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Nonviolenza. Femminile plurale. 168
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 168
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 14 Mar 2008 11:44:53 +0100
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 168 del 14 marzo 2008 In questo numero: 1. Parvin Ardalan: Cambiamento per l'eguaglianza 2. Marina Forti: Un otto marzo a Teheran 3. Marina Forti intervista Parvin Ardalan 1. TESTIMONIANZE. PARVIN ARDALAN: CAMBIAMENTO PER L'EGUAGLIANZA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per aerci messo a disposizione nella sua traduzione il testo del discorso di Parvin Ardalan alla Olaf Palme Foundation, inviato via video durante la cerimonia in cui la sorella Shirin ha ritirato per lei il premio assegnatole dalla Fondazione. Parvin Ardalan era sull'aereo che doveva portarla a Stoccolma il 3 marzo, ma ne e' stata letteralmente trascinata fuori dalla polizia poco prima della partenza. Sara' utile ricordare che negli ultimi due anni molte ong iraniane sono state accusate di condurre attivita' antinazionali e bandite: a quelle femminili e femministe rimaste e' proibito tenere incontri pubblici e affittare sale, e non possono pubblicare libri. L'unico giornale femminile indipendente, "Zanan", che usciva da 16 anni, e' stato chiuso d'autorita' lo scorso febbraio. Migliaia di donne comuni sono ormai state arrestate ed accusate di "comportamento immorale" su tutto il territorio iraniano perche' non osservano il cosiddetto codice d'abbigliamento islamico (mgdr). Parvin Ardalan e' un'attivista per i diritti umani iraniana, tra le promotrici della campagna per un milione di firme per il "cambiamento per l'eguaglianza"] Signore e signori, salve. Sono molto compiaciuta ed onorata di essere stata scelta come assegnataria del premio Olaf Palme 2007. Questo riconoscimento, dato ogni anno in ricordo di una persona che scelse come sentiero di vita il perseguimento di giustizia e pace, ed in cambio pago' questa scelta con la vita, porta con se' un profondo senso di responsabilita'. Io credo che porre questo onore su di me non e' solo un riconoscimento alle lotte individuali delle attiviste per i diritti delle donne, ma qualcosa che onora le azioni collettive dei movimenti delle donne e degli altri movimenti sociali iraniani. Questo premio dimostra che gli sforzi di coloro che lavorano per difendere l'eguaglianza di diritti e le liberta' civili in Iran, nonostante gli alti e bassi a cui vanno incontro, e gli ostacoli patriarcali posti sulla loro via, sono stati invero efficaci. E si', oggi la nostra richiesta di giustizia risuona nella comunita' internazionale. Sono pienamente conscia che l'accettare questo premio mi rendera' soggetta a maggiori pressioni e nuove accuse in patria. Lo dedico a tutte le donne del mio paese, a mia madre, alle madri dei prigionieri di coscienza, a tutte le altre madri della mia terra, che mentre resistevano hanno insegnato a noi ad opporci alle discriminazioni, di modo che potremo passare questi insegnamenti ai nostri figli ed alle future generazioni. Avevo sperato, in questa grande occasione in cui si commemora anche il centenario del Giorno internazionale delle donne e le giuste lotte delle donne in tutto il mondo, di essere con voi. Sfortunatamente, poco prima che partissi, sono stata bandita dal viaggiare per ordine del tribunale e percio' impedita di partecipare all'evento. Tali tipi di azione non sono infrequenti nel mio paese, dove essere una donna e dar voce alle proprie richieste di uguaglianza richiede una lotta continua e porta con se' l'esclusione. * Io sono orgogliosa di essere una donna laica, e di appartenere ad un movimento che ha cento anni di storia fatta di lotte e resistenze per ottenere diritti per le donne. Per piu' di cento anni anche noi, come le nostre sorelle in tutto il mondo, abbiamo lottato per poter godere dei basilari diritti umani, inclusa la liberta' di scelta nelle nostre vite private e nel nostro abbigliamento, richieste che sono state ripetutamente sacrificate alle politiche ideologiche dei nostri governi. Specialmente nei tre decenni