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Minime. 385
- Subject: Minime. 385
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 5 Mar 2008 00:34:18 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 385 del 5 marzo 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Enrico Piovesana: Le vittime civili della Nato 2. Le notizie che trapelano su una parte delle stragi degli ultimi due giorni 3. Oggi a Napoli 4. Oggi a Roma 5. Antonio Armano presenta "Una paga da fame" di Barbara Ehrenreich 6. Federico Rampini presenta "Una paga da fame" di Barbara Ehrenreich 7. Benedetto Vecchi presenta "Una paga da fame" di Barbara Ehrenreich 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: LE VITTIME CIVILI DELLA NATO [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 28 febbraio 2008, dal titolo "Afghanistan, notizie scomode" e il sommario "Nel 2007 la Nato ha ucciso almeno 500 civili: una notizia passata sotto silenzio". Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter", per cui segue la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; e' stato piu' volte in Afghanistan in qualita' di inviato] Il rapporto annuale dell'Afghanistan Ngo Safety Office (Anso), organizzazione che monitora la sicurezza per le Ong presenti in Afghanistan, informa che nel 2007 la guerra nel Paese asiatico ha ucciso duemila civili afgani, un quarto dei quali - circa cinquecento - vittime di bombardamenti aerei e operazioni terrestri della Nato. * Un classico esempio di censura soft L'imbarazzante notizia e' stata diffusa il 20 gennaio dall'Associated Press e il 4 febbraio dalla Reuters con delle piccole differenze: le vittime civili della Nato sono state 525 secondo Ap e 480 secondo Reuters. Ma la tecnica comunicativa adottata e' stata identica: una breve citazione nascosta tra le righe di dispacci riguardanti fatti di cronaca. Ovviamente, la notizia non e' stata ripresa da quotidiani e televisioni: e' morta appena nata. Non e' stata censurata, ma si e' fatto in modo che nessuno se ne accorgesse. Noi ce ne siamo accorti, per puro caso, settimane dopo. * Effetto collaterale della strategia Nato L'anno precedente, 2006, i civili uccisi dalla Nato in Afghanistan erano stati la meta', circa 230. Il drastico aumento e' l'"effetto collaterale" della strategia piu' aggressiva adottata dalla Nato nel 2007: forte aumento delle truppe da combattimento schierate, intensificazione dei bombardamenti aerei e ricorso a vaste offensive terrestri. Una strategia che, oltre che raddoppiare le vittime civili, non ha avuto nessuna efficacia militare contro i talebani che, anzi, sfruttando il risentimento popolare per le stragi di civili, hanno guadagnato consenso fra la popolazione afgana. Ma il Pentagono e la Nato non fanno una piega e tirano dritti per la loro strada: piu' truppe e piu' guerra. 2. AFGHANISTAN. LE NOTIZIE CHE TRAPELANO SU UNA PARTE DELLE STRAGI DEGLI ULTIMI DUE GIORNI [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo le seguenti brevi notizie d'agenzia, quelle che la propaganda di guerra occidentale lascia trapelare] Afghanistan, 3 marzo 2008, ore 17,05 Attentato a Yacoobi: 6 feriti Un edificio governativo del distretto di Yacoobi, nella provincia orientale afgana di Khost, e' stato oggetto di un attentato suicida nel quale quattro soldati della forza Nato Isaf e due poliziotti afghani sono stati feriti. L'attentato, effettuato con un camion bomba, e' stato rivendicato da esponenti talebani. E' il quarto che avviene nella provincia confinante col Pakistan: dal 26 febbraio scorso 11 persone sono morte e piu' di 10 sono state ferite in altri tre attentati. * Afghanistan, 4 marzo 2008, ore 8,39 Due soldati Usa e due civili uccisi in attentato di ieri a Khost Solo questa mattina i comandi Usa hanno reso nota la morte di due soldati statunitensi e