[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Minime. 394
- Subject: Minime. 394
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 14 Mar 2008 00:37:09 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 394 del 14 marzo 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 2. Ida Dominijanni: Politica e questione maschile 3. Ettore Masina: A proposito di una occupazione 4. Marco Morselli: Andre' Chouraqui 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di' chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 2. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: POLITICA E QUESTIONE MASCHILE [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 marzo 2008, col titolo "La questione maschile", Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005] "Di cosa parliamo quando parliamo di politica?", si chiede Bia Sarasini in apertura dell'ultimo numero della rivista "Leggendaria" dedicato a "Donne, politica, violenzaª". Domanda centrata, perche' del termine ormai non c'e' certezza: "Parli di politica, e la faccia perplessa dei tuoi interlocutori ti spinge subito a precisare. Non parlo della casta, spiego, non mi riferisco ai politici di mestiere, parlo della passione. A questo punto gli sguardi si fanno opachi, assenti, soprattutto nelle persone piu' giovani. Passione? Politica? Ma sei sicura che ne valga la pena?". Le donne che firmano su "Leggendaria" sono sicure, si', che ne valga la pena. Ma a patto di fare un po' di chiarezza, non solo lessicale; e a patto che ci si riesca - il che non e' detto. Prima cosa da chiarire - seguo ancora il filo di Sarasini: politica non e' solo quella che porta ufficialmente questo nome: c'e' politica - spesso guidata da donne - in quel vasto territorio di azione dal basso, dai comitati Dal Molin a quelli contro la monnezza in Campania, cui la politica ufficiale non riconosce alcuna politicita'. Secondo punto: bisogna chiedersi come, quando, perche' e per chi fra la parola "politica" e la parola "senso" s'e' aperta una forbice: forse, dice Sarasini, da quando s'e' perso il senso e la necessita' dello stare e del fare insieme, insomma dell'agire collettivo. Terzo, perche' la politica cambi occorre "che la politica riconosca di avere un sesso, maschile, e che questo sesso e' in crisi, non sa piu' interpretare il mondo: puo' tutt'al piu' fare quadro, stringere alleanze tra uomini, inventare a tavolino nuovi leader uomini", Obama compreso. "La catastrofe maschile delle forme politiche novecentesche e' davanti ai nostri occhi. La sfida e' costruirne altre, qui e adesso, a partire dalla vita quotidiana. Una passione da risvegliare", conclude Sarasini rivolta soprattutto alle donne. La cosa pero' non va liscia, come si sa, e come risulta dalla stessa lettura del ricco numero di "Leggendaria". Da quando, nel femminismo, le donne hanno dato nome di politica a cose che prima non l'avevano, da quando abbiamo politicizzato ambiti prima relegati al privato, da quando abbiamo messo al mondo pratiche inaudite per la politica ufficiale e costruito legami politici altrettanto tenaci di quelli istituzionali, non per questo la politica ufficiale s'e' trasformata, ne' la politica delle donne riesce a bilanciare la crisi della politica maschile, ne' tantomeno a sostituirsi ad essa. C'e' una asimmetria, abbiamo sempre detto. Adesso dobbiamo prendere atto che c'e' anche una impasse. Ne scrive Lia Cigarini, sull'ultimo numero di "Via Dogana", titolo: "Bianco rosa verde. Contro la crisi della politica". Perche' "contro"? Perche' il discorso sulla crisi della politica, scrive Cigarini, sta diventando una formula "che finisce per essere evasiva". Evasiva di un punto preciso e cruciale, questo: "Nel declino della politica e nel degrado della societ" italiana comincia a trasparire una rimossa e irrisolta 'questione maschile'". In che consiste la questione maschile, sorta di rovescio paradossale della "questione femminile" pre-femminista? Consiste nel fatto che, dopo la critica femminista della politica e dopo la "modificazione inarrestabile" dei rapporti sociali e dell'ordine simbolico innescata dal femminismo, "la societa' maschile nel suo insieme non ha preso coscienza della fine del patriarcato ne' della necessita' di confrontarsi con la soggettivita' politica delle donne, sebbene alcuni si' ed e' forse l'inizio di un cambiamento". Cio' che la formula della crisi della politica nasconde, dunque, e' quanto "l'inefficacia della politica sia da attribuirsi al disfarsi della genealogia maschile e del suo linguaggio, e al mancato confronto con l'altra e il suo sapere politico". Il guaio e' che senza consapevolezza non c'e' neanche conflitto: "Percio' - scrive ancora Cigarini - parlo di questione e non di conflitto fra i sessi. Il conflitto e' vitale e produttivo di senso; la questione, senza uno scatto di consapevolezza, puo' solo ingombrare la politica e puo' farlo anche per cento anni". Da cui l'impasse di cui sopra. Che speriamo duri meno di cento anni, tolti gli almeno quindici che ha gia' alle spalle. 