Minime. 391



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 391 dell'11 marzo 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Un riconoscimento ad Anna Puglisi
2. Anna e Umberto
3. Paolo Rumiz colloquia con Serge Latouche sulla decrescita
4. Ugo Mattei: Alcune note critiche sulla nozione di "sviluppo"
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. BUONE NUOVE. UN RICONOSCIMENTO AD ANNA PUGLISI
[Dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo (per
contatti: via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax:
0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it) riceviamo e
diffondiamo questa bella notizia.
Anna Puglisi, prestigiosa studiosa e militante antimafia, e' impegnata
nell'esperienza del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato"
di cui e' una delle fondatrici. Tra le opere di Anna Puglisi: con Umberto
Santino (a cura di), La mafia in casa mia, intervista a Felicia Bartolotta
Impastato, La Luna, Palermo 1986; con Antonia Cascio (a cura di), Con e
contro. Le donne nell'organizzazione mafiosa e nella lotta antimafia, Centro
siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 1988; Sole contro la
mafia, La Luna, Palermo 1990; Donne, mafia e antimafia, Centro Impastato,
Palermo 1998, Di Girolamo, Trapani 2005; con Umberto Santino (a cura di),
Cara Felicia. A Felicia Bartolotta Impastato, Centro siciliano di
documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2005; Storie di donne. Antonietta
Renda, Giovanna Terranova, Camilla Giaccone raccontano la loro vita, Di
Girolamo, Trapani 2007; (con Umberto Santino), L'agenda dell'antimafia 2008,
Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2007]

L'8 marzo 2008, in occasione della Giornata internazionale della donna,
dedicata alle donne per la democrazia, a 60 anni dalla Costituzione della
Repubblica Italiana e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, il
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito ad Anna Puglisi
l'onorificenza di Commendatore dell'ordine al merito della Repubblica
Italiana, con la seguente motivazione: "Con i suoi studi e la sua attivita'
di raccolta di testimonianze di vita, svolta soprattutto attraverso il
Centro Siciliano di Documentazione intitolato a Giuseppe Impastato, ha
valorizzato il contributo delle donne nella mobilitazione antimafia".

2. EDITORIALE. ANNA E UMBERTO

E' impossibile misurare la grandezza del debito che l'intero movimento
antimafia ha nei confronti di Anna Puglisi ed Umberto Santino, gli animatori
da sempre del Centro Impastato, gli studiosi che hanno dato in assoluto il
maggior contributo teorico e pratico alla lotta contro i poteri criminali,
con le loro ricerche, le loro analisi, le loro opere scientifiche (ad un
tempo storiche  e progettuali, sociologiche e di umano profondo ascolto,
documentarie ed ermeneutiche, mai riduzioniste ma sempre capaci di
ricondurre ad un'intellezione ad un tempo complessa e unitaria cio' che
appariva disperso ed opaco - e non vi e' dubbio che l'elaborazione e la
verifica del "paradigma della complessita'" costituisca un contributo
fondamentale sul piano degli studi come su quello operativo); con
l'incessante promozione di iniziative con una generosissima disponibilita'
all'impegno in prima persona; con l'immensa raccolta di documentazione e la
capacita' di una lettura critica sempre acuta, mai superficiale o banalmente
omologante, ma sempre disvelatrice di nessi decisivi; con il rigore morale e
intellettuale, la lucidita' politica, la passione umana, la capacita' di
ascolto e quella di parola. Enorme e' il loro contributo, ed enorme quindi
il debito che il movimento antimafia ha verso di loro.
E dicendo che enorme e' il debito del movimento antimafia ne consegue che
enorme e' il debito e quindi la gratitudine di ogni persona di volonta'
buona e di retto sentire, di ogni persona amica dell'umanita'. Ed a maggior
ragione di ogni persona amica della nonviolenza.
Che l'8 marzo 2008 la Repubblica italiana abbia attribuito ad Anna Puglisi
un riconoscimento pubblico e solenne del valore del suo lavoro, e' cosa che
non degnifica Anna la cui luminosita' era gia' nota a chiunque si fosse
impegnato almeno una volta nella vita contro i poteri criminali, ma la
Repubblica italiana - che finalmente ha saputo riconoscere la qualita' del
suo operato di studiosa e di militante, di donna capace di porsi all'ascolto
della voce delle donne (e in un ambito in cui il sentire e il pensare e il
parlare delle donne e' vieppiu' decisivo), il contributo che la sua figura e
la sua azione hanno recato alla vita civile, all'umanita' in cammino.
E ad Anna, e a Umberto che da sempre e' suo compagno d'impegno e di vita, in
questa circostanza felice giunga modesta e sommessa anche la nostra voce a
porgere, come prescrive l'etichetta, rallegramenti vivissimi - ovvero un
abbraccio forte e gioioso, di gratitudine grande e di amicizia sincera.
