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Minime. 396
- Subject: Minime. 396
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 16 Mar 2008 00:32:00 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 396 del 16 marzo 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. E' cosi' facile? 2. E' cosi' difficile? 3. Giuliana Proietti intervista Silvia Vegetti Finzi 4. Lea Ypi intervista Claus Offe 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. E' COSI' FACILE? E' cosi' facile dire la nostra indignazione per la repressione in Tibet, come in Birmania, come nei territori occupati palestinesi, come in Cecenia, come in tanti altri luoghi ancora in cui ogni giorno, ogni giorno si consumano tragedie inenarrabili. Ma essa nulla vale se non si traduce in solidarieta' concreta con le vittime, in lotta contro ogni oppressione, contro ogni violazione dei diritti umani di ogni essere umano. Chiamiamo nonviolenza questa necessaria solidarieta' con l'umanita' intera, questa necessaria lotta contro ogni violenza. 2. LE ULTIME COSE. E' COSI' DIFFICILE? E le stragi in Afghanistan? Esse non toccano il nostro cuore? Quando gli assassini e i torturatori, gli occupanti e i complici dei signori della guerra e della droga, gli imperialisti e i razzisti, sono la coalizione militare terrorista e stragista internazionale di cui l'Italia fa parte, allora di colpo diventiamo ciechi e muti? No. Occorre denunciare i crimini di guerra e contro l'umanita' commessi con l'avallo e il sostegno del governo italiano, il terrorismo e le stragi di cui recano la corresponsabilita' i governanti e la quasi totalita' dei parlamentari italiani. Ed occorre lottare perche' l'Italia torni al rispetto del diritto internazionale e della legalita' costituzionale. Occorre lottare perche' l'Italia cessi di partecipare alla guerra terrorista e stragista in Afghanistan. Occorre lottare perche' cessi la guerra, occorre lottare per salvare le vite umane che la guerra distrugge. Ed occorre anche che coloro che la partecipazione militare italiana alla guerra hanno voluto, avallato e sostenuto - a partire dal Presidente della Repubblica e fino all'ultimo parlamentare italiano che col suo voto ha consentito questo crimine e questo orrore, ed e' quindi corresponsabile delle uccisioni di cui la guerra e' consistita e consiste - siano finalmente processati e condannati per le morti che la loro infame e scellerata condotta ha provocato e provoca. 3. RIFLESSIONE. GIULIANA PROIETTI INTERVISTA SILVIA VEGETTI FINZI [Dal sito www.psicolinea.it riprendiamo la seguente intervista dell'aprile 2006. Giuliana Proietti, responsabile scientifica del sito Psicolinea.it, e' psicologa e psicoterapeuta di orientamento cognitivo-comportamentale; laurea in psicologia a Padova, indirizzo applicativo, con tesi sulla comunicazione interpersonale mediata nel settore delle agenzie matrimoniali; formazione in sessuologia presso la scuola Cis, dipartimento di sessuologia clinica dell'Universita' di Bologna; master su orientamento e selezione del personale presso l'Universita' Cattolica di Milano; analisi personale e supervisione guidata di casi clinici. Con pluriennale esperienza nella ideazione e conduzione di programmi radiofonici e televisivi di divulgazione psicologica e sessuologica, ha tenuto corsi e conferenze agli anziani sulla sessualita' nella terza eta', corsi di educazione sessuale nelle scuole, corsi di psicologia generale e di comunicazione, incontri con la popolazione su argomenti di tipo sessuologico, corsi sulle tecniche di rilassamento occidentali, rientamento, selezione e gestione delle risorse umane come responsabile nel settore interinale, svolge libera professione di psicologa-psicoterapeuta. Opere di Giuliana Proietti: Le fobie, Xenia, Milano 1997; Come invecchiare bene, Meb, Padova 1998; Le emozioni, Xenia, Milano 1999; Il pensiero positivo, Xenia, Milano 2001. Silvia Vegetti Finzi (Brescia 1938), psicologa, pedagogista, psicoterapeuta, docente universitaria, saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Su Silvia Vegetti Finzi dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente notizia biografica: "Silvia Vegetti Finzi e' nata a Brescia il 5 ottobre 1938. Laureatasi in pedagogia, si e' specializzata in psicologia clinica presso l'Istituto di psicologia dell'Universita' cattolica di Milano. All'inizio degli anni '70 ha partecipato a una vasta ricerca internazionale, progettata dalle Associazioni Iard e Van Leer, sulle cause del disadattamento scolastico. Inoltre ha lavorato come psicoterapeuta dell'infanzia e della famiglia nelle istituzioni pubbliche. Dal 1975 e' entrata a far parte del Dipartimento di Filosofia dell'Universita' di Pavia ove attualmente insegna psicologia dinamica. Dagli anni '80 partecipa al movimento femminista, collaborando con l'Universita' delle donne 'Virginia Woolf' di Roma e con il Centro documentazione donne di Firenze. Nel 1990 e' tra i fondatori della Consulta (laica) di bioetica. Dal 1986 e' pubblicista del 'Corriere della Sera' e successivamente anche di 'Io donna' e di 