Nonviolenza. Femminile plurale. 166



==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 166 del 12 marzo 2008

In questo numero:
1. Maria Luisa Boccia: Nella crisi del patriarcato
2. Ida Dominijanni: Prima e oltre
3. Tamar Pitch: Nell'immaginario maschile
4. Diana Sartori: Il messaggio del barrito
5. Chiara Zamboni: Ferite e fantasmi
6. Grazia Zuffa: Tra scienza e ideologia
7. Documentazione disponibile nella rete telematica

1. RIFLESSIONE. MARIA LUISA BOCCIA: NELLA CRISI DEL PATRIARCATO
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 marzo 2008, col titolo "Ma si nasce
ancora da donna" e il sommario "L'embrione autonomo, una creatura della
mente maschile alla fine del patriarcato. Quando salta la soglia fra prima e
dopo la nascita, lo Stato fa da balia al concepito e l'identita' genetica
diventa il certificato dell'individuo".
Maria Luisa Boccia, nata il 20 giugno 1945 a Roma, dove vive, e' attualmente
senatrice della Repubblica. Dal 1974 lavora all'Universita' di  Siena, e
attualmente vi insegna filosofia politica. Dagli anni '60 ha preso parte
alla vita politica del Pci e dei movimenti, avendo la sua prima importante
esperienza nel '68. Deve alla famiglia materna la sua formazione politica
comunista, e al padre, magistrato e liberale, la sua formazione civile,
l'attenzione per l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano. Ad
orientare la sua vita, la sua mente, le sue esperienze, politiche e umane,
e' stato il femminismo. In particolare e' stato il femminismo a motivare e
nutrire l'interesse alla filosofia. La sua pratica tra donne, cominciata nel
1974 a Firenze con il collettivo "Rosa", occupa tuttora il posto centrale
nelle sue attivita', nei suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha dato vita
negli anni a riviste di donne - "Memoria", "Orsaminore",  "Reti" - e a
diverse esperienze di gruppi, dei femminili tra i quali ricordare, oltre al
suo primo collettivo, dove iniziano alcune delle relazioni femminili piu'
profonde e durevoli, "Primo, la liberta'", attivo negli anni della "svolta"
dal Pci al Pds; "Koan", con alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato
dal rifiuto della guerra umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo.
E' stata giornalista,  oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle
attivita' del Centro per la riforma dello Stato, ha fatto parte della
direzione del Pci, poi del Pds, ed ha  concluso questa esperienza politica
nel 1996. Vive da molti anni con Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia,
e non ha figli. Ha scritto articoli, saggi, ed elaborato  moltissimi
interventi, solo in parte pubblicati, per convegni, incontri, iniziative.
Tra i suoi scritti recenti: Percorsi del femminismo, in "Critica marxista"
n. 3, 1981; Aborto, pensando l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne
per i consultori, Storie, menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto,
Roma 1990; L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga,
Milano 1990; con Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione
artificiale, tecniche, fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e
la guerra, in "Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi
mutanti nello scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita'
simbolica, in Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista
centocinquanta anni dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della
liberta', declino della politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in
Ida Dominijanni (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La
differenza politica. Donne e cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002]