E adesso al lavoro, che la lotta continua.

3. RIFLESSIONE. PAOLO RUMIZ COLLOQUIA CON SERGE LATOUCHE SULLA DECRESCITA
[Dal sito del quotidiano "La Repubblica" riprendiamo il seguente articolo
del 24 febbraio 2008, dal titolo "Decrescita: Latouche, la felicita' con
meno"
Paolo Rumiz, nato a Trieste nel 1947, giornalista, inviato ed editorialista
del quotidiano "La Repubblica", a lungo inviato speciale del quotidiano
triestino "Il Piccolo", esperto del tema delle Heimat e delle identita' in
Italia e in Europa,, dal 1986 ha seguito gli eventi dell'area
balcanico-danubiana; ha ricevuto il premio Hemingway nel 1993 per i suoi
servizi dalla Bosnia e il premio Max David nel 1994 come migliore inviato
italiano dell'anno. Opere di Paolo Rumiz: (con Carlo Cerchioli),
Fotoreporter italiani nell'ex Jugoslavia, Petruzzi; Danubio. Storie di una
nuova Europa, Studio Tesi, 1990; La linea dei mirtilli. Storie dentro la
storia di un paese che non c'e' piu', Editori Riuniti 1993, 1997; Vento di
terra. Istria e Fiume, appunti di viaggio tra i Balcani e il Mediterraneo,
Mgs Press, 1994; Maschere per un massacro, Quello che non abbiamo voluto
sapere della guerra in Jugoslavia, Editori Riuniti 1996, 1999; La secessione
leggera, Dove nasce la rabbia del profondo Nord, Editori Riuniti, Roma 1997,
Feltrinelli, Milano 2001; (con Francesco Tullio Altan), Tre uomini in
bicicletta, Feltrinelli, Milano 2002; Est, Feltrinelli, Milano 2003; E'
oriente, Feltrinelli, Milano 2003, 2005; (con Monika Bulaj), Gerusalemme
perduta, Frassinelli 2005; La leggenda dei monti naviganti, Feltrinelli,
Milano 2007.
Serge Latouche, docente universitario a Parigi, sociologo dell'economia ed
epistemologo delle scienze umane, antropologo, esperto di rapporti economici
e culturali Nord/Sud, promotre del Mauss (Movimento antiutilitarista nelle
scienze sociali), propotore della rpoposta della decrescita, e' una delle
figure piu' significative dell'odierno impegno per i diritti dell'umanita' e
la difesa della biosfera. Opere di Serge Latouche: L'occidentalizzazione del
mondo, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Il pianeta dei naufraghi, Bollati
Boringhieri, Torino 1993; I profeti sconfessati. Lo sviluppo e la
deculturazione, La Meridiana, Molfetta (Bari) 1995; La megamacchina. Ragione
tecnoscientifica, ragione economica e mito del progresso, Bollati
Boringhieri, Torino 1995; Il pianeta uniforme. Significato, portata e limiti
dell'occidentalizzazione del mondo, Paravia, Torino 1997; L'altra Africa.
Tra dono e mercato, Bollati Boringhieri, Torino 1997, 2000; Il mondo ridotto
a mercato, Edizioni Lavoro, Roma 2000; La sfida di Minerva. Razionalita'
occidentale e ragione mediterranea, Bollati Boringhieri, Torino 2000;
L'invenzione dell'economia. L'artificio culturale della naturalita' del
mercato, Arianna Editrice, 2001; La fine del sogno occidentale. Saggio
sull'americanizzazione del mondo, Eleuthera, Milano 2002; Giustizia senza
limiti. La sfida dell'etica in una economia globalizzata, Bollati
Boringhieri, Torino 2003; Il ritorno dell'etnocentrismo, Bollati
Boringhieri, Torino 2003; Altri mondi, altre menti, altrimenti. Oikonomia
vernacolare e societa' conviviale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004;
Decolonizzare l'immaginario. Il pensiero creativo contro l'economia
dell'assurdo, Emi, Bologna 2004; Come sopravvivere allo sviluppo. Dalla
decolonizzazione dell'immaginario economico alla costruzione di una societa'
alternativa, Bollati Boringhieri, Torino 2005; La scommessa della
decrescita, Feltrinelli, Milano 2007. Cfr. anche il libro-intervista curato
da Antonio Torrenzano, Immaginare il nuovo. Mutamenti sociali,
globalizzazione, interdipendenza Nord-Sud, L'Harmattan Italia, Torino 2000]

Attenti, c'e' una parola nuova in orbita. Ha solo sei anni, gli stessi
dell'emergenza terrorismo. E' stata lanciata quasi per caso nel marzo del
2002, a un incontro dell'Unesco a Parigi. Oggi vola alta, indica una rotta
luminosa in un caos di disastri, surriscaldamenti climatici, emergenze
immondizie, epidemie. Il suo nome e' "decrescita", e pare abbia un grande
effetto pedagogico e liberatorio. Mobilita, diventa passepartout, propizia
il contatto fra nuclei di resistenza, costruisce reti. Il suo scopo e'
rallentare, offrire alternative credibili alla tirannia dello spreco. Il suo
slogan: vivere con meno e' facile. Persino divertente.