'Insieme"' Fa parte del comitato scientifico delle riviste: 'Bio-logica', 'Adultita'', 'Imago ricercae', nonche' dell'Istituto Gramsci di Roma, della 'Casa della cultura' di Milano, della 'Libera universita' dell'autobiografia' di Anghiari. Collabora inoltre con le riviste filosofiche 'Aut Aut' e 'Iride'. Molti suoi scritti sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco e spagnolo. E' membro dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, della Societa' italiana di psicologia; della Societe' internationale d'histoire de la psychoanalyse. Nel 1998 ha ricevuto, per i suoi scritti di psicoanalisi, il premio nazionale 'Cesare Musatti', e per quelli di bioetica il premio nazionale 'Giuseppina Teodori'. Sposata con lo storico della filosofia antica Mario Vegetti, ha due figli adulti, Valentina e Matteo. Gli interessi di Silvia Vegetti Finzi seguono quattro filoni: il primo e' volto a ricostruire una genealogia della psicoanalisi da Freud ai giorni nostri, intesa non solo come storia del movimento psicoanalitico ma anche come storia della cultura; il secondo, una archelogia dell'immaginario femminile, intende recuperare nell'inconscio individuale e nella storia delle espressioni culturali, elementi di identita' femminile e materna cancellati dal prevalere delle forme simboliche maschili: a questo scopo ha analizzato i sogni e i sintomi delle bambine, i miti delle origini, i riti di iniziazione femminile nella Grecia classica, le metafore della scienza, l'iconografia delle Grandi Madri; il terzo delinea uno sviluppo psicologico, dall'infanzia all'adolescenza, che tenga conto anche degli apporti psicoanalitici. Si propone inoltre di mettere a disposizione, tramite una corretta divulgazione, la sensibilita' e il sapere delle discipline psicologiche ai genitori e agli insegnanti; il quarto, infine, si interroga sulla maternita' e sugli effetti delle biotecnologie, cercando di dar voce all'esperienza e alla sapienza delle donne in ordine al generare". Tra le opere di Silvia Vegetti Finzi: (a cura di), Il bambino nella psicoanalisi, Zanichelli, Bologna 1976; (con L. Bellomo), Bambini a tempo pieno, Il Mulino, Bologna 1978; (con altri), Verso il luogo delle origini, La Tartaruga, Milano 1982; Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano 1986; La ricerca delle donne (1987); Bioetica, 1989; Il bambino della notte. Divenire donna, divenire madre, Mondadori, Milano 1990; (a cura di), Psicoanalisi al femminile, Laterza, Roma-Bari 1992; Il romanzo della famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme, Mondadori, Milano 1992; (con altri), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari 1993; (con Anna Maria Battistin), A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall'attesa ai cinque anni, Mondadori, Milano 1994; Freud e la nascita della psicoanalisi, 1994; (con Marina Catenazzi), Psicoanalisi ed educazione sessuale, Laterza, Roma-Bari 1995; (con altri), Psicoanalisi ed identita' di genere, Laterza, Roma-Bari 1995; (con Anna Maria Battistin), I bambini sono cambiati. La psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni, Mondadori, Milano 1996; (con Silvia Lagorio, Lella Ravasi), Se noi siamo la terra. Identita' femminile e negazione della maternita', Il Saggiatore, Milano 1996; (con altri), Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano 1996; Volere un figlio. La nuova maternita' fra natura e scienza, Mondadori, Milano 1997; (con altri), Storia delle passioni, Laterza, Roma-Bari 1997; Il fantasma del patriarcato, Alma Edizioni, 1997; (con altri), Fedi e violenze, Rosenberg & Sellier, 1997; (con Anna Maria Battistin), L'eta' incerta. I nuovi adolescenti, Mondadori, Milano, 2000; Parlar d'amore, Rizzoli, Milano 2003; Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme, Fabbri, Milano 2004; Quando i genitori si dividono, Mondadori, Milano 2005] - Giuliana Proietti: Vorrei cominciare con una domanda forse frivola, ma che mi ha sempre molto incuriosito: quale e' la ragione del doppio cognome (ovvero l'aggiunta del cognome del marito) in una donna pienamente emancipata ed in una societa' che finalmente ci ha liberato da questa discriminate imposizione anagrafica? (Penso a donne illustri, come la Bernardini de Pace, la Oliverio Ferraris, lei stessa...). - Silvia Vegetti Finzi: Mi sono sposata nel 1960 e a quell'epoca era d'obbligo firmare i documenti pubblici con il doppio cognome. Dopo era troppo tardi per cambiare. * - Giuliana Proietti: Lei e' stata una femminista ante-litteram ed ha cosi' contribuito personalmente alla rivoluzione culturale delle donne negli anni Settanta, volta al raggiungimento della parita' di diritti e della parita' sessuale. Secondo lei la donna e' veramente riuscita ad "emanciparsi", o c'e' ancora molto da fare? - Silvia Vegetti Finzi: Credo che i mutamenti esterni, pubblici (nuovo codice di famiglia, divorzio, interruzione volontaria di gravidanza, nuova legge sulla violenza sessuale, ecc.) siano stati piu' rilevanti di quelli psicologici e privati. Avevamo pensato che la denuncia delle discriminazioni imposte