3. RIFLESSIONE. ETTORE MASINA: A PROPOSITO DI UNA OCCUPAZIONE [Ringraziamo Ettore Masina (per contatti: e-mail: ettore at ettoremasina.it, sito: www.ettoremasina.it) per questa sua lettera mensile n. 130 del febbraio 2008. Ettore Masina, nato a Breno (Bs) il 4 settembre 1928, giornalista, scrittore, fondatore della Rete Radie' Resch, gia' parlamentare, e' una delle figure piu' vive della cultura e della prassi di pace. Sulle sue esperienze e riflessioni si vedano innanzitutto i suoi tre libri autobiografici: Diario di un cattolico errante. Fra santi, burocrati e guerriglieri (Gamberetti, 1997); Il prevalente passato. Un'autobiografia in cammino (Rubbettino, 2000); L'airone di Orbetello. Storia e storie di un cattocomunista (Rubbettino, 2005). Tra gli altri suoi libri: Il Vangelo secondo gli anonimi (Cittadella, 1969, tradotto in Brasile), Un passo nella storia (Cittadella, 1974), Il ferro e il miele (Rusconi, tradotto in serbo-croato), El Nido de Oro. Viaggio all'interno del terzo Mondo: Brasile, Corno d'Africa, Nicaragua (Marietti, 1989), Un inverno al Sud. Cile, Vietnam, Sudafrica, Palestina (Marietti, 1992), L'arcivescovo deve morire. Monsignor Oscar Romero e il suo popolo (Edizioni cultura della pace, 1993 col titolo Oscar Romero, poi in nuova edizione nelle Edizioni Gruppo Abele, 1995), Comprare un santo (Camunia, 1994; O. G. E., 2006), Il volo del passero (San Paolo, tradotto in greco), I gabbiani di Fringen (San Paolo, 1999), Il Vincere (San Paolo, 2002). Un piu' ampio profilo di Ettore Masina, scritto generosamente da lui stesso per il nostro foglio, e' nel n. 418 de "La nonviolenza e' in cammino"; un'ampia intervista raccolta da Diana Napoli e' ne "La domenica della nonviolenza", n. 151] Quando in una piazza o in una sala si leva accanto a me il canto, cosi' suggestivo, di "Bella ciao", mi capita di pensare che soltanto noi vecchi siamo in grado di comprenderne sino in fondo il significato: perche' una ragazza, destandosi da un profondissimo sonno e trovando che il suo paese e' stato invaso da un esercito straniero, si "senta di morire". E' difficile - e forse impossibile - a chi non l'ha provata immaginare la ferocia di un regime di occupazione. Occupazione non significa soltanto guerra perduta ma anche perduta identita'. Ti sembra di non avere piu' patria poiche' i confini che la delimitavano sono stati violentemente abbattuti e i luoghi che ti sono cari sono diventati terra di conquista. I maschi del tuo popolo vinto (quelli che non sono morti o prigionieri in "campi" lontani) sono trasformati in lavoratori senza diritti, o profughi miserabili; mogli sorelle o figlie non possono piu' sentirsi difese dalla possibile violenza dei vincitori; inermi si sentono i bambini davanti a padri di cui ogni giorno vedono umiliata la dignita'. Le leggi che vengono emanate sono fatte per il benessere e la sicurezza degli occupanti, non dei cittadini. I raccolti e le produzioni industriali sono bottino di guerra e i generali nemici decidono se e in quale quantita' possono essere distribuiti agli sconfitti. Le piazze in cui giocavano i bambini, i parchi in cui passeggiavano gli innamorati, i ristoranti delle allegre tavolate, i teatri in cui si narravano le bellezze della vita o i suoi drammi, ogni luogo pubblico, insomma, e' sfregiato dalla presenza di stranieri armati. Vi sono scuole (molte scuole) trasformate in bivacchi delle forze d'invasione; e case requisite e vie sbarrate e zone interdette. Le rovine lasciate dai combattimenti non vengono riparate. Accade che intere popolazioni debbano lasciare i luoghi in cui vivevano, espulse dalla violenza armata o da una fonda paura. Che posti di blocco infestino le strade e impediscano ai vinti di svolgere i propri commerci o, peggio ancora, di riunire le famiglie o di mantenere i collegamenti fra parenti o di accedere rapidamente a luoghi di cura. Che in alcune zone tutti gli alberi vengono abbattuti, "per ragioni di sicurezza". Le notti sono anticipate e prolungate dai coprifuoco; in quell'eternita' di buio si sentono i passi cadenzati delle ronde e di quando in quando vengono dalle strade rumore di spari, grida concitate, alti lamenti. Chiudendo la porta, la sera, sai che potrebbe essere abbattuta da qualche pattuglia venuta a