Il 30 aprile 1965 la rivista "Life" pubblica in copertina la foto di un
feto, con la didascalia "il dramma della vita prima della nascita". E'
un'immagine divenuta abituale: gli occhi chiusi, il pollice in bocca, il
feto appare collegato ad una massa rosata, la placenta, come ad un
paracadute. Nel 1990 "Life" pubblica la sequenza di foto dei "primi giorni
della creazione". Una serie di cerchi colorati, di diverse dimensioni, di
superficie liscia o ruvida, punteggiati di luci. Senza il commento le
immagini sono un bel disegno astratto. La didascalia annuncia: "Prima c'era
solo un grumo di cellule. Ora e' stato stabilito il contatto. E' un essere
umano al cento per cento". Anche queste immagini sono per noi familiari. Con
la fecondazione in provetta e il congelamento e' divenuto visibile quello
che prima era invisibile. E pero' l'embrione non e' considerato per cio' che
e'. La parola non evoca l'immagine cellulare che le corrisponde; ma quella
del feto, gia' sviluppato, annidato nel corpo materno. La sola che possa
dare verosimiglianza al suo essere umano "al cento per cento". Dunque
vediamo, e valutiamo, le scoperte e possibilita' delle biotecnologie, avendo
nella mente un'immagine di quarant'anni fa. Attorno alla quale si e' avuta,
in anni recenti, una tessitura potente di immaginario collettivo. Del quale
e' protagonista indiscusso e solitario il concepito. Divenuto l'emblema
stesso dell'umanita'. L'individuo e cittadino per eccellenza. Basta guardare
a quel concentrato fantasmatico che e' la legge 40. La pretesa di normare
quello che c'e' prima della nascita si e' tradotta in diritti del tutto
inediti: il diritto a nascere, imponendo alla donna di farsi impiantare
tutti gli embrioni ottenuti in laboratorio; quello ai genitori biologici,
per il divieto di donazione dei gameti; e quello all'intangibilita', per il
divieto di diagnosi pre-natale. Se e' concepito in provetta, l'embrione gode
di uno status privilegiato. Quello che non si puo' garantire in alcun modo
al concepito con il sesso.
La novita' principale e' che tra prima e dopo la nascita non c'e' piu'
soglia. Di senso e, cosi' pare, neppure fisica. Soprattutto non c'e'
distinzione tra il grembo materno e la macchina. Tra dentro e fuori. Il che
vuol dire tra embrione vivo, che cresce e si sviluppa grazie alla madre e
quello in vitro, stadio inerte di cellule, destinate a deperire se non
verranno accolte da una donna. La nascita non e' piu' l'evento inaugurale
dell'esistenza di un essere umano. Del suo esserci nel mondo, tra e con
altri e altre. Lo e' invece il concepimento. Dopo c'e' il susseguirsi di
tappe di un processo indistinto, nel quale tutto e' equiparato. La
gravidanza e' solo un transito, una fase come un'altra dell'avventura della
vita. L'utero, equiparato come organo riproduttivo al seme e all'ovocita, e'
solo un ambiente - un sistema di approvvigionamento - nel quale abita un
individuo indipendente. Lo stesso che ne esce per continuare la sua vita.
Gia' dotato del suo corredo di diritti. Il concepimento extracorporeo offre
una parvenza realistica ad un "ossequio quasi mistico per l'individuo".
Questo e' il non-detto sotteso al discorso bioetico. Da parte liberale come
cattolica. Entrambe poggiano infatti su una presunta evidenza scientifica.
Quella che nell'embrione e' raccolto tutto cio' che l'individuo e' e sara'.
In breve l'identita' genetica e' diventata il fulcro, materiale e simbolico,
dell'individuo. E infatti. Si attribuiscono diritti al non-nato, per
affermare "io sono": chi sono e cosa sono. Un tutto inscindibile di sostanza
e significato. Ma i diritti dell'embrione affermano prima di tutto
l'interesse retrospettivo ad esistere. Ad esorcizzare una paura ancestrale:
tutte e tutti avremmo potuto non nascere per volonta' delle nostre madri. Ma
e' il timore maschile ad aver cercato rimedio nell'indipendenza individuale.
E tuttora vi ricorre. Immaginando di essere separato dalla madre, fin
dall'inizio, si rappresenta le scelte femminili come potenziale violazione
di quell'indipendenza. Ed invoca tutela, dallo Stato e dalle leggi.
L'autonomia dell'embrione dalla madre e', appunto, immaginaria. Senza di lei
l'embrione e' fissato a quello stadio cellulare, finche' non deperisce.
Tutte le sue potenzialita', a cominciare da quelle della vita biologica,
sono affidate all'accoglienza materna. E' la madre che rende effettiva la
sua vita e la sua pensabilita' prima della nascita, dal momento in cui lo
accoglie in se'. I figli della scienza, i bambini venuti dal freddo non
nascono in provetta, sono anche essi nati da donna. L'inevitabile
conseguenza e' che la tutela dell'embrione dipende da lei. Sottratto
all'essere generato da donna il non-nato resta in balia dello Stato che fa
della vita materia giuridica, regolabile fin dall'inizio. Una volta
concentrato il senso dell'essere umano nell'identita' genetica, davvero non
c'e' modo di porre un limite all'invasivita', politica e tecnologica, sul
vivente. Per tutti noi il senso che diamo al fatto di essere al mondo,
dipende dal si' di una donna. Non vi e' etica e neppure sensatezza se si
cancella la madre. Rimuovendo la sola evidenza. Sistematicamente ignorata in
tutte le dispute, piu' o meno colte, su quando inizia la vita e se
l'embrione e' persona. E' questo il limite che la scienza e le tecniche
incontrano. E non puo' non essere il limite per la legge e per l'etica. Gli
uomini pero' continuano a fantasticare di decidere loro se, quando e come si
fanno figli.
E' evidente infatti che il conflitto non e' tra l'embrione e la donna. E'
tra donne incinte da un lato, e uomini, per lo piu', dall'altro in veste di
tutori. E' uno scenario antico che si ripete con modalita' inquietanti e
violente. Non vi e' e non vi sara' tregua finche' si continua a rimuovere la
colpa etica della riduzione della madre a un corpo contenitore della vita.
Per questo non possiamo avere alcuna timidezza verso l'etica della vita.
Perche' l'abuso del concetto di vita genera disorientamento e nasconde
l'incapacita' di assumersi davvero responsabilita' rispetto alla nascita.
Possibile, solo se si riconosce il debito con la madre e l'asimmetria tra i
sessi nel generare. Si nasce ancora da donna. Dovremmo approfittarne di
questo ancora. Rilanciando l'invito di Carla Lonzi ad "approfittare della
differenza". Un intervallo di tempo e simbolico nel quale pensare al
significato da dare al venire al mondo. Per non affidarci ad occhi chiusi
alle false evidenze e ai falsi maestri. Che si nasca da donna fa problema
fin dalle origini della civilta'. E' il fulcro del patriarcato. Non a caso,
e' la sfida piu' alta nella crisi del patriarcato. Approfittare della
differenza vuol dire assumere questa sfida come donne e uomini. Dando
credito alla parola delle donne. E fiducia alla loro autodeterminazione. Non
e' in gioco l'affermazione di un diritto femminile. E' in gioco il senso che
diamo all'esistenza umana, alla corporeita', alle relazioni.

2. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: PRIMA E OLTRE
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 marzo 2008, col titolo "Deliri al
sole, fantasmi in piazza".
Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia
sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale
femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di
liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania
Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005]

Sempre piu' simile a quello di un pranzo della domenica dove ci si ritrova
piu' per convenzione che per piacere, il menu dell'8 marzo offre quest'anno
davvero di tutto. C'e' chi brinda e c'e' chi piange, chi profetizza che il
futuro e' in mani femminili e chi denuncia aria da medioevo, chi conta i
posti conquistati nelle liste elettorali e chi stila il catalogo delle
violenze subite. Svanisce la leggerezza delle mimose nella pesantezza
alternata degli omaggi e delle deprecazioni: fra le salvatrici del mondo
invocate qua e la' e le potenziali assassine maledette dai pro-life, dove
sta la misura dell'immaginario maschile, e dove la realta' dell'esperienza
femminile? La fine del patriarcato fa confusione, e genera mostri. Piu' che
celebrare la giornata delle donne, ci sarebbe da intestarne una alla
Questione Maschile. Quella che si annoda nella crisi esangue della politica
(come scrive l'ultimo "Via Dogana"), quella che risalta nelle urla scomposte
sull'aborto.
In queste pagine la guardiamo da questo secondo versante: un classico, per
cosi' dire. Che ritorna ogni volta, pero', con un arrangiamento diverso.
Stavolta piu' delle altre, perche' stavolta niente e' sussurrato, non ci
sono intenzioni da svelare ne' non detti da scoprire. Sotto il vessillo
della moratoria tutto diventa esplicito e i fantasmi si incarnano e scendono
in piazza: il programma e' primo, tradurre in colpa la liberta' e in
incoscienza la responsabilita' femminile. Secondo, disquisire -
tecnicamente: delirare - di procreazione, natura, embrione, tecnica, norma,
come se le donne non ci fossero, o la parola femminile non contasse (qui
piu' dell'agitazione del "Foglio", che la parola femminile la stravolge e la
combatte, fa scuola il pacato ragionare dei moderati editorialisti del
"Corsera"). Terzo, emanciparsi dal fantasma della madre onnipotente
immaginandosi - tecnicamente: un'allucinazione - come feti autonomi dal
grembo materno. Non e' in programma, invece, "toccare" la 194, e non solo
perche' nessuna forza politica, a sinistra e a destra, puo' permetterselo
senza aprire un baratro verso l'elettorato femminile. Ma perche' non c'e'
uomo, nell'anno di grazia 2007, che rinuncerebbe all'aborto legale, gratuito
e assistito, piu' maschile che femminile essendo da sempre l'uso dell'aborto
come mezzo di controllo delle nascite e di riparazione di una sessualita'
inconsapevole.
Fra una donna, un uomo e un aborto ci sono di mezzo molte e insondabili
cose, imprevisti, fraintendimenti, leggerezze, lapsus, ma di certo c'e' di
mezzo la sessualita'. Che invece e' la grande assente, per parte maschile ma
anche per parte fenmminile, del rumoroso dibattito in corso. Assente non
era, invece, dal dibattito femminista degli anni '70, quando prima che di
regolazione o - meglio - di depenalizzazione dell'aborto, si parlava di
quello che c'e' dietro e intorno a un aborto: conflitto del desiderio,
scacco della relazione, asimmetria fra sessualita' maschile e femminile. In
queste pagine restituiamo quel "prima" a quante sono venute dopo e pensano
che nell'aborto ne vada solo di un diritto in bilico, o per quante si
trincerano dietro la difesa di una legge che non fu un punto d'arrivo ma un
compromesso di transito. Si puo' fare di piu': prima della legge, e oltre.

3. RIFLESSIONE. TAMAR PITCH: NELL'IMMAGINARIO MASCHILE
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 marzo 2008, col titolo "Un posto
all'ombra. Di un immaginario da incubo".
Tamar Pitch, prestigiosa intellettuale, antropologa e sociologa, insegna
sociologia del diritto presso la facolta' di giurisprudenza dell'universita'
di Camerino. Fa parte del comitato scientifico del Progetto citta' sicure
della Regione Emilia Romagna ed e' giudice onorario presso il Tribunale per
i minorenni di Roma. Collabora a numerose riviste italiane e straniere. Tra
le sue opere: La devianza, La Nuova Italia, Firenze 1975; Sociologia
alternativa e nuova sinistra negli Stati Uniti d'America, La Nuova Italia,
Firenze 1977; Responsabilita' limitate. Attori, conflitti, giustizia penale,
Feltrinelli, Milano 1989; (con Franca Faccioli), Senza patente. Una ricerca
sull'intervento penale sulle minorenni a Roma, Franco Angeli, Milano 1989;
AA. VV., Donne in carcere, Feltrinelli, Milano 1992; Un diritto per due. La
costruzione giuridica di genere, sesso e sessualita', Il Saggiatore, Milano
1998; (con Carmine Ventimiglia), Che genere di sicurezza. Donne e uomini in
citta', Franco Angeli, Milano 2001; I diritti fondamentali: differenze
culturali, disuguaglianze sociali, differenza sessuale, Giappichelli, Torino
2004; La societa' della prevenzione, Carocci, Roma 2006]

