Voci e volti della nonviolenza. 159



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 159 del 18 marzo 2008

In questo numero:
Alcuni estratti dalla "Storia del camminare" di Rebecca Solnit

LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DALLA "STORIA DEL CAMMINARE" DI REBECCA SOLNIT
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di
Rebecca Solnit, Storia del camminare, Bruno Mondadori, Milano, 2002 (ed.
originale: Wanderlust. A History of Walking, 2000), prefazione di Franco La
Cecla, traduzione di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini
Rebecca Solnit e' un'intellettuale, scrittrice e attivista pacifista
americana, autrice di diverse opere che hanno ottenuto numerosi
riconoscimenti; vive a San Francisco e per il suo impegno culturale e
politico e' considerata l'erede di Susan Sontag. Opere di Rebecca Solnit:
Savage Dreams: A Journey Into the Landscape Wars of the American West
(1994); Book of Migrations: Some Passages in Ireland (1998); (con Susan
Schwartzenberg), Hollow City: The Siege of San Francisco and the Crisis of
American Urbanism (2002); Wanderlust: A History of Walking (2002); River of
Shadows: Eadweard Muybridge and the Technological Wild West (2003); As Eve
Said to the Serpent: On Landscape, Gender, and Art (2003); Hope in the Dark:
Untold Histories, Wild Possibilities (2006); (con Philip L. Fradkin, Mark
Klett, Michael Lundgren), After the Ruins, 1906 and 2006: Rephotographing
the San Francisco Earthquake and Fire (2006); A Field Guide to Getting Lost
(2006); Storming the Gates of Paradise: Landscapes for Politics (2007) . In
italiano sono disponibili: Storia del camminare, Bruno Mondadori, Milano
2002, 2005; Speranza nel buio. Guida per cambiare il mondo, Fandango, 2005]

Indice del volume
Ringraziamenti; Prefazione di Franco La Cecla; I. Il passo dei pensieri.
Introduzione. Ripercorrere un promontorio; La mente a tre miglia all'ora;
Architettura pedonale; La consacrazione del camminare; Camminare e pensare e
camminare; Il soggetto mancante; Alzarsi e cadere: i teorici del bipedismo;
L'ascesa verso la grazia: qualche pellegrinaggio; Labirinti e Cadillac:
camminare nel regno del simbolico; II. Dal giardino all'incolto. Il sentiero
oltre il giardino; Due viandanti e tre cascate; Il cammino del giardino;
L'invenzione del turismo pittoresco; Fango sulla sottoveste; Fuori del
cancello; Le gambe di William Wordsworth; Mille miglia di sentimento
convenzionale: la letteratura del camminare; Il puro; Il semplice; Il
lontano; Monte oscurita' e Monte arrivo; Di club escursionistici e di guerre
territoriali; La Sierra Nevada; Le Alpi; Il Peak District e oltre; III. La
vita delle strade. Il passeggiatore solitario e la citta'; Parigi, o
erborare sull'asfalto; Cittadini delle strade: feste, processioni e
rivoluzioni; Camminare dopo la mezzanotte: donne, sesso e spazio pubblico;
IV. Oltre la fine della strada. Sisifo aerobico e psiche suburbana; I
sobborghi residenziali; La mancanza di corporeita' nella vita quotidiana; Il
treadmill; Il camminare come arte; Las Vegas, o la distanza piu' lunga tra
due punti; Note; Fonti; Indice analitico.
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Pagina 1
Introduzione. Ripercorrere un promontorio
Da dove si comincia? I muscoli si tendono. Una gamba e' il pilastro che
sostiene il corpo eretto tra cielo e terra. L'altra, un pendolo che oscilla
da dietro. Il tallone tocca terra. Tutto il peso del corpo rolla in avanti
sull'avampiede. L'alluce prende il largo, ed ecco, il peso del corpo, in
delicato equilibrio, si sposta di nuovo. Le gambe si danno il cambio. Si
parte con un passo, poi un altro e un altro ancora che, sommandosi come
lievi colpi su un tamburo, formano un ritmo: il ritmo del camminare. La cosa
piu' ovvia e piu' oscura del mondo e' questo camminare, che si smarrisce
cosi' facilmente nella religione, la filosofia, il paesaggio, la politica
urbana, l'anatomia, l'allegoria e il crepacuore.
