Nonviolenza. Femminile plurale. 165



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 165 del 6 marzo 2008

In questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Un impegno alla lotta contro la violenza di genere
2. Giancarla Codrignani: A cento anni dal primo otto marzo
3. Patrizia Gabrielli: E la mimosa resiste
4. Giovanna Providenti: Un incontro di donne a Japur
5. Il 10 marzo a Terni
6. Liliana Rampello presenta "Il secondo sesso" di Simone de Beauvoir

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: UN IMPEGNO ALLA LOTTA CONTRO LA VIOLENZA
DI GENERE
[Da una lettera di Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it)
estraiamo il seguente brano.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Con Michele Boato e Mao
Valpiana ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come
donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?". Tra le opere di Maria
G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni
Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo.
Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005.
Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in
"Notizie minime della nonviolenza" n. 81]

... Le donne sono circa il 70% del miliardo e trecentomila persone che
vivono in poverta'; oltre il 65% dei rifugiati mondiali, ed i due terzi
degli analfabeti del pianeta. Sono anche i due terzi della forza lavoro
"informale" e sfruttata, possiedono l'un per cento delle risorse economiche
mondiali, e percepiscono un decimo dei guadagni, sempre su base planetaria.
Le bambine hanno il doppio di possibilita' rispetto ai bambini di morire di
denutrizione o di malattie infantili.
La discriminazione di genere interessa ogni aspetto delle vite delle donne,
ovunque, incluso il modo in cui i loro bisogni e diritti vengono maneggiati.
Percio' e' necessario anche un impegno all'educazione al genere ed al
rispetto tra i generi; un impegno alla lotta contro la violenza di genere e
all'analisi di genere di ogni progetto; nonche', laddove si parla di
apertura alle culture, il ricordare che ne' cultura ne' tradizione ne'
ideologia alcuna possono essere usate per negare alle donne i loro diritti
umani, giacche' anche il diritto all'identita' e' attraversato dalle istanze
di genere...

2. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: A CENTO ANNI DAL PRIMO OTTO MARZO
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org), col titolo "Non sono rose ne'
mimose" e il sommario "A cento anni dal primo otto marzo, una ricognizione
in giro per il mondo sulle violenze che ancora dominano i rapporti tra
uomini e donne. E se va male a noi 'emancipate', figuriamoci alle altre...".
Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli obiettori di
coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei
movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure
piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la
nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai
telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le
altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994;
L'amore ordinato, Edizioni Com nuovi tempi, Roma 2005]