Oberto Ferri ha rapito e sequestrato Carmen in un luogo segreto e sicuro.
Questo succede dopo che Ferri ha cercato di impedire a Carmen di fare una
vita normale, prima con le buone, promettendole una vita facile e ricca, poi
con le minacce: niente. Carmen, infida, si fa sorprendere a telefonare al
padre che vuole andare a vivere da lui, in poverta', pur di tornare libera
di se'. Di qui gli ultimi (per ora) sviluppi di "Un posto al sole",
telenovela che spesso riesce a mettere il dito sulle piaghe italiane assai
meglio di tutti i talk show. Carmen e' una bella ragazza, buona, brava e
desiderosa di ricominciare la sua carriera di cantante. Purtroppo, pero', e'
incinta: del figlio maggiore morto tragicamente del suddetto Ferri, ricco e
potente imprenditore napoletano, che questo possibile nipote non vuol
perderlo in alcun modo. E' cosi' che, piano piano, Carmen e' ridotta da
Ferri a contenitore del sacro feto di suo figlio morto. O meglio, Ferri
vorrebbe che cosi' fosse, e che cosi' Carmen si comportasse. Ma Carmen,
ahime', e' una donna, che vuole bensi' fortemente questo bambino, ma non
ritiene di dover rinunciare alla sua vita, i suoi desideri, le sue speranze
per comportarsi da bravo e docile contenitore di un feto: e oltretutto pensa
che questo, al feto, non faccia affatto bene. Lei, infatti, si sente
tutt'uno col suo futuro figlio (se ne parla sempre al maschile), e pensa che
star bene con se stessa sia la prima regola per far star bene il feto che
vive in simbiosi con lei. Di qui le crescenti paure di Ferri, le sue ansie,
l'angoscia che perdendo il controllo di Carmen perdera' il figlio di suo
figlio, dunque il suo stesso futuro... e Ferri si comporta di conseguenza,
mettendola sotto chiave in un posto sicuro e segreto.
Ecco un bell'esempio di coerenza maschile, quella coerenza che in coscienza
dovrebbero perseguire Ferrara, Ratzinger e tutti gli altri e altre che
discettano di poveri embrioni uccisi a miliardi, senza che li sfiori il
pensiero che questi embrioni vivono, se vivono, in simbiosi con una donna,
grazie ad una donna. Ossia: se l'aborto e' un omicidio, come dicono, se
l'embrione e' non solo "vita" (che ovvieta'), ma vita umana da tutelare,
allora, oltre a prevedere per l'aborto la pena prevista per l'omicidio,
dovranno darsi da fare per sorvegliare tutte le donne che presumano essere
incinte o in procinto di diventarlo, costringerle a seguire lo stile di vita
giudicato piu' salutare per lo sviluppo dell'embrione. O magari, tout court,
metterle sotto chiave, come Ferri con Carmen. Non se ne esce: o si riconosce
pienamente la responsabilita' femminile in ordine alla procreazione
(responsabilita', non diritto: cosi' abbiamo sempre detto in Italia), o si
trattano le donne come contenitori attuali o virtuali di figli per gli
uomini, e se si rifiutano le si costringa. In futuro, chissa', delle donne
si potra' fare a meno.
In un libretto recente, Henri Atlan dice che arriveremo all'utero
artificiale. Dopotutto, gia' ora gli embrioni si fabbricano in laboratorio,
e i feti sopravvivono in incubatrice sempre piu' prematuri. Che meravigliosa
semplificazione! niente piu' donne con cui avere a che fare, persone
inaffidabili e potenzialmente omicide, che continuano a voler vivere
normalmente anche quando sono incinte. Un bel contenitore senza volonta',
desideri, fantasie, affetti! E infatti per Atlan l'utero artificiale
inaugurera' la fine della lotta tra i sessi e la pace universale. Beh, se
non altro Atlan e "Un posto al sole" ci dicono chiaramente qual e' la posta
in gioco di questo stracciarsi le vesti di alcuni (molti? tutti? quanti
maschi hanno la possibilita' di immaginarsi altro che frutto di un aborto
miracolosamente evitato?) sull'aborto volontario. Il futuro, reale e
simbolico, non sta nelle loro mani, ma in quello di donne-madri vissute come
onnipotenti e capricciose (diceva Amato parecchi anni fa che le donne
abortiscono per far carriera e poter scrivere libri). Un incubo.
Aggiungo un'altra ipotesi, non alternativa. Si sa, tradizionalmente le donne
sono nel pensiero e nell'immaginario maschile la natura, il caos, il
disordine, insomma la complessita'. E che cosa c'e' di piu' complesso di una
donna incinta, una che e' insieme e contemporaneamente due, parte di una
relazione che e' il prototipo di tutte le relazioni, irriducibile alla
semplificazione giuridica e scientifica dominanti? La complessita' va
dominata e/o semplificata, la natura sottomessa, la relazione raccontata
come il rapporto tra una mente ostile, un embrione bisognoso di tutela, e un
Padre (il partner, il medico, lo stato, il papa...) severo e amoroso - verso
l'embrione, si capisce. In tempi poi di catastrofi ecologiche annunciate, a
causa della hubris umana (maschile), la paura di una "natura" che si ribella
e minaccia punizioni collettive favorisce il riversarsi della frenesia di
controllo su quella "natura" che sembra a portata di mano, le donne...