La storia del camminare e' una storia non scritta, segreta, i cui frammenti
si possono rintracciare con parole semplici in migliaia di passi di libri
come anche di canzoni, nelle strade e in quasi tutte le avventure di
ciascuno di noi. La storia corporea del camminare e' quella dell'evoluzione
del bipedismo e dell'anatomia umana. Per la maggior parte del tempo
camminare e' un atto puramente pratico, il mezzo locomotorio inconsapevole
tra due luoghi. Trasformarlo in un'indagine, un rituale, una meditazione, e'
farne un particolare sottoinsieme del camminare, fisiologicamente simile, ma
filosoficamente dissimile, al modo in cui il postino porta la posta e
l'impiegato prende il treno. Il che vuol dire che la materia del camminare
riguarda, in un certo senso, il modo in cui attribuiamo significati
particolari ad atti universali. Come il mangiare o il respirare, cosi' il
camminare puo' essere investito di significati culturali completamente
diversi, da quelli erotici a quelli spirituali, da quelli sovversivi a
quelli artistici. E' qui che questa sua storia comincia a fare parte della
storia dell'immaginazione e della cultura, e della storia dei generi di
piacere, di liberta' e di significato che vengono perseguiti in tempi
diversi da differenti tipi di camminate e di camminatori. L'immaginazione ha
modellato gli spazi che attraversa, e da questi e' stata a sua volta
modellata. Il camminare ha creato sentieri, strade, rotte commerciali; ha
generato concezioni di spazio locali e transcontinentali; ha conformato
citta', parchi; prodotto mappe, guide, attrezzature e, ancora, una vasta
biblioteca di racconti e di poemi che ci parlano di camminate,
pellegrinaggi, spedizioni alpinistiche, vagabondaggi, e anche di picnic
estivi. I paesaggi, urbani e rurali, sono gestatori di racconti, e i
racconti ci riportano ai luoghi di questa storia.
Questa storia del camminare e' una storia amatoriale, proprio come un atto
amatoriale e' andare a piedi. Per usare una sua metafora, essa invade e
percorre campi altrui - l'anatomia, l'antropologia, l'architettura, il
giardinaggio, la geografia, la storia politica e culturale, la letteratura,
la sessualita', gli studi religiosi - e nel suo lungo tragitto non si
arresta in alcuno di essi. Perche', se un campo di competenza puo' essere
immaginato come un terreno reale - un confine esattamente rettangolare
dissodato con cura e producente un determinato raccolto - allora la materia
del camminare assomiglia al camminare stesso nella sua mancanza di confini.
E sebbene la storia del camminare, in quanto appartenente a tutti questi
campi e all'esperienza di ciascuno di noi, sia virtualmente infinita, la mia
storia del camminare puo' essere solo parziale, un cammino idiosincratico
tracciato attraverso tutti questi campi da un viandante che si guarda
attorno e ritorna piu' volte sui propri passi. Nelle pagine che seguono ho
cercato di ricalcare i cammini che hanno condotto la maggior parte di noi
nel mio paese, gli Stati Uniti, nel momento attuale; e' una storia composta
in larga misura su fonti europee, riflessa e sovvertita dalla scala
immensamente varia dello spazio americano, dai secoli di adattamento e di
mutazione in questo paese, e dalle altre tradizioni che in tempi recenti si
sono incontrate con questi cammini, in modo rilevante le tradizioni
asiatiche. La storia del camminare e' la storia di ciascuno di noi, e ogni
sua versione scritta puo' solo sperare di indicare alcuni dei sentieri piu'
calpestati nelle vicinanze di chi la scrive, vale a dire che i sentieri che
ho tracciato non sono gli unici cammini.
Un giorno di primavera mi sedetti a scrivere del camminare e poi mi rimisi
in piedi, perche' la scrivania non e' un luogo in cui si possa pensare su
vasta scala. In un promontorio subito a nord del Golden Gate Bridge,
costellato di fortificazioni militari abbandonate, uscii a fare una
passeggiata su per una valle e lungo un crinale, e poi giu' fino al
Pacifico. La primavera era arrivata dopo un inverno insolitamente umido e le
colline erano diventate di quel verde sfrenato ed esuberante che dimentico e
riscopro ogni anno. Attraverso l'erba novella sporgeva quella dell'anno
precedente, che la pioggia aveva scolorito dall'oro estivo al grigio cenere,
uno spicchio della tavolozza piu' tenue del resto dell'anno. Henry David
Thoreau, che cammino' piu' vigorosamente di me all'altro capo del
continente, scriveva dei suoi dintorni: "Una prospettiva assolutamente nuova
rappresenta una grande felicita', che puo' venire colta in un qualsiasi
pomeriggio. Due o tre ore di camminata mi possono condurre nel luogo piu'
straordinario che mi sia mai accaduto di ammirare. Una fattoria isolata, mai
vista prima, puo' avere lo stesso fascino dei domini del Re del Dahomey. Ed
effettivamente e' possibile scoprire una sorta di armonia tra le risorse di
un paesaggio entro un raggio di dieci miglia, o i limiti di una passeggiata
pomeridiana, e i settant'anni della vita umana. Ne' gli uni ne' gli altri vi
diverranno mai troppo familiari".
Queste strade e questi sentieri congiunti formano un circuito di circa sei
miglia, che cominciai a percorrere a piedi dieci anni fa per fare svaporare,
camminando, l'ansia di un anno difficile. Continuavo a ripercorrere questo
itinerario per concedere una tregua al lavoro, ma anche per alimentarlo,
perche', in una cultura orientata alla produzione, pensare e' generalmente
concepito come fare niente, e il fare niente e' difficile da fare. La via
migliore per realizzarlo e' di mascherarlo nel "fare qualcosa", e cio' che
piu' si avvicina al fare niente e' il camminare. Camminare in se' e' l'atto
volontario piu' vicino ai ritmi involontari del corpo: il respiro e il
battito del cuore. Stabilisce un delicato equilibrio tra il lavorare e
l'oziare, tra il fare e l'essere. E' una fatica fisica che produce
nient'altro che pensieri, esperienze, arrivi. Dopo tutti questi anni di
camminate per elaborare altre cose, aveva un senso tornare a lavorare vicino
a casa - il senso indicato da Thoreau - e li' riflettere sul camminare.
