Nonviolenza. Femminile plurale. 168



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 168 del 14 marzo 2008

In questo numero:
1. Parvin Ardalan: Cambiamento per l'eguaglianza
2. Marina Forti: Un otto marzo a Teheran
3. Marina Forti intervista Parvin Ardalan

1. TESTIMONIANZE. PARVIN ARDALAN: CAMBIAMENTO PER L'EGUAGLIANZA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per aerci
messo a disposizione nella sua traduzione il testo del discorso di Parvin
Ardalan alla Olaf Palme Foundation, inviato via video durante la cerimonia
in cui la sorella Shirin ha ritirato per lei il premio assegnatole dalla
Fondazione. Parvin Ardalan era sull'aereo che doveva portarla a Stoccolma il
3 marzo, ma ne e' stata letteralmente trascinata fuori dalla polizia poco
prima della partenza. Sara' utile ricordare che negli ultimi due anni molte
ong iraniane sono state accusate di condurre attivita' antinazionali e
bandite: a quelle femminili e femministe rimaste e' proibito tenere incontri
pubblici e affittare sale, e non possono pubblicare libri. L'unico giornale
femminile indipendente, "Zanan", che usciva da 16 anni, e' stato chiuso
d'autorita' lo scorso febbraio. Migliaia di donne comuni sono ormai state
arrestate ed accusate di "comportamento immorale" su tutto il territorio
iraniano perche' non osservano il cosiddetto codice d'abbigliamento islamico
(mgdr).
Parvin Ardalan e' un'attivista per i diritti umani iraniana, tra le
promotrici della campagna per un milione di firme per il "cambiamento per
l'eguaglianza"]

Signore e signori, salve.
Sono molto compiaciuta ed onorata di essere stata scelta come assegnataria
del premio Olaf Palme 2007. Questo riconoscimento, dato ogni anno in ricordo
di una persona che scelse come sentiero di vita il perseguimento di
giustizia e pace, ed in cambio pago' questa scelta con la vita, porta con
se' un profondo senso di responsabilita'. Io credo che porre questo onore su
di me non e' solo un riconoscimento alle lotte individuali delle attiviste
per i diritti delle donne, ma qualcosa che onora le azioni collettive dei
movimenti delle donne e degli altri movimenti sociali iraniani. Questo
premio dimostra che gli sforzi di coloro che lavorano per difendere
l'eguaglianza di diritti e le liberta' civili in Iran, nonostante gli alti e
bassi a cui vanno incontro, e gli ostacoli patriarcali posti sulla loro via,
sono stati invero efficaci. E si', oggi la nostra richiesta di giustizia
risuona nella comunita' internazionale. Sono pienamente conscia che
l'accettare questo premio mi rendera' soggetta a maggiori pressioni e nuove
accuse in patria.
Lo dedico a tutte le donne del mio paese, a mia madre, alle madri dei
prigionieri di coscienza, a tutte le altre madri della mia terra, che mentre
resistevano hanno insegnato a noi ad opporci alle discriminazioni, di modo
che potremo passare questi insegnamenti ai nostri figli ed alle future
generazioni. Avevo sperato, in questa grande occasione in cui si commemora
anche il centenario del Giorno internazionale delle donne e le giuste lotte
delle donne in tutto il mondo, di essere con voi.
Sfortunatamente, poco prima che partissi, sono stata bandita dal viaggiare
per ordine del tribunale e percio' impedita di partecipare all'evento. Tali
tipi di azione non sono infrequenti nel mio paese, dove essere una donna e
dar voce alle proprie richieste di uguaglianza richiede una lotta continua e
porta con se' l'esclusione.
*
Io sono orgogliosa di essere una donna laica, e di appartenere ad un
movimento che ha cento anni di storia fatta di lotte e resistenze per
ottenere diritti per le donne. Per piu' di cento anni anche noi, come le
nostre sorelle in tutto il mondo, abbiamo lottato per poter godere dei
basilari diritti umani, inclusa la liberta' di scelta nelle nostre vite
private e nel nostro abbigliamento, richieste che sono state ripetutamente
sacrificate alle politiche ideologiche dei nostri governi. Specialmente nei
tre decenni seguiti alla rivoluzione islamica in Iran, molte conquiste delle
difensore dei diritti delle donne sono state sequestrate dall'adozione di
tali politiche. Leggi come l'Atto di protezione della famiglia sono state
stravolte e la nostra liberta' di scegliere i nostri vestiti e' stata
trasformata in un codice obbligatorio di abbigliamento, imposto e forzato
per legge.