prenderti per potarti chissa' dove. Occupazione vuol dire terrore. Non e' soltanto che tutti i diritti sembrano cancellati, e' che puoi da un momento all'altro essere punito per cio' che un altro ha fatto: la punizione collettiva, la rappresaglia devastano ogni logica, ogni innocenza, e ogni diritto. Sei immerso nell'arbitrio del dominante, che, se qualcuno osa ribellarsi, non occhio per occhio pretende ma dieci occhi per ogni occhio dei suoi ferito o spento. E' in questo modo che noi italiani abbiamo vissuto per 18 mesi, fra il settembre 1943 e l'aprile 1945. E' in questo modo che da cinquant'anni vivono i palestinesi dei territori occupati da Israele. * Il terrorismo non ha mai giustificazioni: e' una perversione mortifera. Come le punizioni collettive decise dagli occupanti, colpisce innocenti e dunque devasta ogni giustizia. E' odio che genera odio. E' delitto insensato, patologia criminale. Guardo una fotografia scattata sul cortile della scuola rabbinica di Gerusalemme. C'e' un ragazzo morto, che mi pare identico a mio figlio quando aveva quindici anni. Provo un senso di lutto che mi sconvolge. Non ci si puo', non ci si deve, mai, abituare a queste gioie di vivere affogate nel sangue. Penso, anche, che non si possa, non si debba, mai, dimenticare come vivono, da cinquant'anni, i palestinesi. Se si eccettua la tragedia irlandese, non c'e', nella storia contemporanea, esempio di occupazione (= oppressione) durata tanto a lungo e tanto a lungo tollerata dall'opinione pubblica internazionale. L'orrore della Shoah sembra nascondere con le sue tenebre la storia della nabka, la violenza perpetrata ai danni di questo popolo arabo, chiamato a pagare le colpe degli europei. Migliaia di pagine sono state scritte dall'Onu a proposito della tragedia palestinese ma si direbbe che nessuno le abbia mai lette. Perche' tacerlo? Il nostro razzismo non e' soltanto un'infamia che ha massacrato per secoli il popolo ebraico, il nostro antisemitismo continua a stravolgere anche la nostra visuale di quell'altro popolo semitico che e' il popolo arabo. Non dobbiamo dimenticarlo: noi italiani siamo stati colonialisti e del colonialismo abbiamo conservato la capacita' di velenoso disprezzo per i non-europei. Gli arabi come gente primordiale, insensata, feroce, ignorante, sporca: questi cliches appartengono alla cultura di noi vecchi ma sono passati anche ai nostri figli. E chi e' riuscito a evadere dall'infamia dell'antiebraismo ha finito ben presto per pensare Israele come avamposto della civilta' occidentale nel Medio Oriente islamico... Una gran parte dei mass-media mondiali siano apertamente schierati "a favore di Israele". Film come "Exodus", tanto per fare un esempio, hanno immensamente giovato a Israele, illuminando di una luce sacrale, di epopea politica e religiosa la creazione di un nuovo stato, rifugio per un popolo ma dannazione per un altro. Lo so bene perche' io stesso ho condiviso questa acritica esaltazione... fino a che sono andato in Israele. * E' quasi incredibile la mancanza di informazioni sulla Palestina che connota il Nord della Terra e l'Italia in particolare. In buona parte si tratta di scelta consapevole: inutile sapere, i palestinesi sono un popolo di serie B. Posso - e voglio - dare una testimonianza in proposito. Nel 1991 ero presidente del Comitato della Camera per i diritti umani e, su invito dell'agenzia dell'Onu, guidai una delegazione parlamentare a visitare i campi profughi dei territori occupati. Nella delegazione erano rappresentati il Pci, il Psi, la Dc, l'Msi e Democrazia Proletaria. Compimmo la nostra missione con (oso dire) grande scrupolo, incontrammo le autorita' israeliane e gli organismi non-governativi che si occupavano dei diritti umani, e visitammo uno ad uno tutti i campi. Compilammo poi una relazione unitaria da distribuire ai mass-media. Il presidente della Commissione Esteri della Camera, Flaminio Piccoli, presiedette la conferenza stampa... Ho detto male: non presiedette la conferenza stampa, la conferenza non ci fu: non uno (uno) delle decine di giornalisti parlamentari si fece vivo. Peggio ancora: non solo mancanza di informazione ma propaganda di odio. In quell'epoca, Marco Pannella accuso' l'Intifada di ogni crimine. Nei campi profughi i militari israeliani avevano ucciso alcuni bambini palestinesi: nella sua abituale esagitazione filoisraeliana, il leader radicale arrivo' a gridare nell'aula di Montecitoro che c'era qualcuno che aveva spinto quei piccoli contro i soldati "per avere ogni sera un bollettino sanguinoso da esibire". Quando, nel corso di una trasmissione da Costanzo, gli contestai quell'infamia, Pannella disse