Voci e volti della nonviolenza. 155



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 155 del 5 marzo 2008

In questo numero:
Contro la guerra, la nonviolenza (parte seconda e conclusiva)

CONTRO LA GUERRA, LA NONVIOLENZA (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Dalle "Minime" n. 253 ripubblichiamo ancora una volta ampia parte di un
testo gia' diffuso nel 2001 (e gia' ripresentato su questo foglio piu'
volte), nato dalla rifusione di materiali precedenti e parzialmente apparso
in Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Annuario della pace,
Asterios, Trieste 2001. La prima parte e' apparsa nel supplemento di ieri]

Cosa e' la nonviolenza: questioni terminologiche preliminari
1. Il termine
Il termine "nonviolenza" e' la traduzione italiana del concetto coniato da
Gandhi per definire la sua proposta ed azione di lotta; Gandhi utilizza due
termini: ahimsa, che potremmo tradurre come "non violenza", o anche
"assoluto contrario della violenza", "radicale opposizione alla violenza",
ed anche "in-nocenza", "assoluto rifiuto di fare del male"; e satyagraha,
che potremmo tradurre come "forza della verita'", "attaccamento, adesione
alla verita'", “ma anche "forza coesiva della verita'"; non solo: la radice
indoeuropea "sat" designando non solo il vero, ma l'essere, il bene, il
divino come infinitamente vero e buono, il termine coniato da Gandhi
significa altresi' "prossimita' al bene", "contatto con l'essere", "unita'
con il e nel giusto e verace", "coessenzialita'": insomma i termini
gandhiani ahimsa e satyagraha definiscono un campo semantico ad un tempo
molto preciso, molto profondo ed insieme molto ampio. Il termine italiano
nonviolenza li traduce entrambi unificandoli; la sua peculiare forma grafica
(scrivere cioe' "nonviolenza" tutto attaccato e non separando "non" e
"violenza") e' stata proposta da Aldo Capitini, il maggior pensatore e
promotore della nonviolenza in Italia, per sottolineare la positivita' ed
originalita' del concetto.
Il termine "nonviolenza" e' quindi recente, risale a Gandhi ed e' del tutto
novecentesco.
2. Il concetto
Ci si e' posti spesso il problema se sia recente anche il concetto cui il
termine si riferisce. Come e' noto una diffusa antologia di scritti
gandhiani edita per le cure dell'Unesco si intitola Antiche come le
montagne, e fa riferimento ad una celebre frase gandhiana in cui la
nonviolenza e' definita appunto "antica come le montagne".
Ahinoi, qui mettiamo in discussione questa autorevole opinione, ed en
passant contesteremo anche la fattura di questo celebre libro come di molte
altre antologie gandhiane. E cominciamo da questa seconda opposizione:
spesso si pubblicano raccolte di scritti gandhiani riducendo i suoi
ragionamenti in "pillole", in frasi celebri astratte dal contesto. Ma Gandhi
non e' stato uno scrittore sistematico, un accademico, un trattatista,
bensi' un militante; e la sua scrittura e' quasi esclusivamente
giornalistica ed epistolare, sempre mirata alla concreta lotta da condurre
in quel preciso momento ed in quella precisa situazione; e stando cosi' le
cose non e' infrequente che Gandhi torni autocriticamente sulle sue
precedenti opinioni per modificarle; cosi' come e' assolutamente ovvio che
in momenti e situazioni diverse egli si esprima in modo diverso e vi siano
quindi testi gandhiani che estrapolati dal contesto e posti l'uno di fronte
all'altro possono sostenere due tesi perfettamente opposte. Da cio'
deduciamo la necessita' di evitare la pubblicazione di "pillole" gandhiane,
per quanto brillanti ed acuminate possano essere singole frasi ridotte ad
aforismi, e proponiamo invece che si pubblichi (e quindi si legga) Gandhi in
edizioni che diano conto del contesto in cui i singoli testi proposti alla
riflessione concretamente si inseriscono (da questo punto di vista non si
lodera' mai abbastanza per il suo rigore e la sua lealta' la fondamentale
antologia di scritti gandhiani curata da Giuliano Pontara per Einaudi:
Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino, piu'
volte ristampata).