seguiti alla rivoluzione islamica in Iran, molte conquiste delle difensore dei diritti delle donne sono state sequestrate dall'adozione di tali politiche. Leggi come l'Atto di protezione della famiglia sono state stravolte e la nostra liberta' di scegliere i nostri vestiti e' stata trasformata in un codice obbligatorio di abbigliamento, imposto e forzato per legge. Sono trent'anni ormai che lottiamo per avere il diritto di divorziare e di godere di eguaglianza di diritti all'interno del matrimonio. Abbiamo ripetutamente sostenuto che consentire la poligamia agli uomini crea una realta' insopportabile e disgraziata per le donne. Ma queste leggi patriarcali restano in vigore. Per anni abbiamo obiettato all'ineguale "diyeh", o "compenso per le ingiurie fisiche", e ci siamo chieste cosa c'entra il fatto che le vittime siano uomini o donne in rapporto alla compensazione dovuta alle loro famiglie. Ci chiediamo perche' le nostre leggi riconoscono gli uomini come completi esseri umani, e ne fanno il modello standard, mentre valutano le donne come meta' di questo standard, e a volte persino meno. Possiamo attestare che nella nostra societa' la cultura ha oltrepassato la legge. Le alte percentuali di donne che frequentano l'universita' e la loro lotta attiva per essere presenti nelle sfere sociali, politiche e culturali, danno ragione alle nostre richieste, e riaffermano che non possiamo sopportare una situazione in cui le leggi vanno all'indietro rispetto alla nostra cultura. Noi chiediamo, poiche' il governo iraniano e' firmatario di convenzioni internazionali quali quelle delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici, economici e sociali, che esso si senta obbligato ad implementarle. Noi chiediamo, in accordo con tali convenzioni, che tutte le forme di discriminazione, inclusa quella di genere, vengano abolite. Perche' le nostre leggi non si conformano agli impegni presi in sede internazionale? Perche', ad esempio, vi sono quote che limitano l'accesso delle donne in alcuni settori degli studi universitari? Per anni abbiamo parlato della necessita' di un innalzamento dell'eta' in rapporto alla responsabilita' giuridica, pure bambine di nove anni e ragazzini di quindici vengono ancora riconosciuti colpevoli di offese penali e continuano ad essere trattati come adulti. L'unico sconto fatto a questi giovani "criminali" e' il posporre la loro esecuzione, se vengono condannati a morte, a quando compiranno 18 anni. Non solo ci opponiamo in generale alla pena capitale, ma ci chiediamo anche perche' non si possa porre fine alle condanne di bambini. Sono anni che donne iraniane fronteggiano una moltitudine di problemi perche' hanno sposato un rifugiato afgano o iracheno: a causa delle nostre leggi discriminatorie sulla cittadinanza, queste donne non possono passarla ai loro figli. Noi chiediamo perche'. Sono anni che parliamo di mettere fine alle lapidazioni ed ai delitti d'onore, e di cambiare le leggi che sostengono tali pratiche, le quali violano i diritti umani delle donne. Pure i delitti d'onore e le lapidazioni continuano a fare vittime. Questi crimini non possono piu' essere visti come pratiche "tradizionali" o "culturali". Sono chiaramente forme di violenza contro le donne rinforzate dalla legge e, come tali, implementate con grande vigilanza e forza. In questo momento sciami di donne ed uomini sono bersagliati, molestati ed arrestati dalla polizia morale, in tutto il nostro paese, a causa dei loro vestiti. E questo programma governativo viene spacciato come una misura intesa a proteggere la sicurezza sociale dei cittadini. * Le richieste dei movimenti sociali in Iran, inclusi quelli degli studenti, dei lavoratori e degli insegnanti, parlano a favore della giustizia e della liberta'. Ma molti degli attivisti coinvolti in questi movimenti sono attualmente in prigione. Ai membri di questi movimenti si impedisce di collegarsi e collaborare con altri movimenti, e la pressione e la repressione nei loro confronti sta crescendo. Come attiviste per i diritti umani delle donne, abbiamo reso evidente l'impatto negativo delle leggi nelle nostre vite impiegando