dalle innovazioni
tecnologiche alla rivoluzione. La nuova circolazione della cultura, apriva
loro ampi spazi e dava la possibilita' di guardare alla lettura, non piu'
solo come evasione, ma come vero e proprio mezzo di conoscenza. Una scuola
che aiutava a prendere coscienza di se' e, cosa ancor piu' importante,
coscienza di se' nel mondo. Le donne avevano lentamente iniziato ad
appropriarsi di parole ed immagini, nel tentativo di fare propri quegli
strumenti necessari a smembrare la realta' ed imparare a comprenderla.
Le donne iniziarono a cercarsi tra le pagine. L'immagine che ne ricevettero
pero' era lontana dalla realta'. Non era l'immagine delle donne che
trovarono, bensi' quella degli uomini riflessa in esse. "Avete idea di
quanti libri si scrivono sulle donne in un anno? Avete idea di quanti sono
scritti da uomini? Sapete di essere l'animale forse piu' discusso
dell'universo? [..] perche' Samuel Butler dice 'I saggi non dicono mai
quello che pensano delle donne'? i saggi non dicono mai nient'altro, a
quanto pare" (4).
Ed ecco, dunque, quegli strumenti e quei criteri, propri della cultura di
Mr. Bennett, divenire ancora una volta insufficienti. Non sono adatti
all'analisi che le donne fanno della realta', ne' dell'analisi che le donne
fanno di loro stesse, in quanto non le rispecchiano. L'immagine risulta
distorta anche se sono donne ad usare quegli strumenti. Per questo la Woolf
incita a metterli da parte, anzi di piu': a distruggerli.
E' "rumore di cose rotte e cadenti, sfondate e distrutte" che l'autrice dice
di sentire con piacere levarsi dagli scrittori del suo tempo.
La sua speranza di cambiamento e' riposta nel "vigoroso e stimolante" (5)
rumore delle accette dei georgiani.
Percepisce l'incontrovertibilita' del cambiamento e vede l'impianto del
sapere tradizionale scricchiolare sotto il peso ingombrante delle sue stesse
regole e convenzioni.
Vede nello spiraglio che lentamente si apre, la possibilita' di un
necessario riconoscimento, per quanto tardivo, della produzione femminile.
Crede in una maggiore liberta' ed indipendenza, conquistabile dalle donne,
sebbene a colpi di accetta.
Il processo come e' ovvio non e' lineare ne' semplice.
*
Le molte voci che si alzano in nome della varieta', sono sicuramente una
forza aggiunta, ma la Woolf capisce che potrebbe non bastare. E' per questo
che si rivolge con vigore ai lettori.
Ai lettori cresciuti alla scuola di Mr. Bennett, e non. Ai lettori non in
quanto pubblico, ma in quanto insieme di singoli. Il pubblico inglese, dice
la Woolf, e' facilmente suscettibile, allora la sua opera di
destabilizzazione e' da condurre anche qui. Si rivolge dunque, ad ogni
singolo lettore, e rivolge a ciascuno la domanda: "qual e' la realta'?",
"chi sono i suoi giudici?".
Sprona quindi il lettore a divenire giudice, ad essere egli stesso metro
della realta'.
Perche'? Perche' egli e' portatore di una parte della realta' unica: "Nel
corso della vostra vita quotidiana quest'ultima settimana voi avete avuto
esperienze assai piu' strane ed interessanti di quella che ho tentato di
descrivere. Avete udito senza volere brandelli di conversazione che vi hanno
riempito di stupore. Siete andati a letto esterrefatti della complessita'
dei vostri sentimenti. [...] Tuttavia,voi consentite agli scrittori di
appiopparvi una versione di tutto questo, un'immagine di Mrs. Brown che non
ha alcuna somiglianza con quella sorprendente apparizione" (6).
Se e' vero che la convenzione letteraria e' punto d'incontro tra scrittore e
lettore, allora che i lettori capiscano il loro ruolo, e si assumano le
responsabilita' che da questo derivano. Poiche' laddove lo scrittore e'
solo, il pubblico, ogni singolo lettore, e' sempre vicino a lui, nel sedile
accanto. Laddove il posizionamento dell'autore e' limitato alla sua persona,
il suo campo d'azione, la sua produzione non lo sono, date le innumerevoli e
variegate possibilita' di interazione che un pubblico numeroso prevede.
Qui si trova la credibilita' dell'autore, qui la realta', nel tenere
presente l'incredibile potenziale della realta' stessa.
Ogni singolo lettore ha il diritto e la responsabilita' di analizzare
l'opera di uno scrittore, di cercare in essa la propria parte di realta', di
gridare forte che l'autore non e' credibile se essa non e' presente.