Nome Serge, cognome Latouche, nazionalita' francese. Il profeta del nuovo
verbo globale vive tra Parigi e una vecchia casa in pietra rimessa a posto
con le sue mani sui Pirenei Orientali, sotto il Pic Canigou, l'ultimo
"paracarro" prima del grande ammaraggio dei monti nel Mediterraneo. Si
sposta rigorosamente in treno e spende molto del suo tempo in giro per
l'Europa a organizzare le pattuglie disperse del consumo virtuoso.
Affascina, racconta, scrive pamphlet, fustiga l'economia globalizzata e la
sciagurata "teologia del Pil". Insiste, soprattutto, sul lato "conviviale"
di un'austerit" intelligente.
Gia' in treno, andando da lui, la diga si rompe. Appoggio un suo libro sul
tavolinetto - titolo Come sopravvivere allo sviluppo - e i vicini di
scompartimento si avvicinano, come attirati da una calamita. Pendolari
trentenni, titolari di lavoro precario. Chiedono di dare un'occhiata,
leggono avidamente. Dentro c'e' scritto che il collasso e' questione di
trent'anni. Diecimila giorni, roba da conto alla rovescia. Il petrolio si
esaurisce, gli oceani si innalzano, centinaia di milioni di uomini dovranno
spostarsi, il clima impazzisce, l'aria si avvelena, la sterilita' maschile
aumenta anno dopo anno. Tutto converge verso la stessa "deadline", il 2030 o
giu' di li'.
I pendolari insistono, chiedono chi sia Latouche, vogliono sapere di lui,
danno inizio a una discussione. Sono bastate poche righe di quel libro a
svelare la paura sommersa piu' diffusa degli italiani. "Macche'
criminalita'", dicono, "ci parlano di zingari e rumeni per non farci
riflettere seriamente su queste cose". Hanno mangiato la foglia, ma non si
accontentano di un megafono di protesta. Cercano una guida, qualcuno capace
di rassicurare e tirarli fuori dal vicolo cieco. Chiedono soprattutto parole
di buon senso.
E' esattamente cio' che trovo quando incontro il mio uomo. Colui che ho di
fronte, accanto a un piatto di stoccafisso e una bottiglia di Montepulciano
d'Abruzzo, e' l'esatto contrario dell'eco-fanatico imbonitore di folle.
Latouche e' un tipo semplice, tranquillo, asciutto, segaligno e robusto come
un ramponiere. Il suo volto e' segnato da rughe, ha capelli grigio-ferro e
l'occhio da aquilotto. E' arrivato zoppicando con un gran sorriso,
appoggiato al lungo bastone che e' il suo emblema di viandante. "Che vuole,
cher ami, ho le ginocchia calcificate e le piante dei piedi consumate dal
troppo camminare. Ma e' giusto cosi'..., non e' mica giusto lasciare al buon
Dio un fisico in perfetta efficienza. No?".
Pensi che abbia formule da svelare: invece spiega che basta concentrarsi
sulla qualita' della vita. Dobbiamo liberare l'immaginario, reso schiavo di
un feticcio apportatore di sventure. La parola sviluppo. Basta dire ai
politici che, rinunciando alla mistica della crescita, non perderanno
elettori, al contrario. Far capire alla gente che, scegliendo la decrescita,
non torneranno all'eta' della pietra, ma solo a quarant'anni fa.
"I poteri forti ci ricattano, tengono in ostaggio la nostra immaginazione.
Ci dicono che con la decrescita scendera' su di noi la tristezza di
un'infinita quaresima. Non e' vero niente. Invertire la corsa ai consumi e'
la cosa piu' allegra che ci sia". Questo e' del resto il tema del suo
prossimo libro in uscita in Italia a meta' marzo per Boringhieri: s'intitola
Breve trattato sulla decrescita serena. Latouche ce l'ha a morte anche col
terrorismo mentale degli ecologisti annunciatori di penitenza. Sorride sotto
la barba: "Ah, il masochismo protestante, il senso del dovere, i dieci
comandamenti... Ma no! La sola regola e' la gioia di vivere".
Quarant'anni fa, si diceva. Il disastro e' cominciato allora. E' li' che si
e' scatenata la corsa allo spreco. In quarant'anni il nostro impatto
negativo sulla biosfera e' triplicato, e non smette di crescere. Sembra
impossibile, no? In fondo, non mangiamo il triplo, non facciamo il triplo di
viaggi, non usiamo il triplo di vestiti... Come si spiegano questi numeri da
apocalisse?