dal potere maschile avrebbero cambiato gli uomini, e molte femministe, le piu' generose e appassionate, hanno portato lo scontro sino in fondo, senza accettare comporomessi. Ma si sono trovate sole perche' gli uomini, in generale, si sono trincerati nella difesa dei loro privilegi. Forse avevamo avuto troppa fretta. I cambiamenti stanno avvenendo, ma piu' lentamente del previsto. Li scorgo in evoluzione nelle ultime generazioni, soprattutto in quelle coppie che hanno avuto madri femministe o sensibili alle ragioni del femminismo. * - Giuliana Proietti: Spesso ho l'impressione che le donne abbiano sguaiatamente saccheggiato la cultura maschile, invece di fare la fatica di crearsene una propria, adattando le proprie specificita' alle liberta' ed opportunita' del nostro tempo. Mi colpisce ad esempio l'uso di un certo linguaggio, cosi' come la definizione di alcune modalita' di relazione, o la fruizione di un tipo di stimoli erotici che mai hanno interessato le donne (vedi pornografia o spogliarelli maschili dell'8 marzo). Non le sembra che le donne dovrebbero/potrebbero tentare una via piu' autonoma e meno omologata ai tradizionali schemi maschili di potere e liberta' personali? - Silvia Vegetti Finzi: Modificare modi di essere e di pensare codificati da secoli non e' facile. Tanto piu' che abbiamo ricevuto due ingiunzioni contradditorie: 1) sii come gli uomini se vuoi affermarti nella societa' e far carriera (emancipazione); 2) sii una donna se vuoi essere te stessa (liberazione). Nel dubbio ci siamo barcamenate oscillando tra i due poli a seconda delle circostanze e dei temperamenti. In ogni caso abbiamo pagato dei costi pesanti perche' la coperta e' corta e la perfezione impossibile per definizione. * - Giuliana Proietti: Ormai tutte le ricerche ci stanno confermando l'ipotesi, gia' avanzata negli anni Settanta, che stiamo andando verso una societa' senza padre. Anche nel microcosmo familiare il padre non esiste piu': i genitori svolgono entrambi un ruolo materno, non c'e' piu' chi detta le regole e si impegna a farle rispettare. Nelle sempre piu' frequenti coppie di separati, i figli vengono affidati sempre alla madre e dunque esistono famiglie monoparentali in cui il padre e' una figura assente, o sostituibile dai nuovi partners della madre. I figli maschi non hanno piu' un modello di riferimento cui ispirarsi nella loro crescita: a cosa portera' tutto questo? Come possiamo immaginare la societa' del futuro? - Silvia Vegetti Finzi: La fantascienza psicologica non e' mai agevole ma dal mio osservatorio (ho letto migliaia di confidenze epistolari come titolare della rubrica "Psiche lei" su "Io donna", il magazine del "Corriere della Sera", e de "La psicologa risponde" sul settimanale "Insieme", cui si aggiungono le lettere ricevute dai figli di genitori separati che commento nel mio ultimo libro Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli, Mondadori) mi preoccupa soprattutto l'amore adesivo che unisce madre-figlio/a quando non solo il padre e' assente, ma la posizione paterna e' cancellata e il triangolo familiare diventa una linea dove i due estremi, appiattiti, sono avvinti in una captazione immaginaria senza alternative. Questo non vuol dire che non ci siano famiglie monoparentali che funzionano ma devono mantenere salda la geometria familiare, i tre vertici che compongono il "triangolo edipico". Il padre puo' svolgere la sua funzione anche se viene solo evocato ("nel nome del padre"), purche' non sia cancellato. Per secoli vi sono state donne che, essendo il marito lontano o morto, hanno svolto il duplice ruolo, materno e paterno. I loro figli non sono cresciuti privi di padre, anzi hanno interiorizzato una figura paterna fortissima. Se ora questo non avviene e' perche' molte donne non riconoscono di essere diventate madri grazie al contributo di un uomo e che questo contributo non lo si puo' negare anche se, di fatto, sembra ininfluente. La geometria della famiglia non e' solo una modalita' sociale di vivere insieme ma, come dimostra Freud, costituisce la struttura fondamentale della nostra mente. * - Giuliana Proietti: Cosa pensa del "diritto alla felicit‡'" che oggi molti sentono di avere, per raggiungere il quale sono disposti a travalicare i limiti stessi della natura, come nelle tecniche di fecondazione assistita, nella chirurgia estetica, nelle operazioni per modificare i propri organi sessuali o per cambiare sesso? - Silvia Vegetti Finzi: La felicita' e' una esigenza insopprimibile e le donne sono particolarmente determinate e coraggiose nel perseguirla. Tuttavia non e' ne' un diritto ne' un dovere. Possiamo attenderla ma non pretenderla. Essa giunge come una grazia, propiziata ma non garantita dalle nostre azioni. Non credo pero' che la natura costituisca un limite perche', in quanto esseri umani, viviamo nella cultura: tutto nel nostro habitat e' manipolato, trasformato, simbolizzato. Quello di "natura" e' un concetto astratto che solo la cultura e' in grado di evocare, come polo antagonistico, all'interno delle sue categorie di valore e di senso. Credo