Camminare e', idealmente, uno stato in cui la mente, il corpo e il mondo
sono allineati come se fossero tre personaggi che finiscono per dialogare
tra loro, tre note che improvvisamente formano un accordo. Camminare ci
permette di essere nel nostro corpo e nel mondo senza esserne sopraffatti.
Ci lascia liberi di pensare senza perderci totalmente nei pensieri. Non
sapevo con precisione se ero troppo in anticipo o troppo in ritardo per il
lupino purpureo che in questi promontori puo' essere cosi' spettacolare, ma
le milkmaids (o Stellarie holostee) crescevano sul lato in ombra della
strada che portava al sentiero, e mi ricordavano i pendii della mia infanzia
che fiorivano per primi ogni anno con un prodigo sbocciare di questi fiori
bianchi. Nere farfalle mi svolazzavano attorno, sospinte dal vento e dal
battito delle ali, e mi rimandavano a un'altra epoca del mio passato.
Muoversi a piedi sembra rendere piu' facile muoversi nel tempo; la mente
vaga dai progetti ai ricordi e alle osservazioni.
Il ritmo del passo genera una specie di ritmo del pensiero, e il tragitto
attraverso un paesaggio echeggia o stimola il tragitto attraverso un corso
di pensieri. Il che crea tra percorso interno e percorso esterno una strana
consonanza che suggerisce come la mente sia essa stessa un paesaggio di
generi e che il camminare sia un mezzo per attraversarlo. Un pensiero nuovo
somiglia spesso a un aspetto del paesaggio sempre esistito, come se pensare
fosse viaggiare invece che fare. Pertanto, un aspetto della storia del
camminare e' la storia del pensare concretizzata, perche' i moti della mente
non possono essere tracciati, mentre quelli dei piedi sono riconoscibili.
Possiamo immaginare il camminare anche come un'attivita' visiva, ogni
passeggiata un viaggio in cui ci concediamo sufficiente agio per vedere e
per riflettere sulle vedute, per assimilare il nuovo al noto. E' da qui,
forse, che nasce per i pensatori la peculiare utilita' del camminare. Le
sorprese, gli affrancamenti e le chiarificazioni del viaggio possono
talvolta essere spigolati facendo il giro dell'isolato come anche del mondo,
viaggiando a piedi vicino e lontano. O forse il camminare dovrebbe essere
chiamato movimento, non viaggio, perche' si puo' camminare in cerchio o viag
giare attraverso il mondo immobilizzati su una sedia, e una certa smania di
vagabondaggio puo' essere lenita solo dagli atti del corpo in moto, non gia'
dal movimento dell'automobile, della barca o dell'aeroplano. Potremmo dire
che e' il movimento, come anche le vedute che scorrono davanti ai nostri
occhi, a fare accadere le cose nella nostra mente, ed e' questo che rende il
camminare ambiguo e infinitamente fertile: e' il mezzo e il fine, e' il
viaggio e la meta.
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Pagina 11
Il moltiplicarsi delle tecnologie in nome dell'efficienza, consentendo di
massimizzare il tempo e lo spazio della produzione e di minimizzare il tempo
non strutturato del viaggio tra i due, sta di fatto sradicando il tempo
libero. Nuove tecnologie salvatempo rendono piu' produttiva la gran parte
dei lavoratori, ma non piu' libera in un mondo che sembra muoversi piu'
veloce attorno a loro. Inoltre, la retorica dell'efficienza che circonda
tali tecnologie suggerisce che tutto cio' che non puo' essere quantificato
non puo' nemmeno essere valutato, che l'ampia gamma di piaceri che rientra
nella categoria del far niente di particolare, del distrarsi, del
fantasticare, del vagabondare e del guardare le vetrine, non e' che un vuoto
da riempire con qualcosa di piu' definito, piu' produttivo o piu' veloce.
Persino nell'itinerario su questo promontorio che non conduce in alcun luogo
utile, su questo cammino che puo' essere percorso solo per diletto, la gente
ha tracciato scorciatoie tra i tornanti, come se l'efficienza fosse
un'abitudine di cui non ci si puo' liberare. L'indeterminatezza di
un'escursione senza meta, in cui c'e' molto da scoprire, viene sostituita
dalla distanza definita piu' breve da coprire alla maggiore velocita'
possibile, e anche dalle trasmissioni elettroniche che restringono la
necessita' del viaggio reale. Facendo parte della categoria dei lavoratori
indipendenti, il cui tempo economizzato dalla tecnologia puo' essere colmato
di vagabondaggi e di sogni a occhi aperti, so che queste cose hanno una loro
utilita', e io stessa le utilizzo (un camioncino, un computer, un modem), ma
temo al tempo stesso la loro falsa urgenza, il richiamo alla velocita',
l'istanza che il viaggio sia meno importante dell'arrivo. A me piace
camminare perche' e' lento, e sospetto che la mente, come i piedi, possa
lavorare alla velocita' di circa tre miglia all'ora. Se cosi' fosse, allora
la vita moderna si muove piu' rapidamente della velocita' del pensiero, o
della riflessione.