una varieta' di tecniche del tutto civili. Criticando le leggi violente ed opponendoci ad esse, abbiamo chiesto riforme e cambiamento. Ma in risposta alle nostre obiezioni civili e pacifiche il governo ci ha accusate di crimini contro la sicurezza, come "agire contro lo stato" o "far propaganda contro lo stato". E se noi, attiviste della societa' civile, difensore dei diritti delle donne, e cittadine, saremmo le distruttrici della sicurezza nazionale, chi sono allora, chiediamo, coloro che proteggono la sicurezza nazionale? Nonostante tutte le pressioni, noi continuiamo a perseguire i nostri obiettivi, a lottare per i nostri diritti umani. Lo facciamo tenendo presente coloro che lo hanno fatto prima di noi, rinforzando la nostra memoria storica, utilizzando le esperienze delle femministe iraniane che sono venute prima di noi, e delle femministe di altri paesi, imparando dalle vittorie e dalle sfide, dalle teorie, dalle esperienze delle femministe iraniane oggi in esilio, mentre valutiamo le nostre vite quotidiane e ci rafforziamo nel nostro attivismo. Grazie a queste azioni meditate, ascoltando ed imparando da differenti idee e prospettive, abbiamo arricchito il nostro pensiero. Attraverso tali strategie abbiamo tentato di allargare gli spazi della nostra lotta per raddrizzare le ineguaglianze legali e conseguire eguali diritti per le donne. * Il nostro impegno e' anche andato alla costruzione di successi per le nostre sorelle in tutta la regione, al condividere regionalmente informazioni ed esperienze. Questa strategia sta funzionando nell'espandere e nel rafforzare i movimenti delle donne nella nostra regione ed oltre essa. La "Campagna per un milione di firme" e' una delle tecniche innovative del movimento delle donne in Iran che ha utilizzato le esperienze delle nostre sorelle marocchine. Mentre le nostre sorelle del Marocco hanno dato inizio alla loro campagna e l'hanno implementata con il sostegno del loro governo, le donne iraniane hanno implementato il loro movimento dal basso, con la raccolta di firme a sostegno di una petizione che chiede il cambiamento e la riforma delle leggi discriminatorie contro le donne, dando le informazioni faccia a faccia, da persona a persona, agli altri cittadini. Entrando in contatto con essi, noi speriamo di aumentare la consapevolezza e la forza necessarie per ottenere il cambiamento delle leggi correnti che discriminano le donne. A tutt'oggi, ad un anno e mezzo dall'inizio della Campagna, nessuna legge e' cambiata, ma la discussione democratica attorno all'istanza e' aumentata. Abbiamo lavorato affinche' il nostro discorso sui diritti delle donne penetrasse in vari settori della societa', insediandosi anche nelle istituzioni, ed abbiamo costretto i funzionari governativi a reagire e a rispondere alle nostre richieste. In questo processo, tentiamo di democratizzare la societa', perche' crediamo che il sentiero verso la democrazia deve in primo luogo includere l'eguaglianza di diritti per le donne. Non si puo' continuare a marginalizzare la richiesta d'eguaglianza delle donne, e dobbiamo respingere la vecchia scusa che vi sono richieste piu' urgenti a cui rispondere. La "Campagna per un milione di firme" ha creato una vasta eco internazionale: perche' le sue richieste sono specifiche e concrete, perche' il suo approccio e' civile e pacifico, perche' le attiviste e gli attivisti hanno pagato un alto prezzo per le loro attivita' e perche' i nostri avvocati e le nostre avvocate hanno fornito il loro lavoro in modo generoso e gratuito. Dall'inizio della campagna piu' di cinquanta attivisti, in maggioranza ventenni, uomini e donne, sono stati arrestati, minacciati, portati in tribunale. Due di essi sono ancora in carcere. Le accuse concernono azioni del tutto pacifiche in sostegno alla campagna, come il raccogliere firme in metropolitana, o il partecipare a seminari sui diritti umani, o scrivere articoli a favore dei diritti delle donne per il sito web della campagna, "Cambiamento per l'eguaglianza". Al cuore di questo movimento ci sono le loro madri, che sono diventate attive nella campagna. Hanno sostenuto i giovani e