Sono trent'anni ormai che lottiamo per avere il diritto di divorziare e di
godere di eguaglianza di diritti all'interno del matrimonio. Abbiamo
ripetutamente sostenuto che consentire la poligamia agli uomini crea una
realta' insopportabile e disgraziata per le donne. Ma queste leggi
patriarcali restano in vigore. Per anni abbiamo obiettato all'ineguale
"diyeh", o "compenso per le ingiurie fisiche", e ci siamo chieste cosa
c'entra il fatto che le vittime siano uomini o donne in rapporto alla
compensazione dovuta alle loro famiglie. Ci chiediamo perche' le nostre
leggi riconoscono gli uomini come completi esseri umani, e ne fanno il
modello standard, mentre valutano le donne come meta' di questo standard, e
a volte persino meno.
Possiamo attestare che nella nostra societa' la cultura ha oltrepassato la
legge. Le alte percentuali di donne che frequentano l'universita' e la loro
lotta attiva per essere presenti nelle sfere sociali, politiche e culturali,
danno ragione alle nostre richieste, e riaffermano che non possiamo
sopportare una situazione in cui le leggi vanno all'indietro rispetto alla
nostra cultura. Noi chiediamo, poiche' il governo iraniano e' firmatario di
convenzioni internazionali quali quelle delle Nazioni Unite sui diritti
civili e politici, economici e sociali, che esso si senta obbligato ad
implementarle. Noi chiediamo, in accordo con tali convenzioni, che tutte le
forme di discriminazione, inclusa quella di genere, vengano abolite. Perche'
le nostre leggi non si conformano agli impegni presi in sede internazionale?
Perche', ad esempio, vi sono quote che limitano l'accesso delle donne in
alcuni settori degli studi universitari?
Per anni abbiamo parlato della necessita' di un innalzamento dell'eta' in
rapporto alla responsabilita' giuridica, pure bambine di nove anni e
ragazzini di quindici vengono ancora riconosciuti colpevoli di offese penali
e continuano ad essere trattati come adulti. L'unico sconto fatto a questi
giovani "criminali" e' il posporre la loro esecuzione, se vengono condannati
a morte, a quando compiranno 18 anni. Non solo ci opponiamo in generale alla
pena capitale, ma ci chiediamo anche perche' non si possa porre fine alle
condanne di bambini. Sono anni che donne iraniane fronteggiano una
moltitudine di problemi perche' hanno sposato un rifugiato afgano o
iracheno: a causa delle nostre leggi discriminatorie sulla cittadinanza,
queste donne non possono passarla ai loro figli. Noi chiediamo perche'.
Sono anni che parliamo di mettere fine alle lapidazioni ed ai delitti
d'onore, e di cambiare le leggi che sostengono tali pratiche, le quali
violano i diritti umani delle donne. Pure i delitti d'onore e le lapidazioni
continuano a fare vittime. Questi crimini non possono piu' essere visti come
pratiche "tradizionali" o "culturali". Sono chiaramente forme di violenza
contro le donne rinforzate dalla legge e, come tali, implementate con grande
vigilanza e forza. In questo momento sciami di donne ed uomini sono
bersagliati, molestati ed arrestati dalla polizia morale, in tutto il nostro
paese, a causa dei loro vestiti. E questo programma governativo viene
spacciato come una misura intesa a proteggere la sicurezza sociale dei
cittadini.
*
Le richieste dei movimenti sociali in Iran, inclusi quelli degli studenti,
dei lavoratori e degli insegnanti, parlano a favore della giustizia e della
liberta'. Ma molti degli attivisti coinvolti in questi movimenti sono
attualmente in prigione. Ai membri di questi movimenti si impedisce di
collegarsi e collaborare con altri movimenti, e la pressione e la
repressione nei loro confronti sta crescendo. Come attiviste per i diritti
umani delle donne, abbiamo reso evidente l'impatto negativo delle leggi
nelle nostre vite impiegando una varieta' di tecniche del tutto civili.