Il camminare riguarda l'essere all'aperto, in un luogo pubblico, e anche
nelle citta' piu' antiche lo spazio pubblico e' abbandonato ed eroso,
eclissato dalle tecnologie e dai servizi che non ci chiedono di uscire di
casa, e in molti luoghi e' oscurato dalla paura (i luoghi sconosciuti
incutono sempre piu' timore di quelli noti, cosi' che, meno si vaga per la
grande citta', piu' essa ci appare allarmante, e la' dove vi sono meno
passanti, le vie diventano effettivamente piu' solitarie e pericolose).
Intanto, in molte localita' recenti, lo spazio pubblico non e' nemmeno
programmato: quello che un tempo era spazio pubblico ora e' destinato a dare
accoglienza e protezione alle automobili, i centri commerciali sostituiscono
le vie principali, le strade non hanno marciapiede; negli edifici si entra
dal garage; i municipi non hanno una piazza; e ovunque muri, barriere,
cancelli. La paura ha generato uno stile di architettura e di disegno
urbano, specialmente nella California meridionale, dove essere un pedone in
molte ripartizioni e "comunita'" cintate, vuol dire essere una persona
sospetta. Contemporaneamente, il terreno rurale e le periferie un tempo
invitanti delle piccole citta' sono stati inghiottiti da lottizzazioni
destinate ai pendolari dell'automobile o altrimenti sequestrati. In alcuni
luoghi non e' piu' possibile uscire in pubblico, una crisi sia delle
epifanie private del passante solitario, sia delle funzioni democratiche
dello spazio pubblico. Era a questa frammentazione di vite e di paesaggi che
resistevamo tempo fa negli spazi dilatati del deserto che, per l'occasione,
diventavano pubblici come piazze urbane.
E quando lo spazio pubblico scompare, altrettanto avviene del corpo visto,
secondo la felice espressione di Sono, come mezzo adeguato per portarci in
giro. Sono e io parlavamo della scoperta che i nostri dintorni - tra i piu'
temuti della Bay Area - non sono poi cosi' ostili (anche se non tanto sicuri
da farci dimenticare del tutto una certa prudenza). Sono stata minacciata e
derubata per strada, tempo fa, ma migliaia di volte mi sono imbattuta in
amici di passaggio, in una vetrina che esponeva un libro a lungo cercato, in
complimenti e saluti dei miei loquaci vicini, in gioielli architettonici, in
manifesti per eventi musicali e in ironici commenti politici scritti sui
muri e sui pali del telefono, in indovini, nella luna che spuntava tra gli
edifici, in brevi visioni di vite e di case altrui, e in alberi di strada
chiassosi del cinguettio degli uccelli. L'aleatorio, il non riparato, ci
permette di trovare quello che non si sa di cercare, e non si conosce un
luogo finche' questo non ci sorprende. Muoversi a piedi e' un modo per
conservare un baluardo contro questa erosione della mente, del corpo, del
paesaggio e della citta', e ogni persona che cammina e' una guardia di
pattuglia a protezione dell'ineffabile.
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Pagina 14
La sorpresa ci venne allora dal serpente, un serpente giarrettiera, cosi'
chiamato per le strisce giallognole che gli corrono lungo tutto il corpo
nero, un animale minuscolo e affascinante che si contorceva ondeggiando
attraverso il sentiero ed entrava poi nel terreno erboso al suo lato. Piu'
che allarmarmi mi rese vigile. Improvvisamente mi scossi dai miei pensieri e
notai quello che mi circondava: gli amenti dei salici, lo sciabordio
dell'acqua, i disegni frondosi delle ombre sul sentiero. E poi me stessa,
che camminavo con l'allineamento che viene solo dopo miglia, il ritmo
diagonale sciolto delle braccia che oscillano in sincronia con le gambe in
un corpo che si sente allungato e disteso, quasi altrettanto sinuoso quanto
quello del serpente. Il mio circuito era quasi concluso, e al suo termine
conoscevo il mio soggetto e il modo di affrontarlo che mi era ancora
sconosciuto solo sei miglia prima. Vi ero arrivata non in un'improvvisa
epifania, ma con graduale certezza, un senso di significato affine a un
senso di luogo. Quando ci concediamo ai luoghi, essi ci restituiscono a noi
stessi e, piu' arriviamo a conoscerli, piu' vi seminiamo l'invisibile messe
delle memorie e delle associazioni che saranno li' ad aspettarci quando vi
ritorneremo, mentre luoghi nuovi ci offriranno pensieri nuovi e nuove
opportunita'. Esplorare il mondo e' uno dei modi migliori per indagare la
mente, e il camminare percorre entrambi i terreni.