Peraltro del carattere sperimentale, aperto, contestuale e concreto della
sua proposta teorico-pratica Gandhi era pienamente consapevole, al punto da
intitolare la sua autobiografia Storia dei miei esperimenti con la verita'
(in traduzione italiana disponibile oggi col titolo stabilito dagli editori
La mia vita per la liberta', Newton Compton, Roma), ripetutamente
sottolineandovi come la sua ricerca, le sue esperienze e riflessioni, lo
portassero ad un atteggiamento non dogmatico e ad una concezione
costitutivamente aperta, sperimentale, dialettica, creativa della
nonviolenza.
Detto questo, passiamo alla prima questione proposta: il concetto di
nonviolenza e' antico o recente? Noi propendiamo per la seguente risposta:
il concetto di nonviolenza e' recente, e risale a Gandhi; la prassi della
nonviolenza e' invece effettivamente antica ed ha molte manifestazioni nel
corso della storia dell’umanita'.
3. La prassi
Vi sono nel passato prenovecentesco innumerevoli episodi di riflessione e
prassi nonviolente, ma in essi raramente la nonviolenza si presenta come un
concetto autonomo e fondativo dell'azione; piu' spesso e' implicato da
motivazioni o da finalita' che restano altre.
Facciamo alcuni esempi: sono sicuramente altissime figure di nonviolenti
alcuni fondatori e rappresentanti di religioni: ma in queste personalita',
nella loro predicazione, nelle loro esperienze, non era centrale l'idea di
un'azione riformatrice etico-politico-sociale nonviolenta; centrale e' una
posizione e proposta religiosa e trascendente.
Orbene, si potrebbe obiettare che anche in Gandhi la prospettiva religiosa
e' centrale; cio' e' vero, ma e' non meno vero che la proposta della
nonviolenza non si configura come parte speciale di un progetto religioso da
assumere tout court, ma come teoria-prassi dotata di una sua autonomia e di
una sua capacita' persuasiva anche rispetto a persone che non ne condividono
i fondamenti religiosi. Ed in effetti e' possibile aderire alla
teoria-prassi nonviolenta senza aderire ad una posizione religiosa.
Ancora: nel corso della storia molti movimenti sociali hanno fatto uso di
tecniche di lotta nonviolente; hanno proposto e praticato programmi sociali
e politici nonviolenti; hanno adottato etiche personali e collettive
nonviolente; basti pensare a tante esperienze del cristianesimo (il cui
ruolo storico nell'abbattimento del sistema schiavistico antico e
dell'ideologia ad esso inerente e' indiscutibile), con punte
rilevantissime - un solo esempio: Francesco d'Assisi -; dell'umanesimo -
anche qui un solo esempio: l'irenismo erasmiano -; dell'illuminismo; del
socialismo in molte delle sue concrete vicende di pensiero e di lotta; delle
tradizioni che oggi definiremmo "ecologiste" - includendo in esse anche
culture tradizionali comunitarie distrutte dalla furia colonialista -.
Tuttavia una compiuta (ancorche' aperta e felicemente inconcludibile)
teorizzazione della nonviolenza ed una pratica politico-sociale centrata su
di essa e' un fatto dell'ultimo secolo.
Poi, naturalmente, in alcune delle figure piu' rilevanti della nonviolenza
contemporanea ed autocosciente la radice della riflessione, della scelta e
dell'impegno puo' benissimo essere religiosa, cosi' e' in Gandhi, cosi' in
Lanza del Vasto, cosi' in Martin Luther King, cosi' anche - in modo a lui
peculiare - in Aldo Capitini (che pure interagisce con l'antifascismo
politico e la tradizione otto-novecentesca azionista, mazziniana ma anche
liberal-socialista come e' noto); ma molte delle persone che hanno aderito
ai movimenti di lotta da essi suscitati potevano benissimo non condividere
quella radice e pur sentirsi completamente presi da quelle proposte
analitiche ed operative, di riflessione e di lotta, ed aderirvi quindi toto
corde muovendo da una prospettiva integralmente laica.