I secoli passano. Per definizione. La constatazione postuma delle scadenze
secolari serve a misurare i percorsi. Che non sono mai lineari, mai facili,
mai all'altezza non solo delle aspettative di un tempo (o di oggi) - anche
perche' spesso le donne non si aspettano niente - ma anche delle fatiche e
dei dolori.
Le cronache dei media hanno parlato, attualmente, anche se poco e male,
delle traversie post-elettorali e della violenza in Congo. Sul portale
internet Corresponsal de Medio Oriente e Africa - tradotto su "Adista" del
22 dicembre con il titolo Cronache dall'inferno - troviamo informazioni
sulla condizione delle donne congolesi. Secondo le Nazioni Unite solo nel
Sud Kivu si sono registrate nell'ultimo anno non meno di 26.000 violenze
sessuali e il vicesegretario per gli affari umanitari afferma che "la
violenza sessuale nel Congo e' la peggiore del mondo: per quantita',
brutalita' indiscriminata e cultura dell'impunita' risulta devastante". Il
ginecologo Denis Mukwege confessa che "non ce la fa piu' ad ascoltare le
storie delle sue pazienti. Ogni giorno dieci donne e bambine violentate
arrivano al suo ospedale: molte hanno sofferto violenze cosi' selvagge,
anche con baionette e bastoni, che i loro apparati riproduttivi e digestivi
non possono essere salvati. I letti sono pieni di donne che devono coricarsi
supine a motivo delle sacche intestinali che sono state loro applicate per i
danni interni subiti. Alcune delle bambine dalle viscere distrutte sono
cosi' giovani che non capiscono che cosa sia loro successo". C'e' guerra e
crisi politica ed etnica, ma il paese non e' selvaggio: ha ospedali modesti,
ma attrezzati, ci sono le universita' che preparano i medici, ci sono i
cooperanti internazionali, c'e' perfino meno poverta' che in altre regioni,
ma ribelli e miliziani imperversano. Puo' darsi che abbiano subito
alterazioni della personalita' dopo le violenze del Rwanda; comunque la
pazzia o l'odio etnico o politico si sfogano sul corpo delle donne in forme
crudeli che "vanno oltre il conflitto". Ci ricordiamo del Kosovo, quando per
la prima volta le donne hanno denunciato le pratiche sessuali di guerra
riservate al genere femminile.
In Uganda, come in molti altri paesi africani, imperversa l'aids: ci sono
ragazze violentate da familiari o da estranei che le hanno rese
sieropositive, altre che vengono sposate bambine a uomini infetti che le
lasciano vedove con figli contagiati, altre che, contagiate dal marito, si
ritrovano sole con i loro bambini perche' l'irresponsabile se ne e' andato.
La societa', che conosce la minaccia del male, conserva il pregiudizio che
colpevolizza sempre le donne: le famiglie le scacciano come disonorate e
disonoranti. Maria G. Di Rienzo ("la nonviolenza in cammino" n. 1368) ci
racconta del "Mama Club", un gruppo femminile ugandese, che offre sostegno
psicologico e sociale a madri e incinte sieropositive. Due volte al mese, le
donne si incontrano, discutono anche di come guadagnare qualche soldo, ma
imparano di aver bisogno di antiretrovirali, a non allattare i loro piccoli
per non trasmettere loro il virus e, soprattutto, si ricordano l'un l'altra
che non sono sole. "L'idea principale era di un forum, in cui si potesse
parlare di queste situazioni", dice Lydia Mungherera una medica che lavorava
in clinica durante gli anni '90 e con piccole donazioni private fondo' il
gruppo, per battere l'ignoranza e il pregiudizio. In Uganda - e ovunque -
molte donne, quando sono incinte e vanno in ospedale per il test, se
risultano positive, ricevono il consiglio di non avere altri figli e di
usare il preservativo. "E' piu' presto detto che fatto", notano al Mama
Club. "Nel nostro paese, una donna non ha il diritto di dire no al sesso o
all'avere bambini", "l'uomo e' quello che conta. Se vuole fare sesso,
protetto o no, e' una decisione solo sua". La discriminazione viene anche
dai lavoratori della sanita': infermiere ed ostetriche al reparto maternita'
del Mulago Hospital, la clinica pubblica piu' grande di Kampala, hanno
insultato le pazienti dopo aver saputo che erano sieropositive ed hanno
negato loro le cure. Un gruppo di avvocate ugandesi ha tenuto incontri con
le donne per informarle sui loro diritti legali rispetto alle proprieta'
matrimoniali ed al trattamento medico negli ospedali pubblici. Perfino in
Uganda il direttore sanitario di Taso, ha tenuto una conferenza pubblica
sulla necessita' che gli uomini sieropositivi siano piu' collaborativi con
le loro partner, ed ha lanciato l'idea di un "Tata Club" di padri. Con quale
risultato non si sa (www.tasouganda.org).
*
In Italia, i risultati delle inchieste di governo hanno accertato che ogni
due giorni una donna viene uccisa in casa e che 2.938.000 nel 2006 hanno
denunciato violenza sessuale o maltrattamenti, mentre sette milioni e mezzo
sono le donne che riconoscono di aver subito violenza sessuale: nel 69% dei
casi autore della violenza e' il marito o un amico, non uno sconosciuto. La
chiesa cattolica (dovremmo dire "le chiese", perche' tutte sono sessiste e
valorizzano ab origine la discriminazione delle donne), condannando l'aborto
in generale, interviene nell'agenda legislativa italiana per limitare la
194. Difficilmente si potrebbe pensare che l'interruzione della gravidanza
sia una decisione "etica", ma, siccome non si puo' immaginare che mettersi i
ferri in pancia sia una pratica umanamente indifferente, come mai chi si
occupa di morale pubblica, di educazione e di leggi non pensa che il modo
piu' certo di evitare l'aborto sia seguire il magistero femminile? quando le
donne dicono "maternita' libera e responsabile" intendono forse pronunciare
uno slogan (masochista) di politica femminista per il diritto tout court di
aborto? Se non si comprende che il potere del maschio, irresponsabile nel
comportamento sessuale piu' o meno come in Uganda, non consente la liberta'
femminile nel rapporto, alle donne resta solamente di avere intera
l'autonomia di recuperare la responsabilita' di avere figli soggettivamente
voluti.
Non abbiamo illusioni sulle chiese governate e composte da soli maschi, che
non evangelizzano il proprio genere e condannano la contraccezione e il
preservativo. Non ci illudiamo neppure sui politici, non diciamo con
riferimento a quell'onorevole che si portava in albergo due prostitute e un
po' di coca mentre la moglie era in dolce attesa, e ai colleghi che
prontamente chiesero il finanziamento per il soggiorno delle mogli
assimilate alle prostitute; nessuna illusione neppure su chi accetta il
50e50. E neppure su noi stesse, visto che c'e' chi si e' fatta eleggere in
quota donna per dimettersi subito a favore della quota maschi.
*
Otto marzo e non son rose ne' mimose. Teniamo i piedi cosi' per terra che
bisogna che stiamo attente a non scavarci la buca. Da sempre la possibilita'
di incidere sullo sviluppo delle societa' non e' nelle nostre mani, anche
perche' abbiamo intrigati i cuori: come donne amiamo i nostri uomini, anche
se egoisti; come cittadine votiamo i leader che stimiamo, anche se non si
persuaderanno al nostro linguaggio. Ma c'e' molto da fare - ed e' questione
di politica dei due sessi, non di solo femminismo - perche' Hillary vada
avanti magari senza Bill sempre alle spalle; perche' Anna Finocchiaro possa
ottenere ascolto nelle aule tradizionali della politica con il linguaggio e
i contenuti di genere che ben conosce; perche' i segretari confederali del
sindacato partano dalle donne uccise un secolo fa - non molto diverse dalle
precarie di oggi - e dalla minacciata riduzione di un genere ad
ammortizzatore sociale.
Se va storta a noi, "fortunate" ed "emancipate", che cosa potra' succedere
alle donne in tutti gli altri continenti?