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Pagina 79
La poetessa Marianne Moore ha coniato un'immagine felice: "rospi veri in
giardini immaginari"; il labirinto ci offre la possibilita' di essere
creature reali in uno spazio simbolico. Camminando pensavo a una fiaba
infantile, e i libri per bambini che amavo di piu' erano pieni di personaggi
che cadevano dentro i libri, di illustrazioni che diventavano vere, di
passeggiate in giardini in cui le statue prendevano vita e la cosa piu'
meravigliosa era che si poteva passare dall'altra parte dello specchio (e
incontrare pezzi degli scacchi, fiori e animali vivi e capricciosi). Quei
libri facevano pensare che la linea di demarcazione tra la realta' e la
rappresentazione non sia netta e che la magia si manifesti quando si
attraversa quella linea. In uno spazio come quello del labirinto la linea
viene attraversata: si viaggia davvero, ma la destinazione e' puramente
simbolica. E' un registro completamente diverso dal semplice pensiero di un
viaggio che si vorrebbe fare o dall'osservazione delle immagini del posto in
cui si vorrebbe andare. Perche', in questo contesto, la realta' e' solamente
cio' che abitiamo con il corpo. Il labirinto e' un viaggio simbolico o una
mappa della via della salvezza, ma poiche' si tratta di una mappa su cui si
puo' camminare realmente, la differenza tra la mappa e il mondo sbiadisce.
Se il corpo e' il registro della realta', leggere con i piedi e' reale in un
modo in cui leggere solo con gli occhi non lo e'. E qualche volta la mappa
e' il territorio.
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Pagina 81
Come le stazioni della Croce, il labirinto e il dedalo offrono storie in cui
possiamo camminare per dimorarvi con il corpo, storie che seguiamo con i
piedi come con gli occhi. Si puo' vedere una somiglianza non solo tra queste
due strutture simboliche, ma anche tra ogni percorso e ogni storia. Almeno
in parte, la caratteristica che rende le strade, le piste e i sentieri unici
in quanto strutture costruite e' che un osservatore sedentario non li puo'
percepire immediatamente nella loro interezza. Essi si dipanano nel tempo a
mano a mano che li si percorre, esattamente come una storia si dipana a mano
a mano che la si ascolta o la si legge, e una curva secca corrisponde a uno
scarto nella trama; una salita ripida alla costruzione della suspense fino
al panorama che si apre in cima; un bivio all'introduzione di una nuova
linea narrativa e l'arrivo alla fine del racconto. Come la scrittura
consente la lettura delle parole di chi non c'e', le strade consentono di
seguire l'itinerario di chi e' assente. Le strade sono racconti di coloro
che le hanno percorse prima e seguirle significa seguire persone che non ci
sono piu' (non piu' santi o dei, ma pastori, cacciatori, ingegneri,
emigranti, contadini diretti al mercato o semplici pendolari). Strutture
simboliche come i labirinti richiamano l'attenzione sulla natura di tutti i
sentieri, di tutti i viaggi.
Questo e' cio' che si nasconde dietro il rapporto peculiare che lega il
racconto al viaggio, ed e' forse per questo che la scrittura narrativa e'
collegata cosi' strettamente con il camminare. Scrivere significa scavare
nella fantasia un sentiero nuovo o indicare configurazioni nuove in un
itinerario noto. Leggere vuol dire viaggiare su quello stesso terreno con la
guida dell'autore, con il quale si puo' anche non essere sempre d'accordo o
nel quale si puo' anche non avere fiducia, ma su cui si puo' contare almeno
perche' ci porti da qualche parte. Ho spesso desiderato di scrivere le mie
frasi su una sola riga che si perda nella distanza in modo che si capisse
chiaramente che una frase somiglia a una strada e che leggere vuol dire
viaggiare (una volta feci un po' di calcoli e scoprii che se il testo di uno
dei miei libri, invece di essere impaginato, fosse stato composto in una
sola riga formata da tutte le parole e arrotolato come un filo su un
rocchetto, avrebbe coperto uno spazio di quattro miglia). Forse i rotoli
cinesi, che bisogna srotolare per poterli leggere, conservano almeno in
parte questo senso. Le linee di canto degli aborigeni australiani sono gli
esempi piu' famosi di fusione di paesaggio e narrazione. Le linee di canto
sono strumenti di navigazione nel deserto profondo, mentre il paesaggio e'
un dispositivo mnemonico per ricordare le storie: in altre parole, la storia
e' la mappa, il paesaggio la narrazione.
Le storie dunque sono viaggi e i viaggi sono storie. E' perche' immaginiamo
la vita come un viaggio che queste camminate simboliche, e in realta' tutte
le camminate, hanno tanta risonanza. E' difficile immaginare l'opera
dell'intelletto e dello spirito, come e' difficile immaginare la natura del
tempo; per questo tendiamo a metaforizzare tutti gli oggetti intangibili
come oggetti fisici collocati nello spazio. In questo modo il nostro
rapporto con essi diventa fisico e spaziale: ci muoviamo verso di essi o ci
allontaniamo da essi. E se il tempo e' diventato spazio, lo scorrere del
tempo che costituisce un'esistenza diventa anch'esso un viaggio, che ci si
muova molto o poco attraverso lo spazio. Camminare e viaggiare sono
diventati metafore cosi' centrali del pensiero e della parola che quasi non
ce ne accorgiamo.
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Pagina 87
Come l'intelletto e il tempo, la memoria e' inimmaginabile senza dimensioni
fisiche; immaginarla come un luogo fisico vuol dire inserirla in un
paesaggio in cui sono collocati i suoi contenuti, e cio' che ha una
collocazione puo' essere avvicinato.