Fondamentalmente laica ci pare di poter considerare la proposta di Danilo
Dolci, o quella ecofemminista di Vandana Shiva, o l'elaborazione di Gene
Sharp, o di Johan Galtung, o di Giuliano Pontara. Ed un rappresentante
illustre della nonviolenza come Jean Marie Muller ha pertinentemente
argomentato nel senso del riconoscimento dell'autonomia teorica della
nonviolenza e della possibilita' di un'adesione ad essa indipendentemente
dall'eventuale credo religioso personale; ed analogamente ha argomentato, in
una piu' ampia riflessione sull'uomo "planetario" che deve fronteggiare qui
e adesso sfide globali terribili e cruciali e costruire una cultura della
pace che a tutti chiede un peculiare contributo, uno straordinario sacerdote
cattolico come Ernesto Balducci.
Insomma, la prassi nonviolenta e' un fenomeno che ha una lunga tradizione
storica; la concettualizzazione della nonviolenza come teoria-prassi
specifica risale a Gandhi ed e' quindi fenomeno relativamente recente; la
terminologia precisamente corrispondente e' gandhiana, e la sua piu'
adeguata traduzione e peculiare trascrizione italiana e' merito particolare
di Aldo Capitini.
*
Cosa e' la nonviolenza: alcune definizioni classiche
Venendo alla definizione di cosa la nonviolenza sia, preliminarmente
ripetiamo che di essa sono state date definizioni molteplici non solo a
seconda dei diversi protagonisti che ne hanno fatto uso e dei diversi autori
che ne hanno scritto, ma anche dalla stessa persona, militante e/o studioso,
in fasi e contesti diversi della sua riflessione e del suo agire.
Qui proponiamo una nostra definizione sintetica ed aperta: la teoria-prassi
della nonviolenza si basa sull'amore-forza della verita', e' lotta contro la
violenza condotta in modo rigoroso e radicale, praticando la coerenza tra
mezzi e fini; la nonviolenza si caratterizza per un atteggiamento
sperimentale e non dogmatico, di apertura e comprensione; la nonviolenza e'
agire nelle situazioni di conflitto, e' resistenza concreta e intransigente
contro l'oppressione, e' progetto sociale di eguaglianza e di liberazione
testimoniato e costruito nell'azione diretta.
Di seguito indichiamo alcuni testi di riferimento presso cui è possibile
trovare alcune definizioni classiche di essa date dai più grandi studiosi e
militanti della nonviolenza.
1. Alcune definizioni di Gandhi: segnaliamo qui come riferimento la bella
antologia di scritti di Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza,
Einaudi, Torino 1973 e successive edizioni.
2. Alcune definizioni di Aldo Capitini: segnaliamo qui come riferimento la
bella antologia di scritti di Aldo Capitini, Il messaggio di Aldo Capitini,
Lacaita, Manduria 1977.
3. Una sintesi di Giuliano Pontara: segnaliamo qui (oltre ai vari suoi
volumi - di cui i più recenti sono La personalita' nonviolenta e Guerra,
disobbedienza civile, nonviolenza, ambedue presso le Edizioni Gruppo Abele,
Torino, 1996 -, ed alla notevole introduzione a Gandhi, Teoria e pratica
della nonviolenza, cit.) particolarmente le brevi voci Gandhismo e
Nonviolenza in Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino (a
cura di), Dizionario di politica, Utet, Torino, poi in edizione economica
Tea, Milano.
4. Una sintesi di Jean Marie Muller: segnaliamo qui particolarmente l’opera
di Jean Marie Muller, Strategia della nonviolenza, Marsilio, Padova 1975.
5. Una sintesi di Gene Sharp: segnaliamo qui l'opera fondamentale di Gene
Sharp, Politica dell’azione nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino
1985-1997, tre volumi. 6. Una sintesi di Christian Mellon e Jacques Semelin:
segnaliamo qui il volumetto di Christian Mellon e Jacques Semelin, La
non-violence, P.U.F., Paris 1994.
*
Dodici sguardi sulla nonviolenza
Ci permettiamo di riprodurre qui alcune nostre proposte di definizione, che
ovviamente offriamo alla discussione.
1. Rompere la complicita'. Alla base della nonviolenza vi e' la
consapevolezza che il potere ingiusto ed oppressivo si regge anche sulla
complicita' delle vittime e degli indifferenti: la nonviolenza e' in primo
luogo un appello a rompere la complicita' con l'ingiustizia, a toglierle il
consenso, ad uscire dalla passivita', a prendersi la propria
responsabilita', a lottare per la verita' e la giustizia.