Criticando le leggi violente ed opponendoci ad esse, abbiamo chiesto riforme
e cambiamento. Ma in risposta alle nostre obiezioni civili e pacifiche il
governo ci ha accusate di crimini contro la sicurezza, come "agire contro lo
stato" o "far propaganda contro lo stato". E se noi, attiviste della
societa' civile, difensore dei diritti delle donne, e cittadine, saremmo le
distruttrici della sicurezza nazionale, chi sono allora, chiediamo, coloro
che proteggono la sicurezza nazionale?
Nonostante tutte le pressioni, noi continuiamo a perseguire i nostri
obiettivi, a lottare per i nostri diritti umani. Lo facciamo tenendo
presente coloro che lo hanno fatto prima di noi, rinforzando la nostra
memoria storica, utilizzando le esperienze delle femministe iraniane che
sono venute prima di noi, e delle femministe di altri paesi, imparando dalle
vittorie e dalle sfide, dalle teorie, dalle esperienze delle femministe
iraniane oggi in esilio, mentre valutiamo le nostre vite quotidiane e ci
rafforziamo nel nostro attivismo. Grazie a queste azioni meditate,
ascoltando ed imparando da differenti idee e prospettive, abbiamo arricchito
il nostro pensiero. Attraverso tali strategie abbiamo tentato di allargare
gli spazi della nostra lotta per raddrizzare le ineguaglianze legali e
conseguire eguali diritti per le donne.
*
Il nostro impegno e' anche andato alla costruzione di successi per le nostre
sorelle in tutta la regione, al condividere regionalmente informazioni ed
esperienze. Questa strategia sta funzionando nell'espandere e nel rafforzare
i movimenti delle donne nella nostra regione ed oltre essa. La "Campagna per
un milione di firme" e' una delle tecniche innovative del movimento delle
donne in Iran che ha utilizzato le esperienze delle nostre sorelle
marocchine. Mentre le nostre sorelle del Marocco hanno dato inizio alla loro
campagna e l'hanno implementata con il sostegno del loro governo, le donne
iraniane hanno implementato il loro movimento dal basso, con la raccolta di
firme a sostegno di una petizione che chiede il cambiamento e la riforma
delle leggi discriminatorie contro le donne, dando le informazioni faccia a
faccia, da persona a persona, agli altri cittadini. Entrando in contatto con
essi, noi speriamo di aumentare la consapevolezza e la forza necessarie per
ottenere il cambiamento delle leggi correnti che discriminano le donne.
A tutt'oggi, ad un anno e mezzo dall'inizio della Campagna, nessuna legge e'
cambiata, ma la discussione democratica attorno all'istanza e' aumentata.
Abbiamo lavorato affinche' il nostro discorso sui diritti delle donne
penetrasse in vari settori della societa', insediandosi anche nelle
istituzioni, ed abbiamo costretto i funzionari governativi a reagire e a
rispondere alle nostre richieste. In questo processo, tentiamo di
democratizzare la societa', perche' crediamo che il sentiero verso la
democrazia deve in primo luogo includere l'eguaglianza di diritti per le
donne. Non si puo' continuare a marginalizzare la richiesta d'eguaglianza
delle donne, e dobbiamo respingere la vecchia scusa che vi sono richieste
piu' urgenti a cui rispondere.
La "Campagna per un milione di firme" ha creato una vasta eco
internazionale: perche' le sue richieste sono specifiche e concrete, perche'
il suo approccio e' civile e pacifico, perche' le attiviste e gli attivisti
hanno pagato un alto prezzo per le loro attivita' e perche' i nostri
avvocati e le nostre avvocate hanno fornito il loro lavoro in modo generoso
e gratuito. Dall'inizio della campagna piu' di cinquanta attivisti, in
maggioranza ventenni, uomini e donne, sono stati arrestati, minacciati,
portati in tribunale. Due di essi sono ancora in carcere. Le accuse
concernono azioni del tutto pacifiche in sostegno alla campagna, come il
raccogliere firme in metropolitana, o il partecipare a seminari sui diritti
umani, o scrivere articoli a favore dei diritti delle donne per il sito web
della campagna, "Cambiamento per l'eguaglianza". Al cuore di questo
movimento ci sono le loro madri, che sono diventate attive nella campagna.
Hanno sostenuto i giovani e le giovani al momento dell'arresto, hanno
continuato a seguire i loro casi e a far pressione per il loro rilascio.