di due civili afgani nell'esplosione dell'autobomba che ieri pomeriggio aveva colpito un edificio governativo del distretto di Sabari Yaqubi, nella provincia orientale di Khost, al confine con il Pakistan. Salgono cosi' a 24 i soldati Nato uccisi in Afghanistan dall'inizio dell'anno; 773 i militari occidentali caduti dall'invasione del Paese nel 2001. * Afghanistan, 4 marzo 2008, ore 11,02 Un'altra autobomba a Khost: ucciso un poliziotto afgano Un altro attentato con autobomba contro un edificio governativo e' avvenuto questa mattina nella provincia orientale di Khost, la stessa dove ieri un analogo attacco ha ucciso due soldati Usa e due civili. Il kamikaze si e' lanciato con la sua auto contro la sede del governo locale a Tani, ma la polizia afgana ha aperto il fuoco contro il veicolo che quindi e' esploso senza raggiungere l'edificio. Un poliziotto afgano e' morto nello scoppio. Diversi i feriti. 3. INCONTRI. OGGI A NAPOLI [Dall'associazione culturale Evaluna (per contatti: tel. 081292372, e-mail: libreriadelledonne at evaluna.it, sito: www.evaluna.it) riceviamo e diffondiamo] L'assemblea permanente delle donne di Napoli promuove per mercoledi' 5 marzo 2008, alle ore 11,30, una conferenza stampa presso la Libreria Evaluna, in piazza Bellini 72 a Napoli. L'assemblea permanente delle donne di Napoli, autoconvocata in occasione della manifestazione del 24 novembre 2007 a Roma, ha registrato un continuo aumento di presenze e relazioni stabili tra donne sui temi delle violenze che caratterizzano la condizione femminile in questo tempo. A Napoli, ad un livello alto di coscienza da parte delle donne, fa da contraltare un'irrisoria politica di contrasto e risarcimento del danno quotidiano subito per aggressioni fisiche e nell'esercizio dei diritti. Nella citta' e nella regione e' stridente il contrasto tra l'aver preso da donne parola pubblica, da tempo e in tempi di silenzio in tutto il paese, sulle violenze, ed il verificarsi del piu' efferato attacco, inaudito e inedito, all'applicazione della legge 194, in una struttura ospedaliera. Gli annosi problemi esasperati dal clima crescente di ostilita' verso le donne, di attacco ai loro diritti, di demonizzazione delle liberta', ci spingono ad unirci e ad essere sempre di piu', in luoghi di comunicazione liberi e autonomi. L'assemblea delle donne costituisce una risposta in questo senso e raccoglie il bisogno di confrontarsi in modo aperto con i patriarcati politici, religiosi e familiari, sempre piu' orientati a generare un clima di accusa pubblica verso l'autodeterminazione che le donne praticano nonostante tutto. Nel clima confuso ed emergenziale che tutte viviamo, insieme l'8 marzo sfileremo e renderemo visibile la proposta civile e la critica delle donne. L'assemblea permanente delle donne di Napoli, tel. 33348436161, 3396592346, 3200316618. 4. INCONTRI. OGGI A ROMA [Dall'Udi - Unione Donne in Italia (per contatti: tel. 066865884, e-mail: udinazionale at gmail.com, sito: www.udinazionale.org) riceviamo e diffondiamo] Mercoledi' 5 marzo 2008 a Roma in piazza Cavour dalle ore 10 alle 14 noi ci saremo. Tutte li', in piazza Cavour, a testimoniare con la nostra presenza il sostegno alle donne vittime di violenza durante lo svolgimento dell'udienza per il ricorso in Cassazione voluto dalla difesa del violentatore. La nostra presenza dira' forte che i violentatori non possono farla franca. Il coraggio di Elvira e Silvia e' la nostra forza ma la nostra forza si deve vedere per dare a loro piu' coraggio. Questo sara' il nostro Ottomarzo in piazza Le donne verranno: da Pescara con un pullman messo a disposizione dal Comune che ha dato cosi' la sua adesione (info: Centro Iniziativa Udi "Ovunque si decide", Pescara: tel. 0854217792, e-mail: ma.franca at tin.it; Consulta comunale delle donne, Comune di Pescara: tel. 08527574, e-mail: mariella.sa at libero.it; Centro antiviolenza "Ananke": tel. 0854283851, e-mail: sportello at sportelloananke.it); da Napoli si stanno muovendo per dire la propria indignazione anche in merito all'ultimo episodio accaduto nella loro citta' e che riguarda una ragazzina; da Milano, da Lecce, da Bari e altre citta' ancora... Sollecitiamo tutte a mobilitarsi perche' questo momento di solidarieta' sia anche un segnale politico forte e chiaro. Per informazioni: Udi -Unione Donne in Italia, via dell'Arco di Parma 15, 00186 Roma, tel. 066865884, e-mail: udinazionale at gmail.com, sito: www.udinazionale.org 5. LIBRI. ANTONIO ARMANO PRESENTA "UNA PAGA DA FAME" DI BARBARA EHRENREICH [Dal quotidiano "L'Unita'" del 9 luglio 2002, col titolo "Flessibili a New York". Antonio Armano, giornalista e scrittore, vive a Voghera, e' nato nel 1967 a Pavia dove si e' laureato in Scienze politiche; ha studiato lingue slave a Brno e Mosca. Ha scritto come giornalista free-lance per "Il Foglio", "Il Giornale", "La Provincia Pavese", "La Repubblica", "Il Riformista", "Il Sole 24 Ore", "L'Unita'", "Focus", "Panorama". Barbara Ehrenreich e' sociologa, docente universitaria, giornalista e saggista; insegna all'Universita' di Berkeley; scrive sul "New York Times", "Time", "Harper's Magazine", "The Nation", "The Progressive", "Mother Jones", "Z Magazine"; vive in Florida, e' autrice di tredici libri; e' stata tra le prime firmatarie dell'appello "Not in our name", sottoscritto da migliaia di intellettuali statunitensi contro la guerra in Iraq. Tra le opere tradotte in italiano di Barbara Ehrenreich: Le streghe siamo noi. Il ruolo della medicina nella repressione della donna, La salamandra, Milano 1977; Riti di sangue. All'origine della passione della guerra, Feltrinelli, Milano 1998; Una paga da fame. Come (non) si arriva a fine mese nel paese piu' ricco del mondo, Feltrinelli, Milano 2002, 2004; (a cura di, con Arlie Russell Hochschild), Donne globali. Tate, colf e badanti, Feltrinelli, Milano 2004] Come vive (o meglio non vive) chi fa le pulizie nelle case, chi serve al bar, chi svuota i cassonetti e spazza le strade, chi stipa di merci nottetempo gli scaffali dei supermercati, chi accudisce i vecchi negli ospizi? In altre parole: di cosa e' fatta la quotidiana lotta per la sopravvivenza ai gradini piu' bassi della piramide sociale? Nessuno lo sa veramente, niente e' piu' nascosto di quanto sta sotto gli occhi di tutti. Ha tentato di rompere un velo che piu' che altro e' d'indifferenza l'americana Barbara Ehrenreich, con un'indagine sul campo, anzi sul posto... di lavoro, per la rivista "Harper's". L'indagine poi e' divenuta un libro, edito in Italia da Feltrinelli con titolo assai significativo: Una paga da fame. Come (non) si arriva alla fine del mese nel paese piu' ricco del mondo (Feltrinelli, pp. 164, euro 13,50). * Si comincia a Key West, Florida. Qui la Ehrenreich lascia la sua esistenza di saggista affermata, insieme alla casa e alle carte di credito. E si mette alla caccia del lavoro. Si dovrebbe trovare: siamo o non siamo nell'America di fine millennio dove il tasso di disoccupazione e' prossimo o sotto lo zero, dove tanti sussidi sono stati tolti da Clinton per spingere gli ex assistiti a darsi una mossa e rimboccassi le maniche, immagine cara alla retorica liberista di tutto il mondo? Prima lezione: annunci e offerte si sprecano, ma in realta' servono a creare una riserva di manodopera per tappare i buchi la' dove, cioe' quasi dappertutto, le condizioni sono tali da favorire, per usare un eufemismo, un certo ricambio. La chiamata non tarda ad arrivare. Trovato posto come cameriera in un ristorante, la Ehrenreich scopre che parecchi colleghi non possono permettersi un'abitazione vera e propria ma devono coabitare oppure adattarsi a stare