le giovani al momento dell'arresto, hanno continuato a seguire i loro casi e a far pressione per il loro rilascio. Prendono parte alla lotta delle loro figlie e dei loro figli per l'eguaglianza di diritti con azioni di resistenza civile. L'ingresso delle madri, e dei padri, e di altri membri familiari, nei movimenti per i diritti umani e per la pace ha allargato la portata del nostro impegno, ed ha formato legami tra i diversi movimenti iraniani. Attualmente, i membri dei movimenti degli studenti e dei lavoratori continuano ad essere arrestati, e le loro famiglie sono diventate parte attiva degli stessi movimenti. * Oggi lo slogan della nostra campagna, "Cambiamento per l'eguaglianza", ha trasceso i suoi originari confini geografici. Ha potuto farlo grazie agli attivisti ed ai sostenitori interni ed esterni, al sostegno dei network iraniani ed internazionali, delle femministe, dei difensori dei diritti umani. Questo significativo sostegno, da parte delle organizzazioni femministe internazionali, della stampa internazionale e dei gruppi per i diritti umani, hanno provvisto agli attivisti iraniani la possibilita' di amplificare le loro richieste e di mettere in luce la loro situazione, ed e' cosa che merita grandissime lodi. Le domande delle donne iraniane sono state ascoltate e sostenute da movimenti sociali, attivisti e associazioni in tutto il mondo. Il poter continuare la nostra lotta deve molto ai sostenitori che abbiamo dentro e fuori il paese. Beneficiando di queste relazioni, il movimento per l'eguaglianza di diritti in Iran sta guadagnando forza e rispetto. Com'e' ovvio, anche i nostri oppositori sono diventati piu' determinati. Ma niente paura! L'attivismo pacifico in cui crediamo ci rendera' saldi nei nostri propositi. E continueremo a ricevere forza ed energia dalle nostre esistenze quotidiane, che agiamo in modo innovativo, produttivo, stimolante e forte. Salvaguarderemo questo con le nostre vite. Grazie. 2. MONDO. MARINA FORTI: UN OTTO MARZO A TEHERAN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 marzo 2008, col titolo "Dove sfilare non e' cosa da donne", e il sommario "Un otto marzo in Iran, nei luoghi in cui le donne si ritrovano e si mobilitano. Ma lontano dagli occhi del potere. Eppure le organizzazioni femministe resistono, sotto il nome 'politically correct' di ong. La strada pero' e' in salita". Marina Forti, giornalista e saggista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano "Il manifesto" acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004] Un otto marzo a Tehran. Scena prima: il caffe' della "Casa degli artisti", Khane Honarmandan, una palazzina anni '40 nel centro della capitale iraniana, trasformata negli anni '90 in uno dei primi spazi aperti della citta': oggi e' popolare tanto per le sue esposizioni e conferenze quanto per questi tavolini affacciati su un giardino pubblico. Qui incontro alcune promotrici di una campagna avviata nell'estate del 2007: vogliono raccogliere un milione di firme a sostegno della richiesta di modificare le leggi che discriminano le donne. Elencano: dal diritto di famiglia che le penalizza nel divorzio o nell'affidamento dei figli, alla norma per cui la testimonianza di una donna in tribunale conta meta' di quella di un uomo, fino al "prezzo del sangue", il risarcimento che l'omicida deve alla famiglia dell'ucciso: se la vittima e' una donna anche ucciderla costa la meta'. "Lascia perdere i numeri, non sappiamo di preciso quante firme abbiamo gia' raccolto, sull'ordine delle centinaia di migliaia", spiega Parvin Ardalan, una delle attiviste piu' impegnate in questa campagna, spolverino nero sui jeans, sciarpa d'ordinanza sui capelli (e' la "tenuta" piu' comune tra giovani e studentesse di citta', anche se lei e' sulla quarantina). "Ci sono molti gruppi che raccolgono le firme, in tutto il paese, non ce le hanno ancora mandate. A volte le attiviste vengono arrestate e i fogli con le firme scompaiono. Ma e' il processo che conta. Molti diversi gruppi, associazioni e ong di donne si sono mobilitati". Tutto e' cominciato da un gruppo di attiviste raccolte attorno al "Centro culturale