che "anche in Francia, se la polizia spara alle gambe dei dimostranti puo' colpire dei bambini". Se e dove la polizia francese avesse ucciso dei bambini, Pannella non lo disse. Si', e' difficile mantenersi freddi nel valutare la tragedia dell'occupazione dei territori palestinesi. La missione parlamentare da me presieduta firmo' allora una relazione in cui si dichiarava che Israele violava costantemente i diritti umani della popolazione. Certamente, crimini venivano commessi anche dai palestinesi, soprattutto nei confronti dei "collaborazionisti". Ma si poteva e si doveva dire che lo status dell'occupazione negava ogni stato di diritto. Viaggiando allora per i Territori ci imbattemmo nei segni evidenti della repressione e della rappresaglia: case abbattute dai bulldozer, scuole devastate, bambini incarcerati, uliveti espiantati per costruire strade riservate ai coloni, universita' chiuse a tempo indeterminato, devastazione dei viveri distribuiti dall'Onu, posti di blocco sbarrati per ore ed ore anche alle autoambulanze; e l'uso della tortura. Gli organismi non-governativi ci parlarono, a questo proposito, della nuova tecnica dello "scuotimento": la vittima veniva afferrata per le braccia o per le spalle da un inquisitore particolarmente vigoroso e scrollata furiosamente avanti e indietro, in modo che il cervello "ballasse", per cosi' dire, nella scatola cranica. Ne conseguivano paralisi, tremori permanenti, distorsioni, gravi disturbi nervosi, quando non la morte. * Tutto cio' avveniva sedici anni fa. Da allora l'occupazione e' rimasta e i tentativi di negoziato sono falliti, in parte per insipienza di alcuni capi palestinesi, ma prevalentemente per volonta' del governo di Israele di portare gli avversari all'estenuazione delle loro forze economiche e politiche prima di concedere loro uno stato, destinato cosi' all'inermita', alla mendicita' e all'insignificanza. E non e' retorica dire che il proseguimento dell'occupazione e delle sue tecniche sta operando una vera e propria mutazione antropologica dei due popoli, in senso regressivo. I razzi che Hamas lancia verso le citta' israeliane di Sderot e Ashqelon colpendo alla cieca la popolazione, macchiano la storia della resistenza palestinese. La rappresaglia israeliana (il blocco dei confini della Striscia, con l'affamamento della popolazione e poi le stragi e le devastazioni compiute nelle scorse settimane a Gaza) infangano le bandiere dell'esercito israeliano. Dall'una e dall'altra parte, gli amanti della dignita' umana invecchiano quasi disperando. Notavo qualche mese fa, recensendo L'ultimo comandante di Abraham B. Yehoshua: "Una sorta di sfinimento psicologico e morale pervade questo bel libro di racconti. La perpetuazione della follia medio-orientale e della occupazione delle terre palestinesi genera ormai negli intellettuali israeliani non soltanto un allarme che i politici non hanno raccolto, ma un'accorata malinconia che pervade tutti i rapporti sociali, anche quelli piu' intimamente familiari". Adesso Yehoshua e' venuto in Italia e ha confermato questa desolazione. Nel suo libro appena uscito in italiano con il titolo Fuoco amico compare la figura di un israeliano fuggito in Africa perche' non riesce piu' a sopportare le tensioni e le tragedie che derivano dall'occupazione. Dal canto loro, gli psicologi palestinesi parlano delle perversioni che le violenze generano nei bambini e negli adolescenti: di fronte all'inermita' dei padri e alle umiliazioni che essi subiscono, gli adolescenti finiscono per introiettare come modello virile quello del soldato israeliano; o diventano facile preda dei fondamentalisti. * E' possibile uscire da questa situazione che sembra un cancro della storia in cui viviamo? Certamente non con parvenze di accordi come quello di Annapolis, prontamente sabotato dal governo Olmert e comunque poco piu' che avvio a una pace posticcia. Soltanto una profonda mutazione dell'opinione pubblica mondiale puo' portare i Grandi a gettare la maschera di una falsa diplomazia: a garantire insieme la sicurezza di Israele e il ristabilimento dei diritti dei palestinesi a vivere in piena liberta'. Come dice John Dugard, Commissario speciale dell'Onu sulla situazione dei diritti umani in Palestina, "I territori occupati palestinesi hanno una speciale importanza per il futuro dei diritti umani nel mondo. Non ci sono altri casi di regimi occidentali che negano il diritto all'autodeterminazione ed ai diritti umani ad un popolo in via di sviluppo e che lo fanno per cosi' tanto tempo. Questo spiega perche' i Territori Occupati sono diventati un test per l'Occidente. Se l'Occidente, che e' assurto