La domenica della nonviolenza. 155



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 155 del 16 marzo 2008

In questo numero:
1. Alcuni estratti da "I lager nazisti" di Alessandra Chiappano (parte
seconda e conclusiva)
2. Un estratto da "Filosofia della Shoah" di Fabio Minazzi

1. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "I LAGER NAZISTI" DI ALESSANDRA CHIAPPANO
(PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti (scelti da
Riccardo Terzi) dal libro di Alessandra Chiappano, I lager nazisti. Guida
storico-didattica, Giuntina, Firenze 2007, con prefazione di Brunello
Mantelli.
Alessandra Chiappano (Genova, 1963), storica, docente e saggista,
responsabile della sezione didattica dell'Istituto nazionale per la storia
del movimento di Liberazione in Italia (Insmli) e della Fondazione "Memoria
della deportazione" di Milano, ha curato la formazione per studenti e
insegnanti che avrebbero successivamente visitato i lager nazisti; ha curato
molteplici volumi dedicati all'approfondimento e allo studio della Shoah e
della deportazione. Tra le opere di Alessandra Chiappano: (con Fabio M.
Pace), Shoah. Documenti, testimonianze, interpretazioni, Einaudi Scuola,
2001; (con Fabio Minazzi), Le storie estreme del Novecento, Miur 2002; (con
Fabio Minazzi), Il presente ha un cuore antico, Thelema, 2003; Il '68 e
dintorni, 2005; (con Fabio Minazzi, a cura di), Pagine di storia della
Shoah. Nazifascismo e collaborazionismo in Europa, Kaos, Milano 2005; (con
Fabio Minazzi), Il paradigma nazista dell'annientamento. La Shoah e gli
altri stermini, Giuntina, Firenze 2006; I lager nazisti. Guida
storico-didattica, Giuntina, Firenze 2007; La Shoah, Unicopli, Milano 2008;
(con Fabio Minazzi), Il ritorno alla vita e il problema della testimonianza,
La Giuntina, Firenze 2008.
Brunello Mantelli, storico, docente, saggista, e' docente di storia
contemporanea all'Universita' di Torino; e' stato visiting professor presso
l'Universita' di Potsdam e presso la Ludwig-Maximilian Universitaet di
Monaco di Baviera; fa parte del comitato scientifico della Fondazione
"Memoria della Deportazione" di Milano, del comitato scientifico
dell'"Istituto per la storia della Resistenza e della societa'
contemporanea" di Alessandria, e del comitato di consulenza del Museo della
Deportazione di Prato; e' membro dell'Arbeitsgemeinschaft fuer die neueste
Geschichte Italiens, e della Societa' per gli Studi di Storia delle
Istituzioni; ha fatto parte del direttivo della Sissco, di cui e' socio
dalla fondazione; con Nicola Tranfaglia coordina la ricerca sulla
deportazione dall'Italia nei campi di sterminio nazisti (promossa
dall'Associazione nazionale ex deportati nei campi di sterminio nazisti-
Aned, sviluppata nell'ambito del Dipartimento di Storia dell'Universita' di
Torino, con l'obiettivo di costruire un atlante biografico dei 37.000
deportati dall'Italia e delle loro vicissitudini nell'universo
concentrazionario nazionalsocialista. Si occupa in particolare di storia
comparata dei fascismi, di storia delle relazioni italogermaniche e di
storia della Germania contemporanea. Tra le opere di Brunello Mantelli: a)
volumi: (con Domenico Carosso, Cristiana Cavagna, Dino Invernizzi), Immagini
da una crisi. La Singer di Leini', Milano, Feltrinelli, 1980; (con Cesare
Manganelli), Antifascisti, partigiani, ebrei. I deportati alessandrini nei
campi di sterminio nazisti 1943-1945, Milano, Angeli, 1991; "Camerati del
lavoro". L'arruolamento di lavoratori italiani per il Terzo Reich nel
periodo dell'Asse 1938-1943, Firenze, La Nuova Italia, 1992; La nascita del
fascismo, Milano, Fenice 2000, 1994; Il regime fascista, Milano, Fenice
2000, 1995; Il fascismo e la guerra, Milano, Fenice 2000, 1995; (con Cesare
Bermani e Sergio Bologna), Proletarier der Achse. Sozialgeschichte der
italienischen Fremdarbeit in NS-Deutschland 1937 bis 1943, Berlin, Akademie
Verlag, 1997; Germania rossa. Il socialismo tedesco dal 1848 ad oggi,
Torino, Theleme, 2001; Kurze Geschichte des italienischen Faschismus,
Berlin, Wagenbach, 1998, 2004; I fascismi europei 1919-1945, Torino,
Loescher, 2004; Da Ottone di Sassonia ad Angela Merkel. Societa',
istituzioni, poteri nello spazio germanofono dall'anno Mille ad oggi, Utet,
Torino 2006. b) curatele: (con Federico Cereja), La deportazione nei campi
di sterminio nazisti, Milano, Angeli, 1986; (con Roberto Botta e Franco
Castelli), La cultura delle classi subalterne fra tradizione ed innovazione,
Alessandria, dell'Orso, 1988; (con Luigi Cajani, Una certa Europa. Il
collaborazionismo con le potenze dell'Asse in Europa 1939-1945. Le fonti, n.