invece che la necessita' di coniugare il desiderio con il limite sia l'esito delle relazioni che intratteniamo con gli altri. Il desiderio ha radici inconsce che lo rendono smodato, onnipotente. Ma il suo principio "voglio tutto subito" ne impedisce la realizzazione. Volere tutto e volere niente finiscono per coincidere e ci obbligano pertanto a riconoscere e praticare il limite. Il limite tuttavia non va inteso come un divieto che nasce dal di fuori, come una prescrizione legale, ma come un esercizio di responsabilita' morale verso noi stessi, gli altri, e chi nascera'. Le generazioni a venire e i bambini non hanno altri diritti che quelli che noi siamo in grado di riconoscere loro. * - Giuliana Proietti: Il professor Flamigni, grande esperto di infertilita' e sterilita' femminile e di coppia, ci ha rilasciato un'intervista nella quale afferma che lo stato psicologico della donna (ansia, infelicita', fobie ecc.) non svolge alcuna funzione nel determinare un problema di infertilita', se non per ragioni indirette, come ad esempio l'amenorrea provocata da stress o stanchezza psicologica. Il professor Flamigni pero' e' un medico e quindi un organicista per definizione. Dal punto di vista psicologico cosa si puo' dire in proposito? - Silvia Vegetti Finzi: Che il corpo e' la pagina bianca su cui il sismografo della mente incide tutte le nostre perturbazioni. Freud dice che i sintomi organici sono un linguaggio e, come tali, vanno interrogati e ascoltati prima di essere soppressi con l'intervento medico e farmacologico. Ma e' anche vero il contrario: che il corpo e' vivo, e' un organismo che nasce, cresce, invecchia e muore, che soffre e reagisce inviando alla psiche messaggi di allarme e richieste di aiuto. Ma e' sempre difficile per noi, eredi di una tradizione che ha contrapposto l'anima e il corpo, la materia e la forma, pensare l'interrelazione tra le due componenti della nostra unita'. * - Giuliana Proietti: L'avvocato Bernardini de Pace ha recentemente scritto un libro, Mamma non m'ama. Nell'intervista che ci ha rilasciato ha affermato che oggi sempre piu' spesso le donne sono anaffettive, carrieriste, abusanti nei confronti dei figli e che si e' dispersa la solidarieta' femminile. Lei cosa ne pensa? - Silvia Vegetti Finzi: Le donne vivono in una societa' individualistica e competitiva che le condiziona. I tempi e gli spazi della solidarieta' femminile sono stati cancellati dal cosiddetto progresso; ora le donne sono sole e spesso non sanno come uscire da una spirale di angoscia. Io non gliene farei una colpa ma le inviterei piuttosto a cambiare le cose. Il mondo, cosi' com'e', non e' l'unico possibile. * - Giuliana Proietti: Lei ha una formazione psicoanalitica. A 150 anni dalla nascita di Freud si stanno facendo in questo periodo molte riflessioni sul significato della psicoanalisi oggi. Cosa c'e' da conservare e cosa c'e' da buttare? E poi, anche alla luce dei recenti studi di neurobiologia, che tendono a privilegiare la motivazione organica al comportamento, o anche al semplice atteggiamento mentale, abbiamo elementi piu' concreti per classificare la teoria freudiana nell'ambito delle scienze o delle filosofie? Oppure ci troviamo ancora nella consueta posizione intermedia? - Silvia Vegetti Finzi: La psicoanalisi ha uno statuto particolare per cui non si colloca ne' tra le scienze forti, come la fisica, ne' tra le produzioni storiche o artistiche. Non credo che il suo problema consista nel trovare una definizione epistemologica competitiva con altri saperi ma nel rimanere costantemente aperta allo scambio e al confronto. Il suo luogo d'elezione e' un crocevia, il suo stile la complessita', il suo fine la ricerca. * - Giuliana Proietti: Nei suoi libri, nelle sue conferenze, lei e' un po' un outsider, nel senso che riesce a farsi comprendere perfettamente anche dai non addetti ai lavori. Non pensa che troppo spesso in ambito psicologico si parta dalle teorie per cercare di interpretare la realta' anziche' fare il contrario? Spesso, di fronte a certe espressioni gergali, a certe circonlocuzioni del lessico psicologico anche i medici sono in difficolta': non crede che questo sia un limite della psicologia, perche' sia finalmente accettata come scienza? - Silvia Vegetti Finzi: Forse parlare di "psicologia" e' troppo semplice. Vi sono molte psicologie, ciascuna con i suoi referenti teorici, i suoi metodi, il suo ambito di competenza e di indagine. Io utilizzo la psicoanalisi del campo freudiano che e' una delle opzioni possibili e forse quella meno teorica perche', come sostiene Lacan, ha un solo patrimonio teorico positivo: l'Edipo. Inoltre, non lavorando come psicoanalista, ascolto la societa' piu' che gli individui. * - Giuliana Proietti: A proposito di libri, lei ne ha scritti molti, ma molti ne avra' anche letti. Ci dice quale e' il libro che ha scritto e quale quello che ha letto cui e' piu' legata e perche'? - Silvia Vegetti Finzi: Il libro su cui ho piu' riflettuto e' Le affinita' elettive di Goethe. Quanto a quelli scritti, penso che ogni autore abbia un libro e uno solo