a guida nella promozione dei diritti umani nel mondo, non dimostrera' un reale impegno per i diritti umani palestinesi, l'intero movimento internazionale per i diritti umani, che puo' rivendicare grandi successi nella comunita' internazionale negli ultimi 60 anni, sara' messo in pericolo". Queste parole riguardano anche noi, perche' il silenzio e l'inerzia sono complicita'. E allora, io credo, e' necessario che ciascuno di noi, nei modi che gli sono possibili (politici, culturali, economici) si impegni alla diffusione di una cultura della pace senza pregiudizi. In Israele e in Palestina sono al lavoro, spesso vincendo giorno dopo giorno difficolta' enormi, gruppi, piu' numerosi di quanto i media registrino, di israeliani e di palestinesi che si muovono in fraternita' sui sentieri del dolore e di una eroica speranza. Conoscere questi gruppi significa respirare onesta', tenerezza, forza morale, coraggio, creativita'. Alcuni di essi sono palestinesi, altri israeliani, altri ancora non si definiscono con nomi di nazione. Dobbiamo misurare anche sul rapporto con loro la nostra volonta' di essere protagonisti della storia piuttosto che servi del cinismo di chi vuole decidere per tutti. 4. PROFILI. MARCO MORSELLI: ANDRE' CHOURAQUI [Dal sito www.nostreradici.it riprendiamo il seguente testo di Marco Morselli dal titolo "Chouraqui, cittadino di tre universi abramitici" e il sommario "Per i 90 anni di Chouraqui. Andre' Couraqui: abitante delle tre culture, ebraica, araba e greco-latina; cittadino dei tre universi spirituali abramitici; uomo che incarna la complessita' e la ricchezza del nostro tempo. Il profesor Morselli ricorda i suoi 90 anni". Abbiamo omesso le note. Il testo e' stato scritto prima della scomparsa di Chouraqui il 9 luglio 2007. Marco Morselli, e' docente all'Universita' di Modena e Reggio Emilia, saggista, curatore e commentatore di opere filosofiche e teologiche. Opere di Marco Morselli: I passi del Messia. Per una teologia ebraica del cristianesimo, Marietti, 2007. Nathan Andre' Chouraqui (1917-2007), intellettuale di profondissima cultura, prese parte alla Resistenza, emigrato in Israele fu consigliere personale di Ben Gurion e vicesindaco di Gerusalemme, autore di una giustamente celebrata traduzione in francese della Bibbia in 26 volumi, traduttore e commentatore del Corano, ha dedicato un impegno straordinario al dialogo interreligioso e interculturale tra ebraismo, cristianesimo e islam. Dal sito di Festivaletteratura riprendiamo, con minime modifiche e integrazioni, la seguente notizia biografica: "Andre' Chouraqui e' nato nel 1917 a Ain-Temouchent in Algeria. Ha compiuto gli studi di diritto in Francia, dove ha partecipato attivamente alla Resistenza. Viveva a Gerusalemme dal 1958. E' deceduto il 9 luglio 2007, riposa a Gerusalemme. Nella sua opera letteraria vasta e multiforme, che gli e' valsa importanti riconoscimenti, come la Medaille d'or de la langue francaise, il Prix Renaudot pour Jerusalem, e il Prix international per il dialogo fra gli universi culturali, hanno un posto di particolare rilievo le sue traduzioni in francese della Bibbia ebraica, del Nuovo Testamento e del Corano, testi di cui si e' impegnato a mettere in luce le radici comuni. Sono queste radici ad alimentare in lui la speranza di una composizione delle dispute spesso cruente che hanno diviso e ancora dividono i seguaci delle tre religioni monoteiste, per giungere ad un'umanita' pacificata. A cavallo tra mondo occidentale e orientale, Chouraqui non ha mai ignorato il lato politico della societa': e' stato vicesindaco di Gerusalemme e consigliere del presidente Ben Gurion dal 1959 al 1963. Partendo da posizioni non sempre facili, ha dedicato tutta la sua vita a promuovere il dialogo tra giudaismo, islam e cristianesimo, percio' e' stato chiamato "uomo delle tre culture". Tra le opere di Andre' Chouraqui: Ritorno alle radici, Jaca Book, 1983; Il pensiero ebraico, Queriniana, 1989; Forte come la morte e' l'amore. L'uomo dei tre mondi. Un'autobiografia, San Paolo Edizioni, 1994; Mose'. Viaggio ai confini di un mistero rivelato e di una utopia possibile, Marietti, 1996; Gesu' e Paolo. Figli d'Israele, Qiqajon, 2000; I dieci comandamenti. I doveri dell'uomo nelle tre religioni di Abramo, Mondadori, 2001; Il mio testamento. Il fuoco dell'alleanza, Queriniana, 2002; Storia del giudaismo, Gribaudi, 2002". Cfr. anche il sito: www.Andrechouraqui.com] La lingua ebraica non consente di parlare del volto dell'uomo, ma solo dei suoi volti: la parola panim ha solo il plurale. Chouraqui costituisce un buon esempio di questa verita' linguistica: e' l'uomo dai molti