Questo significa che, se si immagina la memoria come uno spazio reale - una
piazza, un teatro, una biblioteca - l'atto del ricordare viene immaginato
come un atto reale, cioe' un atto fisico: come camminare. Gli studiosi
sottolineano sempre in modo particolare il dispositivo del palazzo
immaginario, in cui le informazioni sono collocate stanza per stanza,
oggetto per oggetto, ma per recuperare le immagini immagazzinate bisognava
camminare attraverso le stanze come quando si visita un museo, ricollocando
gli oggetti nella coscienza. Ripercorrere lo stesso itinerario puo' voler
dire ripensare gli stessi pensieri, come se in realta' pensieri e idee
fossero oggetti collocati in un paesaggio che basta conoscere per poterci
viaggiare. In questo modo camminare e' leggere, anche quando camminare e
leggere sono immaginari, e il paesaggio della memoria diventa un testo
stabile quanto quello che si trova in un giardino, in un labirinto o nelle
stazioni della Croce. Ma se il libro, in quanto deposito di informazioni, ha
messo in ombra il palazzo della memoria, ne ha pero' conservato in parte il
modello. In altre parole, se ci sono passeggiate che somigliano a libri, ci
sono anche libri che somigliano a passeggiate e utilizzano l'attivita'
"leggente" del camminare per descrivere un mondo. L'esempio piu' alto e' la
Divina commedia di Dante, in cui l'autore, guidato da Virgilio, esplora i
tre regni dell'anima dopo la morte. E' il resoconto di un viaggio
ultraterreno sui generis, che si muove diligentemente tra visioni e
personaggi, conservando sempre l'andatura di un giro turistico. La sua
geografia e' talmente particolareggiata che molte edizioni riportano
cartine, tanto che Yates ha avanzato l'ipotesi che, in realta', il
capolavoro fosse un palazzo della memoria sui generis. Come molte altre
storie precedenti e successive, e' un racconto di viaggio in cui il
movimento della narrazione e' riecheggiato dal movimento dei personaggi in
un paesaggio immaginario.
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Pagina 156
Come i labirinti e altre strutture edificate, le montagne svolgono la
funzione di spazi metaforici e simbolici. Non esiste equivalente geografico
piu' chiaro dell'idea dell'arrivo e del trionfo della vetta piu' alta oltre
la quale non c'e' altro luogo in cui andare (anche se nell'Himalaya molti
pellegrini girano intorno alle montagne perche' credono che salire in vetta
sia sacrilego). Dopo avere conquistato il Cervino, Edward Whymper, uno
scalatore vittoriano atleticamente molto dotato e mosso da una grande
ambizione, disse: "Piu' in alto non c'e' nulla da vedere; sta tutto sotto",
con un'efficace mistura di linguaggio letterale e figurato. "In un certo
senso, la' in cima ci si trova nella condizione di chi ha realizzato tutti i
desideri e non ha piu' nulla cui aspirare". Puo' darsi anche che il fascino
delle ascensioni sulle vette montane sia dovuto a una serie di metafore
linguistiche. L'inglese e varie altre lingue associano l'altitudine,
l'ascesa e l'altezza al potere, alla virtu' e allo stato sociale. Percio' si
dice essere sulla cima del mondo o nel punto piu' elevato nel proprio campo
professionale, essere al culmine delle proprie capacita', essere in ascesa;
si dice esperienza di punta e l'apice della carriera, ergersi nel mondo e
avanzare verso l'alto, per non parlare di arrampicatori sociali, di
mobilita' verso l'alto, di santi dotati di sentimenti elevati e di bassa
plebaglia e, ovviamente, di classi alte e basse. Nella cosmologia cristiana
il paradiso e' in alto e l'inferno in basso, e Dante rappresenta il
Purgatorio come una montagna a forma di cono su cui il poeta si arrampica a
fatica fondendo il viaggio spirituale con il viaggio geografico (e la
scalata inizia attraverso un passaggio che oggi gli scalatori chiamerebbero
camino: "Noi salivam per entro 'l sasso rotto, / e d'ogne lato ne stringea
lo stremo, / e piedi e man volea il suol di sotto"). Una camminata in salita
attraversa questi territori metafisici; una passeggiata senza meta per la
stessa montagna si muove invece attraverso una metafisica del tutto diversa.
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Pagina 182
Esistevano altre organizzazioni alle quali i giovani potevano aderire:
gruppi religiosi e il Movimento protestante giovanile e, dopo il 1909, una
versione tedesca dei Boy Scout, mentre i giovani delle classi lavoratrici
potevano entrare a far parte dei circoli giovanili comunisti e socialisti. I
Boy Scout, come il Wandervogel e tanti altri aspetti della storia del
camminare, sollevano un problema: quando camminare si trasforma in marciare?