che lo rappresenta. Il mio e' Il bambino della notte. Divenire donna, divenire madre, Mondadori. Un libro che sonda l'immaginario femminile privilegiando i sogni delle bambine e i miti che Freud definisce "i sogni dell'umanita'". Un ambito tra i meno praticati dalla cultura dominante, investigativa e normativa e, proprio per questo, piu' prossimo alla verita' che, insegna Freud, risiede nelle pieghe, nell'ombra, nei residui del pensiero forte, della cultura istituzionale. * - Giuliana Proietti: Freud ha detto che nella vita l'unica speranza che abbiamo, attraverso la psicoanalisi, e' quella di trasformare la nostra "infelicita' nevrotica" in "infelicita' normale": e' cosi'? La felicita' non e' cosa di questa terra? - Silvia Vegetti Finzi: La felicita' che ci e' data risiede soprattutto nella ricerca e nell'attesa della felicita'. La felicita', che non puo' essere pretesa, puo' tuttavia essere propiziata dai nostri atteggiamenti e dai nostri comportamenti. Inoltre la felicita' non si puo' ottenere contro gli altri: si e' felici solo accanto a persone felici. Il pensiero maschile di intonazione pessimista, come quello di Leopardi, ritiene l'attesa una mancanza connotata in senso negativo ma noi donne sappiamo che l'attesa puo' rappresentare una straordinaria pienezza dell'avere, del fare e dell'essere. Piu' in generale, temo il diritto/dovere di essere felici, o almeno di dimostrarsi tali, tipico della societa' in cui viviamo, perche' ci impedisce di riconoscere, elaborare, condividere e superare l'infelicita' che ciascuno piu' o meno incontra nel corso della propria vita. Se il dolore viene considerato una malattia da combattere con dosi sempre piu' alte di psicofarmaci, invece di una esperienza da attraversare, l'esistenza si impoverisce e i vissuti negativi, privi di pensiero corrispondente, si ripresentano come coazione a ripetere. Cio' che spesso si considera un accanimento del destino non e' in realta' che un ritorno del rimosso che, scacciato dalla porta della mente, rientra dalla finestra dei comportamenti. Per avere la prova vivente di quanto sostengo, si leggano le lettere con le quali molti figli di genitori separati raccontano la loro storia. Lettere raccolte, organizzate e discusse nel mio ultimo libro: Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli, Mondadori, 2006. * Postilla. Chi e' Silvia Vegetti Finzi Silvia Vegetti Finzi, professoressa fuori ruolo, e' titolare della cattedra di Psicologia Dinamica presso il Dipartimento di Filosofia della Universita' di Pavia. Sito personale: www.silviavegettifinzi.net Inoltre e' titolare della rubrica settimanale di posta "Psiche lei", pubblicata sulla rivista "Io donna", allegata al "Corriere della Sera" di sabato: svegettifinzi at hotmail.com E della rubrica di posta "La psicologa risponde" sul mensile "Insieme": insieme at sfera.rcs.it Tra i suoi libri: Storia della Psicoanalisi: autori, opere, teorie; Il bambino della notte. Divenire donna divenire madre; Il romanzo della famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme; Volere un figlio: la nuova maternita' tra natura e scienza; con Anna Maria Battistin la trilogia di consiglio: A piccoli passi. La psicologia dei bambini da 0 a 5 anni; I bambini sono cambiati. la psicologia dei bambini da 6 a 10 anni; L'eta' incerta: i nuovi adolescenti; tutti disponibili negli Oscar Mondadori. Inoltre: Quando i genitori si dividono: le emozioni dei figli, Mondadori 2006; Parlar d'amore. Le donne e le stagioni della vita. Rizzoli Bur; Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme, Fabbri Editore; con altri: Psicoanalisi al femminile; Psicoanalisi ed educazione sessuale; Storia delle passioni, Laterza. Silvia Vegetti Finzi fa parte del comitato scientifico delle riviste: "Iride"; "Nascere", "Pedagogika", "Adultita'". 4. RIFLESSIONE. LEA YPI INTERVISTA CLAUS OFFE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 marzo 2008, col titolo "Claus Offe. Il fragile cosmopolitismo del vecchio continente" e il sommario "Un'intervista con lo studioso tedesco. La tesi che vede nell'Europa un contraltare del potere imperiale degli Stati Uniti rimuove il fallimento dell'Unione Europea. Per questo serve costruire una sfera pubblica ed elaborare un concetto di cittadinanza europea per contrastare l'alleanza tra i teorici del libero mercato e la destra protezionista e radicale. La sinistra politica continua a ragionare in termini nazionali. Per invertire la tendenza...". Lea Ypi, docente e saggista, e' nata a Tirana in Albania nel 1979; laureata in filosofia e lettere all'Universita' di Roma La Sapienza; ha proseguito le ricerche di dottorato in Scienze politiche all'Istituto universitario europeo di Fiesole. All'esperienza didattica in ambito accademico ha affiancato attivita' di formazione linguistica e interculturale, prima nei corsi di orientamento al lavoro per immigrati organizzati dalla Lega delle cooperative e dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni e successivamente in quelli di formazione interculturale organizzati dall'Istituto internazionale di