6 degli "Annali della Fondazione Luigi Micheletti", 1992 (in realta' 1994);
(con Enzo Collotti), La Germania ed il contesto internazionale, numero
monografico di "Trimestre. Storia - Politica - Societa'", anno XXXI (1998),
nn. 1-2; L'Italia fascista potenza occupante: lo scacchiere balcanico,
numero monografico (anno XXX, n. 1, giugno 2002) della rivista
"QualeStoria"; (con Nicola Tranfaglia), Dizionario dei fascismi, Milano,
Bompiani, 2002; (con Giovanna D'Amico), I campi di sterminio nazisti.
Storia, memoria, storiografia, Milano, Angeli, 2003; Storia e storiografia
della persecuzione antiebraica in italia ed in europa (1945-2000), numero
monografico (anno XXXII, n. 2, dicembre 2004) della rivista "QualeStoria;
Dizionario delle opere Bompiani, sezione Storiografia, revisione ed
aggiornamento condotto con Nicola Tranfaglia, Milano, Bompiani, 2005.
Fabio Maria Pace, docente, collaboratore della Fondazione "Centro di
documentazione ebraica contemporanea", e' autore di numerose pubblicazioni
sulla Shoah]

La Risiera di San Sabba (p. 211 e sgg.)
La storia della Risiera di San Sabba appare decisamente piu' complicata di
quella di altri luoghi di detenzione e di transito istituiti dai nazisti in
Italia. Il campo della Risiera, situato all'estrema periferia di Trieste, si
colloca all'interno delle complesse vicende che hanno interessato la zona
del litorale adriatico.
All'indomani dello sganciamento italiano dalla guerra nel 1943 i tedeschi
occuparono direttamente due porzioni del territorio italiano che sottrassero
alla giurisdizione saloina: l'Adriatisches Kuestenland e lo Alpenvorland.
L'Adriatisches Kuestenland comprendeva le province di Trieste, Gorizia,
Udine, Fiume e Pola, mentre l'Alpenvorland i territori di Belluno, Trento e
Bolzano. Il Gauleiter della Carinzia, Friedrich Rainer, estese la sua
giurisdizione sul territorio dell'Adriatisches Kuestenland, cosi' come Franz
Hofer, gia' Gauleiter del Tirolo, sull'Alpenvorland.
Non e' agevole capire quali siano state le motivazioni che spinsero i
nazisti ad amministrare direttamente al Reich questi territori, se perche'
avevano in animo di farli diventare parte della Germania, a guerra ultimata,
o se sia stata una misura dettata da considerazioni meramente militari:
nella zona del litorale adriatico era particolarmente attiva la guerra
partigiana; si sa inoltre che i nazisti avevano in animo di organizzare una
sorta di guerriglia contro gli Alleati proprio nelle zone alpine, per cui
era strategicamente importante avere sotto controllo le province di Trento,
Bolzano e Belluno.
Quali che siano state le motivazioni e le intenzioni dei nazisti, e' fuor di
dubbio che questi territori furono sottoposti ad un durissimo regime di
occupazione diretta, in cui furono riprese le modalita' che avevano
contrassegnato la guerra di sterminio applicata ai territori dell'Europa
orientale. Rientra in questo quadro il fatto che a Trieste furono inviati
tra il 1943 e il 1944 numerosi appartenenti alle SS che avevano fatto parte
delle unita' speciali che si erano contraddistinte nello sterminio degli
ebrei.
Nell'ambito della decisione dell'eliminazione fisica degli ebrei d'Europa fu
creata l'Aktion Reinhard, cosi' chiamata per ricordare Reinhard Heydrich, il
capo dello Sd ucciso dai partigiani cechi nel 1942. Con questo nome in
codice si intendeva l'eliminazione dell'ebraismo polacco. A capo dell'Aktion
Reinhard fu posto Odilo Globocnik; ne facevano parte fra gli altri Christian
Wirth, Franz Stangl, Dietrich Allers, Joseph Oberhauser, Kurt Franz, Otto
Stadie. Tutti costoro avevano precedentemente fatto parte della cosiddetta
azione T4, nome in codice per indicare l'eliminazione dei malati di mente,
avviata in Germania nel 1939 e in parte sospesa nel 1941. Essi avevano gia'
grande esperienza di eliminazioni per mezzo del gas. E in effetti nei campi
dell'Aktion Reinhard gli ebrei furono uccisi nelle camere a gas messe a
punto dagli esperti della T4, utilizzando il monossido di carbonio.
E' singolare il fatto che buona parte di costoro siano stati trasferiti a
Trieste nella fase finale della guerra, una volta portato a termine lo
sterminio degli ebrei polacchi.