Quasi tutti i circoli escursionistici erano gruppi intesi a celebrare e
proteggere l'esperienza individuale e privata; ma alcuni abbracciarono
l'autoritarismo. Marciare subordina al gruppo e all'autorita' il ritmo
proprio dei singoli corpi e ogni gruppo che marcia, marcia verso il
militarismo, quando non ci e' gia' arrivato. Il movimento scout nacque
dall'adattamento delle idee di sir Baden-Powell, veterano della guerra dei
boeri, e di quelle che lo stesso Baden-Powell plagio' dall'anglo-canadese
Ernest Thompson Seton. L'intento di Seton era di introdurre i giovani alla
vita all'aria aperta, con un'accentuazione particolare sulle competenze e
sui valori dei nativi americani, tanto che qualche volta e' stato accusato
di avere invece dato vita a un revival pagano tra gli adulti. Baden-Powell
conferi' all'idea della vita nei boschi una sensibilita' piu' militaresca e
conservatrice. Ancora oggi sembra che ciascun gruppo scout abbia il proprio
stile: alcuni insegnano tecniche di vita all'aria aperta, altri addestrano i
ragazzi come soldatini. Dopo la prima guerra mondiale, il Wandervogel si
frantumo', mentre i Boy Scout tedeschi, detti giovani esploratori, si
ribellarono ai propri capi adulti e soppiantarono in larga misura il
movimento originario.
*
Pagina 192
Ma altri individui hanno condotto battaglie per la conquista degli spazi:
sebbene qui abbia parlato soprattutto di spazi selvaggi e rurali, e' molto
interessante anche lo sviluppo dei parchi urbani quali per esempio il
Central Park, un progetto democratico e romantico inteso a offrire le virtu'
rurali ai cittadini che non dispongono delle risorse necessarie per uscire
dalla citta'. Il corpo non impedito e' una questione piu' complessa. I primi
tempi del Sierra Club, quando donne non accompagnate potevano dormire su
giacigli di rami di pino e scalare montagne vestite di pantaloni alle
caviglie o di gonnelline corte, inducono a ritenere che in California la
liberazione della donna - o una forma moderata di essa - ne sia stato un
sottoprodotto, dal momento che l'abbigliamento vittoriano imprigionava le
donne nel decoro di respiri brevi, piccoli passi, equilibrio precario. Il
nudismo delle prime associazioni naturistiche tedesche e austriache
suggerisce che per qualcuno andare in collina facesse parte di un progetto
piu' ampio di comunione con la natura, una natura che per definizione
comprendeva pure l'erotismo, e anche per chi restava vestito, gli abiti
consistevano in calzoncini informali che lasciavano scoperto il corpo. E lo
stesso valeva anche per i lavoratori britannici: basta leggere La situazione
delle classi lavoratrici in Inghilterra di Engels sugli orrori della vita e
delle condizioni di lavoro che deformavano e facevano ammalare il corpo
degli operai per capire perche' molti furono disposti a lottare per la
liberta' di camminare a gran passi in spazi aperti e sotto cieli puliti. Il
camminare nel paesaggio fu una risposta ai mutamenti della societa' che
rendevano i corpi degli appartenenti alla classe media anacronismi
rinserrati nelle case e negli uffici e i corpi degli operai pezzi di
macchinari industriali.
Rousseau e Wordsworth, i poeti che stanno all'inizio di questa storia del
camminare nel paesaggio, hanno ipotizzato un collegamento tra la liberazione
sociale e la passione per la natura (benche', fortunatamente, nessuno dei
due avrebbe mai potuto immaginare i Boy Scout, le industrie delle
attrezzature per le attivita' all'aria aperta e altri effetti a lungo
termine della cultura del camminare). Le associazioni escursionistiche hanno
avvicinato molta gente qualunque all'immagine poetica del camminatore ideale
che si muove liberamente nel paesaggio.
*
Pagina 204
Discendenti della stoa e del peripato greci, le strade porticate attenuano
il confine tra dentro e fuori e pagano un tributo architettonico alla vita
pedonale che vi si svolge. Rudofsky individua i famosi "portici" di Bologna,
la via porticata lunga circa sei chilometri che dalla piazza centrale porta
in campagna; la Galleria di Milano, che svolge funzioni meno strettamente
commerciali dei centri commerciali esclusivi che l'hanno presa a modello e
ne hanno assunto il nome; le stradine tortuose di Perugia; le vie
pedonalizzate di Siena; e i portici pubblici sopraelevati di Brisighella.
Tratta con appassionato entusiasmo della "passeggiata" serale degli
italiani, per la quale molte citta' chiudono le strade principali al
traffico motorizzato, e la contrappone all'ora del cocktail americana. Per
gli italiani, scrive, la strada e' lo spazio sociale cardine per l'incontro,
la discussione, il corteggiamento, l'acquisto e la vendita.