scienze antropologiche, mediche e sociali San Gallicano di Roma, poi con la Fit-Cemea nella formazione linguistica dei corsi di formazione all'arrivo per volontari partecipanti al Servizio volontario europeo. Claus Offe, intellettuale tedesco della sinistra critica, docente e saggista, nato a Berlino nel 1940, gia' assistente di Habermas dal '65 al '69 a Francoforte, poi docente di scienza politica e sociologia. Per piu' ampie notizie biobibliografiche si veda la postilla in coda all'intervista che segue] E' scettico Claus Offe. Scettico sugli attuali benefici del processo d'integrazione europea, scettico sulle reali possibilita' che l'Unione Europea ha di costituire un blocco politico comune in grado di contrastare il dominio imperiale degli Stati Uniti su scala internazionale e scettico persino che la tesi della fine degli stati nazionali risulti persuasiva per quanto riguarda le capacita' di mobilitazione dei partiti di sinistra ed il progetto di una sinistra alternativa europea. Ritiene che non sia possibile contrastare lo spirito neo-liberale delle istituzioni europee finche' non si otterra' una piattaforma comune delle forze politiche di sinistra, con chiare rivendicazioni politiche. E propone il reddito minimo europeo come possibile punto di partenza. Lo abbiamo incontrato poco prima del suo discorso di ringraziamento per aver ricevuto una laurea d'onore alla Australian National University, dove e' stato ospite negli ultimi mesi e dove ha portato avanti le ricerche per il suo ultimo libro sulla teoria del potere sociale. * - Lea Ypi: Professor Offe, perche' questo scetticismo? - Claus Offe: Perche' l'Europa si allarga e nello stesso tempo si appiattisce. Il peso del libero mercato si fa avvertire sempre di piu' alle spese dei processi di democratizzazione. Questo sviluppo distorto e' particolarmente evidente in due ambiti rispetto ai quali l'Unione Europea stenta ad esprimersi con una voce unica: la politica estera e le politiche pubbliche. Per quanto riguarda la politica estera, tutto cio' che riguarda gli aiuti allo sviluppo e le politiche verso il Sud del mondo viene deciso dagli stati nazionali, seguendo logiche post-coloniali e a seconda degli interessi particolari dei paesi membri nelle ex-colonie. L'altro ambito dove l'Unione Europea si rivela debole e' quello delle politiche sociali, incluse le politiche fiscali e del mercato del lavoro. In questo ambito, i principi fondativi dell'Unione non le permettono di interferire con la sovranita' degli stati membri. Tutte le politiche che riguardano il mercato del lavoro, come la gestione della disoccupazione, la salute, l'immigrazione, l'assistenza sociale vengono lasciate agli stati nazionali. Questo e' un paradosso perche' molti problemi di questo genere sono diventati piu' urgenti e difficili da risolvere a livello nazionale proprio a causa del processo d'integrazione europeo. L'Europa provoca danni che poi lascia risolvere agli stati nazionali. Il terzo problema e' invece quello del deficit democratico e la mancata esistenza di un meccanismo che riesca a rendere trasparenti le tre istituzioni fondanti l'Unione Europea: la Banca centrale, la Corte di giustizia e la Commissione. Ancora piu' grave e' il fatto che l'Unione Europea interferisce con la democrazia nazionale: la gran parte di quello che i legislatori sono tenuti a fare viene deciso a livello della Commissione portando al discredito istituzionale dei parlamenti nazionali. * - Lea Ypi: Per molti studiosi, la costruzione a livello mondiale di un blocco politico alternativo agli Stati Uniti avrebbe come effetto un miglioramento del processo di integrazione europea. Lei cosa ne pensa di questa tesi? - Claus Offe: Uno degli effetti collaterali degli interventi militari in Afghanistan e in Iraq e' stata la distruzione di ogni autorita' morale e plausibilita' di leadership a livello internazionale. Il conseguente vuoto politico richiede di essere colmato da una forza che eserciti un'egemonia positiva e sottolinei l'importanza di rispettare i diritti umani e l'ordinamento internazionale. Molti pensano che l'Unione Europea potrebbe sostituire gli Stati Uniti in questo senso, appellandosi a un universalismo cosmopolita. Ma anche quando l'Unione Europea riesce ad incidere negli affari internazionali lo fa sulla base di alleanze ad hoc tra gli stati membri, come per esempio nel caso della troika che guida i negoziati con l'Iran sulla questione nucleare. Si tratta di un caso estremo di geometria variabile e non di un'Europa che parla con una voce comune. Alcuni sostenitori del processo dell'integrazione europea come Juergen Habermas sono percio' giunti alla conclusione che sia importante rafforzare il ruolo degli stati membri piu' importanti e che una volta che questi avranno adottato una costituzione europea con mandato popolare gli altri si uniranno. Ma si tratta di una speculazione molto ottimista: l'argomento contrario e' che se si formano alleanze tra stati membri come la Germania e la Francia agli altri manchera' la motivazione di aggiungersi e vorranno al contrario