E' da irresponsabili attestare come realta' qualcosa, solo perche' un
numero, seppur consistente, di studiosi, la afferma tale.
Non si puo' credere che le donne abbiano la coda e gli uomini la gobba. E'
necessario chiedersi perche' l'autore afferma questa "verita'". Si
scoprirebbe, forse, che il suo proclamare che le donne hanno la coda, sia
verita'. Una verita' legata alla sua personale esperienza.
E' necessario che la particolarita' di questa verita' venga pero' definita.
Per delineare con onesta' cosa sia la realta', il passaggio di
soggettivizzazione risulta  necessario. E' differente affermare: "le donne
hanno la coda" o "anche le donne possono avere la coda". La seconda
affermazione va ad inglobare nella realta' una realta' particolare. La
prima, invece, definisce i limiti della realta' stessa. Solo coloro che
hanno la coda sono donne, chi manca di tale attributo e' automaticamente
scartato dalla categoria.
"A voi tocca insistere affinche' gli scrittori scendano dai loro plinti e
piedistalli, e descrivano, in modo bello se possibile, vero in ogni caso, la
nostra Mrs. Brown. Dovreste insistere che costei e' una vecchia signora
dalle capacita' illimitate e dall'infinita varieta' [...] ella e'
naturalmente lo spirito di cui viviamo, la vita stessa" (7).
E' dovere del buon lettore analizzare la realta' a partire dai criteri
appartenenti alla propria soggettivita'.
*
Tanto piu' pressante e' il dovere della buona lettrice, poiche' e' a lei che
viene delegato il potere di creare nuovi strumenti. Come la donna
scrittrice, la lettrice ha su di se' un lungo carico di anni che l'hanno
vista spettatrice passiva della produzione artistica. Ad altri e' stata
delegata la liberta' della scelta, ad altri il potere della critica. La
maggior parte della produzione non e' stata "per lei".
Al di fuori dei generi tradizionalmente ritenuti femminili (narrativa di
contenuti amorosi, diari), la produzione letteraria e' sempre stata qualcosa
che mal si rapportava al ruolo della donna. La donna nell'immaginario comune
non ha mai avuto bisogno di conoscenza. Il suo sapere indissolubilmente
legato alle pratiche quotidiane, e' di fattura terrena, la sua mente non e'
adatta a librarsi, ad esempio, tra i sublimi versi della lirica. La donna
studiosa, come la donna scrittrice, non e' modello per la societa', ne
scardina, anzi, gli impianti piu' basilari.
Una lunga tradizione, anche a livello simbolico, si frappone tra la donna e
la conoscenza: "andare oltre il santuario, trasgredire i confini dell'essere
donna - il movimento comporta un passaggio dal sacro al profano. In questo
schema la donna come silenziosa portatrice di un'ideologia (vergine, moglie,
madre) e' il sacrificio necessario alla secolarita' maschile nell'accesso
alla conoscenza proibita. Reso al femminile l'eroe faustiano diventa
un'avventuriera militante, Eva, che raccoglie lo 'strano frutto luminoso',
che porta sia conoscenza che infelicita'" (8).
E' nell'opera destabilizzante della buona lettrice, che l'universo femminile
puo' dunque sperare di trovare germi di sapienza a cui le letterate di
domani potranno attingere.
E' per questo che la Woolf nelle sue opere ricorda frequentemente e con
gratitudine quelle donne che hanno fatto sentire la voce della propria
realta'. La donna che sfida l'ordine, quindi, si incammina per una via non
battuta, e' lei a creare sentieri in un processo nuovo, paritetico, che pone
scrittrice e lettrice su di uno stesso piano. E' l'incontro di due
soggettivita' che, con spirito di frontiera, rischiano le proprie certezze,
per aggiungere un piccolo tassello alla complessita' della realta'. Realta'
che non sarebbe tale a prescindere da quel tassello.
*
Note
1. Virginia Woolf, Una stanza tutta per se', Newton & Compton, Roma 2004.
2. V. Woolf, "Mr. Bennett e Mrs. Brown", in Eadem, La signora dell'angolo di
fronte, Il Saggiatore, Milano 1979.
3. Lara Tanari, "Scrittura come espressione del mondo femminile", in "Argo"
(www.argonline.it).
4. Virginia Woolf, Una stanza tutta per se', Newton & Compton, Roma 2004.
5. Virginia Woolf, "Mr. Bennett e Mrs. Brown", cit.
6. ibidem.
7. ibidem.
8. Catherine Belsey, Jane Moore, The feminist reader, MacMillan, London
1992.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 173 del 3 aprile 2008

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