*
Pagina 265
Camminare dopo la mezzanotte: donne, sesso e spazio pubblico
Caroline Wyburgh, diciannove anni d'eta', "usci' a passeggiare" con un
marinaio a Chatham, in Inghilterra. Era il 1870 e gia' da tempo il passeggio
era una componente ufficiale del corteggiamento. Non costava nulla e dava
agli innamorati uno spazio semiprivato dove farsi la corte, vuoi un parco,
una piazza centrale, un viale cittadino, vuoi anche una strada fuori mano (e
quegli aspetti di paesaggio rustico come i vicoli degli innamorati offrivano
uno spazio privato in cui osare di piu'). Forse, nello stesso modo in cui la
marcia collettiva afferma e genera la solidarieta' di gruppo, l'atto
delicato di procedere al ritmo congiunto dei propri passi pone due persone
sulla stessa linea in senso sia emotivo sia corporeo; forse, mentre si
cammina insieme nella sera, nella strada, nel mondo, per la prima volta ci
si sente una coppia. Passeggiare insieme, in quanto modo di fare quel
qualcosa che piu' somiglia al non fare niente, permette di crogiolarsi l'uno
nella presenza dell'altra, senza sentirsi obbligati a conversare
continuamente o a compiere l'atto ben piu' impegnativo di evitare di
parlarsi. E in Inghilterra l'espressione "uscire insieme" poteva assumere
un'implicazione esplicitamente sessuale, ma piu' sovente rendeva manifesto
che si era instaurata una relazione continuativa, qualcosa di simile al
"fare coppia fissa" dei giorni nostri. Nel racconto di James Joyce I morti,
il marito, avendo appreso che in gioventu' la moglie ha avuto un
pretendente, le chiede se ami ancora quel ragazzo ormai morto e ne riceve
questa devastante risposta: "Facevamo spesso delle passeggiate insieme".
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Pagina 285
Sisifo aerobico e psiche suburbana
La liberta' di camminare vale ben poco se non si ha un luogo dove andare.
Camminare ha avuto una sua eta' dell'oro che, iniziata nel tardo XVIII
secolo, si spense, temo, qualche decennio fa. Fu un'eta' imperfetta, piu'
aurea per alcuni che per altri, eppure eccezionale perche' ha creato luoghi
appositi e dato valore alla camminata per diporto. Visse il suo apice
attorno al giro di boa del XIX secolo, quando nordamericani ed europei si
davano appuntamento per uscire insieme tanto per una passeggiata quanto per
un aperitivo o un invito a cena; andare a piedi aveva spesso una sua
sacralita', era anche uno svago di routine, e fiorivano le associazioni
escursionistiche. A quei tempi, le innovazioni urbane del XIX secolo, come i
marciapiedi e le fogne, rendevano piu' vivibile la citta' non ancora
minacciata dalle accelerazioni del secolo successivo, e gli spazi e le
attivita' extraurbane, come i parchi nazionali e l'alpinismo, erano in
crescita e nel primo rigoglio. Poiche' la storia del camminare si dipana tra
le grandi citta' e le campagne, con occasionali estensioni alle piccole
citta' e a qualche montagna, questo libro ha fin qui indagato la vita
pedonale negli spazi urbani e in quelli rurali. Ma se volessimo apporre una
pietra tombale sull'eta' dell'oro del camminare, dovremmo forse incidervi la
data del 1970, l'anno in cui l'ufficio del censimento degli Stati Uniti
provo' che, per la prima volta nella vita di una nazione, la maggior parte
degli abitanti era suburbana. I sobborghi residenziali sono deprivati delle
glorie naturali e delle gioie civiche degli spazi abitativi di storia piu'
antica, e la suburbanizzazione ha cambiato radicalmente la dimensione e il
tessuto della vita quotidiana, quasi sempre in modi ostili al pedone. Questa
trasformazione ha influenzato tanto l'ambiente quanto il pensiero. Di norma,
oggi gli americani percepiscono, apprezzano e usano a tempo, lo spazio e il
proprio corpo con modalita' affatto diverse da quelle del passato. La
camminata copre ancora lo spazio tra i veicoli e gli edifici e la breve
distanza che separa un edificio da un altro, ma e' sempre meno un'attivita'
culturale, uno svago, un viaggio o un modo di muoversi; con il declino,
viene anche a mancare il rapporto consolidato e profondo che si instaura tra
il corpo, il mondo e l'immaginazione. Facendo ricorso a un termine
ecologista, sarebbe forse piu' adeguato pensare al camminare come a una
"specie indicatrice" che ha la funzione di tutelare la salute di un
ecosistema, dal momento che la compromissione o il decremento delle specie
possono rappresentare un segnale d'allarme tempestivo dell'insorgere di un
problema sistemico. In tale contesto, il camminare e' una specie indicatrice
di diversi tipi di liberta' e di piaceri: il tempo libero, uno spazio libero
e allettante, un corpo non impedito.
*
Pagina 334
Camminare e' una delle costellazioni del cielo stellato della cultura umana,
una costellazione formata da tre stelle: il corpo, la fantasia e il mondo
aperto, e sebbene ciascuna di esse abbia un'esistenza indipendente, sono le
linee tracciate tra di esse - tracciate dall'atto del camminare con scopi
culturali - a farne una costellazione. Le costellazioni non sono fenomeni
naturali, ma imposizioni culturali; le linee tracciate tra le stelle sono
come sentieri consumati dall'immaginazione di coloro che li hanno calcati in
precedenza. La costellazione chiamata "camminare" ha una storia, la storia
percorsa da tutti quei poeti e quei filosofi e quei rivoluzionari, da pedoni
distratti, da passeggiatrici, da pellegrini, turisti, escursionisti,
alpinisti, ma il suo futuro dipende dal fatto che quei sentieri di
collegamento vengano percorsi ancora.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 159 del 18 marzo 2008

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