Il primo ad arrivare a Trieste fu Christian Wirth. La decisione di chiamare
a Trieste i componenti dell'Aktion Reinhard pare sia stata presa su
suggerimento del Gauleiter Rainer. Val la pena di richiamare il fatto che
sia Globocnik che Rainer erano nelle grazie di Himmler e potevano contare
sul suo appoggio.
Essi avevano il compito di spazzare via la guerriglia partigiana
particolarmente attiva nella zona di confine tra Italia e Jugoslavia, ma
furono anche attivi nella gestione della Risiera, l'unico Polizeihaftlager
dell'Europa occidentale dotato di un forno crematorio.
La Risiera era originariamente un grande stabilimento per la pilatura del
riso, costruito nel 1913 nel rione periferico di San Sabba presso Trieste.
Dopo l'8 settembre 1943 i tedeschi lo utilizzarono per rinchiudervi i
soldati italiani catturati. A partire dalla fine di ottobre assunse la
denominazione di campo di polizia. Qui confluivano i prigionieri, sia
politici sia ebrei, destinati alla deportazione verso i campi situati in
Germania o in Polonia. Appena entrati, sulla sinistra, c'era la cosiddetta
cella della morte: qui erano rinchiusi i prigionieri destinati ad essere
uccisi nel giro di poche ore. Proseguendo c'era un edificio a tre piani: al
pianterreno si trovavano le 17 celle dove erano rinchiusi fino a sei
prigionieri ebrei o politici in attesa delle esecuzioni. Le pareti e le
porte di queste celle erano ricoperte di graffiti e scritte, che purtroppo
non si sono conservate, se non in minima parte. In questo stesso edificio si
trovavano i laboratori di sartoria e di calzoleria, dove lavoravano i
prigionieri, e i dormitori per le SS. C'era poi un altro edificio a quattro
piani: qui venivano rinchiusi in ampie camerate gli ebrei e i politici
destinati alla deportazione. Nel cortile interno, c'era l'edificio destinato
alle eliminazioni, con il forno crematorio. Questo impianto era stato
costruito da Erwin Lambert, uno degli esperti del campo di Treblinka, in
Polonia. Il crematorio poteva bruciare fino a 70-80 cadaveri. Ora, nel luogo
dove sorgeva la ciminiera del camino si vede una statua che raffigura la
Pieta'. Il crematorio fu distrutto dai tedeschi in fuga nella notte tra il
29 e il 30 aprile 1945.
Sul tipo di uccisioni perpetrate nella Risiera ci sono soltanto ipotesi,
formulate sulla base di racconti di testimoni: molti prigionieri furono
uccisi mediante fucilazione, altri dopo essere stati colpiti da una potente
mazza, ritrovata tra le macerie, esposta nel Museo, trafugata nel 1981. Essi
venivano poi gettati nel crematorio, altri pare siano stati uccisi
utilizzando camion nei quali veniva fatto rifluire il gas di scarico.
Tuttavia tutte le esecuzioni avvenivano di notte per cui le testimonianze
sono a questo proposito non sempre chiare. Inoltre le grida dei condannati
erano coperte da musiche, latrati di cani e rumori vari.
Occorre ricordare pero' che sebbene assai minimizzate le azioni omicide,
anche quelle avvenute per mezzo del gas venefico, furono confermate dai
nazisti durante le rogatorie avvenute in Germania alla fine degli anni
Sessanta, che permisero di aprire una istruttoria anche in Italia.
L'edificio piu' grande, di 6 piani, ospitava i reparti delle SS tedesche,
ucraine e italiane e le cucine e la mensa per i tedeschi e i loro accoliti.
Infine c'era l'autorimessa delle SS, oggi luogo di culto.
All'esterno c'erano altri due edifici: uno ospitava il corpo di guardia e
l'appartamento del comandante, l'altro le donne ucraine, venute al seguito
delle guardie.
E' difficile stabilire il numero esatto delle vittime della Risiera.
Basandosi sulle testimonianze si pensa che vi siano state uccise dalle
tremila alle cinquemila persone. Moltissime vi sono transitate per poi
partire verso i KL in Germania o in Polonia.