in roulotte: la paga oraria, mance incluse, e' sui sei dollari e dunque a fine mese ci sono mille e rotti dollari. Il costo dell'affitto d'un monolocale e' 600-700 dollari ma ce ne vogliono almeno il triplo per affitti anticipati, cauzioni eccetera. Roulotte anche per la Ehrenreich. Si dira' che la cameriera e' mestiere da studenti in vacanza. Pare invece che, come ha scritto anche il "New York Times", gli studenti siano oggi troppo presi da corsi e varie attivita' extra e parascolastiche per fare lavori stagionali. Cioe' che toglie loro, capi del futuro, la capacita' d'immedesimarsi coi loro futuri sottoposti. Nel settore, si assiste piuttosto all'arrivo in massa dell'emigrazione esteuropea. * E' in un'impresa di pulizie a Portland, nel Maine, che la Ehrenreich trova un altro impiego trasferendosi per vedere da vicino altre realta'. Qui riesce a barcamenarsi perche' trova anche un posto part time nella mensa d'un ospizio, reparto Alzheimer. Si tratta di portare i piatti, ritirare quelli sporchi e metterli nella lavastoviglie, tra dispetti dei degenti che sono tutto sommato tocchi di colore in un mondo del lavoro sempre piu' asettico. Intanto l'autrice vive in squallidi motel da cento dollari alla settimana. Lo fanno in tanti in America: Costa un po' meno d'una casa, non ci vogliono anticipi, cauzioni e poi... perdi il posto? Ne trovi uno nuovo. E anche un nuovo motel. Un numero crescente di homeless, di senzatetto sono appunto occupati, non piu' disoccupati da stereotipo del clochard di un racconto di Paul Auster. Nella casa di cura la paga e' 7 dollari l'ora. Nell'impresa di pulizie, una catena americana in franchising, 6,65. The Maids, Le Domestiche, cosi' si chiama l'impresa, reclamizza il "sistema ginocchioni": ginocchia a terra, strofinaccio e olio di gomito! La Ehrenreich si rende conto cosa significa pulire la tazza del cesso e ci regala la tragicomica catalogazione dei tre modi in cui la merda s'incrosta (colate, schizzi, grumi) e delle relative difficolta' a toglierla. Per non parlare dell'immancabile selva di peli pubici nei sifoni delle Jacuzzi. Ma non e' per delicatezza di stomaco che alla fine deve cedere. E' perche', come capita a tante, il fisico cede. Come a Key West due lavori sono necessari ma non sostenibili a lungo. Anche se e' una sportiva, le si blocca la schiena. Eppure il video di preparazione di Maids sostiene che si puo' raggiungere una totale immedesimazione con l'aspirapolvere a zaino: "Adesso io sono l'aspirapolvere". * Ultima tappa a Minneapolis, Minnesota. Solita trafila per trovare da lavorare e dormire. Qualche notte in hotel prima di trovare un motel. Il conto che va in rosso. Gli immancabili test di valutazione al computer hanno sostituito il colloquio. L'esame delle urine per valutare se si fa uso di droghe. Certo, ci sono siti internet che danno consigli su come spurgarsi, con quali tisane e dove comprarle eccetera: recapitano perfino urine pulite a domicilio. Ma capita che il candidato venga invitato a farla fresca quasi sotto gli occhi dell'analista di fiducia della ditta. Il posto trovato e' da Wal Mart, la piu' grande catena di ipermercati del mondo, il piu' grande datore di lavoro americano con oltre 825.000 dipendenti nel '98. Il fondatore non e' piu' di questo mondo. Si chiamava Sam Walton, era un self made man che ricordava un po' Berlusconi per l'uso massiccio di video preparatori e la retorica aziendale paternalista. Ma si distingueva da lui per il culto (quasi imposto ai sottoposti) della seconda guerra mondiale, cui aveva dato il proprio contributo come combattente. Le regole d'ingaggio ricordano la varie fobie del Cav. (per l'aglio, per barba e baffi eccetera) ma le superano in eccentricita': niente t-shirt, solo camicie o polo, jeans esclusivamente di venerdi' e solo previo versamento di un