3. RIFLESSIONE. PATRIZIA GABRIELLI: E LA MIMOSA RESISTE
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org), col titolo "Cento anni. E la
mimosa resiste" e il sommario "La festa della donna si e' affermata alla
stregua di un 'rito internazionale'. Intorno ad una data simbolica milioni
di donne, nel mondo, hanno avuto l'intelligenza e l'intuizione di "tessere
appartenenza politica e di genere".
Patrizia Gabrielli e' docente di Storia contemporenea e delle relazioni di
genere all'Universita' di Siena]

"Oggi in tutte le citta' e in tutti i villaggi d'Italia si celebra la
Giornata della donna. Ed e' doveroso che si ricordi questa data, anche qui,
nell'Assemblea Costituente, nell'Assemblea democratica della Repubblica
d'Italia, dove le donne, per la prima volta nella nostra storia, sono
direttamente rappresentate". Con queste parole Nadia Gallico Spano apriva il
suo discorso all'Assemblea Costituente l'8 marzo del 1947, favorendo
l'ingresso nelle austere aule di Montecitorio - segnate, come sara' a lungo
nella storia del paese, da una visibile e preponderante presenza maschile -
di una ricorrenza tutta femminile, densa delle aspirazioni, delle
rivendicazioni, persino delle emozioni di tante donne. Nadia Gallico Spano
ricordava l'impegno e la responsabilita' dimostrata dalle italiane nella
guerra e nella Resistenza; svolgeva riferimenti alla difficile fase della
ricostruzione che le vedeva ancora una volta protagoniste; proprio in virtu'
di questo dispiegamento di energie vitali era tempo di riconoscere alle
"coraggiose donne il posto che si sono conquistato nella vita italiana".
Le parole e i toni adottati da Nadia Gallico Spano rispecchiavano il valore
di senso e di significati attribuiti dai movimenti femminili a quella data:
momento di mobilitazione politica e di festa, occasione di
autorappresentazione collettiva.
Nel 1947 l'8 marzo aveva gia' avuto le sue celebrazioni: e' tra il 1944 e il
1945 che la data riprende a circolare per poi rapidamente radicarsi e
divenire un tassello significativo dell'identita' dell'Unione donne italiane
(il Centro italiano femminile avra' quale sua data simbolo il 30 aprile,
Santa Caterina). Certo durante il regime fascista non erano mancati atti di
opposizione proprio in questa giornata, inscenati per lo piu' dalle
comuniste, ma la tradizione era molto debole e pure negli anni precedenti
l'unica eccezione era data dai richiami della stampa comunista che, fedele
alla Terza Internazionale, l'aveva inserita nel pantheon della rivoluzione
del 1917, facendola risalire alla esultante manifestazione delle operaie
russe alla vigilia del grande evento; ne' erano mancati riferimenti a Clara
Zetkin, dirigente del partito socialista poi comunista tedesco presentata,
per certi versi a ragione, vera e propria madrina della giornata.
In Italia passeranno diversi decenni prima che il richiamo ad una storia
tanto connotata sul piano dell'appartenenza politica ceda il passo a una
capace di affratellare orientamenti diversi, quella delle operaie morte
nell'incendio della fabbrica tessile di New York durante uno sciopero che
viene fatto risalire al 1908.
Del resto - come avvertivano Tilde Capomazza e Marisa Ombra nel 1987 con il
libro 8 marzo. Storie miti riti della giornata internazionale della donna -
questa giornata non ha un fondamento storico preciso, si potrebbe
affermare - parafrasando lo storico Eric Hobsbawm - che si tratta di una
vera e propria invenzione; al pari del primo maggio fu una tradizione
inventata - lo suggeriscono le sue incerte origini e la sua continua
evoluzione - capace di inglobare elementi rituali e simbolici e di
affermarsi con gli anni alla stregua di un rito internazionale. Qui risiede
la sua forza, l'intelligenza e l'intuizione politica di radicare una data
simbolica intorno alla quale tessere appartenenza politica e di genere.
*
La fortuna dell'8 marzo nell'Italia repubblicana va certamente inquadrata
lungo le coordinate delle nuove forme della politica inaugurate dai partiti
di massa, ma anche e soprattutto con la volonta' dell'Udi di conferire
spessore e visibilita' alla propria identita' politica di genere attraverso
forme immediatamente percepibili. Si assiste in questa fase alla ricerca di
linguaggi capaci di collegarsi ad un universo di valori di riferimento, di
suscitare emozioni, di alimentare un comune sentire, di procedere
all'assemblaggio di segni capaci di colpire nella percezione visiva ed
emotiva. Del resto ogni ricorrenza per essere visibile e tramandarsi deve
poter disporre di un corredo di liturgie, miti, simboli e l'8 marzo ebbe
presto i propri.
Il discorso politico circolo' in quel lungo dopoguerra in luoghi e in forme
meno consuete: fiori, bandiere, distintivi, canzoni e inni, un ricco
apparato iconografico che fu spesso affidato ad artisti di fama, come
conferma la preziosa collezione di manifesti custodita presso l'Archivio
centrale dell'Udi a Roma, divennero i principali strumenti per la
circolazione del messaggio politico; ne' si trascurarono le coreografie:
"Uno dei miei ricordi piu' belli risale all'anno 1952. Organizzammo una
grande sfilata, con un carro pieno di fiori bianchi con la colomba della
pace, rappresentata da tre ragazze vestite di bianco con fasci di mimosa.
Seguivano il carro altre ragazze vestite da contadinelle, che ricordavano il
lavoro dei campi".
Tra i simboli, il piu' tenace, capace di resistere a decisivi cambiamenti e
persino alle rotture, la mimosa, il fiore giallo, simbolo della primavera e
soprattutto facilmente reperibile, che sostitui' il garofano rosso e il
mughetto inscritti nella storia del movimento socialista. Il fiore giallo
divenne l'incarnazione della festa e si costruirono gli alberi della mimosa
sul modello di quelli della liberta' appartenenti ad altre famiglie
politiche. "Noi donne" propose ritratti di note dive cinematografiche
adornate da rami di mimosa: e' il caso di una splendida Gina Lollobrigida
sulla copertina dell'8 marzo 1955.
L'attenzione a questi aspetti si coniuga strettamente con la definizione di
altre forme della politica che privilegiano, e non solo nei primi anni della
Repubblica, la socializzazione primaria: spettacoli teatrali, feste
danzanti, merende, accompagnarono assemblee e conferenze, distribuzione di
volantini e fiori nelle piazze e le strade delle grandi citta' come dei
piccoli centri: "Il primo 8 marzo quando ci proponemmo di offrire la mimosa
a tutte le donne ci fu una grande mobilitazione attorno al gruppo dirigente
del circolo dell'Udi. Andammo nelle scuole, all'ospedale, nelle fabbriche,
nei negozi e ovunque, anche con assemblee e piccole riunioni".
La giornata fu sempre coniugata con temi e questioni di rilevanza nazionale
o internazionale tracciati nel calendario politico delle donne, tanto che
gli slogan adottati disposti in sequenza cronologica potrebbero costituire
un primo canovaccio per imbastire la storia della emancipazione e della
liberazione delle donne in Italia.