2. LIBRI. UN ESTRATTO DA "FILOSOFIA DELLA SHOAH" DI FABIO MINAZZI
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo il seguente estratto dal libro di
Fabio Minazzi, Filosofia della shoah. Pensare Auschwitz: per un'analitica
dell'annientamento nazista, Giuntina, Firenze 2006 (nel sito e' riprodotto -
oltre a un altro brano - anche l'indice del libro che qui riportiamo:
Introduzione; Nota al testo; Per un'analitica del paradigma nazista
dell'annientamento; Capitolo primo. Auschwitz e la riflessione filosofica;
Capitolo secondo. Sterminio, genocidio, olocausto o Shoah? Dai nomi dello
sterminio al suo concetto critico; Capitolo terzo. Per un'ermeneutica del
male: la Shoah e il razzismo nazista; Capitolo quarto. La cultura fascista e
il razzismo: dalla voce Fascismo sull'Enciclopedia Italiana alle leggi
razziali; Capitolo quinto. Fenomenologia epistemica del testimone della
Shoah; Appendice. Contributo per una pedagogia dopo Auschwitz;
Considerazioni cronachistico-storiografiche a margine di un seminario di
studio presso lo Yad Vashem di Gerusalemme; Il treno della memoria per
Auschwitz. Cronaca di un viaggio; Alfredo Violante: dalla Puglia a
Mauthausen; L'epurazione della scuola fascista. Elenco degli insegnanti
ebrei espulsi dalle scuole medie italiane; Indice dei nomi).
Fabio Minazzi (Varese, 1955), docente di Filosofia teoretica
dell'Universita' di Lecce, ha pubblicato una ventina di volumi monografici e
ha curato una quarantina di vari libri (testi collettivi, atti di convegni,
testi inediti, seminari, etc.). Nei suoi scritti monografici si e' occupato
tra altri argomenti del problema del realismo, del dibattito epistemologico
contemporaneo, della rivoluzione scientifica galileiana, del pensiero di
filosofi come Giulio Preti, Karl Popper, Ludovico Geymonat, del problema
della scuola italiana e della didattica della filosofia. Ha inoltre curato
testi di C. Cattaneo, G. Preti, L. Geymonat, K. Popper, R. Dulbecco, di
protagonisti della Resistenza (europea e italiana); ha dedicato diversi
volumi alla storia del Novecento, alla Shoah e al totalitarismo nazista;
dirige la rivista "Il Protagora"]

Introduzione (p. 9 e sgg.)
Secondo Yehuda Bauer "the Holocaust was a genocide, but of a special and
unprecedented type. In the past two decades or so, an amazing phenomenon
happened: The Holocaust has become a symbol of evil in what is inaccurately
known as Western civilization, and the awareness of that symbol seems to be
spreading all over the world" (Rethinking the Holocaust, Yale University
Press, New Haven and London 2001, p. X). D'altra parte nel corso degli
ultimi decenni la storiografia che si e' occupata della Shoah - la
storiografia della "soluzione finale" nazista - ha fornito molteplici e
fondamentali contributi di conoscenza e di riflessione. Se storici come Leon
Poliakov, Raul Hilberg, Lucy Dawidowicz e Saul Friedlaender hanno sottoposto
ad una puntuale disamina soprattutto la macchina di produzione della morte
nazista, altri, come Daniel Goldhagen, hanno invece ricostruito la storia di
questo "male" cercando di porsi dal punto di vista delle vittime, studiando,
per quanto possibile, soprattutto la realta' fenomenologica del
comportamento dei realizzatori e perpetratori del genocidio nazista,
configurando una sorta di "microfisica dell'Olocausto". Ma, al di la' delle
vivaci discussioni suscitate dal contributo di Goldhagen, come ha suggerito
Friedlaender ( La Germania nazista e gli ebrei, trad. it. di Sergio Minucci,
Garzanti, Milano 1992), si sta forse sempre piu' configurando una nuova
impostazione storiografica, in grado di meglio integrare lo studio del
quadro generale del fenomeno storico del nazismo con la sensibilita' alla
microstoria, secondo una interessante prospettiva che dovrebbe essere anche
in grado di meglio valorizzare le numerose testimonianze dei sopravvissuti
alla Shoah. Del resto lo stesso Hilberg, nella parte finale del suo
fondamentale studio La distruzione degli ebrei d'Europa (trad. it. di
Frediano Sessi e Giuliana Guastalla, ed. it. a cura di F. Sessi, Einaudi,
Torino 1999, 2 voll, vol. II, p. 1121), ha chiaramente indicato questa
precisa dimensione storiografica: "I tedeschi uccisero cinque milioni di
ebrei. Il massacro non si genero' dal nulla; pote' essere perpetrato in
quanto ebbe un significato per coloro che ne furono gli esecutori. Non si
tratto' di una strategia limitata che poteva condurre ad altri fini, ma di
un'impresa, di un evento sentito come una Erlebnis - una 'esperienza'
vissuta passo dopo passo da coloro che vi hanno preso parte.
"I burocrati tedeschi, che con la loro competenza contribuirono alla
distruzione degli ebrei, furono tutti parte integrante dell'Erlebnis, gli
uni si incaricarono della parte tecnica - redigere un decreto o organizzare
un convoglio -, gli altri si appostarono con fermezza alla porta di una
camera a gas. Potevano percepire l'enormita' dell'operazione fin dai ranghi
piu' bassi. In ogni stadio del processo, diedero prova di stupefacenti
talenti da pionieri in assenza di direttive, di coerenza nelle attivita',
quando mancava un'organizzazione giuridica, di una comprensione fondamentale
del compito che dovevano eseguire, nel momento in cui non venivano date
comunicazioni esplicite. Quando Reinhard Heydrich e gli Staatssekretaere si
riunirono, il mattino del 20 gennaio 1942, per discutere della 'soluzione
finale della questione ebraica in Europa', tutti si compresero.