dollaro e mezzo alle casse! Il lavoro trovato dalla Ehrenreich e' questo: rimettere a posto la merce abbandonata dai clienti in giro. La vita in motel le impone abbigliamento del tipo non-stiri e pasti fast food perche' in camera non si puo' cucinare, da Wendy's con 4 dollari ci si sfama di fagioli e formaggio: scoperte importanti per proletari postmoderni. Gli spostamenti sono in auto e a carico del dipendente, spesso i mezzi pubblici non coprono il percorso. Ma nonostante il frenetico risistemare roba negli scaffali (aggravato dai continui cambiamenti di disposizione fatti per stimolare il cliente abituale), senza un secondo lavoro non s'arriva a fine mese, che peraltro qui e' il fine settimana perche' e' questa la cadenza di pagamento americana secondo un principio di adattamento della tempistica retributiva al turn over imposto dai ritmi di lavoro e dalle flessibilita'. Da Wal Mart le colleghe presentano segni di poverta' postmoderna: problemi ai denti (il dentista e' troppo caro), alimentazione avitaminale da fast food, abuso di pasticche analgesiche e altri medicinali per evitare assenze. Piu' d'una fa ricorso a societa' umanitarie che danno buoni spesa! La mutua a pagamento non tutti possono permettersela e non e' obbligatoria. I sindacati sono inesistenti in tante realta' aziendali e gli attivisti o semplicemente i protestatari sono sottoposti al ricatto del licenziamento, che puo' avvenire con varie scuse. Da Wal Mart, per esempio, altro che articolo 18!, basta aver violato il codice di comportamento con parolacce in reparto per essere messi alla porta. C'e' poi da un lato l'ossessione da parte del datore per il "tempo rubato", cioe' perso in chiacchiere da dipendenti. Dall'altro la tendenza a non pagare gli straordinari, cioe' a rubarlo. Ci sono le angherie dei capi, spesso inutili vessazioni pagate all'altare della sindrome da secondino e delle piu' demenziali trovate aziendali. * Insomma un quadro desolante, dove le "risorse umane" (per citare il titolo d'un recente film francese sull'argomento) sono soprattutto materia da soma. Dal libro della Ehrenreich (che rappresenta un modello di giornalismo investigativo, altro che gole profonde!) emerge una galleria che fa assomigliare i tanti workers incontrati alle strazianti statue iperrealiste di Duane Hanson. La cameriera nera che pulisce le camere d'albergo in Florida sembra la statua di Quieenie, donna delle pulizie d'un ospedale, nome di regina e disarmato aspetto di schiava con scettro-scopino. Il sasso gettato nello stagno della retorica liberista e' grosso e fatte le dovute proporzioni ci si chiede cosa risulterebbe da un'indagine analoga nell'Italia dei salari minimi (tributo pagato ai criteri di Maastricht dalla gente comune) e del caro affitti e del caro-rc auto eccetera. Emergerebbe che c'e' un ceto pauperizzato dove dietro l'effetto confondente e spiazzante di una settimana di ferie a Sharm-el-Sheik, di un telefonino e della mountain-bike, ci sono esistenze ristrette in un'impossibilita' progettuale. Dove si spende quasi tutto per la casa e non si puo' pensare a fare figli ma solo a parare i colpi della sorte (un dente cade, si boccia la macchina). Dove il proletariato odierno non e' dissimile da quello ottocentesco descritto da Marx ed entrambi sono tenuti ai meri livelli di sussistenza. Questo ceto, purtroppo, a differenza che in America, poiche' la nostra civilta' e' piu' livellata, comprende anche tante professioni un tempo dignitosissime e borghesi. Sul filo dei mille euro al mese c'e' tutto un popolo che cammina, senza dreams da infrangere, con qualche miraggio di prosperita' riposta nelle promesse dei politici in tempi d'elezioni. * "Un giorno - conclude l'autrice - i poveri che lavorano si stuferanno di ricevere cosi' poco in cambio... Quel giorno, la rabbia esplodera' e assisteremo a scioperi e distruzioni. Ma non sara' la fine del mondo e, dopo, staremo meglio tutti". Ma l'unica cosa certa che ci riserva il futuro sono bollette e altre varie scadenze di pagamento. 