Prendono parte alla lotta delle loro figlie e dei loro figli per
l'eguaglianza di diritti con azioni di resistenza civile. L'ingresso delle
madri, e dei padri, e di altri membri familiari, nei movimenti per i diritti
umani e per la pace ha allargato la portata del nostro impegno, ed ha
formato legami tra i diversi movimenti iraniani. Attualmente, i membri dei
movimenti degli studenti e dei lavoratori continuano ad essere arrestati, e
le loro famiglie sono diventate parte attiva degli stessi movimenti.
*
Oggi lo slogan della nostra campagna, "Cambiamento per l'eguaglianza", ha
trasceso i suoi originari confini geografici. Ha potuto farlo grazie agli
attivisti ed ai sostenitori interni ed esterni, al sostegno dei network
iraniani ed internazionali, delle femministe, dei difensori dei diritti
umani. Questo significativo sostegno, da parte delle organizzazioni
femministe internazionali, della stampa internazionale e dei gruppi per i
diritti umani, hanno provvisto agli attivisti iraniani la possibilita' di
amplificare le loro richieste e di mettere in luce la loro situazione, ed e'
cosa che merita grandissime lodi. Le domande delle donne iraniane sono state
ascoltate e sostenute da movimenti sociali, attivisti e associazioni in
tutto il mondo. Il poter continuare la nostra lotta deve molto ai
sostenitori che abbiamo dentro e fuori il paese. Beneficiando di queste
relazioni, il movimento per l'eguaglianza di diritti in Iran sta guadagnando
forza e rispetto. Com'e' ovvio, anche i nostri oppositori sono diventati
piu' determinati. Ma niente paura! L'attivismo pacifico in cui crediamo ci
rendera' saldi nei nostri propositi. E continueremo a ricevere forza ed
energia dalle nostre esistenze quotidiane, che agiamo in modo innovativo,
produttivo, stimolante e forte. Salvaguarderemo questo con le nostre vite.
Grazie.

2. MONDO. MARINA FORTI: UN OTTO MARZO A TEHERAN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 marzo 2008, col titolo "Dove sfilare
non e' cosa da donne", e il sommario "Un otto marzo in Iran, nei luoghi in
cui le donne si ritrovano e si mobilitano. Ma lontano dagli occhi del
potere. Eppure le organizzazioni femministe resistono, sotto il nome
'politically correct' di ong. La strada pero' e' in salita".
Marina Forti, giornalista e saggista particolarmente attenta ai temi
dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione,
scrive per il quotidiano "Il manifesto" acuti articoli e reportages sui temi
dell'ecologia globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del
mondo per sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera.
Opere di Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati
ambientali nel Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004]

Un otto marzo a Tehran.
Scena prima: il caffe' della "Casa degli artisti", Khane Honarmandan, una
palazzina anni '40 nel centro della capitale iraniana, trasformata negli
anni '90 in uno dei primi spazi aperti della citta': oggi e' popolare tanto
per le sue esposizioni e conferenze quanto per questi tavolini affacciati su
un giardino pubblico. Qui incontro alcune promotrici di una campagna avviata
nell'estate del 2007: vogliono raccogliere un milione di firme a sostegno
della richiesta di modificare le leggi che discriminano le donne. Elencano:
dal diritto di famiglia che le penalizza nel divorzio o nell'affidamento dei
figli, alla norma per cui la testimonianza di una donna in tribunale conta
meta' di quella di un uomo, fino al "prezzo del sangue", il risarcimento che
l'omicida deve alla famiglia dell'ucciso: se la vittima e' una donna anche
ucciderla costa la meta'.
"Lascia perdere i numeri, non sappiamo di preciso quante firme abbiamo gia'
raccolto, sull'ordine delle centinaia di migliaia", spiega Parvin Ardalan,
una delle attiviste piu' impegnate in questa campagna, spolverino nero sui
jeans, sciarpa d'ordinanza sui capelli (e' la "tenuta" piu' comune tra
giovani e studentesse di citta', anche se lei e' sulla quarantina). "Ci sono
molti gruppi che raccolgono le firme, in tutto il paese, non ce le hanno
ancora mandate. A volte le attiviste vengono arrestate e i fogli con le
firme scompaiono. Ma e' il processo che conta. Molti diversi gruppi,
associazioni e ong di donne si sono mobilitati".