"Il progetto, considerato nel suo insieme, sembrava, retrospettivamente, un
mosaico di piccoli frammenti, ognuno poco importante e banale. Questa
successione di attivita' ordinarie, note, memorandum e telegrammi, azioni
solidamente impiantate nell'abitudine, nella routine e nella tradizione, si
trasformarono in un processo di distruzione in massa. Individui
assolutamente comuni avrebbero svolto compiti straordinari. Una falange di
funzionari, negli uffici dello Stato e in quelli di imprese private,
lavorarono [sic!] per raggiungere il fine ultimo".
Esattamente su questa precisa base il processo di distruzione nazista
divenne, per sua natura intrinseca, pressoche' illimitato e porto',
conseguentemente, alla devastazione dell'Europa, inghiottendo nel buco nero
del sistema concentrazionario dei lager tedeschi, circa dodici milioni di
vittime, assassinate in vario modo.
Anche la filosofia del dopo Auschwitz ha cercato di confrontarsi con questo
"simbolo del male". Ma lo ha fatto male, in modo spesso non persuasivo e,
comunque, con un notevole ritardo storico, senza mai assumere, per molti
decenni, Auschwitz come un'autentica lacerazione, in grado di turbare
veramente la quotidiana riflessione filosofica. Ma, in realta', pensare
Auschwitz non e' affatto agevole, ne' ci si puo' invero sottrarre al suo
orrido buco nero.
Come ha illustrato Enzo Traverso i primi che hanno iniziato a riflettere
seriamente su Auschwitz erano degli esuli: "durante la guerra gli esuli
furono tra i pochi a scrivere su Auschwitz perche' furono i soli a potersi
identificare con le vittime pur rimanendo in grado di pensare questa
lacerazione della storia. La loro lungimiranza critica era acuita dal loro
statuto di paria. La loro superiorita' epistemologica era precisamente
legata alla loro mancanza di punti di appoggio, al loro sradicamento e alla
loro 'acosmia', tutti elementi che, paradossalmente, li situavano al di
sopra dei punti di vista ristretti, dei luoghi comuni e delle mentalita'
dominanti in seno ai diversi gruppi nazionali" (Enzo Traverso, Auschwitz e
gli intellettuali. La Shoah nella cultura del dopoguerra, il Mulino, Bologna
2004, p. 39).
Tuttavia quando i primi filosofi hanno iniziato a pensare Auschwitz lo hanno
fatto sviluppando una posizione che li configura quali eredi della critica
romantica della modernita', nonche' dell'universalismo dell'illuminismo. In
questa chiave prospettica, come ha ancora rilevato Traverso, "i campi di
sterminio non potevano piu' essere ridotti a un incidente di percorso, per
quanto grave, sulla via del miglioramento ineluttabile dell'umanita', ne'
visti come un tentativo oscurantista di fermare la marcia in avanti della
storia. Apparivano piuttosto come un prodotto legittimo e autentico della
civilta' occidentale, di cui svelavano il lato cupo e distruttore, la
razionalita' strumentale messa al servizio del massacro" (Traverso, op.
cit., p. 37).
Il dopo Auschwitz e' cosi' diventato un autentico turning point. Non a caso
in molti casi questa riflessione ha persino cercato di pensarsi
filosoficamente proprio nel segno, decisamente epocale, di questo dopo,
soprattutto con i contributi di pensatori quali Theodor Wiesengrund Adorno,
Hannah Arendt, Emmanuel Levinas e Jean-Francois Lyotard. Tuttavia, e' anche
possibile percorrere una diversa strada filosofica. Non a caso un esule come
Ernst Cassirer, rappresentante dell'Aufklaerung, nell'ultima fase della sua
vita, con le riflessioni raccolte nel saggio The Myth of the State, ha
denunciato il razzismo nazista quale forma moderna della regressione verso
il mito. A suo avviso "in politica, viviamo sempre su un terreno vulcanico.
Dobbiamo essere preparati a convulsioni ed eruzioni improvvise. In tutti i
momenti critici della vita sociale dell'uomo, le forze razionali che si
oppongono al sorgere delle vecchie concezioni mitiche non sono piu' sicure
di se stesse. In questi momenti, diremo che e' tornata l'ora del mito.
Poiche' il mito non e' stato realmente vinto e soggiogato. E' sempre la',
che occhieggia nell'ombra e aspetta la sua ora e la sua possibilita' di
risorgere. Quell'ora verra' non appena le altre forze vincolanti della vita
sociale dell'uomo, per una ragione o per l'altra, perdano la loro forza e
non siano piu' in grado di combattere le potenze demoniache del mito" (E.