4. RIFLESSIONE. DIANA SARTORI: IL MESSAGGIO DEL BARRITO
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 marzo 2008, col titolo "Maternita' e
potere, pari e patta. La congiura degli eguali".
Diana Sartori e' filosofa e lavora da sempre con la comunita' filosofica
femminile di Diotima; insieme a Barbara Verzini coordina la rivista on-line
di Diotima "Per amore del mondo" (www.diotimafilosofe.it); fa parte anche
della comunita' scientifica femminile "Ipazia". Ha contribuito a vari volumi
collettanei, tra cui: Mettere al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano 1990;
Autorita' scientifica, autorita' femminile, Editori Riuniti, Roma 1992;
Oltre l'uguaglianza, Liguori, Napoli 1995]

Per molte il primo sentimento all'avanzare della recente campagna
sull'aborto e' stato l'incredulita': ancora? ma che anno e'? a volte
ritornano... C'e' chi ne ha ricavato che in questo minaccioso clima
spettrale tocchera' pure rivestirsi da streghe, magari con piu' rabbia, o
disillusione, o persino con un certo senso di conferma: puo' essere di
conforto al senso di identita' riconoscere che i nemici sono sempre gli
stessi. Ma se le stesse cose ritornano, non ritornano mai le stesse, ha
avvertito su queste pagine Ida Dominjanni. Solo che le appariscenti ripetute
fattezze del gia' visto possono abbagliare la vista e impedirci di vedere
quel che di nuovo ci si para davanti. L'elefantino puo' renderci invisibile
il grosso elefante che abbiamo proprio davanti agli occhi. Cosi' alle
risposte che gia' in passato tante volte tante voci femminili hanno scandito
e argomentato chiaro e forte si sono aggiunte delle nuove domande. Che senso
ha il levarsi di questo rinnovato barrito? Perche' risuona? Non e' certo la
querula richiesta di scambio politico di chi lo ha echeggiato a spiegarlo.
Meglio chiedersi quale elefante invisibile lo stia elevando, e cosa vuole.
Che sia un grosso esemplare maschio non c'e' dubbio, come pure che il tono
sia preoccupantemente minaccioso, vendicativo e di proverbiale buona
memoria. E c'e' anche poco da dubitare che ce l'abbia con noi donne, a noi
e' rivolto quell'urlo. Suona di guerra e di riscossa, giusto temerlo e
agguerrirsi, ma si avverte qualcosa di diverso dal solito arrogante grido di
battaglia dell'affermazione di supremazia maschile: se e' il barrito
patriarcale, e' quello di un grosso animale morente. Sempre pericoloso,
forse ancora di piu', e di sicuro va preso sul serio, ma per quello che e' e
non per quello che ormai non e' piu'. Si spiegano allora meglio certe
stranezze nei resoconti di quel che accade (vedi "L'Espresso" del 28
febbraio): le donne sono sempre piu' presenti e importanti eppure sono
attaccate, violentate, la loro liberta' e' messa in discussione.
Quell'eppure va semplicemente letto come quindi, e tutto suona perfettamente
sequenziale nella litania della fine del patriarcato.
Ma se una nuova logica c'e' oltre la ripetizione di un passato che non si
arrende a passare, e' poi una sola? Cosa dice quell'urlo sconnesso e
minaccioso se non e' solo un agito rabbioso? Cosa chiede, cosa vuole?
Vendetta, riconoscimento, magari aiuto? Tutte queste cose insieme,
probabilmente, e forse anche un'altra che e' il sogno di sopravvivenza del
grosso animale della politica post-patriarcale maschile, unico erede per lui
immaginabile del pachiderma morente. Se ormai il vecchio ordine del padre
non fa piu' ordine, se le donne entrano fin nella Casa bianca e se ne vanno
libere dappertutto, e questo non era davvero nei patti della politica
moderna, almeno che siano uguali davvero, che il patto dei pari lo firmino
fino in fondo. Un nuovo scambio nell'ordine della parita', un novello
fratriarcato siglato anche con le donne, uguali sotto la legge. Ma che le
donne un prezzo lo paghino, non pretendano di tenersi la loro differenza e
soprattutto lo scandalo del primato materno, inaccettabile zona franca di
esercizio di liberta' femminile. Per l'entrata nel nuovo patto fraterno, la
castrazione simbolica maschile vuole il suo corrispettivo, l'abdicazione
femminile alla potenza materna e l'abbandono della pretesa di nascere sotto
il segno dell'amore e della liberta' e non della legge.