Tutto e' cominciato da un gruppo di attiviste raccolte attorno al "Centro
culturale delle donne": formato intorno al 2000 dall'incontro di generazioni
diverse, intellettuali, giuriste, attiviste per i diritti umani, nomi noti e
meno noti. Era un momento di scontro di potere durissimo in Iran tra il
governo riformista dell'ex presidente Mohammad Khatami e un establishment
conservatore arroccato. Qualche tempo dopo il gruppo si e' registrato
legalmente come "ong", organizzazione non governativa, per poter tenere
attivita' pubbliche. Hanno fondato una biblioteca e un premio letterario.
L'8 marzo e' una data ignorata dalla Repubblica islamica, e loro hanno
cominciato a segnarla con sit-in in una piazza centrale della citta':
regolarmente sono state disperse a manganellate, arrestate, picchiate.
Quest'anno hanno rinunciato al sit-in in piazza (il calendario ha fatto
coincidere l'8 marzo con un'importante festivita' religiosa sciita, la fine
di un periodo di lutto): hanno festeggiato nella sede della biblioteca, dove
hanno assegnato a tre giovani ricercatrici il premio letterario intitolato a
una scrittrice di inizio secolo, Sedigheh Dulat-Abadi, una delle figure che
ha ispirato generazioni di femministe iraniane.
Hana Maddah, da poco laureata, e' tra le piu' giovani attiviste del centro
culturale delle donne. "Ci chiedevamo come coinvolgere settori piu' ampi di
donne in un grande movimento pacifico", spiega. Avevo letto che in Marocco
le leggi sullo statuto delle donne sono state modificate dopo la raccolta di
un milione di firme", spiega. "La' il re e molti ministri sostenevano la
riforma, mentre noi non siamo certo appoggiate dal sistema. E poi noi
abbiamo deciso di raccogliere le firme da persona a persona". Mostra un
modulo: nome, eta', sesso, professione, citta' di residenza. Per scrivere
l'opuscolo che elenca leggi e norme hanno chiesto aiuto alla Nobel per la
pace Shirin Ebadi e al suo gruppo di avvocati ("Ho conservato la copia
originale con tutte le sue correzioni", dice Hana).
Le "campaigner" sono spesso studentesse, oppure insegnanti, attiviste di ong
femminili. Spesso organizzano seminari sulla situazione legale delle donne,
di solito con giuriste ed esperte in diritti umani. A volte gli incontri si
tengono in case private, a volte in occasioni pubbliche. Hanno messo sul
loro sito web il testo dell'opuscolo e del modulo, mi mandano un piccolo
"spot" pubblicitario sul telefonino. "Abbiamo preso contatto con gruppi e
ong di donne in altre citta'. Poco a poco gruppi di donne che neppure
conoscevamo si sono messe in contatto con noi: avevano scaricato dal sito il
materiale e cominciato a raccogliere firme". "Chi sono? Spesso ong di
welfare, per la difesa di donne e bambini, charities", spiega Ardalan.
Un impressionante numero di organizzazioni indipendenti sono nate in Iran
negli anni '90, chi assiste i bambini di strada e chi promuove corsi di
pittura o attivita' culturali, e quasi sempre le attiviste sono donne.
Certo, erano tempi di apertura: negli ultimi due anni, con un parlamento
dominato dai conservatori e la presidenza di Mahmoud Ahmadi Nejad, gli spazi
sociali si vanno chiudendo e anche la vita delle ong e' piu' difficile.
Eppure si sono fatte avanti in molte. "Abbiamo organizzato incontri con
questi gruppi di altre citta', anche se ciascuno lavora in modo autonomo.
Negli ultimi tempi sono aumentati gli arresti e i contatti si sono un po'
diradati", aggiunge Parvin Ardalan. Dall'inizio della campagna 43 attiviste
sono state arrestate, di cui una decina mentre raccoglievano le firme in
luoghi pubblici; due sono attualmente agli arresti, molte sono state
condannate per attivita' illegali con sentenza sospesa.
"Poi e' nato il gruppo delle madri", racconta Parvin. E' successo quando la
prima studentessa che raccoglieva firme e' stata arrestata, e poi altre, e
anche studenti che avevano cominciato ad appoggiarle, e le rispettive madri
si sono messe insieme per sostenerli. "Ora anche loro, le madri, vanno in
giro a raccogliere firme, sono diventate attiviste della campagna. Tra loro
ci sono molte mogli o parenti dei sindacalisti arrestati". Parlano del
sindacato dei guidatori di autobus della Grande Tehran, unione indipendente
nata fuori dall'organizzazione ufficiale dei lavoratori islamici (il
sindacato governativo): i loro scioperi tra il 2005 e 2006 sono stati
repressi con estrema durezza, i leader sono in galera da oltre un anno e
restano al bando. Per il resto, i contatti con le lavoratrici restano pochi,
ammettono, e non nelle aziende: "Le donne lavorano soprattutto in piccole
aziende, e riunirsi sul luogo di lavoro significa rischiare il
licenziamento", spiega Firouzeh Mohajer, professoressa all'Universita' di
Tehran, che a questo tavolo rappresenta la generazione delle madri.