Cassirer, Il mito dello stato, trad. it. di Camillo Pellizzi, Longanesi &
C., Milano 1971, p. 473). Non per nulla Cassirer analizza il riemergere, nel
mondo nazista, dell'homo magus che si allea con l'homo faber, dando origine
ad una nuova e inquietante figura: "l'uomo politico moderno ha dovuto
combinare in se stesso due funzioni interamente diverse, e persino
incompatibili. Egli e' costretto ad agire, al tempo stesso, come homo magus
e come homo faber. Egli e' il sacerdote di una nuova religione, del tutto
irrazionale e misteriosa. Ma quando deve difendere e diffondere questa
religione, egli procede in modo estremamente metodico. Nulla e' lasciato al
caso; ogni passo e' ben preparato e premeditato. Questa strana combinazione
e' per l'appunto uno dei tratti piu' sorprendenti dei nostri miti politici"
(p. 476). Non per nulla Cassirer analizza finemente la forza pervasiva del
nazismo considerando l'impiego magico del linguaggio e la connessa nascita
di un nuovo lessico: la nuova lingua tedesca, abilmente plasmata e
sistematicamente creata dai nazisti che sostituisce all'impiego semantico
della parola il suo uso magico. In questa chiave l'antisemitismo nazista
colpiva dunque negli ebrei le radici stesse della razionalita' occidentale.
Tuttavia, anche se Cassirer si muoveva certamente nella giusta direzione,
denunciando apertamente la moderna regressione al mito, il groviglio storico
e teorico era invero assai piu' complesso perche' il rapporto tra mito e
razionalita' non e' mai schematico, non prevede affatto una lotta tra due
contendenti che vivono in due realta' totalmente separate ed estranee. Come
ha insegnato Giambattista Vico in realta' il gioco e' molto piu' complesso e
intrecciato perche' anche la razionalita' vive di miti. Di conseguenza anche
la nostra avvertenta critica deve allora necessariamente diventare molto
piu' sofisticata e criticamente attenta: il mito va individuato, combattuto
e criticato anche all'interno della stessa razionalita'. Ma un conto e'
percorre questa strada illuminista (che vuole anzi approfondire la difesa
critica della razionalita' umana, l'unico strumento che ci ha tratto dalle
barbarie), un conto, ben diverso, e' invece denunciare la ragione umana (con
tutti i suoi limiti, i suoi abbagli e i suoi errori) quale mera
"razionalita' strumentale-algoritmica" messa al servizio del massacro
nazista quale prodotto autentico e legittimo della stessa civilta' moderna.
Un tale esito non puo' che apparire alquanto problematico, fuorviante e
invero molto discutibile poiche' finisce per mitizzare il suo stesso
"pensare Auschwitz". Cosi', a mio avviso, l'indicazione di Cassirer,
malgrado i suoi limiti, si pone comunque su un versante teorico decisamente
alternativo a quello di chi ha invece iniziato a pensare Auschwitz ridando
vigore alla critica romantica all'universalismo dei lumi. A mio parere
occorre percorrere una strada inversa e opposta: esattamente la strada
illuminista indicata da Cassirer deve essere approfondita onde poter pensare
Auschwitz in modo corretto ed euristicamente convincente.
Anche perche' occorre tener sempre presente, per dirla con Wolfgang Sofsky,
come l'ordine del terrore nazista abbia infine messo capo -
nell'articolatissimo e tragico sistema dei lager che hanno variamente
deturpato l'Europa - ad un sistema concentrazionario nel quale si e' attuata
"la distruzione sistematica per mezzo della violenza, della fame e del
lavoro, l'annientamento dell'uomo condotto con freddo spirito contabile" (W.
Sofsky, L'ordine del terrore, trad. it. di Nicola Antonacci con la
collaborazione di Francesco Saverio Nisio, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 8, il
rilievo e' riferito alla trasformazione del campo di Dachau, tuttavia puo'
assumere anche un valore emblematico, valido per tutti i campi di sterminio
nazisti). Ne', di fronte a questo orrore nazista, occorre innescare, come
pure si e' fatto, spesso per motivi dichiaratamente ideologici o
smaccatamente politici, "l'osceno gioco di numeri in una falsa aritmetica"
(Sofsky), inaugurando una tragicomica contabilita' dell'orrore, perche',
semmai, occorre invece cercare di sviluppare una riflessione razionale e
critica sulla specifica Shoah consapevolmente attuata dai nazisti.
*
Da questo preciso punto di vista i contributi presenti in questo volume
vogliono tutti costituire alcuni sondaggi critici analitici su taluni
rilevanti aspetti dell'orrore nazista. Secondo Voltaire non e' mai possibile
scrutare veramente l'abisso della genesi del male. Tuttavia, e' comunque
possibile studiare criticamente la fenomenologia della sua effettiva
manifestazione storica. Inoltre e' possibile farlo senza rinunciare ai
flessibili e sofisticati strumenti critici che la plurisecolare tradizione
del razionalismo ci mette a disposizione, onde comprendere come altri
uomini, per dirla a' la Levi, ne' migliori ne' peggiori di noi, ne' piu' ne'
meno intelligenti di noi, hanno comunque potuto realizzare la "soluzione
finale".