Un simbolo nel nome della politiche femminili, allora, l'8 marzo, ma la
dimensione della festa, con il suo carico di allegria, e' uno dei cardini
attorno al quale ruotano le memorie delle protagoniste di differenti
generazioni: "una volta l'anno si faceva la grande festa dell'8 marzo, con
tutte le case con la mimosa", ed ancora: "dicevamo che era la festa delle
donne e le donne si radunavano portando i loro bambini ed erano feste
gigantesche [...]; le donne portavano torte grandissime. C'era la mimosa, il
giornale, andavano casa per casa a raccogliere la roba [...]. Quando era ora
con una fisarmonica facevano entrare i mariti e li facevano pagare dando
loro la mimosa".
E' anche questa la dimensione che si addensa nella memoria delle donne che
ricordano con gioia e orgoglio le energie impegnate per il successo delle
iniziative e la carica emotiva che dominava l'atmosfera di quelle giornate,
alimento per l'impegno futuro: "Il primo impatto che ho avuto all'Udi [...]
non mi ricordo esattamente ma fu probabilmente per un 8 marzo. Insomma mi
ricordo una grandissima voglia di inventare delle cose. Anche la
trasgressivita' se vuoi e l'allegria, la gioia di vivere, la voglia di
esserci". Cosi' una militante, riferendosi agli anni Settanta, ricompone
quel clima di entusiasmo e gioia proprio della festa. Intanto la Giornata
delle donne allarga il suo cerchio e si estende ben oltre i circoli Udi, nel
decennio successivo e' assunta anche dal Centro italiano femminile.
Negli anni Settanta l'affermazione dei movimenti femministi e con essi di
una nuova agenda politica per le donne si riverso' anche sui simboli della
tradizione definita - non senza una punta di disprezzo - "emancipazionista".
Nel continente dei colori della politica primeggio' il rosa che troneggio' a
lungo nelle coloratissime manifestazioni femministe colme di gioia, di
rabbia, del desiderio di "esserci", mutarono slogan e parole d'ordine, ma
l'8 marzo sembro' resistere - anche se furono numerose le incursioni del
messaggio pubblicitario sui consumi che richiamavano all'acquisto
dell'ultimo modello di lavatrici o di cioccolatini - e la mimosa criticata,
ripudiata, fini' pero' sostanzialmente per restare un simbolo prediletto.
Una giovane femminista nel 1978 scriveva sulle pagine di "Effe": "Oggi la
mimosa e' protagonista, e' importante [...]. A piccoli gruppi, mi vengono
incontro altri mazzi di mimosa, macchie gialle sui vestiti, sui capelli, fra
le mani. [...] Al mercato dei fiori, la mimosa e' finita. Ne raccolgo un
rametto per terra. Perche' anch'io sono donna, anch'io voglio stringerla fra
le mani".