2. La nonviolenza e' lotta. E' lotta contro la violenza, contro
l'ingiustizia, contro la menzogna. E' lotta perche' ogni essere umano sia
riconosciuto nella sua dignita'; e' lotta contro ogni forma di
sopraffazione; e' lotta di liberazione per l'uguaglianza di tutti nel
rispetto e nella valorizzazione della diversita' di ognuno. E' la forma di
lotta piu' profonda, quella che va piu' alla radice delle questioni che
affronta. E' lotta contro il potere violento, cui si oppone nel modo piu'
completo, rifiutando la sua violenza e rifiutando di riprodurre violenza.
Afferma la coerenza tra i mezzi ed i fini, tra i metodi e gli obiettivi. Tra
la lotta e il suo risultato c'e' lo stesso rapporto che c'e' tra il seme e
la pianta. Chi lotta per la liberazione di tutti, deve usare metodi
coerenti. Chi lotta per l'uguaglianza deve usare metodi che tutti possano
usare. Chi lotta per la verita' e la giustizia deve lottare nel rispetto
della verita' e della giustizia. E' lotta contro il male, non contro le
persone. E' lotta per difendere e liberare, per salvare e per convincere, e
non per umiliare o annientare altre persone. E' lotta fatta da esseri umani
che non dimenticano di essere tali. Che non si abbrutiscono, che non
vogliono fare del male, bensi' contrastare il male. E' lotta per l'umanita'.
La nonviolenza e' il contrario della vilta'. E' il rifiuto di subire
l'ingiustizia; e' il rifiuto di ogni ingiustizia, sia di quella contro di
me, sia di quelle contro altri. La nonviolenza e' lotta. E' lotta per la
verita', e' lotta per la giustizia, e' lotta di liberazione e di
solidarieta', e' lotta contro ogni oppressione.
3. Otto brevi caratterizzazioni della nonviolenza. La nonviolenza e' forte:
puo' opporsi efficacemente alla forza delle armi; puo' sfidare coerentemente
i piu' grandi poteri del mondo. La nonviolenza e' umile: non richiede
attitudini eccezionali, pose monumentali, proclami retorici; non richiede
ingenti risorse fisiche o finanziarie; richiede limpidezza di condotta ed
assunzione di responsabilita'. La nonviolenza e' concreta: interviene
realmente nel conflitto; porta la pace e la giustizia nel suo stesso porsi;
si oppone ugualmente alla vigliaccheria ed alla violenza; educa alla
dignita' umana. La nonviolenza e' coerente: e' l'unico modo coerente di
lottare contro la violenza; e' l'unico modo coerente di affermare la
dignita' di ogni essere umano; e' l'unico modo coerente per ridurre
l'ingiustizia e il dolore nel mondo. La nonviolenza e' il potere di tutti:
poiche' tutti possono lottare con la nonviolenza, poiche' la nonviolenza fa
appello a tutti, poiche' la nonviolenza rispetta la dignita' di tutti e di
ciascuno. La nonviolenza e' adesione alla verita', e' forza della verita':
da Gandhi a Capitini gli amici della nonviolenza sanno che essa e'
incompatibile con la menzogna, con i sotterfugi, con gli intrighi e le
doppiezze: la nonviolenza e' l'amore per la verita' che irrompe nell'agire
politico e sociale, e' il principio responsabilita' (il rispondere al volto
dell'altro che muto e sofferente ti interroga - Levinas -, il farsi carico
del mondo e dell'umanita' - Jonas -) che si rende operare autentico; e' la
critica della ragion pratica che si fa movimento di solidarieta' e di
liberazione. La nonviolenza e' lotta come amore: lotta integrale contro
l'ingiustizia e la menzogna, lotta integrale per la comunicazione e la
dignita', lotta integrale contro la violenza; lotta integrale per i diritti
umani, lotta integrale per un'umanita' di eguali, liberi e fraterni. La
nonviolenza e' utopia concreta, principio speranza, ortopedia del camminare
eretti: abbiamo usato queste tre formule del filosofo Ernst Bloch per
significare che la nonviolenza e' concreta azione e concreto progetto
politico e sociale di dignita' umana e difesa della biosfera; che la
nonviolenza e' inveramento della speranza in una lotta coerente e che nel
suo stesso farsi e' liberante; che la nonviolenza e' affermazione ed
istituzione del diritto e dei diritti, legalita' e democrazia in cammino.