delle donne": formato intorno al 2000 dall'incontro di generazioni diverse, intellettuali, giuriste, attiviste per i diritti umani, nomi noti e meno noti. Era un momento di scontro di potere durissimo in Iran tra il governo riformista dell'ex presidente Mohammad Khatami e un establishment conservatore arroccato. Qualche tempo dopo il gruppo si e' registrato legalmente come "ong", organizzazione non governativa, per poter tenere attivita' pubbliche. Hanno fondato una biblioteca e un premio letterario. L'8 marzo e' una data ignorata dalla Repubblica islamica, e loro hanno cominciato a segnarla con sit-in in una piazza centrale della citta': regolarmente sono state disperse a manganellate, arrestate, picchiate. Quest'anno hanno rinunciato al sit-in in piazza (il calendario ha fatto coincidere l'8 marzo con un'importante festivita' religiosa sciita, la fine di un periodo di lutto): hanno festeggiato nella sede della biblioteca, dove hanno assegnato a tre giovani ricercatrici il premio letterario intitolato a una scrittrice di inizio secolo, Sedigheh Dulat-Abadi, una delle figure che ha ispirato generazioni di femministe iraniane. Hana Maddah, da poco laureata, e' tra le piu' giovani attiviste del centro culturale delle donne. "Ci chiedevamo come coinvolgere settori piu' ampi di donne in un grande movimento pacifico", spiega. Avevo letto che in Marocco le leggi sullo statuto delle donne sono state modificate dopo la raccolta di un milione di firme", spiega. "La' il re e molti ministri sostenevano la riforma, mentre noi non siamo certo appoggiate dal sistema. E poi noi abbiamo deciso di raccogliere le firme da persona a persona". Mostra un modulo: nome, eta', sesso, professione, citta' di residenza. Per scrivere l'opuscolo che elenca leggi e norme hanno chiesto aiuto alla Nobel per la pace Shirin Ebadi e al suo gruppo di avvocati ("Ho conservato la copia originale con tutte le sue correzioni", dice Hana). Le "campaigner" sono spesso studentesse, oppure insegnanti, attiviste di ong femminili. Spesso organizzano seminari sulla situazione legale delle donne, di solito con giuriste ed esperte in diritti umani. A volte gli incontri si tengono in case private, a volte in occasioni pubbliche. Hanno messo sul loro sito web il testo dell'opuscolo e del modulo, mi mandano un piccolo "spot" pubblicitario sul telefonino. "Abbiamo preso contatto con gruppi e ong di donne in altre citta'. Poco a poco gruppi di donne che neppure conoscevamo si sono messe in contatto con noi: avevano scaricato dal sito il materiale e cominciato a raccogliere firme". "Chi sono? Spesso ong di welfare, per la difesa di donne e bambini, charities", spiega Ardalan. Un impressionante numero di organizzazioni indipendenti sono nate in Iran negli anni '90, chi assiste i bambini di strada e chi promuove corsi di pittura o attivita' culturali, e quasi sempre le attiviste sono donne. Certo, erano tempi di apertura: negli ultimi due anni, con un parlamento dominato dai conservatori e la presidenza di Mahmoud Ahmadi Nejad, gli spazi sociali si vanno chiudendo e anche la vita delle ong e' piu' difficile. Eppure si sono fatte avanti in molte. "Abbiamo organizzato incontri con questi gruppi di altre citta', anche se ciascuno lavora in modo autonomo. Negli ultimi tempi sono aumentati gli arresti e i contatti si sono un po' diradati", aggiunge Parvin Ardalan. Dall'inizio della campagna 43 attiviste sono state arrestate, di cui una decina mentre raccoglievano le firme in luoghi pubblici; due sono attualmente agli arresti, molte sono state condannate per attivita' illegali con sentenza sospesa. "Poi e' nato il gruppo delle madri", racconta Parvin. E' successo quando la prima studentessa che raccoglieva firme e' stata arrestata, e poi altre, e anche studenti che avevano cominciato ad appoggiarle, e le rispettive madri si sono messe insieme per sostenerli. "Ora anche loro, le madri, vanno in giro a raccogliere firme, sono diventate attiviste della campagna. Tra loro ci sono molte mogli o parenti dei sindacalisti arrestati". Parlano del sindacato dei guidatori di autobus della Grande Tehran, unione indipendente nata