5. RIFLESSIONE. CHIARA ZAMBONI: FERITE E FANTASMI
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 marzo 2008, col titolo "Ferite e
fantasmi nell'autunno del patriarca" e il sommario "La separazione femminile
degli anni Settanta e il risentimento maschile di oggi. Come inventare i
luoghi e i gesti che mancano per abbassare la guardia della diffidenza e
orientare il conflitto fra i sessi".
Chiara Zamboni e' docente di filosofia del linguaggio all'Universita' di
Verona, partecipa alla comunita' filosofica femminile di "Diotima". Tra le
opere di Chiara Zamboni: Favole e immagini della matematica, Adriatica,
1984; Interrogando la cosa. Riflessioni a partire da Martin Heidegger e
Simone Weil, IPL, 1993; L'azione perfetta, Centro Virginia Woolf, Roma 1994;
La filosofia donna, Demetra, Colognola ai Colli (Vr) 1997; Parole non
consumate. Donne e uomini nel linguaggio, Liguori, Napoli 2001]

L'incredulita' femminile e' il sentimento predominante: ma come, perche'
questi attacchi alle donne uno dopo l'altro nel girare dei mesi? Non
soltanto i tentativi di revisione della legge 194, ne' solo la legge sulla
procreazione assistita, ma soprattutto quei discorsi che tendono a fare
della madre un grembo di transito, puro corpo, e ad instillare sensi di
colpa nelle donne.
Sta cambiando il simbolico, velocemente, e a questa trasformazione non e'
estraneo il dibattito sulla violenza contro le donne. Apprezzabile e nuovo
il gesto di uomini che si sono assunti il compito di interrogare la violenza
maschile, prendendone le distanze con gesti pubblici, a partire da se',
dalla propria inclinazione alla violenza, dal "piccolo camionista che e' in
noi", figura dell'immaginario di molti di loro. Gesti significativi di
questi pochi uomini che permettono di mantenere aperta una porta, una
fessura, all'interno di un simbolico che sta rovinosamente scivolando, da
parte maschile, verso forme di espulsione delle donne come soggetti di
pensiero e di desiderio.
Alcune paure e il senso di colpa sono strumenti del simbolico dominante, che
oggi tende al controllo piu' che alla repressione. Nel nostro caso, la paura
femminile di essere infastidita pesantemente per strada e il senso di colpa
per non fare tutto quel che e' richiesto per il bene della vita. Le
invenzioni tecnologiche come al solito corrono in aiuto. Sembra che le donne
possano portarsi appresso d'ora in poi uno strumento di richiamo a distanza
da attivare velocemente in caso di difficolta'. Rosa ovviamente. Per fortuna
sono in aumento dappertutto le cineprese che controllano le vie delle nostre
citta'. Cosi', capitasse qualcosa, e' tutto filmato e in memoria di
microchips. Tutto visibile.
E la vita? La vita, a cui le donne hanno da sempre contribuito con la loro
capacita' di mettere al mondo, di aiutare le persone che si avvicinano alla
morte, e' diventata un oggetto tecnologico. E cosi' si e' trasformata in un
bene prodotto, storico, riducibile a manipolazione. Se negli anni '80 ancora
si parlava di bambino e di madre, gia' negli anni '90 si e' incominciato a
parlare solo di vita. E della morte come di uno scacco, una sconfitta in
questa crociata per la vita. Uno scacco utile, semmai, per salvare nuove
vite adoperando gli organi rimasti. Una espulsione simbolica della morte
vera e propria. Se l'immaginario del '900 era segnato dalla morte, questo
d'inizio secolo e' segnato dalla vita come oggetto astratto e manipolabile.
In questo slittamento simbolico le donne scompaiono come soggetti di
pensiero, capaci di relazionarsi simbolicamente alla vita. Ridotte a grembo
di passaggio e corpo violabile. Colpo di coda del patriarcato? No, la
situazione e' molto piu' ambigua. Confusione maschile di fronte a un
"pianeta donna" sempre meno comprensibile e sempre piu' sfuggente.
Possibilita', data dalla scienza, di saltare l'elaborazione del proprio
desiderio e poter stare in un rapporto "neutro" con il corpo femminile,
evitando contraddizioni e vera conoscenza di se'. Fallimento della
democrazia come ultimo "dono" dei fratelli ormai senza padre alle sorelle:
nei tempi lunghi si e' dimostrata una offerta finta, non autenticamente
elaborata, senza un discorso vincolante dentro e fuori di se'.
Colpo di coda del risentimento? Questo si', piuttosto. Dato da una vera
impasse comunicativa tra donne e uomini, che ha radici lontane. Negli anni
'70, il movimento politico delle donne ha messo in atto una separazione
simbolica dagli uomini: il trovarsi tra sole donne ci ha dato la
possibilita' di interrogare autonomamente il desiderio femminile. Si e'
trattato di una pratica necessaria, che ha messo al mondo forme nuove di
esistenza femminile e ha obbligato gli uomini a fare un passo indietro, a
doversi sentire una parte, una parzialita' sessuata. Non tutti l'hanno
saputo fare. Molti sono rimasti feriti. Molti non hanno neppure capito,
sentendo solo che qualcosa gli veniva scippato. Si sa, le pratiche hanno una
loro storia, che dura il tempo della loro efficacia. Gia' un decennio dopo,
guadagnata l'autonomia cercata, il separatismo non aveva piu' senso nella
sua forma iniziale. Poteva essere praticato qualche volta accanto ad altre
pratiche trovate via via dalle donne in un rapporto creativo con il contesto
storico. Ma la mia impressione e' che il muro che si era innalzato tra donne
e uomini, da allora sia rimasto in piedi, ben oltre la necessita' di una
pratica elaborata per una contingenza precisa. Che sia diventato costume. E
se la lacerazione era avvenuta a livello pubblico, non potevano essere
sufficienti le cuciture all'interno di singoli rapporti di coppia o di
amicizia per superarla. L'effetto di questo muro non agisce solo negli
uomini, ma anche in molte donne scisse tra un desiderio di amore e una
disattenzione all'altro.
La soluzione non puo' venire oggi che da una nuova invenzione pubblica,
simbolica, che questa volta coinvolga assieme donne e uomini. Ci sono gia'
in Italia gruppi di riflessione, di autocoscienza potrei dire, che
costruiscono luoghi di scambio per interrogarsi sulla differenza femminile e
maschile. Sono gruppi con un intento politico, nei quali puo' circolare
amicizia e si puo' riannodare una fiducia che storicamente e' venuta meno
fra donne e uomini. Una fiducia elementare, quella per la quale - come dice
Simone Weil - ci aspettiamo dall'altro del bene e non del male. Fides, fede
nell'essere, filo che orienta il desiderio di incontro, di scontro, di
conflitto e di vero pensiero. Si tratta di trovare e sperimentare nuove
forme di autoregolazione dei legami sociali. Dove la misura politica possa
essere decantata dal risentimento maschile.