C'e' un dialogo tra le attiviste femministe (cosi' si definiscono) e
l'establishment? In parte si', anche perche' il sistema non e' certo un
monolite. "Le nostre rivendicazioni sono diventate tema di dibattito
pubblico", dice Hana. Parlano di lobby presso le deputate riformiste, l'ala
sinistra della repubblica islamica. Alcune intellettuali riformiste sono
andate perfino a cercare illustri esponenti del clero a Qom, la citta' delle
piu' importanti scuole religiose: neanche il clero sciita e' monolitico, e
cosi' il grande ayatollah Sane'i si e' pubblicamente dichiarato a favore di
alcune precise riforme: lui ad esempio e' favorevole a parificare il "prezzo
del sangue". "Perfino la Guida suprema, l'ayatollah Khamenei, ha ammesso che
bisogna discuterne", dice Hana. Loro sono convinte che sia merito della loro
campagna. Ma il dialogo tra queste giovani donne con le spillette femministe
sullo zainetto e le gravi signore della sinistra islamica non e' ovvio.
*
Scena seconda: una sala di riunioni nel seminterrato di una casa privata,
una modesta palazzina in una zona popolare nel centro di Tehran. Nel tardo
pomeriggio dell'8 marzo una trentina di signore sono riunite per ascoltare
alcune candidate riformiste, tutte si augurano l'un l'altra "buona festa
delle donne". Una delle oratrici e' Soheila Jelozarzadeh, deputata per tre
volte consecutive, presidente di una "societa' politica delle donne", cioe'
esponente della "sinistra islamica". Si parla della battaglia per essere
riconosciute a pieno titolo nella societa', di discriminazioni
inaccettabili, di resistere al potere del mercato e di giustizia sociale.
Qui le tenute sono piu' severe, prevalgono gli hijjab neri, c'e' anche
qualche chador: e pero' sono attiviste come queste, con le loro deputate,
che si sono battute per riforme di civilta', eliminare il matrimonio delle
bambine, riconoscere alle donne il diritto di chiedere il divorzio (le
suffragette della repubblica islamica?). Chiedo alla signora Jalozarzadeh:
cosa pensa della campagna per il milione di firme? "Le ho incontrate, ci
battiamo per gli stessi obiettivi. Siamo pronte a portare in parlamento le
loro rivendicazioni". Lei ha firmato? "No, ma ripeto: collaboriamo".

3. TESTIMONIANZE. MARINA FORTI INTERVISTA PARVIN ARDALAN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 marzo 2008, col titolo "L'attivista.
Parvin Ardalan: la mia lotta per la democrazia"]

Parvin Ardalan ha accumulato una lunga esperienza di attivismo per i diritti
civili, anche se ha un viso da ragazzina, e quando le chiedo come e'
arrivata a definirsi "femminista" mi parla della rivoluzione del 1979.
Allora lei aveva appena dodici anni: "Prima della rivoluzione avevo una
bicicletta, dopo mi hanno detto che non potevo usarla. Un giorno poi mi
hanno fatto uscire da scuola perche' non avevo il foulard, e da quel momento
ho dovuto coprire la testa. Voglio dire: mi hanno fatto capire molto presto
la differenza di essere donna". Era l'epoca in cui le donne che avevano
partecipato alla rivoluzione contro il regime dittatoriale dello Shah si
sono sentire dire che il loro posto era separato: le magistrate dovevano
lasciare i tribunali, le insegnanti dovevano passare al vaglio della
"rivoluzione culturale islamica", tutte dovevano rispettare l'abbigliamento
islamico, e nuove leggi ispirate alla shari'a ridefinivano il loro statuto
personale: diritto di famiglia, eredita'... La cosa non e' andata liscia:
l'8 marzo del 1980 migliaia di donne avevano traversato il centro di Tehran
verso la piazza Azadi ("Liberta'", cosi' ribattezzata dopo aver ospitato gli
oceanici raduni della rivoluzione): gridavano "Nella primavera della
liberta' manca il posto per le donne".