4. INIZIATIVE. GIOVANNA PROVIDENTI: UN INCONTRO DI DONNE A JAPUR
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org), col titolo "Il summit
internazionale di Japur" e il sommario "Strumenti e pratiche politiche delle
donne per salvare il pianeta e per un futuro di giustizia e solidarieta'".
Giovanna Providenti e' ricercatrice nel campo dei peace studies e women's
and gender studies presso l'Universita' Roma Tre, saggista, si occupa di
nonviolenza, studi sulla pace e di genere, con particolare attenzione alla
prospettiva pedagogica. Ha due figli. Partecipa  al Circolo Bateson di Roma.
Scrive per la rivista "Noi donne". Ha curato il volume Spostando mattoni a
mani nude. Per pensare le differenze, Franco Angeli, Milano 2003, e il
volume La nonviolenza delle donne, "Quaderni satyagraha" - Libreria Editrice
Fiorentina, Pisa-Firenze 2006; ha pubblicato numerosi saggi su rivista e in
volume, tra cui: Cristianesimo sociale, democrazia e nonviolenza in Jane
Addams, in "Rassegna di Teologia", n. 45, dicembre 2004; Imparare ad amare
la madre leggendo romanzi. Riflessioni sul femminile nella formazione, in M.
Durst (a cura di), Identita' femminili in formazione. Generazioni e
genealogie delle memorie, Franco Angeli, Milano 2005; L'educazione come
progetto di pace. Maria Montessori e Jane Addams, in Attualita' di Maria
Montessori, Franco Angeli, Milano 2004. Scrive anche racconti; sta
preparando un libro dal titolo Donne per, sulle figure di Jane Addams, Mirra
Alfassa e Maria Montessori, e un libro su Goliarda Sapienza]

Quest'anno alcune di noi festeggiano l'8 marzo in India, come partecipanti
del Summit internazionale di Japur (6-10 marzo) "Making Way for the
Feminine: for the benefit of the world community" (dare spazio al femminile
per il miglioramento della comunita' mondiale) organizzato dal Global Peace
Initiative of Women (Gpiw) con la presenza di leader politiche, religiose e
della societa' civile. Obiettivo dell'iniziativa e' trovare parole chiave,
strumenti e pratiche politiche rivolte alla realizzazione di significativi
cambiamenti a vari livelli della societa' attraverso il rafforzamento della
partecipazione femminile.
Tra i vari argomenti di riflessione vi e' il modo in cui una leadership di
donne puo' fare la differenza in ambito politico, religioso ed economico per
contribuire alla trasformazione sociale. La domanda e': cosa possono fare le
donne per portare la comunita' globale verso una societa' meno violenta,
piu' rispettosa dei bisogni di poveri, bambini e giovani, e piu' sensibile
ai problemi dell'ambiente?
A partire dall'affermazione che non basta rivendicare una maggiore
rappresentanza delle donne nei posti di potere, il Gpiw convoca donne
religiose politiche e intellettuali a riflettere su come oggi possano
intendersi i "feminine principles": che cosa e' innato e cosa dovuto a
condizionamenti sociali? Quali sono le qualita' "femminili" che vale la pena
recuperare per guidare il mondo verso una differente direzione?
Persuase che nel mondo non vi potra' essere equilibrio e pace fino a che le
donne saranno represse, violentate e trattate come oggetto sessuale, e fino
a quando la terra continuera' ad essere abusata e degradata, le
organizzatrici del summit si propongono di cercare modalita' per contribuire
all'aumento di una maggiore consapevolezza ed al riequilibrio dello
sbilanciamento di genere, causa non trascurabile di conflitti, malattia,
poverta' e inquinamento.
Il summit "Making Way for the Feminine" si propone di continuare il lavoro
intrapreso cinque anni fa a Ginevra quando piu' di seicento donne leader si
sono riunite al Palazzo delle Nazioni prendendo l'impegno di un nuovo sforzo
di pace e fondando il "Global Peace Initiative of Women". Da allora
l'organizzazione, che lavora in partnerariato con le Nazioni Unite, e' molto
cresciuta realizzando progetti e interventi rivolti a favorire gli sforzi
delle donne a livello locale in aree represse o in guerra.
Il programma del Gpiw e' favorire il cambiamento e lo sviluppo a partire dal
basso e volgersi al cambiamento non soltanto a un livello politico, ma anche
a quello della percezione individuale e collettiva: per "iniziare a pensare,
agire ed essere un unica famiglia globale, apprezzando la parita' di tutti i
membri, lavorando verso il tanto necessario equilibrio di Oriente e
Occidente, Nord e Sud, maschile e femminile".