Semplice. Nella nostra vita ha fatto irruzione l'Usa e Getta, l'obsolescenza
programmata dei beni. Una follia. Il trenta per cento della carne dei
supermercati va direttamente nella spazzatura... Un'auto e' vecchia dopo tre
anni, un computer peggio ancora... E se non li cambi sei "out"... Viviamo di
acque minerali che vengono da lontanissimo, in mezzo a sprechi energetici
demenziali, con l'Andalusia che mangia pomodori olandesi e l'Olanda che
mangia pomodori andalusi...
E che dire delle bistecche, che quarant'anni fa avevano il sapore dei
pascoli. Oggi sono gonfie di mangimi alla soia, coltivata a migliaia di
chilometri di distanza, in campi ricavati dai disboscamenti dell'Amazzonia.
"Una volta ero un divoratore di carne. Oggi la mangio col contagocce. Ma non
per negarmi qualcosa. Lo faccio per divertirmi a scoprire le nuove frontiere
del mangiare. Il mio amico Carlo Petrini dice che un gastronomo non
ecologista e' un imbecille, e un ecologista non gastronomo e' una persona
triste. Ci pensi: e' verissimo".
Per i rifiuti la regola base del benessere non cambia. "Inutile fare come i
tedeschi, per i quali la raccolta differenziata e' diventata ossessione.
Basta comprare diversamente, vivendo in modo conviviale. Non c'e'
inceneritore che tenga... Il miglior rifiuto e' quello non prodotto... E
attenzione, lo dico agli amici italiani, l'assedio da immondizie non e' una
questione napoletana. E' una questione mondiale, il libro di Saviano lo dice
chiaro. Gli Stati Uniti mandano in Nigeria ottocento navi al mese di rifiuti
tossici non riciclabili".
Affrontiamo in letizia lo stocco, il pane e il vino, e il discorso di
Latouche e' come una litania francescana che ti obbliga a sillabare senza
paura l'abc della rinuncia. Le e-mail, per esempio. "Scrivo spesso lettere a
mano, ma non per tornare alla candela e alla pergamena. Lo faccio per il
semplice piacere di dimostrare a me stesso che posso camminare senza le
protesi artificiali imposte dal sistema, in modo atossico. Intendo la posta
elettronica, e tutto il resto. La mia e' una forma di allenamento al digiuno
dalla tecnologia. Un tecno-digiuno".
E poi la bici. "Non la uso perche' si deve, ma solo perche' e' bello. Se
nella mia casa in montagna pedalo chilometri ogni mattina per procurarmi i
croissant per la colazione, significa che mi fa vivere meglio, punto e
basta. Incontro persone, parlo, imparo, e la giornata comincia col piede
giusto. Ivan Illich, grande fustigatore dello spreco, diceva che questo
mondo ad alto consumo di energia e', inevitabilmente, un mondo a bassa
comunicazione fra uomini. Ecco, la bici e' il simbolo del contrario. Una
vita a bassa energia genera alta comunicazione".
Non parliamo dei telefonini. "Potrei dire che fanno male, che per costruirli
si usa un minerale rarissimo e altamente tossico; o che dietro a ogni
cellulare c'e' il sangue delle guerre tribali fomentate dall'Occidente in
posti come il Congo. Invece dico solo questo: senza telefonini si vive
meglio. L'ansia cala. L'allegria aumenta. Non hai piu' il Grande Fratello
che ti sorveglia. Uno lo capisce anche senza sapere niente di economia e
scomodare la geopolitica".
Sviluppo: l'imbroglio e' contenuto gia' nella parola. Nasconde lo
sfruttamento e la rapina; lo sradicamento in massa di individui, la morte
delle diversita', l'evidenza di un'umanita' apatica, infelice, obesa,
precaria, insicura e, a ben guardare, anche piu' povera. "L'idea di sviluppo
resiste ostinatamente all'evidenza del suo fallimento. Per questo ha smesso
da tempo di essere una cosa scientifica. E' diventato mistica, mitologia,
religione. Un feticcio imbroglione che anestetizza le sue vittime. Il vero
oppio dei popoli".
Ci dicono che per uscire dalla crisi economica dobbiamo lavorare di piu'.
Diventare cinesi. Che la Cina vada al disastro e affoghi nell'inquinamento,
sono obiezioni irrilevanti. Si va avanti lo stesso. "E' da questa cecita'
che dobbiamo liberarci", dice il francese. Si', ma allora qual e' il modello
giusto? "Anni fa ho incontrato un contadino laotiano. Stava seduto sul bordo
di un campo e non faceva nulla. Gli ho chiesto: che fai? Ha risposto:
ascolto il riso che cresce. J'ecoute le riz pousser. Ritroviamo il piacere
della vita, prima dell'ansia di fare".