ostruire il processo per punire le presunzioni dirigiste di questi attori. La spinta degli stati meno importanti potrebbe percio' non essere quella di imitare il modello ma di opporvisi. Abbiamo gia' assistito a uno scenario simile nel 2003 quando divenne chiaro che la Germania e la Francia non avrebbero sostenuto l'impresa bellica degli Stati Uniti in Iraq mentre la reazione di molti paesi dell'Est fu quella di ribadire il sostegno agli Usa. Anche le manifestazioni di protesta contro la guerra nel 2003 furono piu' un affare che coinvolse la sola Europa occidentale che un simbolo dell'affermazione dell'identita' comune europea. Il problema e' dunque che manca una sfera pubblica europea che trascenda i confini tra stati nazionali e sia in grado di confrontarsi con la Commissione europea in quanto tale. * - Lea Ypi: Quale e', secondo lei, l'origine di queste divisioni? - Claus Offe: Una parte del problema e' di origine storica. Quando gli euforici ci invitano ad osservare la storia dell'integrazione degli Stati Uniti, valorizzandone lo sviluppo in direzione federale, e di riflettere sulle analogie con l'Europa, commettono un errore di valutazione. Si pensi per esempio alla situazione linguistica. L'Unione Europea ha 23 lingue e questo non facilita affatto la creazione di una sfera pubblica unica. Quando Habermas risponde a questo argomento ricordando come l'inglese stia diventando di fatto la prima seconda lingua europea non si accorge che questo e' vero solo a livello delle elites ma non tocca quello che dovrebbe costituire il futuro popolo europeo. Un'altra parte del problema e' che i membri dell'Unione Europea hanno alle spalle una storia disastrosa di guerre tra loro. Questa storia non e' stata dimenticata da parte delle popolazioni e la mancata fiducia che ne risulta porta stati piccoli e medi a voler mantenere una politica estera indipendente da quella dei loro vicini piu' potenti. La terza ragione e' istituzionale ed ha a che fare con la vecchia controversia tra chi favorisce l'allargamento e chi favorisce l'approfondimento del processo d'integrazione. Molta politica estera della Gran Bretagna per esempio va nella direzione dell'allargamento ma alle spese dell'integrazione delle politiche sociali. E anche le discussioni sull'allargamento o la necessita' di includere Ucraina e Turchia non tengono in considerazione una regione molto importante: quella dei Balcani occidentali. Gli stati deboli o falliti in questa regione sono tenuti a bada con la promessa dell'integrazione, ma abbiamo anche assistito alla nascita di due nuove entita' politiche come il Montenegro e il Kosovo nella forma di quasi protettorati degli Stati Uniti, senza che l'Unione Europea manifesti una qualche volonta' politica autonoma. * - Lea Ypi: Parliamo del ruolo della sinistra. Ritiene che sia in grado di porsi alla guida di un percorso d'integrazione alternativo e piu' vicino alle esigenze sociali dei popoli? - Claus Offe: La sinistra in Europa e' abituata a pensare secondo una logica nazionale. La situazione e' particolarmente complessa nel caso della sinistra britannica, che non ha mai considerato l'integrazione europea come una risorsa. Nell'Europa continentale, nonostante l'esito negativo dei referendum sulla Costituzione europea in Francia e Olanda, la percezione dell'Ue come una forza che potrebbe servire scopi sociali e' piu' diffusa. Il risultato di quei referendum dovrebbe essere interpretato come un voto non contro l'Europa ma contro determinate politiche dei governi nazionali. Cio' detto, e' necessario rendersi conto che anche una sinistra come quella tedesca, per esempio, non sostiene in maniera inequivocabile il rafforzamento del ruolo dell'Unione Europea. La ragione e' che l'Europa viene percepita sia come non democratica che come una minaccia per la democrazia nazionale. Questo giudizio naturalmente ha dei limiti, ma le ambiguita' ci sono. A partire dall'introduzione dell'euro i governi nazionali non hanno piu' a disposizione le risorse fiscali per contrastare determinate politiche economiche, a cui i governi di sinistra un tempo facevano ricorso. Ancora piu' serio e' il fatto che non esiste una sinistra europea convincente, eccezion fatta per qualche coalizione ad hoc e qualche intellettuale che se ne fa portavoce. Non ci sono partiti politici a sinistra del centro, non ci sono sindacati europei di peso, non c'e' neanche una sfera pubblica in cui esprimere rivendicazioni sull'Europa sociale. Manca un anello istituzionale importante e finche' questa situazione non cambia il dialogo continuera' a svolgersi a livello personalistico e di elites senza mai coinvolgere le discussioni sulle politiche nazionali. Nonostante qualche lodevole iniziativa per costituire una versione della sinistra europea non e' stato fatto alcun passo sostanziale nella direzione dei contenuti: nessuna agenda, nessuna proposizione programmatica. Si tratta piu' delle fasi iniziali di un percorso di ricerca che della vera e propria condivisione di una piattaforma politica. * - Lea Ypi: Pensa che questa mancanza di un progetto