Parvin pero' era piccola, "una bambina puo' solo obbedire". Ecco dunque una
rappresentante della folta generazione di donne iraniane cresciute "sotto
l'hijjab", il copricapo islamico. "Quando sono arrivata all'universita' era
impossibile perfino parlare con i compagni di corso, non come adesso".
All'universita' si e' messa a scrivere su questioni sociali, poi ha
cominciato a lavorare per un magazine di sinistra, "Odineh" ("vengo da una
famiglia politicamente impegnata"). Erano i primi anni '90, il periodo detto
della "ricostruzione", quando finita la lunga guerra Iran-Iraq il presidente
Hashemi Rafsanjani aveva avviato una parziale liberalizzazione economica e
la relativa apertura sociale che ha preparato il terreno alla presidenza
"riformista" di Mohammad Khatami ("Ironico vero? Quando poi e' arrivato
Khatami i conservatori hanno chiuso il nostro giornale"). "Odineh" ha dovuto
sospendere le pubblicazioni quando il suo direttore, un noto intellettuale
critico del sistema, e' stato arrestato in circostanze avventurose (in
aeroporto, sotto gli occhi di Parvin che ha avvertito la famiglia nonostante
l'ammonimento a tacere). Nel suo percorso c'e' anche "Zanan" ("Donne"), la
rivista che per prima ha dato conto della lenta ma inesorabile marcia delle
donne per riconquistare lo spazio pubblico: e' rimasta famosa l'intervista
della direttrice Shahla Sherkat a Mohammad Khatami nel 1997, quando lui era
appena stato eletto presidente e dichiarava di riconoscere alle iraniane un
ruolo di protagoniste nella societa' (anche "Zanan" ha dovuto chiudere, il
mese scorso). Nel frattempo Parvin aveva cominciato a impegnarsi anche con
il Centro culturale delle donne, fondato nel 2002 da un gruppo di attiviste
sociali, giornaliste, editrici, giuriste.
"In tutti questi anni sono sempre stata sotto la pressione della polizia",
continua Parvin Ardalan. Fino a pochi giorni fa, quando e' stata costretta a
rinunciare ad andare a Stoccolma per ricevere il Premio Olof Palme per i
diritti umani 2007. La Fondazione intitolata al premier svedese ucciso nel
1986 premia l'attivista iraniana per aver "reso la rivendicazione di eguali
diritti tra donne e uomini un elemento centrale della lotta per la
democrazia in Iran": la consegna del riconoscimento (e di 75.000 euro) e'
avvenuta giovedi', il 6 marzo. "Avevo tutto in regola, e nessuno mi ha fatto
obiezioni al controllo passaporti. Hanno aspettato: solo quando ero ormai
seduta nell'aereo, un volo Air France, e' arrivata la polizia a dire che non
potevo partire. Il personale di volo mi ha difeso, ero su un velivolo
francese e potevo rifiutare di scendere. Ma alla fine sono scesa". Perche'?
"Beh, perche' io volevo andare in Svezia ma anche tornare. Perche' non mi
hanno fermato al controllo passaporti? Sembra che volessero spingermi ad
andarmene e non farmi piu' vedere. Ma la mia vita e' in Iran, e voglio fare
qui la mia battaglia".
Il premio a Stoccolma sarebbe stata un'occasione per parlare dei movimenti
delle donne iraniane. E' proprio cio' che le autorita' volevano evitare? "So
solo che pochi giorni dopo l'annuncio del premio ho ricevuto una
convocazione a presentarmi in tribunale. Sono andata, ma il giudice che mi
aveva fatto chiamare non c'era. Dicono che volevano farmi solo 'qualche
domanda"', non so cosa volessero da me. L'avvocata Shirin Ebadi mi ha
consigliato di aspettare una prossima convocazione, che non e' mai
arrivata". Il premio, e poi il divieto di partire, hanno fatto rimbalzare il
nome di Parvin Ardalan sulle agenzie internazionali. Lei ripete che il loro
e' un movimento collettivo. "Io non sto facendo nulla contro la 'sicurezza
nazionale', sono laica e indipendente, e nessuna autorita' gradisce gruppi o
persone indipendenti". Ride: "Noi cerchiamo di democratizzare il sistema, e
il sistema spinge i movimenti a radicalizzarsi".

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