fuori dall'organizzazione ufficiale dei lavoratori islamici (il sindacato governativo): i loro scioperi tra il 2005 e 2006 sono stati repressi con estrema durezza, i leader sono in galera da oltre un anno e restano al bando. Per il resto, i contatti con le lavoratrici restano pochi, ammettono, e non nelle aziende: "Le donne lavorano soprattutto in piccole aziende, e riunirsi sul luogo di lavoro significa rischiare il licenziamento", spiega Firouzeh Mohajer, professoressa all'Universita' di Tehran, che a questo tavolo rappresenta la generazione delle madri. C'e' un dialogo tra le attiviste femministe (cosi' si definiscono) e l'establishment? In parte si', anche perche' il sistema non e' certo un monolite. "Le nostre rivendicazioni sono diventate tema di dibattito pubblico", dice Hana. Parlano di lobby presso le deputate riformiste, l'ala sinistra della repubblica islamica. Alcune intellettuali riformiste sono andate perfino a cercare illustri esponenti del clero a Qom, la citta' delle piu' importanti scuole religiose: neanche il clero sciita e' monolitico, e cosi' il grande ayatollah Sane'i si e' pubblicamente dichiarato a favore di alcune precise riforme: lui ad esempio e' favorevole a parificare il "prezzo del sangue". "Perfino la Guida suprema, l'ayatollah Khamenei, ha ammesso che bisogna discuterne", dice Hana. Loro sono convinte che sia merito della loro campagna. Ma il dialogo tra queste giovani donne con le spillette femministe sullo zainetto e le gravi signore della sinistra islamica non e' ovvio. * Scena seconda: una sala di riunioni nel seminterrato di una casa privata, una modesta palazzina in una zona popolare nel centro di Tehran. Nel tardo pomeriggio dell'8 marzo una trentina di signore sono riunite per ascoltare alcune candidate riformiste, tutte si augurano l'un l'altra "buona festa delle donne". Una delle oratrici e' Soheila Jelozarzadeh, deputata per tre volte consecutive, presidente di una "societa' politica delle donne", cioe' esponente della "sinistra islamica". Si parla della battaglia per essere riconosciute a pieno titolo nella societa', di discriminazioni inaccettabili, di resistere al potere del mercato e di giustizia sociale. Qui le tenute sono piu' severe, prevalgono gli hijjab neri, c'e' anche qualche chador: e pero' sono attiviste come queste, con le loro deputate, che si sono battute per riforme di civilta', eliminare il matrimonio delle bambine, riconoscere alle donne il diritto di chiedere il divorzio (le suffragette della repubblica islamica?). Chiedo alla signora Jalozarzadeh: cosa pensa della campagna per il milione di firme? "Le ho incontrate, ci battiamo per gli stessi obiettivi. Siamo pronte a portare in parlamento le loro rivendicazioni". Lei ha firmato? "No, ma ripeto: collaboriamo". 3. TESTIMONIANZE. MARINA FORTI INTERVISTA PARVIN ARDALAN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 marzo 2008, col titolo "L'attivista. Parvin Ardalan: la mia lotta per la democrazia"] Parvin Ardalan ha accumulato una lunga esperienza di attivismo per i diritti civili, anche se ha un viso da ragazzina, e quando le chiedo come e' arrivata a definirsi "femminista" mi parla della rivoluzione del 1979. Allora lei aveva appena dodici anni: "Prima della rivoluzione avevo una bicicletta, dopo mi hanno detto che non potevo usarla. Un giorno poi mi hanno fatto uscire da scuola perche' non avevo il foulard, e da quel momento ho dovuto coprire la testa. Voglio dire: mi hanno fatto capire molto presto la differenza di essere donna". Era l'epoca in cui le donne che avevano partecipato alla rivoluzione contro il regime dittatoriale dello Shah si sono sentire dire che il loro posto era separato: le magistrate dovevano lasciare i tribunali, le insegnanti dovevano passare al vaglio della "rivoluzione culturale islamica", tutte dovevano rispettare l'abbigliamento islamico, e nuove leggi ispirate alla shari'a ridefinivano il loro statuto personale: diritto di famiglia, eredita'... La cosa non e' andata liscia: l'8 marzo del 1980 migliaia di donne avevano traversato il centro di Tehran verso la piazza Azadi ("Liberta'", cosi' ribattezzata dopo