volti, e' africano, europeo, asiatico, e' l'abitante delle tre culture, ebraica, greco-latina e araba, e' il cittadino dei tre universi spirituali abramitici, ebraismo, cristianesimo, islamismo. I suoi tre nomi Natan Andre' Chouraqui indicano colui che e' donato e che dona (in ebraico), l'uomo (in greco) e il saraceno, l'orientale (in arabo). Ha tradotto in francese l'intero corpus delle Scritture abramitiche: la Bibbia ebraica, il Nuovo Testamento e il Corano, nella convinzione che solo la conoscenza integrale dei testi rivelati consente di ascoltare la Chiamata che il Creatore dei cieli e della terra ha inviato e continua ad inviare all'umanita'. E' autore di una trentina di libri, tradotti in venti lingue, e di centinaia di articoli. Tredici titoli sono stati finora tradotti in italiano, tra cui: Il pensiero ebraico; Forte come la morte e' l'amore; Mose'; Gesu' e Paolo figli d'Israele; I dieci comandamenti; Storia del Giudaismo; Il mio testamento. Non sono stati ancora tradotti: Lettre a' un ami chretien; Proces a' Jerusalem; Theodore Herzl, l'inventeur de l'Etat d'Israel; Lettre a' un ami arabe; Jerusalem; L'Etat d'Israel; Histoire des Juifs en Afrique du Nord. * Andre' nasce il 23 del mese di Av dell'anno 5677 (corrispondente all'11 agosto 1917) nella piccola comunita' ebraica di Ain-Temouchent in Algeria, a mezzogiorno di un giorno di Shabbat, nono dei dieci figli di Isaac Chouraqui e Meleha Meyer, entrambi sefarditi. La Shabbat successiva viene circonciso: un nuovo figlio d'Israele e' entrato nell'alleanza di Abramo. Potrebbe essere il Messia o, almeno, deve contribuire alla sua opera, che e' quella di avvicinare i lontani. L'arabo (e il judio-espanol) erano la lingua dei suoi nonni e dei suoi genitori, a casa e con il numeroso clan dei parenti parla dunque arabo, in sinagoga impara l'ebraico e a scuola il francese. All'eta' di 7 anni viene colpito dalla poliomielite. A 11 anni entra come convittore nel liceo francese di Oran: "Di colpo venivo trapiantato in un universo geografico e culturale che non aveva nulla a che vedere con quello che lasciavo. Il mondo arabo in seno al quale ero nato, la' dove i miei antenati erano vissuti per piu' di un millennio, di cui parlavano la lingua, condividevano i costumi, spesso le credenze e talvolta le superstizioni, questo universo cosi' vario e cosi' ricco era completamente sparito per me, come inghiottito da qualche cataclisma, quando mi trasferii dalla rue Pastor di Ain-Temouchent al liceo maschile di Orano". In sette anni, degli eccellenti professori erano riusciti a trasformare gli alunni in perfetti francesini, fieri della propria Patria e del proprio Impero: "I nostri maestri avevano radicalmente eliminato il nostro passato, tanto piu' facilmente poiche' loro stessi non conoscevano nulla di Israele e del giudaismo o degli arabi e dell'Islam". La sua cara Bibbia, mai citata da quei brillanti intellettuali, venne relegata nel magazzino degli oggetti inutili: "Dall'asilo all'esame di Stato, superati tutti i gradi del sistema educativo francese, non credo di aver sentito citare la Bibbia piu' di due o tre volte, e in modo incidentale, a proposito di Galileo o di Voltaire". A 17 anni si reca per la prima volta in Francia, per un'operazione alla gamba malata. Lo assistono due infermiere protestanti, Evelyne e Yvonne, con le quali scopre simultaneamente l'amore e la forma cristiana dell'amore di Dio. Le lettere di Yvonne accompagnano il suo ultimo anno di liceo ad Oran: inizia a studiare filosofia, legge Pascal, Teresa d'Avila, Juan de la Cruz. L'anno dopo la famiglia decide di inviarlo a Parigi per iniziare gli studi di Diritto. Poiche' sull'Europa si stendeva gia' l'ombra del Terzo Reich, egli decide di seguire contemporaneamente anche i corsi dell'"Ecole Rabbinique de France". Gli studi giuridici lo porteranno alla licenza, al diploma di II grado, al dottorato. A volte entra nella Cattedrale di Notre Dame per ascoltare concerti d'organo o per raccogliersi in meditazione silenziosa. Scopre in Europa "le cattedrali, le chiese, la musica sacra, l'arte cristiana, i conventi e i monasteri in cui tanti uomini e tante donne di qualita' pregavano giorno e notte il Dio d'Abramo, d'Isacco, di Giacobbe, il Dio dei miei antenati". Si trova pero' in un vicolo cieco, nel quale era stato spinto dall'antisemitismo algerino, dal laicismo repubblicano, dalla propaganda antiebraica nazista. Neppure le radiosi illuminazioni mistiche di Yvonne lo aiutano, poiche' quello che lei desidera per lui e' la conversione: "Yvonne mi assediava con il suo esempio sconvolgente unito alle piu' radiose e piu' autentiche illuminazioni mistiche che si