5. INIZIATIVE. IL 10 MARZO A TERNI
[Da Anna Maria Civico (per contatti: amcivico at hotmail.com) riceviamo e
volentieri dffondiamo.
Anna Maria Civico, calabrese, ha vissuto a Catanzaro, Roma, Malo (Vicenza),
Venezia, attualmente vive a Terni; e' attrice, cantante, trainer di canto e
di teatro; conduce laboratori di teatro nella natura, drammaturgia per un
teatro ecocompatibile, laboratori di canto, laboratori di teatro; molte
utili informazioni su di lei sono nel suo sito:
www.mediarama.it/annamaria/ - ma queste minime informazioni non bastano
certo a rendere l'incanto del suo recitare, del canto suo, della sua viva
presenza: colta ricercatrice delle tradizioni popolari e sperimentatrice
inesausta di forme espressive, dolce e mite la sua voce e il suo sguardo
guarisce ferite, lenisce dolori, suscita riconoscimento di umanita',
costruisce cosi' - respiro per respiro, parola per parola - la pace
possibile e necessaria, nell'incontro infinito con l'altra e con l'altro]

Lunedi 10 marzo, alle ore 21, al Teatro C del Centro Multimediale di Terni,
in piazzale Bosco 3, verra' rappresentata la "Passion selon Madelen",
spettacolo di teatro-canto di e con Anna Maria Civico, ricerca teatrale
indipendente...
In collaborazione con: Skene' - attivita' e servizi per il teatro, Comune di
Terni - assessorato alla cultura e alle politiche giovanili.

6. LIBRI. LILIANA RAMPELLO PRESENTA "IL SECONDO SESSO" DI SIMONE DE BEAUVOIR
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it),
col titolo "Simone de Beauvoir lo scandalo continua".
Liliana Rampello e' un'autorevolissima intellettuale femminista, saggista e
docente, insegna Estetica all'Universita' di Bologna; ha collaborato a molte
riviste, tra cui "Il Verri", "Rinascita", "Studi di estetica", "Critica
marxista", "Via Dogana"; nel sito della Libreria delle donne di Milano
(www.libreriadelledonne.it) cura la stanza "Paradiso", dedicata a libri e
recensioni; per la casa editrice Pratiche ha diretto la collana "Strumenti
per scrivere e comunicare", e' consulente del gruppo editoriale Il
Saggiatore. Opere di Liliana Rampello: La grande ricerca, Pratiche, Milano
1994; (a cura di, con Annarosa Buttarelli e Luisa Muraro), Duemilaeuna.
Donne che cambiano l'Italia, Pratiche, Milano 2000; (a cura di), Virginia
Woolf tra i suoi contemporanei, Alinea, Firenze 2002; Il canto del mondo
reale. Virginia Woolf. La vita nella scrittura, Il Saggiatore, Milano 2005.
Simone de Beauvoir e' nata a Parigi nel 1908; e' stata protagonista, insieme
con Jean-Paul Sartre, dell'esistenzialismo e delle vicende della cultura,
della vita civile, delle lotte politiche francesi e mondiali dagli anni
trenta fino alla scomparsa (Sartre e' morto nel 1980, Simone de Beauvoir nel
1986). Antifascista, femminista, impegnata nei movimenti per i diritti
civili, la liberazione dei popoli, di contestazione e di solidarieta', e'
stata anche lucida testimone delle vicende e degli ambienti intellettuali di
cui e' stata partecipe e protagonista. Opere di Simone de Beauvoir:
pressoche' tutti i suoi scritti sono stati tradotti in italiano e piu' volte
ristampati; tra i romanzi si vedano particolarmente: Il sangue degli altri
(Mondadori), Tutti gli uomini sono mortali (Mondadori), I mandarini
(Einaudi); tra i saggi: Il secondo sesso (Il Saggiatore e Mondadori), La
terza eta' (Einaudi), e la raccolta Quando tutte le donne del mondo...
(Einaudi). La minuziosa autobiografia (che e' anche un grande affresco sulla
vita culturale e le lotte politiche e sociali in Francia, e non solo in
Francia, attraverso il secolo) si compone di Memorie d'una ragazza perbene,
L'eta' forte, La forza delle cose, A conti fatti, cui vanno aggiunti i libri
sulla scomparsa della madre, Una morte dolcissima, e sulla scomparsa di
Sartre, La cerimonia degli addii, tutti presso Einaudi. Opere su Simone de
Beauvoir: Enza Biagini, Simone de Beauvoir, La Nuova Italia, Firenze 1982
(cui si rinvia per una bibliografia critica ragionata)]