E' cosi' ovvio: una societa' che ha come solo scopo lo sviluppo economico e'
come un individuo che vuole solo essere obeso. Eppure la gente ha lo stesso
paura di cambiare, teme di perdere il benessere. "Qui gli allarmi degli
ultimi decenni, cose come Chernobyl o l'epidemia di mucca pazza, sono stati
utilissimi. Hanno posto interrogativi alla gente. Fanno il gioco del partito
della decrescita. Per questo, piu' che immaginare La Grande Catastrofe
Finale, preferisco costruire una pedagogia delle piccole catastrofi
intermedie. Non c'e' niente di meglio per far capire alla gente l'apocalisse
che verra'".
E la lentezza? "La guerra della Valsusa contro la linea ferroviaria ad alta
velocita' e' sacrosanta ed e' stata un pilastro nella storia del partito
della decrescita. Era il dicembre del 2005, trentamila persone si erano
schierate sotto la neve contro i bulldozer e io ero in tv, a 'L'infedele' di
Lerner, a commentare in diretta. Ecco, proprio allora si e' creata la
saldatura tra quella battaglia concreta e la teoria della decrescita. E' li'
che i movimenti sono usciti dalla foresta e hanno cominciato a saldarsi tra
loro. Quello anti-Tav, quello contro il megaponte di Messina o la centrale
di Civitavecchia".
Latouche ne e' certo: i poteri forti temono la pubblica opinione. Per questo
ci tengono all'oscuro. Nell'Unione Europea hanno bloccato tutti i referendum
sulle grandi opere e gli ogm, perche' sanno benissimo che la gente voterebbe
contro, come e' successo in Svizzera. Jose' Bove' ha dovuto fare lo sciopero
della fame perche' il governo francese, per timore di reazioni popolari,
mantenesse la promessa moratoria sugli organismi geneticamente modificati.
"Se un politico andasse in tv e dicesse: signori, stiamo viaggiando su un
treno senza conducente, da domani dobbiamo cambiar vita... Se quel politico
desse nuove regole di comportamento virtuoso alla nazione, non ho dubbi che
sarebbe ucciso nel giro di una settimana".
E' un segno di paura. Per questo l'economia globale accelera invece di
rallentare. Per questo le immondizie diventano montagne, il fossato fra
ricchi e poveri si allarga, le banlieues si incendiano. Per questo la corsa
alle ultime risorse diventa rapina, guerra, e il sistema entra nel tunnel
dell'assurdo. "Assurdistan" lo chiamava Illich. E poiche' paura e consumi
aumentano in parallelo, ecco che la costruzione di un partito della
decrescita diventa una gara di velocita', una corsa contro il tempo.
"Quarant'anni fa sono andato a lavorare in Africa come esperto di sviluppo.
Volevo redimere il continente dalla sua arretratezza. Ma ero anche
affascinato dai popoli africani. Studiavo appassionatamente quelle stesse
culture che con l'economia contribuivo a distruggere. E' stato li' che la
contraddizione mi e' apparsa chiara. Ed e' stato li' che ho perso la fede.
Da allora ho combattuto, sentendomi un predicatore nel deserto. Oggi, per la
prima volta, vedo che le cose stanno cambiando. I nuclei a economia
sostenibile si moltiplicano. Nelle citta' conosco interi palazzi che si
organizzano in modo ecosostenibile. Lo sento, ce la faremo".

4. RIFLESSIONE. UGO MATTEI: ALCUNE NOTE CRITICHE SULLA NOZIONE DI "SVILUPPO"
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 marzo 2008, col titolo "Pianeta Terra.
Nel mondo perduto della sovranita' nazionale" e il sommario "L'ideologia
dello sviluppo passa attraverso la depoliticizzazione del diritto al fine di
promuovere il mercato quale unica forma di organizzazione della societa'.
Dopo le proteste del movimento dei movimenti, la Banca mondiale e il Fondo
monetario internazionale hanno operato una silenziosa 'rivoluzione passiva'
per mantenere il loro potere di condizionamento sulle politiche dei paesi
nel Nord e nel Sud del mondo".
Ugo Mattei, giurista e docente universitario, e' autore di molte
pubblicazioni]

Fra le nozioni politico-giuridiche prive di un significato preciso ma
cariche di connotazioni acriticamente positive quella di sviluppo merita
anch'essa di essere "destrutturata". A fianco della nozione di rule of law
(cfr. "Il manifesto" del 26 gennaio) e di quella di "alternativa armonica
alla conflittualita'" (cfr. "Il manifesto" dell'8 febbraio) essa occupa un
posto importante nella costruzione di un apparato ideologico a supporto del
capitalismo globale. Le variazioni che rendono vaga questa nozione sono
storiche e geografiche e si possono ben seguire attraverso le trasformazioni
dell'istituzione finanziaria internazionale che fa dello sviluppo la propria
ragione sociale: il gruppo Banca Mondiale.