4. Quattro regole di condotta per l’azione diretta nonviolenta: I. A
un'iniziativa nonviolenta possono partecipare solo le persone che accettano
incondizionatamente di attenersi alle regole della nonviolenza. II. Tutti i
partecipanti devono saper comunicare parlando con chiarezza, con
tranquillita', con rispetto per tutti, e senza mai offendere nessuno. III.
Tutti i partecipanti devono conoscere perfettamente senso, fini, modalita' e
conseguenze dell’azione diretta nonviolenta; devono averne piena conoscenza,
e devono esserne completamente convinti; in particolare sottolineiamo la
necessita' di essere pienamente informati e consapevoli delle conseguenze
cui ogni singolo partecipante puo' andare incontro, conseguenze che vanno
accettate pacificamente e onestamente, ed alle quali nessuno deve cercare di
sottrarsi. IV. Tutti devono rispettare i seguenti princìpi della
nonviolenza: a) non fare del male a nessuno (se una sola persona dice o fa
delle stupidaggini, o una sola persona si fa male, l'azione diretta
nonviolenta e' irrimediabilmente e totalmente fallita, e deve essere
immediatamente sospesa); b) spiegare a tutti (amici, autorita',
interlocutori, interpositori, eventuali oppositori) cosa si intende fare, e
che l'azione diretta nonviolenta non e' rivolta contro qualcuno, ma contro
la violenza; c) dire sempre e solo la verita'; d) fare solo le cose decise
prima insieme con il metodo del consenso ed annunciate pubblicamente (cioe'
a tutti note e da tutti condivise); nessuno deve prendere iniziative
personali di nessun genere; la nonviolenza richiede lealta' e disciplina; e)
assumersi la responsabilita' delle proprie azioni e quindi subire anche le
conseguenze che ne derivano; f) mantenere una condotta nonviolenta anche di
fronte all'eventuale violenza altrui. Chi non accetta queste regole non puo'
partecipare all'azione diretta nonviolenta, poiche' sarebbe di pericolo per
se', per gli altri e per la riuscita dell'iniziativa che deve essere,
appunto, rigorosamente nonviolenta. Per poter partecipare ad un'azione
diretta nonviolenta e' necessario aver partecipato prima alla discussione ed
all'organizzazione che ha portato alla sua decisione e realizzazione, ed e'
altresì assolutamente indispensabile aver partecipato ad un training di
addestramento alla nonviolenza.
5. Una definizione fondamentale: la "carta" del Movimento Nonviolento. Una
definizione breve e precisa degli obiettivi e dei metodi di chi si impegna
con e per la nonviolenza e' nella carta ideologico-programmatica del
Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini: [Non lo riproduciamo qui
poiche' e' gia' integralmente trascritto in tutti i numeri di questo stesso
notiziario - anche nel presente - come penultimo testo].
6. Necessita' dell'addestramento alla nonviolenza. La nonviolenza non e' ne'
un atteggiamento spontaneo, ne' un banale "volersi bene"; bensi': a) una
meditata scelta etico-politica di trasformazione delle relazioni personali e
sociali, b) un insieme di tecniche di lotta rigorose ed assai elaborate, c)
una strategia di lotta profondamente caratterizzata, d) un progetto di
relazioni umane e politiche radicalmente alternativo a quelle dominanti.
Quindi la nonviolenza non è affatto "spontanea", va conosciuta e coltivata.
Nessuno si sorprende se un soldato deve addestrarsi, nessuno si sorprende se
un medico deve studiare: ebbene, la nonviolenza richiede un addestramento e
uno studio non inferiori ma superiori a quelli richiesti al soldato ed al
medico. Senza studio non e' possibile comprendere la nonviolenza; senza
addestramento non e' possibile condurre l'azione nonviolenta. Proprio
perche' la nonviolenza e' una proposta morale, sociale e politica di lotta
di liberazione che nel suo stesso farsi inveri la dignita' umana di ognuno e
di tutti, essa richiede un impegno di conoscenza, di preparazione, di
discussione, di consapevolezza e di capacita' critica e autocritica
assolutamente superiore a quello richiesto in altre forme di organizzazione,
in altri ambiti di studio, in altre proposte di azione.