"Considerare il feto come un essere umano e' un atteggiamento metafisico"
affermava Simone de Beauvoir nel 1974, due anni dopo aver accettato la
presidenza dell'associazione femminista francese "Choisir", che lottava per
la depenalizzazione dell'aborto, ed essersi autodenunciata al processo di
Bobigny fra le 343 salopes, donnacce, che dichiaravano pubblicamente di aver
abortito. Anche l'Italia ha visto negli anni migliaia di donne in piazza per
la 194, per ottenerla e per difenderla, anche in Italia c'erano donne che
non avrebbero voluto una legge, ma piuttosto la depenalizzazione di un
reato, con accesso gratuito alle strutture pubbliche di assistenza.
Di nuovo, dopo piu' di trent'anni? Sembra di ricominciare, ma le cose non
tornano mai identiche e oggi l'attacco alla liberta' femminile in tutti i
suoi aspetti e' invasivo, invadente, prepotente. Viene da istituzioni e
uomini ormai privi di vera autorita' ma grondanti autoritarismo, incapaci di
stare al livello di molte parole femminili sensate e pensate, scritte e
dette, che molti fanno finta di non conoscere o fraintendono malignamente.
Mi sembra di assistere a un misero spettacolo: il grande animale morente, il
patriarcato, che da' gli ultimi colpi di coda, violenti e incontrollati.
Alcune lo avevano detto anni fa (1996), in un foglio intitolato
"Sottosopra", il patriarcato e' finito, ricordando anche che la donna,
secondo Kristeva, "non ha di che ridere quando crolla l'ordine simbolico".
Parto di qui per parlare di un testo importante, Il secondo sesso di Simone
de Beauvoir, che ritorna in libreria nel centenario della nascita della sua
autrice e per i cinquant'anni della casa editrice, il Saggiatore, che lo ha
fatto conoscere in Italia e lo propone ancora oggi, giustamente, fra i suoi
classici. Per questa occasione una nuova introduzione e' stata affidata a
Julia Kristeva, che in Francia presiede alle celebrazioni in onore
dell'autrice, e a me e' stata affidata la postfazione, che ho scelto di
scrivere come un racconto della ricezione italiana del testo, lasciando
parlare le molte protagoniste della nostra storia politica, per capire
quanto, come, e se la de Beauvoir avesse inciso nella loro formazione
personale e nella loro militanza, in partiti o gruppi. Mi hanno aiutata in
molte, con ricordi e riflessioni, e le voglio nominare tutte per dare
un'idea della grande maglia di scambi che si possono cosi' leggere come in
un palinsensto: Luciana Castellina, Carla Mosca, Miriam Mafai, Marisa
Rodano, Margherita Repetto, Rossana Rossanda, Paola Gaiotti de Biase,
Luciana Viviani, Letizia Paolozzi, Letizia Bianchi, Daniela Pellegrini, Lia
Cigarini, Luisa Boccia, Laura Lepetit, Luisa Muraro, Marisa Forcina, Franca
Fossati, Carla Pasquinelli, Mariella Gramaglia, Federica Giardini (ricordo
infine, con grande affetto, la disponibilita' di Giglia Tedesco, mancata
proprio nei giorni in cui scrivevo). Queste voci "vive" mi hanno permesso
poi di inserire nell'intarsio altre pensatrici, altri testi, i molti
elementi di una discussione appassionante che arriva all'oggi, da Luce
Irigaray a Judith Butler.
L'elenco non e' inutile, mancano gli uomini, e non a caso o per scelta
aprioristica. Fin dal momento della sua uscita in Francia, nel 1949, il
libro ha fatto scandalo mentre raggiungeva vere e proprie vette di vendita,
e la reazione maschile non si era fatta aspettare, per lo piu' espressa in
ingiurie e sarcasmi di tutti i tipi, virago, nevrotica, repressa, frigida,
ninfomane, lesbica, priapica, e per di piu' misogina. Il libro suscitava le
ire dei cattolici e dei marxisti o, quando andava bene, se ne sottolineava
la secondarieta' dell'autrice rispetto al suo compagno, Sartre. I tre
capitoli, "La madre", "Iniziazione sessuale", "La lesbica", pubblicati in
anteprima su "Les Temps Modernes", avevano scatenato un uragano. Sarebbero
bastate le prime 15 pagine dedicate alla madre, a scatenarlo, visto che li'
sono condensati i pensieri in difesa della liberta' dell'aborto, si nega
l'esistenza stessa dell'istinto materno, si considera alienante la funzione
materna. In Italia Arnoldo Mondadori compra subito i diritti del libro, ma