aver ospitato gli oceanici raduni della rivoluzione): gridavano "Nella primavera della liberta' manca il posto per le donne". Parvin pero' era piccola, "una bambina puo' solo obbedire". Ecco dunque una rappresentante della folta generazione di donne iraniane cresciute "sotto l'hijjab", il copricapo islamico. "Quando sono arrivata all'universita' era impossibile perfino parlare con i compagni di corso, non come adesso". All'universita' si e' messa a scrivere su questioni sociali, poi ha cominciato a lavorare per un magazine di sinistra, "Odineh" ("vengo da una famiglia politicamente impegnata"). Erano i primi anni '90, il periodo detto della "ricostruzione", quando finita la lunga guerra Iran-Iraq il presidente Hashemi Rafsanjani aveva avviato una parziale liberalizzazione economica e la relativa apertura sociale che ha preparato il terreno alla presidenza "riformista" di Mohammad Khatami ("Ironico vero? Quando poi e' arrivato Khatami i conservatori hanno chiuso il nostro giornale"). "Odineh" ha dovuto sospendere le pubblicazioni quando il suo direttore, un noto intellettuale critico del sistema, e' stato arrestato in circostanze avventurose (in aeroporto, sotto gli occhi di Parvin che ha avvertito la famiglia nonostante l'ammonimento a tacere). Nel suo percorso c'e' anche "Zanan" ("Donne"), la rivista che per prima ha dato conto della lenta ma inesorabile marcia delle donne per riconquistare lo spazio pubblico: e' rimasta famosa l'intervista della direttrice Shahla Sherkat a Mohammad Khatami nel 1997, quando lui era appena stato eletto presidente e dichiarava di riconoscere alle iraniane un ruolo di protagoniste nella societa' (anche "Zanan" ha dovuto chiudere, il mese scorso). Nel frattempo Parvin aveva cominciato a impegnarsi anche con il Centro culturale delle donne, fondato nel 2002 da un gruppo di attiviste sociali, giornaliste, editrici, giuriste. "In tutti questi anni sono sempre stata sotto la pressione della polizia", continua Parvin Ardalan. Fino a pochi giorni fa, quando e' stata costretta a rinunciare ad andare a Stoccolma per ricevere il Premio Olof Palme per i diritti umani 2007. La Fondazione intitolata al premier svedese ucciso nel 1986 premia l'attivista iraniana per aver "reso la rivendicazione di eguali diritti tra donne e uomini un elemento centrale della lotta per la democrazia in Iran": la consegna del riconoscimento (e di 75.000 euro) e' avvenuta giovedi', il 6 marzo. "Avevo tutto in regola, e nessuno mi ha fatto obiezioni al controllo passaporti. Hanno aspettato: solo quando ero ormai seduta nell'aereo, un volo Air France, e' arrivata la polizia a dire che non potevo partire. Il personale di volo mi ha difeso, ero su un velivolo francese e potevo rifiutare di scendere. Ma alla fine sono scesa". Perche'? "Beh, perche' io volevo andare in Svezia ma anche tornare. Perche' non mi hanno fermato al controllo passaporti? Sembra che volessero spingermi ad andarmene e non farmi piu' vedere. Ma la mia vita e' in Iran, e voglio fare qui la mia battaglia". Il premio a Stoccolma sarebbe stata un'occasione per parlare dei movimenti delle donne iraniane. E' proprio cio' che le autorita' volevano evitare? "So solo che pochi giorni dopo l'annuncio del premio ho ricevuto una convocazione a presentarmi in tribunale. Sono andata, ma il giudice che mi aveva fatto chiamare non c'era. Dicono che volevano farmi solo 'qualche domanda"', non so cosa volessero da me. L'avvocata Shirin Ebadi mi ha consigliato di aspettare una prossima convocazione, che non e' mai arrivata". Il premio, e poi il divieto di partire, hanno fatto rimbalzare il nome di Parvin Ardalan sulle agenzie internazionali. Lei ripete che il loro e' un movimento collettivo. "Io non sto facendo nulla contro la 'sicurezza nazionale', sono laica e indipendente, e nessuna autorita' gradisce gruppi o persone indipendenti". Ride: "Noi cerchiamo di democratizzare il sistema, e il sistema spinge i movimenti a radicalizzarsi". ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 168 del 14 marzo 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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