potessero concepire, con una soluzione: la sparizione del problema, intendo dire dell'ebreo che ero, trasformato in buon cristiano". In quel momento di crisi incontra il pastore Louis Dalliere che gli parla di Israele in termini per lui nuovi: "Credo nella vocazione messianica d'Israele, chiamato, sulle orme di Abramo, ad essere il primo, al centro del Regno del Messia che viene". Egli aveva fondato a Charmes una comunita' che cercava di tornare allo spirito e alle pratiche della Chiesa delle origini. Nel 1971 scrivera': "Noi, le nazioni, non dobbiamo attendere, desiderare, domandare la conversione degli ebrei. Israele e' gia' il figlio di Dio. E' il figlio maggiore della parabola, al quale il Padre dice: 'Figlio mio, tu sei sempre con me e tutto cio' che e' mio e' anche tuo' (Lc 15)". E ancora: "Se Gesu' e' il Cristo, sara' Israele, il figlio primogenito, a fare l'unita' della Chiesa, attorno al solo Dio, invitando tutte le nazioni a salire a Sion". Chouraqui scopre un nuovo Israele attraverso gli occhi di un cristiano: il suo ebraismo non era un inutile retaggio di cui vergognarsi e liberarsi il piu' velocemente possibile, ma qualcosa che aveva un significato per l'intera umanita'. Questa consapevolezza contribuisce a dargli la forza di entrare nella Resistenza, nascondendo le persone, soprattutto i bambini, in pericolo di essere deportate e procurando loro documenti falsi: "Mi trovavo all'improvviso nel cuore di una tragedia spaventosa. L'immagine che mi facevo dell'Ebreo cambio' bruscamente: non piu' l'Ebreo dei Salmi della mia infanzia, ma il Crocifisso di cui potevo vedere e toccare le piaghe sanguinanti. (...) Uccisi, scherniti, cacciati, braccati, rifiutati, vedevo sfilare ogni giorno davanti a me un popolo martire, ed ero impotente a soccorrerlo". Nel 1939 incontra Colette Boyer, una musicista ammalata di tubercolosi. Viveva alla frontiera della morte e si interessava piu' di quello che si trova al di la' che al di qua del visibile. Dio e la Bibbia erano al centro dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti. Andre' aveva la Torah aperta sul suo tavolo giorno e notte e i suoi studi biblici gli portavano un'illuminazione interiore "di quelle che trasportano gli alumbrados alla soglia dell'estasi". Conoscendolo, Colette inizia a capire l'importanza dell'ebraico per comprendere la Bibbia. Si sposano nel 1940 a Ain-Temouchent, con una cerimonia ebraica che segue di qualche settimana la sua conversione all'ebraismo. Nel 1948 pero' Colette fara' ritorno al cristianesimo, scegliendo la vita contemplativa tra le Piccole sorelle di Gesu'. Morira' nel 1981, tra le sue braccia. Nel 1947 Chouraqui viene nominato Segretario generale aggiunto dell'"Alliance Israelite Universelle", di cui diventa anche lo storiografo. Inizia a compiere lunghi viaggi in Africa e in America per incontrare e ridare fiducia alle comunita' ebraiche. Inizia una collaborazione con Rene' Cassin che durera' per trent'anni. Il 15 novembre 1948 consegue il dottorato in Diritto internazionale discutendo una tesi su La creazione dello Stato d'Israele. Contemporaneamente pubblica la sua traduzione dal giudeo-arabo de I doveri dei cuori di Bahia ibn Paquda (che considera il suo Rabbino, la sua guida spirituale), dei Salmi e del Cantico dei cantici. Nel 1950 sale per la prima volta a Gerusalemme: "Si', la scoperta di Gerusalemme fu per me sconvolgente. Questa citta' offriva un gusto che non avevo mai provato: per la prima volta mi sentivo a casa mia, per la prima volta appartenevo a un Paese il cui suolo non si sarebbe piu' allontanato dai miei piedi". Dal 1950 al 1956 vi ritorna regolarmente, finche' nel 1956 compie la sua alyiah insieme alla sua seconda moglie, Annette Levy. Sara' per tre anni consigliere di David Ben Gurion per il misuy galuyot, l'integrazione delle comunita' provenienti da cento Paesi del mondo, parlanti ottanta lingue diverse, e per otto anni collaboratore di Teddy Kollek, come vicesindaco di Gerusalemme. Nel 1967 e' tra le centinaia di migliaia di pellegrini che sfilano davanti al Muro del Pianto, trasformato in Muro della Gioia, rinnovando una tradizione che era stata interrotta dalla distruzione del Tempio, 1897 anni prima. Fa parte del Consiglio comunale che si reca a far visita al Consiglio comunale della parte araba. Nessuno osa rispondere alla domanda: "Che cosa sarebbe accaduto se i vincitori foste stati voi?". Le barriere tra le due parti vengono levate il 29 giugno a mezzogiorno: "Gerusalemme visse quel giorno una delle ore commoventi della sua storia. Decine di migliaia di arabi invasero la citta' ebraica, mentre la citta' araba vide sfilare nelle