non lo pubblica... Nel 1956 un editto vaticano lo mette all'indice
(intervento persino piu' comprensibile della misera censura sulla scena di
un film), il clima culturale non e' favorevole e sara' Alberto Mondadori,
una volta fondata nel 1958 la sua casa editrice, il Saggiatore, a
pubblicarlo nel 1961, nella collana "Cultura", di fianco a Levi-Strauss e a
De Martino, consacrandolo fra i libri di studio. Dopo di che, praticamente,
silenzio stampa, dunque avevo ben poco materiale serio per far parlare gli
uomini, a parlare mi e' sembrato piuttosto il loro silenzio, la loro
indifferenza. Ne' mi pareva interessante seguire le discussioni disciplinari
che man mano ovviamente hanno coinvolto gli studi accademici. Ben piu'
importante infatti e' un altro dato, ovvero che Il secondo sesso, nonostante
la vastita' dell'impianto e la sua problematicita' filosofica, abbia sempre
incontrato un pubblico di donne comuni che lo hanno letto con passione, lo
hanno usato per capire e capirsi, se ne sono servite nelle loro lotte
private e pubbliche. In questo sicuramente gioca tutta la seconda parte del
libro, vero e proprio viaggio tra le esperienze vissute dalle donne,
raccontate con limpida e impietosa precisione in una lingua che si piega
sulle piccole verita' per dire finalmente chi e' la donna, per sottrarla a
un destino biologico che la inchioda e le nega l'accesso alla storia - la
frase piu' celebre e conosciuta, la piu' discussa, e' "donna non si nasce,
lo si diventa" - una lingua che parla diretta al cervello e al cuore
femminili. Ovunque nel mondo, a milioni, le donne leggeranno questo testo
che si fa capire anche da quelle che non si destreggiano con abilita' fra
questioni filosofiche quali immanenza e trascendenza. C'e' una verita'
dell'autrice, che si sente a pelle, ovvero che per scrivere questo libro,
lei, la grande intellettuale solitaria, ha dovuto chiedersi cosa significa
dire: "io sono una donna", e questo, semplicemente questo, "l'andare
scoprendo le sue idee man mano", apre il suo libro alla lettura di qualsiasi
mente. E alla discussione di quante, negli anni a seguire, prendendo
coscienza di se', a lei si sono riferite, con lei consentendo o mettendola
radicalmente in discussione. Per un decennio persino mettendola in soffitta.
Eppure Simone de Beauvoir ricompare sempre e sempre con una sua specifica
vitalita', in ragione di almeno due mosse, il richiamo continuo ad assumersi
la responsabilita' del proprio destino e del mondo comune, e la coraggiosa
liberta' con cui ha spaziato tra tutti i saperi per riattraversarli,
decostruirli diremmo oggi, e raccontarli alla luce di uno sguardo
differente. Affrontare il suo lavoro diventa allora questione di nuove
possibili interpretazioni di un libro-monumento del pensiero del Novecento,
di farlo reagire di fronte all'irruzione del pensiero della differenza, di
metterlo in tensione radicale con l'idea di parita' e uguaglianza, di
marcarne i limiti, di metterne in luce le contraddizioni, non dimenticando
mai che "la separazione dei sessi non e' fondata su alcuna natura, su alcuna
essenza", come lei ci ha insegnato.
Celebrarla o liquidarla? si chiedeva Maria Serena Palieri sull"Unita'"
dell'8 gennaio, sfogliando per noi i giornali italiani nel giorno del
centenario. Poche pagine, voli in superficie, a guardar bene. Una forte
tentazione alla liquidazione di una pensatrice e di un testo che
evidentemente puo' ancora fare scandalo. E pensare che anni fa Rosi
Braidotti con gioia aveva affermato in proposito che "la transizione dal
blasfemo al banale da' la misura del progresso compiuto", e la stessa
Simone, molto prima, nella Forza delle cose, aveva rilevato non solo che la
verita' al suo libro l'avevano conferita le donne, ma che era merito loro se
non scandalizzava piu'. Forse non e' cosi' vero, forse e' meglio leggere o
rileggere Il secondo sesso per capire quanto e' davvero scandaloso che
qualcuno ancora pensi di poter parlare al posto di una donna.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 165 del 6 marzo 2008

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