7. I diritti umani, presi sul serio. Scegliamo la nonviolenza perche' essa
e' l’unica teoria-prassi dell’azione politica e sociale collettiva che si
prefigge nel suo stesso svolgersi il rispetto dei diritti umani di tutti,
non solo di coloro che partecipano all'azione, ma anche di coloro che la
subiscono. La nonviolenza non rinvia la realizzazione dei diritti umani ad
un futuro successivo alla conclusione della lotta, essa realizza i diritti
umani nel corso stesso della lotta. La nonviolenza non nega umanita' agli
avversari con cui lotta, essa riconosce l'umanita' degli avversari con cui
lotta. La nonviolenza e' lotta intransigente per affermare la dignita' umana
di tutti e per affermarla subito. Essa e' nei suoi metodi e nel suo
svolgersi coerente con i suoi fini: poiche' il fine e' la dignita' umana e
la liberazione dall'oppressione, la lotta nonviolenta nel suo stesso
svolgimento deve realizzare la dignita' di tutti e prefigurare la
liberazione di tutti. Per questo diciamo che la nonviolenza e' lotta come
amore.
8. La liberazione umana, subito. Inoltre scegliamo la nonviolenza perche'
essa e' l'unica teoria-prassi dell'azione politica e sociale collettiva che
realizza nel suo stesso farsi una forma autentica di democrazia diretta,
rapporti egualitari e non gerarchici, che prefigura gia' nella sua
organizzazione relazioni umane e sociali liberate e liberanti; perche'
consente la partecipazione di tutti ed abolisce rapporti di potere e di
oppressione. Per questo essa adotta il metodo del consenso, per questo essa
non e' solo una forma di lotta ma anche una occasione di costruzione di
rapporti umani solidali; per questo nella nonviolenza si richiede una piena
limpidezza di comportamenti e una forte lealta' nei confronti di tutti, di
sottoporre tutto alla discussione comune, e di scegliere sempre e solo gli
obiettivi e le forme di lotta che tutti i partecipanti condividono.
9. La nonviolenza e' gestione del conflitto. La nonviolenza e' gestione del
conflitto, la cui esistenza essa riconosce e valorizza. La nonviolenza non
e' una visione idilliaca ed illusoria, quindi narcotizzante, dei rapporti
sociali; ma la consapevolezza della conflittualita' degli ideali e degli
interessi, delle situazioni esistenziali e delle relazioni sociali, dei
rapporti economici e politici, degli assetti culturali e ideologici. Essa si
propone di intervenire nel conflitto e di farlo umanizzando il conflitto,
valorizzandone la dimensione morale e conoscitiva, gestendolo in modo da
renderlo fecondo di rapporti umani piu' giusti, lottando incessantemente
contro la violenza, contro l'ingiustizia, contro l'inganno. Si puo' essere
nonviolenti solo nel conflitto, si puo' essere nonviolenti solo se si lotta
per la giustizia. Gli indifferenti, coloro che chiudono gli occhi, chi se ne
sta chiuso in casa sua, non hanno nulla a che vedere con la nonviolenza. La
nonviolenza e' lotta integrale e intransigente contro l'ingiustizia. La
nonviolenza e' il contrario della vilta', il contrario dell'egoismo, il
contrario della passivita', il contrario del motto fascista "me ne frego".
La nonviolenza e' quella specifica forma di gestione del conflitto che
ripudia la violenza e si propone come fine precipuo di combatterla e di
abolirla.