L'intento di questi sondaggi, che affrontano il problema di Auschwitz da
differenti angoli prospettici, senza tuttavia mai abdicare ad un uso critico
della razionalita' umana, e' quello di contribuire ad una riflessione che
non trasformi affatto Auschwitz in un fenomeno meta-storico, in un simbolo
di un male metafisico intrascendibile, che non potrebbe mai essere
adeguatamente compreso, studiato e analizzato dalla nostra intelligenza
critica. Al contrario, Auschwitz costituisce, perlomeno a mio avviso, un
male pienamente radicato nella storia umana che puo' e deve essere compreso
con molteplici strumenti di indagine razionale. Tra questi la riflessione
filosofica puo' fornire un contributo prezioso e invero fondamentale per
capire il significato storico complessivo di questa tragedia innescata dal
razzismo nazista. Si tratta infatti di una immane tragedia compiuta tuttavia
da uomini, non da demoni, le cui radici vanno pertanto individuate nella
storia concreta del nazismo e dell'Europa del tempo. Donde la necessita' di
dilatare adeguatamente la propria riflessione critica, considerando non solo
la precisa memoria di questa tragedia, ma anche il suo concreto realizzarsi
storico nel quadro del totalitarismo nazista e del suo stesso pensiero,
della sua Weltanschauung. In particolare, nello sviluppare questi saggi mi
sono riferito esplicitamente alla tradizione del razionalismo critico
inaugurato da Immanuel Kant, sia perche' mi sembra che l'approccio
trascendentalista aiuti a meglio intendere la radicale storicita' della
Shoah, sia perche' questa impostazione contribuisce a far emergere, con
forza, il ruolo storico della responsabilita' morale, individuale e
collettiva. Il piano della coscienza morale permette infatti di meglio
intendere la precisa responsabilita' storica delle concrete azioni criminali
poste in essere dal nazismo (e dai nazisti) con i campi di sterminio e
consente, inoltre, di comprendere razionalmente il carattere
progressivamente illimitato del processo di distruzione e annientamento
perseguito dai nazisti proprio perche' come ha ancora una volta rilevato
Raul Hilberg, "la distruzione degli ebrei non fu un evento isolato. Fu
inserito in un contesto di azioni rivolte contro una varieta' di gruppi.
Come le misure anti-ebraiche, queste operazioni non erano programmate per
l'annientamento delle regole sociali, delle tradizioni o istituzioni, ma per
le requisizioni della proprieta', dello spazio e, in alcuni casi, per
infliggere la morte. In questa ampia strategia di distruzione si possono
individuare numerosi decreti che erano caratteristici del processo
anti-ebraico, come la definizione scritta, le tasse sociali, la marchiatura
o le restrizioni dei possibili spostamenti. Per quanto l'uccisione fosse
diretta anche ai non ebrei, il fatto fu condotto prima e durante
l'annientamento degli ebrei, con gli stessi mezzi e spesso con lo stesso
personale. Tre categorie d'individui erano comprese da questa attivita' di
distruzione: (1) persone che erano afflitte da malattie o disabili, (2)
coloro che erano ritenuti una minaccia o un pericolo a causa del loro
comportamento e (3) coloro che erano membri delle nazioni nemiche" (R.
Hilberg, La distruzione degli Ebrei d'Europa, trad. it. cit., vol. II, p.
1127). Solo entro questo preciso perimetro dell'annientamento nazista puo'
comprendersi il significato del suo concreto agire storico.