europeo sia legata al convergere verso il centro della vecchia sinistra a livello nazionale? - Claus Offe: Il mercato unico europeo e l'integrazione finanziaria hanno rafforzato l'egemonia delle dottrine del libero mercato e diffuso floride promesse sulla scomparsa della disoccupazione e l'aumento generale di benessere. L'esperienza dimostra invece che qualsiasi tentato progresso in materia di giustizia e protezione sociale a livello nazionale si ritorce contro chi tenta di attuarlo. L'integrazione europea e' un meccanismo che punisce lo sviluppo sociale. I sindacati a Colonia sanno che se non moderano le loro rivendicazioni salariali perderanno posti di lavoro perche' questi saranno dislocati a Liegi. Un tempo i sindacati che coesistevano con istituzioni socialdemocratiche erano in grado di fare pressioni sui governi ed ottenevano qualcosa in cambio, che fossero pensionamenti anticipati oppure formazione occasionale. Ora la situazione e' diversa, se non ci si comporta in modo moderato si viene puniti dal mercato e la mancata moderazione non viene apprezzata neanche dai governi. La maggioranza della popolazione europea si sente minacciata dal processo d'integrazione ed ha buoni motivi per esserlo. Aumenta il senso di insicurezza: sulla casa, il lavoro, la sanita', il futuro delle nuove generazioni. Occorre una forza politica che possa servire fini europei. Occorre una convergenza di piattaforme su scala europea. I datori di lavoro sono piu' organizzati in questa direzione. * - Lea Ypi: Lei da dove propone di iniziare? - Claus Offe: La questione della politica di classe in Europa deve essere in qualche modo rivisitata. Molte persone percepiscono la loro situazione non piu' come legata a una problematica di distribuzione del reddito tra capitale e lavoro o di differenza tra quelli che controllano le risorse e quelli che ne sono dipendenti. Il nuovo paradigma e' invece sicurezza verso insicurezza. Questo significa che il conflitto sociale non nasce piu' dal lavoro salariato ma dalla precarieta'. Colpisce il fatto che la destra politica sia stata in grado di comprendere la novita' di questa questione dal punto di vista programmatico meglio della sinistra. In effetti, la destra nazionalista di vari paesi, tra cui l'Austria, l'Olanda, la Polonia, o la Danimarca, e' stata in grado di rivolgersi ai precari e di ottenere i voti di gruppi come i lavoratori temporanei, i piccoli imprenditori, le ragazze madri con una serie di parole chiave in grado di fare appello al loro senso di insicurezza: la fobia degli stranieri, le barriere doganali, i limiti dell'integrazione europea. La sinistra europea finora non e' stata in grado di affrontare il discorso della precarieta' con un discorso alternativo plausibile. E' necessario che la sinistra riesca ad elaborare un programma per la promozione della sicurezza economica come diritto di cittadinanza a livello europeo. Se la sinistra alternativa e i verdi non riescono a convergere su una simile piattaforma per il reddito minimo e ad ottenere garanzie sociali di qualche genere c'e' il rischio che i sostenitori del libero mercato formino una duratura alleanza elettorale con la destra protezionista radicale. La sinistra deve cioe' far propria una concezione universalistica delle politiche sociali, legata pero' a un concetto di cittadinanza europea anziche' nazionale. E' dunque necessario lavorare di piu' su questo concetto del reddito minimo come diritto di cittadinanza inteso in senso europeo, il quale riesca ad affrontare il problema della precarieta' come fenomeno di massa non limitato alla dimensione nazionale. * Postilla: Uno studioso del capitalismo maturo. Dalle barricate di Berlino all'analisi dell'economia sociale Claus Offe e' stato per anni ordinario di Sociologia politica e Politiche sociali all'Universita' Humboldt di Berlino. Tra gli ultimi eredi della scuola di Francoforte, ha partecipato attivamente al Sessandotto tedesco nelle file dell'Sds, l'organizzazione dei giovani socialisti dove hanno militato Rudi Dutschke e Hans-Juergen Krahl. Conseguita l'abilitazione alla docenza, ha insegnato anche a Bielefeld e Bremen dove e' stato direttore del "Centro per le ricerche sulle politiche sociali". Ha ricoperto cariche accademiche e di ricerca negli Stati Uniti, in Canada, Australia, Ungheria, Polonia, Austria, Italia e Olanda. Dal 2006 e' professore di Scienze politiche alla Hertie School of Governance di Berlino dove continua ad occuparsi di teoria della democrazia, studi sulla transizione, integrazione europea, stato sociale e studi sul mercato del lavoro. In italiano ha pubblicato, tra l'altro, Lo stato nel capitalismo maturo (Etas Libri); Teoria dello stato e politica sociale (Feltrinelli, con G. Lenhardt); Ingovernabilita' e mutamento delle democrazie (Il Mulino); Il tunnel. L'Europa dell'Est dopo il comunismo (Donzelli), Economia senza mercato (Editori Riuniti). 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 396 del 16 marzo 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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