6. RIFLESSIONE. GRAZIA ZUFFA: TRA SCIENZA E IDEOLOGIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 marzo 2008, col titolo "Ricettario
bioetico contro il senso comune" e il sommario "La paura della madre
mortifera e la consacrazione del medico a tutore della vita dei prematuri
con l'aiuto salvifico delle nuove tecnologie: una singolare commistione tra
scienza e ideologia negli atti licenziati dal Cnb nel suo primo anno di
vita".
Grazia Zuffa fa parte del Comitato nazionale di bioetica, psicologa,
senatrice per due legislature, nel 1990 presento' un disegno di legge sulle
tecnologie della riproduzione artificiale; si occupa da anni di teoria e
politica femminista, con particolar riguardo ai temi della sessualita' e
della procreazione; direttrice del mensile "Fuoriluogo", autrice di molti
saggi, ha collaborato tra l'altro a: Il tempo della maternita', 1993; Franca
Pizzini, Lia Lombardi (a cura di), Madre provetta, Angeli, Milano 1994; con
Maria Luisa Boccia ha scritto L'eclissi della madre, Pratiche, Milano 1998]

Il documento sulle cure ai neonati prematuri, licenziato il 29 febbraio, e'
l'atto piu' rilevante del Comitato nazionale di bioetica (in sigla: Cnb)
insediato dal governo Prodi, nel suo primo anno di vita.
C'e' un altro parere che il Cnb ha licenziato in questo lasso di tempo:
quello sugli embrioni non impiantabili nell'utero materno, e dunque
destinati a non nascere, che potrebbero essere devoluti alla ricerca. Tema
importante quanto arduo, che interseca anche questioni normative (un certo
numero di questi embrioni esiste, nonostante l'obbligo di impianto di tutti
gli embrioni prodotti previsto dalla legge 40, che vieta comunque la
ricerca). Forse proprio la complessita', insieme al carattere discorsivo del
testo, attento alla pluralita' degli approcci etici in campo, ne ha limitato
l'impatto sull'opinione pubblica.
Invece, il parere sui prematuri, espressione - e' bene ricordarlo - di una
parte, seppur maggioritaria, del Comitato, ha fatto irruzione sulla scena
mediatica al traino di un vivace dibattito sui limiti da imporre all'aborto
in ragione delle nuove possibilita' di sopravvivenza dei neonati molto
prematuri. Il documento non si sottrae a questo collegamento, caro all'ala
cattolica piu' estremista, anzi: si legga in proposito la premessa ove si
esprime l'intento di precisare e sviluppare la riflessione "anche per quel
che concerne le complesse questioni che sorgono quando venga richiesto, nel
rispetto delle disposizioni della legge 194, un aborto a carico di un feto
che abbia possibilita' di vita autonoma al di fuori dell'utero materno".
Come dire che questo parere e' solo un assaggio, in vista di un'offensiva di
lunga lena. Un assaggio gia' consistente, visto che anche nel dispositivo si
raccomanda "un profondo ripensamento in ordine alle modalita' comunemente
usate per le pratiche di aborto tardivo, che, a norma della legge 194...
vanno poste in essere in modo da salvaguardare in ogni caso e in ogni
circostanza la possibilita' di vita del feto al di fuori dell'utero
materno".
Gia' ho detto della pretestuosita' del cosiddetto ripensamento ("Il
manifesto", primo marzo 2008). E appare singolare che non si ricordi mai il
carattere straordinario dell'interruzione di gravidanza in caso di vita
autonoma del feto, circoscritta ai casi di "grave pericolo della vita della
donna". In passato il problema non si e' mai posto e il numero di questi
aborti e' cosi' limitato che neppure sono citati fra i dati offerti dalle
tante relazioni al parlamento, presentate nel corso di trent'anni dai
governi di ogni segno e ogni colore. Neppure esiste un problema di "corretta
applicazione della legge", formula che vive un momento di fortuna bipartisan
nel dibattito politico e che anche il documento pare assecondare, coi
ripetuti riferimenti al "rispetto della 194". No, la partita odierna non si
gioca sulla legge, almeno in prima battuta. Piu' insidiosamente, la 194 e'
evocata in chiave simbolica, a rappresentare oggi la nascita, dopo la
gravidanza, quale terreno del conflitto, terribile e insanabile, fra la
madre e il nascituro: dall'embrione "uno di noi" fino al feto che puo'
vivere senza di lei, a patto che sia sottratto alla di lei volonta' maligna.
Non c'e' purtroppo alcuna enfasi retorica, basti vedere l'incredibile
interpretazione che il documento del Cnb offre della stessa norma che
richiama il medico al dovere di "adottare ogni misura idonea a salvaguardare
il feto". L'intenzione del legislatore e' chiara: si chiede di fare il
possibile per salvare anche il bambino che non puo' proseguire la vita
intrauterina, perche' la madre non puo' portare avanti la gravidanza.