Nel 1944, nel quadro degli accordi di Bretton Woods, attraverso i quali le
potenze alleate, dando seguito all'illuminata e poi tradita insistenza di
Lord John M. Keynes, si misero alla ricerca di formule di governance per
stabilizzare il mondo che sarebbe uscito dalla imminente vittoria della
seconda guerra mondiale, venne istituita la International Bank of
Reconstruction and Development (Ibrd) prima istituzione del gruppo Banca
Mondiale, recante la denominazione sviluppo nella sua stessa ragione
sociale.
Gli accordi di Bretton Woods, che oltre alla Banca diedero vita pure al
Fondo Monetario Internazionale (istituzione sponsor dello sviluppo anche dei
paesi gia' sviluppati), si svolsero in un clima di forte tensione rispetto
al blocco sovietico con il quale gli anglo-americani, pur alleati, avevano
gia' iniziato la dissennata competizione che spiega, ben piu' di quanto non
voglia ammettere la storiografia ufficiale, anche la bomba di Hiroshima.
*
Obiettivo bipartisan
Lo sviluppo qualifica il nome anche della seconda istituzione del gruppo,
quella International Development Association (Ida) che dal 1980, proprio
all'inizio del decennio che doveva "concludere" la guerra fredda, si occupa
di prestare soldi ai poorest countries, i piu' poveri fra i poveri. Con
questo strumento, la Banca mondiale lavora alla costruzione di quel consenso
dei subalterni che Antonio Gramsci definisce cruciale per qualsiasi progetto
di egemonia. Allo stesso modo diviene istituzionalizzata la logica
reaganiana e tatcheriana per cui la solidarieta' va circoscritta il piu'
possibile.
Per tutta la fase successiva la decolonizzazione, sicuramente una delle
conseguenze piu' desiderabili della guerra fredda e della contrapposizione
fra blocchi, la promessa di sviluppo venne utilizzata su entrambi i fronti
per esercitare rinnovata influenza sui nuovi stati indipendenti entrati nel
consesso delle nazioni sovrane. Per paesi disperatamente poveri, lasciati in
miseria dal ritiro del colonizzatore (i francesi portarono letteralmente via
dagli uffici pubblici delle ex-colonie perfino le lampadine della luce) non
restava che bussare alla porta delle istituzioni finanziarie internazionali
per ottenere la liquidita' indispensabile per non collassare immediatamente.
Cosi', la Banca Mondiale, con i suoi tassi di interesse inferiori rispetto a
quelli delle banche private, godette per diverso tempo di scintillante
prestigio. Il numero dei paesi membri crebbe progressivamente fino agli
attuali 185, e la promessa dello sviluppo mantenne un ruolo fondamentale
anche nella politica delle nuove leadership post-coloniali, tanto quelle
cleptocratiche quanto quelle "rispettabili". Lo sviluppo divenne un'idea
"bipartisan" nel senso piu' profondo det termine, tentando perfino leaders
non allineati del prestigio di Nehru in India, di Nyerere in Tanzania, oltre
naturalmente a Fidel Castro e Che Guevara.
Non fu necessario molto tempo perche' i paesi poveri si rendessero conto di
essere finiti nelle mani degli usurai. Il doppio shock petrolifero degli
anni Settanta riempi' le casse delle banche private di spaventosi
quantitativi di petrodollari che vennero profferti alle elites piu' corrotte
a tassi di interesse relativamente bassi, portando i paesi poveri ad
indebitarsi sempre di piu' per finanziare importazioni di beni di lusso e i
folli tenori di vita delle classi dirigenti urbanizzate. La crescita dei
prezzi delle materie prime, prodotte in gran parte nei paesi poveri,
contribui' per un certo periodo a illudere che lo sviluppo fosse a portata
di mano, illusione da cui ci si sveglio' bruscamente. Siamo ormai in pieni
anni Ottanta quando, soprattutto a fronte del repentino crollo dei prezzi
internazionali dei prodotti agricoli, drogati dai sussidi americani ed
europei - il latte, il cotone e i cereali, che possono godere di sussidi ben
superiori al 100% - e alla brusca crescita dei tassi dovuta ai rischi di
default, ci si accorse che l'indebitamento era divenuto insostenibile.