10. La nonviolenza e' ripudio assoluto della violenza. La nonviolenza e'
opposizione assoluta alla violenza: non ammette complicita', meschinita' o
sotterfugi. La nonviolenza smaschera e ripudia i sofismi sulla "violenza
buona", sulla "guerra giusta", e simili infamie: la nonviolenza si oppone
sempre e comunque alla guerra e alla violenza. Ovviamente gli amici della
nonviolenza riconoscono agli oppressi il diritto di legittima difesa;
ovviamente gli amici della nonviolenza hanno la capacita' di ricostruire i
rapporti di causa ed effetto che producono l'oppressione e la violenza, e si
battono in primo luogo contro le cause e le condizioni strutturali che
producono ingiustizia, sopraffazione, sofferenza, violenza. Lo stesso Gandhi
era esplicito nel dichiarare che di fronte alla violenza la cosa peggiore e'
la vilta', e che se non si ha la forza di resistere con la nonviolenza, gli
oppressi hanno il dovere di resistere comunque; ma aggiungeva che la
nonviolenza e' incomparabilmente piu' forte e migliore della resistenza
violenta, e che occorre avere la forza di scegliere sempre e comunque la
nonviolenza. Noi riteniamo che vi siano argomentazioni ineludibili che ci
convincono a ripudiare la violenza come metodo di lotta; argomenti che ci
persuadono quindi ad ammettere solo la nonviolenza come metodo di lotta.
11. Per la critica della violenza. Elenchiamo alcune ragioni essenziali per
cui occorre essere rigidamente contro la violenza. Citiamo da Giuliano
Pontara, voce Nonviolenza, in AA. VV., Dizionario di politica, Tea, Milano
1992: I. il primo argomento "mette in risalto il processo di escalation
storica della violenza. Secondo questo argomento, l’uso della violenza (...)
ha sempre portato a nuove e piu' vaste forme di violenza in una spirale che
ha condotto alle due ultime guerre mondiali e che rischia oggi di finire
nella distruzione dell'intero genere umano"; II. il secondo argomento "mette
in risalto le tendenze disumanizzanti e brutalizzanti connesse con la
violenza" per cui chi ne fa uso diventa progressivamente sempre piu'
insensibile alle sofferenze ed al sacrificio di vite che provoca; III. il
terzo argomento "concerne il depauperamento del fine cui l'impiego di essa
puo' condurre (...). I mezzi violenti corrompono il fine, anche quello piu'
buono"; IV. il quarto argomento "sottolinea come la violenza organizzata
favorisca l'emergere e l'insediamento in posti sempre piu' importanti della
societa', di individui e gruppi autoritari (...). L'impiego della violenza
organizzata conduce prima o poi sempre al militarismo"; V. il quinto
argomento "mette in evidenza il processo per cui le istituzioni
necessariamente chiuse, gerarchiche, autoritarie, connesse con l'uso
organizzato della violenza, tendono a diventare componenti stabili e
integrali del movimento o della societa' che ricorre ad essa (...). 'La
scienza della guerra porta alla dittatura' (Gandhi)". A questi argomenti da
parte nostra ne vorremmo aggiungere altri due: VI. un argomento, per cosi'
dire, di tipo epistemologico: siamo contro la violenza perche' siamo
fallibili, possiamo sbagliarci nei nostri giudizi e nelle nostre decisioni,
e quindi e' preferibile non esercitare violenza per imporre fini che
potremmo successivamente scoprire essere sbagliati; VII. soprattutto siamo
contro la violenza perche' il male fatto e' irreversibile (al riguardo Primo
Levi ha scritto pagine indimenticabili soprattutto nel suo ultimo libro I
sommersi e i salvati). Agli argomenti contro la violenza Pontara aggiunge
opportunamente un ultimo decisivo ragionamento: "I fautori della dottrina
nonviolenta sono coscienti che ogni condanna della violenza come strumento
di lotta politica rischia di diventare un esercizio di sterile moralismo se
non e' accompagnata da una seria proposta di istituzioni e mezzi di lotta
alternativi. Di qui la loro proposta dell'alternativa satyagraha o della
lotta nonviolenta positiva, in base alla duplice tesi a) della sua
praticabilita' anche a livello di massa e in situazioni conflittuali acute,
e b) della sua efficacia come strumento di lotta" per la realizzazione di
una societa' fondata sulla dignita' della persona, il benessere di tutti, la
salvaguardia dell'ambiente.
12. Perche' ci diciamo "amici della nonviolenza" e non "nonviolenti". Ci
diciamo "amici della nonviolenza" e non "nonviolenti" perche', come spiegava
Aldo Capitini, dobbiamo essere modesti e realistici: la nonviolenza e' un
ideale cui tendere, un ideale assai impegnativo, una pratica da verificare
giorno per giorno nella vita quotidiana, nei rapporti interpersonali come
nelle grandi lotte necessarie; e solo nella verifica quotidiana per un
verso, e nel momento piu' aspro della lotta, per l'altro, si evidenzia la
nostra capacita' di attenerci ad essa, di esserne creativamente gli
artefici; quindi evitiamo di sembrare sbruffoni, e consideriamoci per quello
che siamo: donne e uomini in ricerca, per un’umanita' di liberi ed eguali,
appunto: amici della nonviolenza.