Invece, nel testo in questione l'articolo e' letto in chiave di investitura
del medico a difendere il feto e a sottrarlo alla madre "che desiderando
interrompere la gravidanza si rende disponibile alla morte del feto" (sic!).
E ancora, in un crescendo: "l'obbligo del medico e' previsto dalla legge
sull'aborto proprio per escludere che la volonta' della persona che ha
deciso per l'interruzione di gravidanza possa ottenere un riconoscimento e
produrre effetti anche come volonta' orientata alla soppressione della vita
fetale".
Sono passaggi altamente evocativi, nella loro impudenza: torna in mente
l'immagine del "parto dell'uomo", felicemente coniata da Nadia Filippini
nella ricostruzione simbolica del parto cesareo; ed e' fin troppo facile
intravedere sullo sfondo il vero conflitto terribile, quello fra uomini e
donne, quello degli uomini contro le donne, per il controllo della
procreazione. Il conflitto che di continuo si rigenera, peggio dell'Idra di
Lerna. Dunque la 194 consacrerebbe il medico a rappresentare il nascituro,
con l'aiuto salvifico delle tecnologie; lo stesso medico che e' chiamato a
tutelare la vita quando deve assistere un bambino prematuro, anche contro il
parere dei genitori. La paura della madre mortifera proietta la sua ombra di
diffidenza anche sui genitori del bambino che ha avuto la sfortuna di venire
alla luce prima del tempo. Piu' alla radice, l'imperativo assoluto di
"salvaguardare la Vita" non tollera limitazioni al potere di chi e'
investito della missione. La singolare commistione di ideologia e scienza
rischia di idealizzare le tecniche e di attribuire al medico un'autorita'
morale nella manipolazione dei corpi. Niente a che vedere col vecchio
paternalismo della medicina, piuttosto si risveglia l'incubo della macchina
che si impossessa del vivente, e lo imprigiona in nome di un Bene che lo
trascende.
Ho analizzato puntualmente il documento, perche' risalti il suo carattere
"di parte", oltre che per il modo con cui e' stato votato. Nel Comitato e'
sempre stata presente la dialettica fra chi (come la sottoscritta) pensa a
questo organismo come luogo di confronto fra diverse sensibilita', alla
ricerca di mediazioni che non cancellino le differenze; e chi privilegia il
momento della prescrizione di un orientamento etico. Fra chi e' attento al
senso comune e chi guarda alle istituzioni e alla produzione di norme. Oggi
il confronto fra queste due anime si fa piu' aspro, perche' l'etica e'
investita in pieno dalla crisi della politica, giunta alla stretta
terminale. Da un lato i temi "eticamente sensibili" precipitano nell'agone
politico chiedendo che "si prenda partito" in merito (dalle formazioni
teomilitanti fino alla lista elettorale Pro Vita); dall'altro, sbiadisce
l'idea stessa di un discorso pubblico sui temi importanti del vivere civile
altro dalla norma statale e libero dall'assillo della decisione. Perfino il
ritornello elettorale sul "voto utile", ci parla della sempre piu' stretta
identificazione fra politica e potere e dell'implicito disprezzo per cio'
che ne resta fuori.
Queste riflessioni non assolvono chi cerca nel Cnb una cassa di risonanza
per le proprie posizioni, possono pero' offrire qualche spunto per capire la
crisi che esso sta attraversando.

7. MATERIALI. DOCUMENTAZIONE DISPONIBILE NELLA RETE TELEMATICA
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 marzo 2008, col titolo "In rete"]

Un dossier aggiornato di articoli sulla questione dell'aborto si trova nel
sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it),
curato da Laura Colombo e Sara Gandini: fra gli altri, alcuni articoli di
Luisa Muraro sulla ritornante "pantomima maschile" sull'aborto, e di Clara
Jourdan, "Il si' della donna non si puo' saltare". Altrettanto ricco il
dossier sulla 194 e sulla legge 40 consultabile nel sito della Libera
universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) insieme a un
altro su parto e maternita': molti gli interventi, di oggi e del passato, di
Lea Melandri. Su DeA - Donne e altri (www.donnealtri.it) tutta la
documentazione delle recenti polemiche sulla moratoria antiaborto proposta
dal "Foglio" (www.ilfoglio.it), con articoli di Letizia Paolozzi, Franca
Chiaromonte, Bia Sarasini, Alberto Leiss, Franca Fossati e altri. Nel sito
del Ministero della salute www.ministerodellasalute.it l'ultima Relazione
del ministro sull'attuazione della 194... Per i documenti del Comitato
nazionale di bioetica, l'indirizzo e' quello di Palazzo Chigi:
www.palazzochigi.it

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 166 del 12 marzo 2008

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it