Le istituzioni di Bretton Woods a quel punto mostrarono la spietata realta'
capitalistica di uno Shylock nascosto dietro la maschera di organizzazioni
internazionali tanto prestigiose da essere strutturalmente collegate alle
Nazioni Unite. In verita', al di la' dell'apparenza pubblicistica, tanto la
Banca mondiale quanto il Fondo monetario internazionale hanno la stuttura
istituzionale di una corporation privata, dove comanda chi ha investito piu'
soldi. Ne segue che, a dispetto dei numerosi stati membri, le redini del
comando sono saldamente nelle mani degli Stati Uniti e dei paesi "gia'
sviluppati". I paesi indebitati, proprio come un'azienda che per evitare il
fallimento si sottopone ad amministrazione controllata, furono costretti
cosi' a consegnare la propria sovranita' politica a chi poteva prestar loro
i fiumi di denaro necessari adesso per ripagare l'interesse sul debito.
Vennero in questa fase elaborati i cosdiddetti Structural Adjustment Plans
(Sap, i piani di aggiustamento strutturale) alla cui adozione venne
condizionato ogni ulteriore finanziamento tanto da parte della Banca
Mondiale quanto del Fondo Monetario Internazionale.
*
Il mercato della solidarieta'
I piani erano semplici e universali, sposando la retorica reaganiana per cui
se vedi un uomo che ha fame non gli regali un pesce ma gli insegni a
pescare, affittandogli pero' la canna. Non a caso essi consistevano nella
ricetta fondamentale della privatizzazione dell'intero settore pubblico (che
poteva cosi' essere comprato a prezzo di realizzo dalle corporations
globali). L'aggiustamento strutturale dell'economia consiste infatti della
simultanea introduzione dei seguenti punti: lasciare che siano i mercati a
determinare liberamente i prezzi, riducendo od eliminando ogni controllo
statale; trasferire al settore privato le risorse detenute dallo Stato;
ridurre il budget dello Stato il piu' possibile; riformare la burocrazia in
modo da facilitare lo sviluppo del settore privato.
Questi quattro punti fondamentali vengono dettagliati nei contratti di
finanziamento condizionati all'aggiustamento strutturale attraverso una
serie di prescrizioni di dettaglio che i paesi assistiti devono
"implementare" per legge: l'abolizione dei minimi salariali; l'abolizione
dei sussidi per il cibo; l'abolizione dei programmi di riduzione del costo
degli affitti per le abitazioni; la riduzione degli standard di sicurezza
sul lavoro e degli standard ambientali; l'obbligo di appaltare i pubblici
servizi (trasporti, istruzione, sanita', pensioni) al settore privato.
Naturalmente, un tale assalto alla sovranita' politica e giuridica degli
Stati membri non sarebbe stato possibile senza il radicale processo globale
di "depoliticizzazione" del diritto, coinciso con la fine della guerra
fredda. Infatti, per tutto il periodo compreso fra Yalta e la caduta del
Muro di Berlino, l'intervento politico e giuridico da parte della Banca e
del Fondo era tabu' proprio per non creare squilibri fra i blocchi (ed e' a
tutt'oggi espressamente vietato dall'articolo IV, sezione 10 dell'"Accordo
istitutivo" della Ibrd: political activity prohibited). Soltanto sul finire
degli anni Ottanta, e poi con aggressivita' crescente fino ad oggi, la Banca
e Fondo sono divenuti attori giuridici (e quindi politici) della
globalizzazione. La Banca mondiale (ed il Fondo monetario internazionale per
le semiperiferie gia' sviluppate come l'Italia) non soltanto vincola
contrattualmente gli Stati agli aggiustamenti strutturali ma sponsorizza
studi, congressi, progetti, centri di ricerca, partecipando cosi' alla
produzione dell'ideologia oggi dominante. Si "naturalizza", cioe',
l'abdicazione della sovranita' politica da parte dei paesi indebitati al
fine ostentato della ristrutturazione dell'economia e a quello reale del suo
saccheggio da parte delle onnipotenti corporations.
Come ben sa chiunque non voglia nascondere la testa nella sabbia, le ricette
neoliberiste cosi' elaborate e applicate, ed in particolare le
privatizzazioni, hanno prodotto e stanno producendo ovunque (anche nella
semiperiferia italiana) disastri sociali terribili, colpendo spietatamente i
piu' deboli e producendo la conseguente crescita di apparati repressivi, a
loro volta spesso privatizzati, per soffocare ogni anelito di rivolta e ogni
tentativo di emancipazione.
A fronte della protesta dilagante un po' ovunque nei confronti
dell'aggiustamento strutturale, la Banca Mondiale ha riproposto la vecchia,
mai sopita e ben sperimentata ideologia dello sviluppo, arricchendo il
termine della locuzione sustainable o equitable. I "Piani di aggiustamento
strutturale" sono cosi' diventati, successivamene alle proteste di Seattle,
Comprehensive Development Frameworks. Non e' tuttavia minimamente mutata la
visione semplicistica di un progresso unilineare, necessario, fondato su una
giuridicita' tecnocratica, il cui impatto e' misurabile in termini di
crescita del prodotto interno lordo.