*
Perche' riteniamo necessaria la scelta della nonviolenza
Scopo di questo scritto e' propugnare la tesi che per fronteggiare la
situazione planetaria attuale sia necessario adottare la nonviolenza come
teoria e come prassi per elaborare e realizzare modifiche strutturali ad un
"ordine internazionale" iniquo e distruttivo ed a forme di organizzazione,
di produzione e riproduzione sociale assolutamente ingiuste ed alienate.
Crediamo che solo la nonviolenza costituisca una teoria-prassi che
logicamente e coerentemente possa contrapporsi sistematicamente ed
efficacemente alla violenza dominante, possa costituire una metodologia di
lotta adeguata, possa indicare e prefigurare un modello di relazioni
personali e sociali desiderabili e sostenibili.
Proponiamo la scelta della nonviolenza a quanti sono impegnati per la pace,
la democrazia, i diritti umani, la difesa della biosfera, in quanto essa e'
coerente e compatibile con i loro obiettivi.
Sottolineiamo che formuliamo la proposta della nonviolenza come esigenza di
verita' e di concretezza; di intervento attivo e immediato; di azione
coerente e rigorosa; di assunzione personale e collettiva di
responsabilita'; di rifiuto della complicita', della vilta',
dell'indifferenza.
Rimarchiamo che la proposta di dedicarsi allo studio e di far uso della
teoria-prassi della nonviolenza non vuol essere sostitutiva di altri
approcci e di altre teorie: crediamo che essa sia compatibile con un impegno
religioso come con un impegno laico; che essa sia compatibile con varie
tradizioni filosofiche, di filosofia morale, di filosofia del diritto e di
filosofia politica; che essa sia giovevole ed arricchente per movimenti di
liberazione e di solidarieta' che si richiamano sia a tradizioni religiose,
sia a tradizioni politiche ordinate a fini di giustizia e liberta', di
eguaglianza e dignita' umana, di emancipazione degli oppressi, di difesa e
promozione dei diritti sociali, civili, politici, umani; e particolarmente
alle tradizioni liberali, democratiche, socialiste e libertarie.
*
Parte quarta. Per i lettori distratti? Una bibliografia essenziale
[Qui la omettiamo, gli interessati possono richiederla gratuitamente
inviando una e-mail alla casella di posta elettronica nbawac at tin.it].
*
Parte quinta. Verso la pace? Tre ultime tesi, e un congedo
Tre tesi sulla violenza
I. Chiunque ancora propugni la tesi che possa esistere una "violenza giusta"
e' complice degli assassini, e mette in pericolo il futuro dell'umanita'.
II. Chiunque ancora ritenga che i suoi fini particolari, sia pur
nobilissimi, possano essere al di sopra del fine di salvare la civilta'
umana dal pericolo della distruzione, mette a repentaglio la vita
dell'umanita' intera.
III. Chiunque non abbia capito che anche l'uccidere un solo uomo equivale ad
affermare la liceita' di ucciderci tutti, costui coopera alla fine del
mondo.
Mohandas Gandhi e Guenther Anders queste cose le capirono e le dissero molto
tempo fa.
Solo la scelta della nonviolenza puo' salvare il mondo. Occorre decidersi.
"Lo tempo e' poco omai che n'e' concesso" (Dante, Inferno, XXIX, 11).
*
Congedo
Il dolore, che tutti ci accomuna. Il dolore lacerante e inestinguibile ogni
volta che un essere umano perde la vita.
E la facolta' di pensare, che tutti ci accomuna. La facolta' di unirci,
l'umanita' intera, contro il male e la morte.
Che vi siano al mondo esseri umani resi cosi' disperati e alienati da essere
disposti a uccidere ed essere uccisi: questa e' la logica che presiede a
tutti gli eserciti e a tutti i terrorismi, a tutte le guerre e a tutte le
stragi.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 155 del 5 marzo 2008

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