Inoltre, come ha rilevato Simon Wiesenthal, presentando Gli schiavi di
Hitler di Lazzero Ricciotti, "dopo la fine della seconda guerra mondiale e'
invalso nell'uso affermare che fascismo e nazismo sono equivalenti. Ma cio'
significa concedere al nazismo una patina d'innocuita'. Il fascismo era
abbastanza brutto, ma per diversi motivi il nazismo lo era molto di piu'. Il
nazismo si e' reso responsabile di una catastrofe a livello europeo che non
ha risparmiato quasi nessun paese del continente. Secondo il piano del 1942,
messo a punto dai tedeschi nella conferenza di Wansee quale guida al
comportamento verso gli ebrei, avrebbero dovuto esserne uccisi undici
milioni. I nazisti riuscirono a sterminarne sei milioni. Dopo di loro
moltissimi polacchi, russi, olandesi, belgi, cecoslovacchi, italiani e gente
di altri paesi - soldati e civili, resistenti e appartenenti a Chiese
diverse e a differenti ideologie - furono rinchiusi nei campi di
concentramento, e molti vi trovarono la morte. Tutte queste vittime del
nazismo devono continuare a vivere nella nostra memoria quale monito
perenne, per non permettere che simili crudelta' possano ripetersi sotto
qualsiasi regime" (Mondadori, Milano 1996, p. VIII). Proprio per questa
ragione occorre allora dilatare la considerazione critica, studiando le
concrete movenze storiche con cui questa tragedia della Shoah si e'
realizzata nel cuore dell'Europa nel corso del XX secolo. E, dal punto di
vista italiano, occorre anche prendere in debita considerazione il rapporto
instauratosi tra il fascismo e il nazismo, studiando le concrete movenze di
questa alleanza che spesso, per i prigionieri italiani deportati nei lager
tedeschi, si e' trasformata prima in autentica tragedia e, successivamente,
nel loro stesso cinico assassinio. Non solo: se nell'ingranaggio della
distruzione sono state coinvolte pressoche' tutte le professioni, tuttavia
il comportamento collettivo (ed individuale!) dei tedeschi e degli italiani
fu comunque differenziato, in una misura che non puo' essere trascurata. Nel
caso italiano operarono infatti alcuni freni inibitori, autentici ostacoli,
che non si registrano, invece, nel comportamento tedesco. Non per nulla
Hilberg cita proprio il caso italiano per sottolineare le specificita' di
quello tedesco in cui non operarono queste "barriere": "a diverse riprese, i
generali e i consoli italiani si rifiutarono di collaborare alle
deportazioni. Il processo di distruzione in Italia e nelle zone controllate
dagli Italiani si effettuo' in contrasto con la loro resistenza costante.
Non si trovera' nessuna opposizione di questo genere da parte tedesca.
Nessun ostacolo fu posto, tale da immobilizzare l'ingranaggio di distruzione
tedesco. Nessun problema morale si rivelo' insormontabile" (R. Hilberg, La
distruzione degli Ebrei d'Europa, trad. it. cit., vol. II, p. 1142).
*
La riflessione filosofica non puo' non riflettere seriamente su questo dato
storico. Non solo: la riflessione filosofica puo' agevolare notevolmente
questa comprensione critica, ma puo' farlo purche' il "dopo Auschwitz" non
sia affatto mitizzato, pensando il dopo in termini dichiaratamente
metafisici, epocali o meta-storici. In realta' il dopo Auschwitz deve sempre
confrontarsi con la genesi stessa di Auschwitz, con il suo prima, proprio
perche' prima e dopo non indicano affatto cesure assolute e metafisiche
nella storia dell'umanita', ma ci devono invece aiutare a sempre ricollocare
adeguatamente i diversi fenomeni storici nel loro preciso contesto storico e
di pensiero. Nella piena consapevolezza che la riflessione filosofica su
questi tragici eventi storici costituisce anche, di per se', una lotta
contro la cancellazione della memoria di questi stessi assassinii di massa
perpetrati dal nazismo. Perche' la prassi quotidiana del terrore nazista ha
veramente creato un mondo di orrore in cui "la sistematica degradazione
fisica, lo sfinimento per mezzo del lavoro e la violenza erano intimamente
connessi fra loro: le SS uccidevano per tenere sotto controllo il
sovraffollamento dei lager e per fare spazio a prigionieri piu' 'freschi',
che tuttavia cadevano ben presto vittima del crudele circolo
lavoro-deperimento fisico-malattia-violenza" (Sofsky, op. cit., p. 59).
Questo crudele circolo nazista dello sfruttamento e della morte spiega anche
la progressiva trasformazione storica dei lager nazisti da centri di
detenzione a fini terroristici a luoghi deputati alle esecuzioni e agli
stermini di massa. La tragedia della Shoah, con tutte le sue molteplici
movenze scaturite dal razzismo nazista, nonche' dallo sfruttamento radicale
e assoluto della manodopera schiavile reclutata dai nazisti presso tutta
l'Europa caduta sotto il loro controllo, si colloca esattamente su questo
piano del mondo della prassi. Non per nulla sempre Hilberg ha delineato la
seguente, precisa struttura di un processo di distruzione da attuarsi in una
societa' moderna: Definizione; Licenziamento dei lavoratori ed
espropriazione delle imprese commerciali; Sfruttamento della manodopera e
provvedimenti di negazione del cibo; Annientamento; Confisca degli effetti
personali.
Esattamente entro questo preciso meccanismo - per nulla metafisico, ma ben
radicato nel concreto terreno del mondo della prassi storica - si e' dunque
attuato il processo nazista di distruzione, tendenzialmente illimitato.
Sempre su questo specifico terreno storico va allora compresa
concettualmente l'organizzazione effettiva della distruzione nazista. La
filosofia - per dirla con Hegel - non puo' rifiutare di confrontarsi con
questo peculiare "banco da macellai" che contraddistingue anche la storia
umana del XX secolo. L'azione nazista va pertanto compresa filosoficamente
prendendo costantemente le mosse dal concreto mondo della prassi. E va
compresa filosoficamente proprio per meglio contrastarla, combatterla e
annichilirla, anche nelle sue inquietanti risorgenze contemporanee.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 155 del 16 marzo 2008

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