sue strade folle ebraiche senza numero: tutti erano spinti dalla curiosita' di vedere o rivedere la parte proibita della citta' della divisione, ciascuno desiderava scoprire il volto della citta' riunificata". E' suonata l'ora della riconciliazione. Chouraqui nel 1957 aveva incontrato Pio XII, che aveva sentito estraneo alle realta' di cui era andato a parlargli. Nel 1963 aveva assistito a San Pietro all'ultima apparizione pubblica di Giovanni XXIII. Nel 1965 era stato invitato alla seduta del Concilio Vaticano II in cui era stata promulgata la Nostra Aetate. Nel 1967 prende parte a una serie di incontri pubblici in dialogo con il cardinale Jean Danielou. Nel 1985 viene ricevuto in udienza privata da Giovanni Paolo II. Chiede che siano stabilite regolari relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e lo Stato d'Israele, invita il papa in Israele e chiede che venga riconosciuta personalita' propria alla Cristianita' di lingua ebraica stabilita in Israele. Nel 1977 viene invitato dal re del Marocco Hassan II. Nella sua qualita' di Comandante dei credenti egli progetta una Conferenza mondiale dei musulmani, dei cristiani e degli ebrei che dovrebbe portare a una conciliazione religiosa della Fraternita' di Abramo. Quanto al problema politico viene discusso il progetto che Chouraqui aveva presentato nella Lettera a un amico arabo: la creazione di uno Stato confederale o federale che associ tre popoli, israeliani, palestinesi e giordani, all'interno dell'intero territorio del Mandato britannico. In quegli stessi anni Chouraqui inizia a collaborare con la "World Conference on Religion and Peace" e in Thailandia, India, Cina, Giappone scopre le religioni orientali, oltre i confini del monoteismo. Gia' Abramo sapeva che il suo Elokim e' unico ma plurale, e un po' provocatoriamente Chouraqui osserva: "Riconoscevo l'universo della Bibbia piu' nei tempietti politeisti o buddhisti dell'Asia che nelle sinagoghe, nelle chiese, nei templi o nelle universita' dell'Occidente". * Testimone della resurrezione di un popolo, della sua lingua, della sua cultura, Chouraqui e' anche portatore e testimone del Nome. Il messaggio contenuto nella Torah non e' che vi e' un solo Dio (il mio, mentre quelli degli altri sono falsi) ma che gli Elokim sono Uno: "Shema Israel, Adonai Elokenu, Adonai Ehad". Le parole si possono tradurre, non i nomi. Eppure nelle quasi duemila traduzioni della Bibbia esistenti il Nome non compare, sostituito dalle innumerevoli divinita' dei Pantheon locali. Il testo che avrebbe dovuto portare la rivelazione del Nome all'umanita' e' divenuto cosi' il ricettacolo di tutti gli idoli. La quarta delle Dieci Parole proclamate da Adonai sul Sinai e': "Non porterai invano il Nome di Adonai Elokim". La vocazione d'Israele "e' consistita nel portare questo Nome verso e contro tutti, fin nelle prigioni e nei forni crematori, da Faraone a Hitler, e appartiene al nostro tempo il dire se cio' sia stato fatto invano". Andre' Chouraqui vive a Yerushalayim [e' deceduto il 9 luglio 2007 - ndr], circondato dall'amore della moglie Annette, dei suoi cinque figli e dei suoi undici nipoti. Le grandi vetrate del suo studio si aprono sul Monte Sion, nella parte della citta' in cui risiedevano gli esseni e i primi noserim. Se il Messia e' ha-meqarew et ha-rehoqim, colui che avvicina i lontani, allora la vita di Chouraqui e' una vita messianica. Biblista piu' che talmudista o cabbalista, Chouraqui accenna appena al tema dell'Alleanza noachide, ritenendo invece che le Dieci Parole siano state proposte all'intera umanita'. Anche se tende ad affrontare in modo poetico piuttosto che teoretico i grandi nodi problematici, va evidenziata l'energia instancabile con la quale egli ha operato per far conoscere Israele alla Cristianita', per la reconnaissance (riconoscimento, riconoscenza, nuova conoscenza) tra i figli di Abramo e per la pace tra tutti i figli di Adamo. Accanto al sionismo culturale di Ahad ha-Am (1856-1927), politico di Theodor Herzl (1860-1904), messianico e religioso di Abraham Kook (1865-1935), il sionismo di Chouraqui potrebbe essere definito messianico e interreligioso, in quanto sottolinea il significato del ritorno a Sion non solo per Israele, ma anche per l'umanita'. Per una umanita' pero' che non si sostituisca, ma riconosca Israele. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 394 del 14 marzo 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Nonviolenza. Femminile plurale. 167
- Next by Date: Nonviolenza. Femminile plurale. 168
- Previous by thread: Nonviolenza. Femminile plurale. 167
- Next by thread: Nonviolenza. Femminile plurale. 168
- Indice: