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La domenica della nonviolenza. 155
- Subject: La domenica della nonviolenza. 155
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 16 Mar 2008 11:46:24 +0100
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 155 del 16 marzo 2008 In questo numero: 1. Alcuni estratti da "I lager nazisti" di Alessandra Chiappano (parte seconda e conclusiva) 2. Un estratto da "Filosofia della Shoah" di Fabio Minazzi 1. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "I LAGER NAZISTI" DI ALESSANDRA CHIAPPANO (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA) [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti (scelti da Riccardo Terzi) dal libro di Alessandra Chiappano, I lager nazisti. Guida storico-didattica, Giuntina, Firenze 2007, con prefazione di Brunello Mantelli. Alessandra Chiappano (Genova, 1963), storica, docente e saggista, responsabile della sezione didattica dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia (Insmli) e della Fondazione "Memoria della deportazione" di Milano, ha curato la formazione per studenti e insegnanti che avrebbero successivamente visitato i lager nazisti; ha curato molteplici volumi dedicati all'approfondimento e allo studio della Shoah e della deportazione. Tra le opere di Alessandra Chiappano: (con Fabio M. Pace), Shoah. Documenti, testimonianze, interpretazioni, Einaudi Scuola, 2001; (con Fabio Minazzi), Le storie estreme del Novecento, Miur 2002; (con Fabio Minazzi), Il presente ha un cuore antico, Thelema, 2003; Il '68 e dintorni, 2005; (con Fabio Minazzi, a cura di), Pagine di storia della Shoah. Nazifascismo e collaborazionismo in Europa, Kaos, Milano 2005; (con Fabio Minazzi), Il paradigma nazista dell'annientamento. La Shoah e gli altri stermini, Giuntina, Firenze 2006; I lager nazisti. Guida storico-didattica, Giuntina, Firenze 2007; La Shoah, Unicopli, Milano 2008; (con Fabio Minazzi), Il ritorno alla vita e il problema della testimonianza, La Giuntina, Firenze 2008. Brunello Mantelli, storico, docente, saggista, e' docente di storia contemporanea all'Universita' di Torino; e' stato visiting professor presso l'Universita' di Potsdam e presso la Ludwig-Maximilian Universitaet di Monaco di Baviera; fa parte del comitato scientifico della Fondazione "Memoria della Deportazione" di Milano, del comitato scientifico dell'"Istituto per la storia della Resistenza e della societa' contemporanea" di Alessandria, e del comitato di consulenza del Museo della Deportazione di Prato; e' membro dell'Arbeitsgemeinschaft fuer die neueste Geschichte Italiens, e della Societa' per gli Studi di Storia delle Istituzioni; ha fatto parte del direttivo della Sissco, di cui e' socio dalla fondazione; con Nicola Tranfaglia coordina la ricerca sulla deportazione dall'Italia nei campi di sterminio nazisti (promossa dall'Associazione nazionale ex deportati nei campi di sterminio nazisti- Aned, sviluppata nell'ambito del Dipartimento di Storia dell'Universita' di Torino, con l'obiettivo di costruire un atlante biografico dei 37.000 deportati dall'Italia e delle loro vicissitudini nell'universo concentrazionario nazionalsocialista. Si occupa in particolare di storia comparata dei fascismi, di storia delle relazioni italogermaniche e di storia della Germania contemporanea. Tra le opere di Brunello Mantelli: a) volumi: (con Domenico Carosso, Cristiana Cavagna, Dino Invernizzi), Immagini da una crisi. La Singer di Leini', Milano, Feltrinelli, 1980; (con Cesare Manganelli), Antifascisti, partigiani, ebrei. I deportati alessandrini nei campi di sterminio nazisti 1943-1945, Milano, Angeli, 1991; "Camerati del lavoro". L'arruolamento di lavoratori italiani per il Terzo Reich nel periodo dell'Asse 1938-1943, Firenze, La Nuova Italia, 1992; La nascita del fascismo, Milano, Fenice 2000, 1994; Il regime fascista, Milano, Fenice 2000, 1995; Il fascismo e la guerra, Milano, Fenice 2000, 1995; (con Cesare Bermani e Sergio Bologna), Proletarier der Achse. Sozialgeschichte der italienischen Fremdarbeit in NS-Deutschland 1937 bis 1943, Berlin, Akademie Verlag, 1997; Germania rossa. Il socialismo tedesco dal 1848 ad oggi, Torino, Theleme, 2001; Kurze Geschichte des italienischen Faschismus, Berlin, Wagenbach, 1998, 2004; I fascismi europei 1919-1945, Torino, Loescher, 2004; Da Ottone di Sassonia ad Angela Merkel. Societa', istituzioni, poteri nello spazio germanofono dall'anno Mille ad oggi, Utet, Torino 2006. b) curatele: (con Federico Cereja), La deportazione nei campi di sterminio nazisti, Milano, Angeli, 1986; (con Roberto Botta e Franco Castelli), La cultura delle classi subalterne fra tradizione ed innovazione, Alessandria, dell'Orso, 1988; (con Luigi Cajani, Una certa Europa. Il collaborazionismo con le potenze dell'Asse in Europa 1939-1945. Le fonti, n. 6 degli "Annali della Fondazione Luigi Micheletti", 1992 (in realta' 1994); (con Enzo Collotti), La Germania ed il contesto internazionale, numero monografico di "Trimestre. Storia - Politica - Societa'", anno XXXI (1998), nn. 1-2; L'Italia fascista potenza occupante: lo scacchiere balcanico, numero monografico (anno XXX, n. 1, giugno 2002) della rivista "QualeStoria"; (con Nicola Tranfaglia), Dizionario dei fascismi, Milano, Bompiani, 2002; (con Giovanna D'Amico), I campi di sterminio nazisti. Storia, memoria, storiografia, Milano, Angeli, 2003; Storia e storiografia della persecuzione antiebraica in italia ed in europa (1945-2000), numero monografico (anno XXXII, n. 2, dicembre 2004) della rivista "QualeStoria; Dizionario delle opere Bompiani, sezione Storiografia, revisione ed aggiornamento condotto con Nicola Tranfaglia, Milano, Bompiani, 2005. Fabio Maria Pace, docente, collaboratore della Fondazione "Centro di documentazione ebraica contemporanea", e' autore di numerose pubblicazioni sulla Shoah] La Risiera di San Sabba (p. 211 e sgg.) La storia della Risiera di San Sabba appare decisamente piu' complicata di quella di altri luoghi di detenzione e di transito istituiti dai nazisti in Italia. Il campo della Risiera, situato all'estrema periferia di Trieste, si colloca all'interno delle complesse vicende che hanno interessato la zona del litorale adriatico. All'indomani dello sganciamento italiano dalla guerra nel 1943 i tedeschi occuparono direttamente due porzioni del territorio italiano che sottrassero alla giurisdizione saloina: l'Adriatisches Kuestenland e lo Alpenvorland. L'Adriatisches Kuestenland comprendeva le province di Trieste, Gorizia, Udine, Fiume e Pola, mentre l'Alpenvorland i territori di Belluno, Trento e Bolzano. Il Gauleiter della Carinzia, Friedrich Rainer, estese la sua giurisdizione sul territorio dell'Adriatisches Kuestenland, cosi' come Franz Hofer, gia' Gauleiter del Tirolo, sull'Alpenvorland. Non e' agevole capire quali siano state le motivazioni che spinsero i nazisti ad amministrare direttamente al Reich questi territori, se perche' avevano in animo di farli diventare parte della Germania, a guerra ultimata, o se sia stata una misura dettata da considerazioni meramente militari: nella zona del litorale adriatico era particolarmente attiva la guerra partigiana; si sa inoltre che i nazisti avevano in animo di organizzare una sorta di guerriglia contro gli Alleati proprio nelle zone alpine, per cui era strategicamente importante avere sotto controllo le province di Trento, Bolzano e Belluno. Quali che siano state le motivazioni e le intenzioni dei nazisti, e' fuor di dubbio che questi territori furono sottoposti ad un durissimo regime di occupazione diretta, in cui furono riprese le modalita' che avevano contrassegnato la guerra di sterminio applicata ai territori dell'Europa orientale. Rientra in questo quadro il fatto che a Trieste furono inviati tra il 1943 e il 1944 numerosi appartenenti alle SS che avevano fatto parte delle unita' speciali che si erano contraddistinte nello sterminio degli ebrei. Nell'ambito della decisione dell'eliminazione fisica degli ebrei d'Europa fu creata l'Aktion Reinhard, cosi' chiamata per ricordare Reinhard Heydrich, il capo dello Sd ucciso dai partigiani cechi nel 1942. Con questo nome in codice si intendeva l'eliminazione dell'ebraismo polacco. A capo dell'Aktion Reinhard fu posto Odilo Globocnik; ne facevano parte fra gli altri Christian Wirth, Franz Stangl, Dietrich Allers, Joseph Oberhauser, Kurt Franz, Otto Stadie. Tutti costoro avevano precedentemente fatto parte della cosiddetta azione T4, nome in codice per indicare l'eliminazione dei malati di mente, avviata in Germania nel 1939 e in parte sospesa nel 1941. Essi avevano gia' grande esperienza di eliminazioni per mezzo del gas. E in effetti nei campi dell'Aktion Reinhard gli ebrei furono uccisi nelle camere a gas messe a punto dagli esperti della T4, utilizzando il monossido di carbonio. E' singolare il fatto che buona parte di costoro siano stati trasferiti a Trieste nella fase finale della guerra, una volta portato a termine lo sterminio degli ebrei polacchi. Il primo ad arrivare a Trieste fu Christian Wirth. La decisione di chiamare a Trieste i componenti dell'Aktion Reinhard pare sia stata presa su suggerimento del Gauleiter Rainer. Val la pena di richiamare il fatto che sia Globocnik che Rainer erano nelle grazie di Himmler e potevano contare sul suo appoggio. Essi avevano il compito di spazzare via la guerriglia partigiana particolarmente attiva nella zona di confine tra Italia e Jugoslavia, ma furono anche attivi nella gestione della Risiera, l'unico Polizeihaftlager dell'Europa occidentale dotato di un forno crematorio. La Risiera era originariamente un grande stabilimento per la pilatura del riso, costruito nel 1913 nel rione periferico di San Sabba presso Trieste. Dopo l'8 settembre 1943 i tedeschi lo utilizzarono per rinchiudervi i soldati italiani catturati. A partire dalla fine di ottobre assunse la denominazione di campo di polizia. Qui confluivano i prigionieri, sia politici sia ebrei, destinati alla deportazione verso i campi situati in Germania o in Polonia. Appena entrati, sulla sinistra, c'era la cosiddetta cella della morte: qui erano rinchiusi i prigionieri destinati ad essere uccisi nel giro di poche ore. Proseguendo c'era un edificio a tre piani: al pianterreno si trovavano le 17 celle dove erano rinchiusi fino a sei prigionieri ebrei o politici in attesa delle esecuzioni. Le pareti e le porte di queste celle erano ricoperte di graffiti e scritte, che purtroppo non si sono conservate, se non in minima parte. In questo stesso edificio si trovavano i laboratori di sartoria e di calzoleria, dove lavoravano i prigionieri, e i dormitori per le SS. C'era poi un altro edificio a quattro piani: qui venivano rinchiusi in ampie camerate gli ebrei e i politici destinati alla deportazione. Nel cortile interno, c'era l'edificio destinato alle eliminazioni, con il forno crematorio. Questo impianto era stato costruito da Erwin Lambert, uno degli esperti del campo di Treblinka, in Polonia. Il crematorio poteva bruciare fino a 70-80 cadaveri. Ora, nel luogo dove sorgeva la ciminiera del camino si vede una statua che raffigura la Pieta'. Il crematorio fu distrutto dai tedeschi in fuga nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945. Sul tipo di uccisioni perpetrate nella Risiera ci sono soltanto ipotesi, formulate sulla base di racconti di testimoni: molti prigionieri furono uccisi mediante fucilazione, altri dopo essere stati colpiti da una potente mazza, ritrovata tra le macerie, esposta nel Museo, trafugata nel 1981. Essi venivano poi gettati nel crematorio, altri pare siano stati uccisi utilizzando camion nei quali veniva fatto rifluire il gas di scarico. Tuttavia tutte le esecuzioni avvenivano di notte per cui le testimonianze sono a questo proposito non sempre chiare. Inoltre le grida dei condannati erano coperte da musiche, latrati di cani e rumori vari. Occorre ricordare pero' che sebbene assai minimizzate le azioni omicide, anche quelle avvenute per mezzo del gas venefico, furono confermate dai nazisti durante le rogatorie avvenute in Germania alla fine degli anni Sessanta, che permisero di aprire una istruttoria anche in Italia. L'edificio piu' grande, di 6 piani, ospitava i reparti delle SS tedesche, ucraine e italiane e le cucine e la mensa per i tedeschi e i loro accoliti. Infine c'era l'autorimessa delle SS, oggi luogo di culto. All'esterno c'erano altri due edifici: uno ospitava il corpo di guardia e l'appartamento del comandante, l'altro le donne ucraine, venute al seguito delle guardie. E' difficile stabilire il numero esatto delle vittime della Risiera. Basandosi sulle testimonianze si pensa che vi siano state uccise dalle tremila alle cinquemila persone. Moltissime vi sono transitate per poi partire verso i KL in Germania o in Polonia. 2. LIBRI. UN ESTRATTO DA "FILOSOFIA DELLA SHOAH" DI FABIO MINAZZI [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo il seguente estratto dal libro di Fabio Minazzi, Filosofia della shoah. Pensare Auschwitz: per un'analitica dell'annientamento nazista, Giuntina, Firenze 2006 (nel sito e' riprodotto - oltre a un altro brano - anche l'indice del libro che qui riportiamo: Introduzione; Nota al testo; Per un'analitica del paradigma nazista dell'annientamento; Capitolo primo. Auschwitz e la riflessione filosofica; Capitolo secondo. Sterminio, genocidio, olocausto o Shoah? Dai nomi dello sterminio al suo concetto critico; Capitolo terzo. Per un'ermeneutica del male: la Shoah e il razzismo nazista; Capitolo quarto. La cultura fascista e il razzismo: dalla voce Fascismo sull'Enciclopedia Italiana alle leggi razziali; Capitolo quinto. Fenomenologia epistemica del testimone della Shoah; Appendice. Contributo per una pedagogia dopo Auschwitz; Considerazioni cronachistico-storiografiche a margine di un seminario di studio presso lo Yad Vashem di Gerusalemme; Il treno della memoria per Auschwitz. Cronaca di un viaggio; Alfredo Violante: dalla Puglia a Mauthausen; L'epurazione della scuola fascista. Elenco degli insegnanti ebrei espulsi dalle scuole medie italiane; Indice dei nomi). Fabio Minazzi (Varese, 1955), docente di Filosofia teoretica dell'Universita' di Lecce, ha pubblicato una ventina di volumi monografici e ha curato una quarantina di vari libri (testi collettivi, atti di convegni, testi inediti, seminari, etc.). Nei suoi scritti monografici si e' occupato tra altri argomenti del problema del realismo, del dibattito epistemologico contemporaneo, della rivoluzione scientifica galileiana, del pensiero di filosofi come Giulio Preti, Karl Popper, Ludovico Geymonat, del problema della scuola italiana e della didattica della filosofia. Ha inoltre curato testi di C. Cattaneo, G. Preti, L. Geymonat, K. Popper, R. Dulbecco, di protagonisti della Resistenza (europea e italiana); ha dedicato diversi volumi alla storia del Novecento, alla Shoah e al totalitarismo nazista; dirige la rivista "Il Protagora"] Introduzione (p. 9 e sgg.) Secondo Yehuda Bauer "the Holocaust was a genocide, but of a special and unprecedented type. In the past two decades or so, an amazing phenomenon happened: The Holocaust has become a symbol of evil in what is inaccurately known as Western civilization, and the awareness of that symbol seems to be spreading all over the world" (Rethinking the Holocaust, Yale University Press, New Haven and London 2001, p. X). D'altra parte nel corso degli ultimi decenni la storiografia che si e' occupata della Shoah - la storiografia della "soluzione finale" nazista - ha fornito molteplici e fondamentali contributi di conoscenza e di riflessione. Se storici come Leon Poliakov, Raul Hilberg, Lucy Dawidowicz e Saul Friedlaender hanno sottoposto ad una puntuale disamina soprattutto la macchina di produzione della morte nazista, altri, come Daniel Goldhagen, hanno invece ricostruito la storia di questo "male" cercando di porsi dal punto di vista delle vittime, studiando, per quanto possibile, soprattutto la realta' fenomenologica del comportamento dei realizzatori e perpetratori del genocidio nazista, configurando una sorta di "microfisica dell'Olocausto". Ma, al di la' delle vivaci discussioni suscitate dal contributo di Goldhagen, come ha suggerito Friedlaender ( La Germania nazista e gli ebrei, trad. it. di Sergio Minucci, Garzanti, Milano 1992), si sta forse sempre piu' configurando una nuova impostazione storiografica, in grado di meglio integrare lo studio del quadro generale del fenomeno storico del nazismo con la sensibilita' alla microstoria, secondo una interessante prospettiva che dovrebbe essere anche in grado di meglio valorizzare le numerose testimonianze dei sopravvissuti alla Shoah. Del resto lo stesso Hilberg, nella parte finale del suo fondamentale studio La distruzione degli ebrei d'Europa (trad. it. di Frediano Sessi e Giuliana Guastalla, ed. it. a cura di F. Sessi, Einaudi, Torino 1999, 2 voll, vol. II, p. 1121), ha chiaramente indicato questa precisa dimensione storiografica: "I tedeschi uccisero cinque milioni di ebrei. Il massacro non si genero' dal nulla; pote' essere perpetrato in quanto ebbe un significato per coloro che ne furono gli esecutori. Non si tratto' di una strategia limitata che poteva condurre ad altri fini, ma di un'impresa, di un evento sentito come una Erlebnis - una 'esperienza' vissuta passo dopo passo da coloro che vi hanno preso parte. "I burocrati tedeschi, che con la loro competenza contribuirono alla distruzione degli ebrei, furono tutti parte integrante dell'Erlebnis, gli uni si incaricarono della parte tecnica - redigere un decreto o organizzare un convoglio -, gli altri si appostarono con fermezza alla porta di una camera a gas. Potevano percepire l'enormita' dell'operazione fin dai ranghi piu' bassi. In ogni stadio del processo, diedero prova di stupefacenti talenti da pionieri in assenza di direttive, di coerenza nelle attivita', quando mancava un'organizzazione giuridica, di una comprensione fondamentale del compito che dovevano eseguire, nel momento in cui non venivano date comunicazioni esplicite. Quando Reinhard Heydrich e gli Staatssekretaere si riunirono, il mattino del 20 gennaio 1942, per discutere della 'soluzione finale della questione ebraica in Europa', tutti si compresero. "Il progetto, considerato nel suo insieme, sembrava, retrospettivamente, un mosaico di piccoli frammenti, ognuno poco importante e banale. Questa successione di attivita' ordinarie, note, memorandum e telegrammi, azioni solidamente impiantate nell'abitudine, nella routine e nella tradizione, si trasformarono in un processo di distruzione in massa. Individui assolutamente comuni avrebbero svolto compiti straordinari. Una falange di funzionari, negli uffici dello Stato e in quelli di imprese private, lavorarono [sic!] per raggiungere il fine ultimo". Esattamente su questa precisa base il processo di distruzione nazista divenne, per sua natura intrinseca, pressoche' illimitato e porto', conseguentemente, alla devastazione dell'Europa, inghiottendo nel buco nero del sistema concentrazionario dei lager tedeschi, circa dodici milioni di vittime, assassinate in vario modo. Anche la filosofia del dopo Auschwitz ha cercato di confrontarsi con questo "simbolo del male". Ma lo ha fatto male, in modo spesso non persuasivo e, comunque, con un notevole ritardo storico, senza mai assumere, per molti decenni, Auschwitz come un'autentica lacerazione, in grado di turbare veramente la quotidiana riflessione filosofica. Ma, in realta', pensare Auschwitz non e' affatto agevole, ne' ci si puo' invero sottrarre al suo orrido buco nero. Come ha illustrato Enzo Traverso i primi che hanno iniziato a riflettere seriamente su Auschwitz erano degli esuli: "durante la guerra gli esuli furono tra i pochi a scrivere su Auschwitz perche' furono i soli a potersi identificare con le vittime pur rimanendo in grado di pensare questa lacerazione della storia. La loro lungimiranza critica era acuita dal loro statuto di paria. La loro superiorita' epistemologica era precisamente legata alla loro mancanza di punti di appoggio, al loro sradicamento e alla loro 'acosmia', tutti elementi che, paradossalmente, li situavano al di sopra dei punti di vista ristretti, dei luoghi comuni e delle mentalita' dominanti in seno ai diversi gruppi nazionali" (Enzo Traverso, Auschwitz e gli intellettuali. La Shoah nella cultura del dopoguerra, il Mulino, Bologna 2004, p. 39). Tuttavia quando i primi filosofi hanno iniziato a pensare Auschwitz lo hanno fatto sviluppando una posizione che li configura quali eredi della critica romantica della modernita', nonche' dell'universalismo dell'illuminismo. In questa chiave prospettica, come ha ancora rilevato Traverso, "i campi di sterminio non potevano piu' essere ridotti a un incidente di percorso, per quanto grave, sulla via del miglioramento ineluttabile dell'umanita', ne' visti come un tentativo oscurantista di fermare la marcia in avanti della storia. Apparivano piuttosto come un prodotto legittimo e autentico della civilta' occidentale, di cui svelavano il lato cupo e distruttore, la razionalita' strumentale messa al servizio del massacro" (Traverso, op. cit., p. 37). Il dopo Auschwitz e' cosi' diventato un autentico turning point. Non a caso in molti casi questa riflessione ha persino cercato di pensarsi filosoficamente proprio nel segno, decisamente epocale, di questo dopo, soprattutto con i contributi di pensatori quali Theodor Wiesengrund Adorno, Hannah Arendt, Emmanuel Levinas e Jean-Francois Lyotard. Tuttavia, e' anche possibile percorrere una diversa strada filosofica. Non a caso un esule come Ernst Cassirer, rappresentante dell'Aufklaerung, nell'ultima fase della sua vita, con le riflessioni raccolte nel saggio The Myth of the State, ha denunciato il razzismo nazista quale forma moderna della regressione verso il mito. A suo avviso "in politica, viviamo sempre su un terreno vulcanico. Dobbiamo essere preparati a convulsioni ed eruzioni improvvise. In tutti i momenti critici della vita sociale dell'uomo, le forze razionali che si oppongono al sorgere delle vecchie concezioni mitiche non sono piu' sicure di se stesse. In questi momenti, diremo che e' tornata l'ora del mito. Poiche' il mito non e' stato realmente vinto e soggiogato. E' sempre la', che occhieggia nell'ombra e aspetta la sua ora e la sua possibilita' di risorgere. Quell'ora verra' non appena le altre forze vincolanti della vita sociale dell'uomo, per una ragione o per l'altra, perdano la loro forza e non siano piu' in grado di combattere le potenze demoniache del mito" (E. Cassirer, Il mito dello stato, trad. it. di Camillo Pellizzi, Longanesi & C., Milano 1971, p. 473). Non per nulla Cassirer analizza il riemergere, nel mondo nazista, dell'homo magus che si allea con l'homo faber, dando origine ad una nuova e inquietante figura: "l'uomo politico moderno ha dovuto combinare in se stesso due funzioni interamente diverse, e persino incompatibili. Egli e' costretto ad agire, al tempo stesso, come homo magus e come homo faber. Egli e' il sacerdote di una nuova religione, del tutto irrazionale e misteriosa. Ma quando deve difendere e diffondere questa religione, egli procede in modo estremamente metodico. Nulla e' lasciato al caso; ogni passo e' ben preparato e premeditato. Questa strana combinazione e' per l'appunto uno dei tratti piu' sorprendenti dei nostri miti politici" (p. 476). Non per nulla Cassirer analizza finemente la forza pervasiva del nazismo considerando l'impiego magico del linguaggio e la connessa nascita di un nuovo lessico: la nuova lingua tedesca, abilmente plasmata e sistematicamente creata dai nazisti che sostituisce all'impiego semantico della parola il suo uso magico. In questa chiave l'antisemitismo nazista colpiva dunque negli ebrei le radici stesse della razionalita' occidentale. Tuttavia, anche se Cassirer si muoveva certamente nella giusta direzione, denunciando apertamente la moderna regressione al mito, il groviglio storico e teorico era invero assai piu' complesso perche' il rapporto tra mito e razionalita' non e' mai schematico, non prevede affatto una lotta tra due contendenti che vivono in due realta' totalmente separate ed estranee. Come ha insegnato Giambattista Vico in realta' il gioco e' molto piu' complesso e intrecciato perche' anche la razionalita' vive di miti. Di conseguenza anche la nostra avvertenta critica deve allora necessariamente diventare molto piu' sofisticata e criticamente attenta: il mito va individuato, combattuto e criticato anche all'interno della stessa razionalita'. Ma un conto e' percorre questa strada illuminista (che vuole anzi approfondire la difesa critica della razionalita' umana, l'unico strumento che ci ha tratto dalle barbarie), un conto, ben diverso, e' invece denunciare la ragione umana (con tutti i suoi limiti, i suoi abbagli e i suoi errori) quale mera "razionalita' strumentale-algoritmica" messa al servizio del massacro nazista quale prodotto autentico e legittimo della stessa civilta' moderna. Un tale esito non puo' che apparire alquanto problematico, fuorviante e invero molto discutibile poiche' finisce per mitizzare il suo stesso "pensare Auschwitz". Cosi', a mio avviso, l'indicazione di Cassirer, malgrado i suoi limiti, si pone comunque su un versante teorico decisamente alternativo a quello di chi ha invece iniziato a pensare Auschwitz ridando vigore alla critica romantica all'universalismo dei lumi. A mio parere occorre percorrere una strada inversa e opposta: esattamente la strada illuminista indicata da Cassirer deve essere approfondita onde poter pensare Auschwitz in modo corretto ed euristicamente convincente. Anche perche' occorre tener sempre presente, per dirla con Wolfgang Sofsky, come l'ordine del terrore nazista abbia infine messo capo - nell'articolatissimo e tragico sistema dei lager che hanno variamente deturpato l'Europa - ad un sistema concentrazionario nel quale si e' attuata "la distruzione sistematica per mezzo della violenza, della fame e del lavoro, l'annientamento dell'uomo condotto con freddo spirito contabile" (W. Sofsky, L'ordine del terrore, trad. it. di Nicola Antonacci con la collaborazione di Francesco Saverio Nisio, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 8, il rilievo e' riferito alla trasformazione del campo di Dachau, tuttavia puo' assumere anche un valore emblematico, valido per tutti i campi di sterminio nazisti). Ne', di fronte a questo orrore nazista, occorre innescare, come pure si e' fatto, spesso per motivi dichiaratamente ideologici o smaccatamente politici, "l'osceno gioco di numeri in una falsa aritmetica" (Sofsky), inaugurando una tragicomica contabilita' dell'orrore, perche', semmai, occorre invece cercare di sviluppare una riflessione razionale e critica sulla specifica Shoah consapevolmente attuata dai nazisti. * Da questo preciso punto di vista i contributi presenti in questo volume vogliono tutti costituire alcuni sondaggi critici analitici su taluni rilevanti aspetti dell'orrore nazista. Secondo Voltaire non e' mai possibile scrutare veramente l'abisso della genesi del male. Tuttavia, e' comunque possibile studiare criticamente la fenomenologia della sua effettiva manifestazione storica. Inoltre e' possibile farlo senza rinunciare ai flessibili e sofisticati strumenti critici che la plurisecolare tradizione del razionalismo ci mette a disposizione, onde comprendere come altri uomini, per dirla a' la Levi, ne' migliori ne' peggiori di noi, ne' piu' ne' meno intelligenti di noi, hanno comunque potuto realizzare la "soluzione finale". L'intento di questi sondaggi, che affrontano il problema di Auschwitz da differenti angoli prospettici, senza tuttavia mai abdicare ad un uso critico della razionalita' umana, e' quello di contribuire ad una riflessione che non trasformi affatto Auschwitz in un fenomeno meta-storico, in un simbolo di un male metafisico intrascendibile, che non potrebbe mai essere adeguatamente compreso, studiato e analizzato dalla nostra intelligenza critica. Al contrario, Auschwitz costituisce, perlomeno a mio avviso, un male pienamente radicato nella storia umana che puo' e deve essere compreso con molteplici strumenti di indagine razionale. Tra questi la riflessione filosofica puo' fornire un contributo prezioso e invero fondamentale per capire il significato storico complessivo di questa tragedia innescata dal razzismo nazista. Si tratta infatti di una immane tragedia compiuta tuttavia da uomini, non da demoni, le cui radici vanno pertanto individuate nella storia concreta del nazismo e dell'Europa del tempo. Donde la necessita' di dilatare adeguatamente la propria riflessione critica, considerando non solo la precisa memoria di questa tragedia, ma anche il suo concreto realizzarsi storico nel quadro del totalitarismo nazista e del suo stesso pensiero, della sua Weltanschauung. In particolare, nello sviluppare questi saggi mi sono riferito esplicitamente alla tradizione del razionalismo critico inaugurato da Immanuel Kant, sia perche' mi sembra che l'approccio trascendentalista aiuti a meglio intendere la radicale storicita' della Shoah, sia perche' questa impostazione contribuisce a far emergere, con forza, il ruolo storico della responsabilita' morale, individuale e collettiva. Il piano della coscienza morale permette infatti di meglio intendere la precisa responsabilita' storica delle concrete azioni criminali poste in essere dal nazismo (e dai nazisti) con i campi di sterminio e consente, inoltre, di comprendere razionalmente il carattere progressivamente illimitato del processo di distruzione e annientamento perseguito dai nazisti proprio perche' come ha ancora una volta rilevato Raul Hilberg, "la distruzione degli ebrei non fu un evento isolato. Fu inserito in un contesto di azioni rivolte contro una varieta' di gruppi. Come le misure anti-ebraiche, queste operazioni non erano programmate per l'annientamento delle regole sociali, delle tradizioni o istituzioni, ma per le requisizioni della proprieta', dello spazio e, in alcuni casi, per infliggere la morte. In questa ampia strategia di distruzione si possono individuare numerosi decreti che erano caratteristici del processo anti-ebraico, come la definizione scritta, le tasse sociali, la marchiatura o le restrizioni dei possibili spostamenti. Per quanto l'uccisione fosse diretta anche ai non ebrei, il fatto fu condotto prima e durante l'annientamento degli ebrei, con gli stessi mezzi e spesso con lo stesso personale. Tre categorie d'individui erano comprese da questa attivita' di distruzione: (1) persone che erano afflitte da malattie o disabili, (2) coloro che erano ritenuti una minaccia o un pericolo a causa del loro comportamento e (3) coloro che erano membri delle nazioni nemiche" (R. Hilberg, La distruzione degli Ebrei d'Europa, trad. it. cit., vol. II, p. 1127). Solo entro questo preciso perimetro dell'annientamento nazista puo' comprendersi il significato del suo concreto agire storico. Inoltre, come ha rilevato Simon Wiesenthal, presentando Gli schiavi di Hitler di Lazzero Ricciotti, "dopo la fine della seconda guerra mondiale e' invalso nell'uso affermare che fascismo e nazismo sono equivalenti. Ma cio' significa concedere al nazismo una patina d'innocuita'. Il fascismo era abbastanza brutto, ma per diversi motivi il nazismo lo era molto di piu'. Il nazismo si e' reso responsabile di una catastrofe a livello europeo che non ha risparmiato quasi nessun paese del continente. Secondo il piano del 1942, messo a punto dai tedeschi nella conferenza di Wansee quale guida al comportamento verso gli ebrei, avrebbero dovuto esserne uccisi undici milioni. I nazisti riuscirono a sterminarne sei milioni. Dopo di loro moltissimi polacchi, russi, olandesi, belgi, cecoslovacchi, italiani e gente di altri paesi - soldati e civili, resistenti e appartenenti a Chiese diverse e a differenti ideologie - furono rinchiusi nei campi di concentramento, e molti vi trovarono la morte. Tutte queste vittime del nazismo devono continuare a vivere nella nostra memoria quale monito perenne, per non permettere che simili crudelta' possano ripetersi sotto qualsiasi regime" (Mondadori, Milano 1996, p. VIII). Proprio per questa ragione occorre allora dilatare la considerazione critica, studiando le concrete movenze storiche con cui questa tragedia della Shoah si e' realizzata nel cuore dell'Europa nel corso del XX secolo. E, dal punto di vista italiano, occorre anche prendere in debita considerazione il rapporto instauratosi tra il fascismo e il nazismo, studiando le concrete movenze di questa alleanza che spesso, per i prigionieri italiani deportati nei lager tedeschi, si e' trasformata prima in autentica tragedia e, successivamente, nel loro stesso cinico assassinio. Non solo: se nell'ingranaggio della distruzione sono state coinvolte pressoche' tutte le professioni, tuttavia il comportamento collettivo (ed individuale!) dei tedeschi e degli italiani fu comunque differenziato, in una misura che non puo' essere trascurata. Nel caso italiano operarono infatti alcuni freni inibitori, autentici ostacoli, che non si registrano, invece, nel comportamento tedesco. Non per nulla Hilberg cita proprio il caso italiano per sottolineare le specificita' di quello tedesco in cui non operarono queste "barriere": "a diverse riprese, i generali e i consoli italiani si rifiutarono di collaborare alle deportazioni. Il processo di distruzione in Italia e nelle zone controllate dagli Italiani si effettuo' in contrasto con la loro resistenza costante. Non si trovera' nessuna opposizione di questo genere da parte tedesca. Nessun ostacolo fu posto, tale da immobilizzare l'ingranaggio di distruzione tedesco. Nessun problema morale si rivelo' insormontabile" (R. Hilberg, La distruzione degli Ebrei d'Europa, trad. it. cit., vol. II, p. 1142). * La riflessione filosofica non puo' non riflettere seriamente su questo dato storico. Non solo: la riflessione filosofica puo' agevolare notevolmente questa comprensione critica, ma puo' farlo purche' il "dopo Auschwitz" non sia affatto mitizzato, pensando il dopo in termini dichiaratamente metafisici, epocali o meta-storici. In realta' il dopo Auschwitz deve sempre confrontarsi con la genesi stessa di Auschwitz, con il suo prima, proprio perche' prima e dopo non indicano affatto cesure assolute e metafisiche nella storia dell'umanita', ma ci devono invece aiutare a sempre ricollocare adeguatamente i diversi fenomeni storici nel loro preciso contesto storico e di pensiero. Nella piena consapevolezza che la riflessione filosofica su questi tragici eventi storici costituisce anche, di per se', una lotta contro la cancellazione della memoria di questi stessi assassinii di massa perpetrati dal nazismo. Perche' la prassi quotidiana del terrore nazista ha veramente creato un mondo di orrore in cui "la sistematica degradazione fisica, lo sfinimento per mezzo del lavoro e la violenza erano intimamente connessi fra loro: le SS uccidevano per tenere sotto controllo il sovraffollamento dei lager e per fare spazio a prigionieri piu' 'freschi', che tuttavia cadevano ben presto vittima del crudele circolo lavoro-deperimento fisico-malattia-violenza" (Sofsky, op. cit., p. 59). Questo crudele circolo nazista dello sfruttamento e della morte spiega anche la progressiva trasformazione storica dei lager nazisti da centri di detenzione a fini terroristici a luoghi deputati alle esecuzioni e agli stermini di massa. La tragedia della Shoah, con tutte le sue molteplici movenze scaturite dal razzismo nazista, nonche' dallo sfruttamento radicale e assoluto della manodopera schiavile reclutata dai nazisti presso tutta l'Europa caduta sotto il loro controllo, si colloca esattamente su questo piano del mondo della prassi. Non per nulla sempre Hilberg ha delineato la seguente, precisa struttura di un processo di distruzione da attuarsi in una societa' moderna: Definizione; Licenziamento dei lavoratori ed espropriazione delle imprese commerciali; Sfruttamento della manodopera e provvedimenti di negazione del cibo; Annientamento; Confisca degli effetti personali. Esattamente entro questo preciso meccanismo - per nulla metafisico, ma ben radicato nel concreto terreno del mondo della prassi storica - si e' dunque attuato il processo nazista di distruzione, tendenzialmente illimitato. Sempre su questo specifico terreno storico va allora compresa concettualmente l'organizzazione effettiva della distruzione nazista. La filosofia - per dirla con Hegel - non puo' rifiutare di confrontarsi con questo peculiare "banco da macellai" che contraddistingue anche la storia umana del XX secolo. L'azione nazista va pertanto compresa filosoficamente prendendo costantemente le mosse dal concreto mondo della prassi. E va compresa filosoficamente proprio per meglio contrastarla, combatterla e annichilirla, anche nelle sue inquietanti risorgenze contemporanee. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 155 del 16 marzo 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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