Nei contesti subalterni l'ideologia dello sviluppo, che tanto sembra
contagiare i discorsi dei nostri acclamati tecnocrati (e' dei giorni scorsi
la perorazione a favore di un rilancio delle privatizzazione declamata da
Mario Draghi in nome dello sviluppo) e convincere la piu' gran parte della
nostra accademia provinciale e carrierista, comincia ad essere squarciata
dai primi sintomi di una rinnovata presa di coscienza globale.
Nelle parole dello studioso africano Vincent Tucker: "Lo sviluppo e' un
processo attraverso il quale altri popoli sono dominati ed i loro destini
sono tracciati secondo una percezione del mondo che e' essenzialmente
occidentale. Il discorso sullo sviluppo e' parte di un progetto imperiale
tramite il quale le persone sono dominate e mercificate. Si tratta di parte
essenziale di un processo attraverso cui i paesi 'sviluppati' gestiscono,
controllano e perfino creano il Terzo mondo, economicamente, politicamente,
sociologicamente e culturalmente. E' un progetto attraverso cui le vite di
certe persone, i loro piani, le loro speranze e la loro immaginazione sono
modellati da altri che frequentemente non ne condividono lo stile di vita,
le speranze ed i valori. La reale natura di questo processo e' celata da una
ideologia che presenta lo sviluppo come qualcosa di desiderabile, un destino
umano necessario".
*
Un mostro senza controllo
Come Frankenstein che sfugge dal controllo del suo inventore, la retorica
dello sviluppo non aliena oggi soltanto i paesi "sottosviluppati" ma anche
noi stessi. Trasformato in un fedele ideologo della logica predatoria della
privatizzazione, e quindi poderosamente sponsorizzato dai poteri forti e dai
loro lacche' politici e mediatici, lo sviluppo e' oggi una mera propaganda.
In nome suo trionfano l'hubris della Torre di Babele, un delirio di
onnipotenza, un trionfo della quantita' sulla qualita', una psicosi per cui
il risparmio di mezz'ora su una tratta ferroviaria giustifica ogni scempio
ambientale. La retorica dello sviluppo ci trascina, accecati, in una corsa
in cui la soddisfazione di brevissimo periodo del privato che trionfa nella
competizione per la dissipazione delle risorse naturali non viene vista come
portatrice di distruzione e spreco ma come una crescita desiderabile,
necessaria, infinita.
Occorre allora un programma capace di recuperare il pubblico, la sovranita'
politica, la messa in comune di speranze e risorse, la qualita' della vita
rispetto alla quantita' economica della ricchezza materiale (un primo
tentativo si trova in www.nuvole.it). Se non riusciremo tutti insieme a
crearlo, e continueremo a vivere rassicurati dalle formule astratte ripetute
dai riformisti piu' in voga, ci sveglieremo assai presto realizzando che nel
sottosviluppo ci siamo sprofondati noi oggi e qui.
*
Postilla bibliografica. Oltre lo sviluppo, alla ricerca della "decrescita
felice"
La Banca Mondiale pubblica ogni anno, con la prestigiosa Oxford University
Press, il World Development Report, che costituisce l'ortodossia sullo stato
dello sviluppo nei diversi settori. L'adeguamento o meno alle ricette del
Report determina il riconoscimento di un membro come buono o cattivo
allievo. Per il contesto storico delle piu' recenti trasformazioni, va
segnalato Breve storia del neoliberismo, di David Harvey (Il Saggiatore).
Uno studio recente sui rapporti fra diritto e sviluppo si ritrova in The New
Law and Economic Development. A Critcal Appraisal, di David Trubeck e Alvaro
Santos (Cambridge University Press). Il saggio di Tucker citato nel testo si
trova nel volume Critical Development Theory: Contributions to a New
Paradigm, curato da R. Munk e D. O Hearn (Zed Books). I rapporti fra
diritto, sviluppo e privatizzazione sono approfonditi nel saggio Plunder.
When the Rule of law is Illegal, di Ugo Mattei e Laura Nader (Blackwell).
Quelli fra ricette economiche neoliberiste, diritto e repressione penale nel
testo di Elisabetta Grande, Il terzo strike. La prigione in America
(Sellerio). Una delle piu' note prese di coscienza sugli inganni dello
sviluppo e': E se l'Africa rifiutasse lo sviluppo?, di Axelle Kabou
(L'Harmattan Italia). Ormai note sono le controverse analisi e proposte di
Serge Latouche, Sopravvivere allo sviluppo (Bollati Boringhieri), e di
Maurizio Pallante, La decrescita felice. La qualita' della vita non dipente
dal Prodotto interno lordo (Editori Riuniti).

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 391 dell'11 marzo 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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