6. LIBRI. FEDERICO RAMPINI PRESENTA "UNA PAGA DA FAME" DI BARBARA EHRENREICH [Dal quotidiano "la Repubblica" del 5 marzo 2001, col titolo "Usa, una studiosa ha svolto per due anni lavori umili. 'Con questi salari non si sopravvive'. La sociologa che si fece povera". Federico Rampini (Genova, 1956), giornalista e saggista, e' stato allievo di Raymond Aron all'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, e di Mario Monti all'Universita' Bocconi di Milano; ha iniziato la sua attivita' di giornalista nel 1977 a "La citta' futura", poi a "Rinascita", "L'Espresso", "Mondo Economico"; in seguito e' stato vicedirettore de "Il Sole 24 Ore"; poi capo della redazione milanese ed in seguito editorialista e inviato del quotidiano "La Repubblica" a Parigi, Bruxelles, San Francisco, Pechino; ha collaborato come opinionista a "Le Figaro", "L'Express" e "Politique etrangere" in Francia; ha insegnato alle universita' di Berkeley e Shanghai; e' consulente dell'Institut Francais des relations internationales; membro del comitato scientifico della rivista "Critique Internationale" pubblicata dalla Fondation Nationale des Sciences Politiques di Parigi, e della rivista italiana di geopolitica "Limes". Opere di Federico Rampini: La germanizzazione. Come cambiera' l'Italia, Laterza, 1996; (con Massimo D'Alema), Kosovo, Mondadori, 1999; New Economy. Una rivoluzione in corso, Laterza, 2000; Dall'euforia al crollo. La seconda vita della New Economy, Laterza, 2001; Effetto Euro, Longanesi, 2002; Le paure dell'America, Laterza, 2003; Tutti gli uomini del Presidente. George W. Bush e la nuova destra americana, Carocci, 2004; San Francisco-Milano, Laterza, 2004; Il secolo cinese. Storie di uomini, citta' e denaro dalla fabbrica del mondo, Mondadori, 2005; L'ombra di Mao. Sulle tracce del Grande Timoniere per capire il presente di Cina, Tibet, Corea del Nord e il futuro del mondo, Mondadori, 2006; L'impero di Cindia. Cina, India e dintorni: la superpotenza asiatica da tre miliardi di persone, Mondadori, 2006; La speranza indiana. Storie di uomini, citta' e denaro dalla piu' grande democrazia del mondo, Mondadori, 2007] Barbara Ehrenreich e' una nota sociologa americana, docente all'universita' di Berkeley e giornalista, ma i suoi titoli non le sono serviti a nulla per cucinare hamburger nei fast-food, pulire le toilettes, fare la commessa nei supermercati. Nel 1998, mentre l'America era ancora in pieno boom economico e i giornali parlavano solo di ventenni miliardari grazie alle stock options, la Ehrenreich si e' lasciata alle spalle lavoro, casa e famiglia, per vivere sulla sua pelle le condizioni di un'altra America: quella di milioni di working poors, lavoratori poveri occupati al salario minimo garantito di 6 o 7 dollari l'ora. Per due anni, senza mai attingere ai propri risparmi o chiedere aiuto ad amici e conoscenti, Barbara ha lavorato come cameriera o inserviente. Il racconto di questa sua discesa agli inferi, in una moderna schiavitu' di massa, diventa ora un bellissimo libro - "Nickel and Dimed" ("pagati con gli spiccioli") - poco ideologico, molto fattuale: un pugno nello stomaco, una requisitoria implacabile contro un mondo la cui prosperita' si regge su un esercito di proletari sottopagati, obbedienti, vaccinati contro ogni rivendicazione sindacale. Barbara lo ha presentato ieri a San Francisco, raccontando la sua vita in questi due anni: a cominciare dalla catena di fastfood di Key West (Florida) dove il suo vero salario (mance incluse) era di soli 5,15 dollari all'ora, cioe' inferiore al minimo legale. "La mia scoperta piu' sconvolgente? Che con quel reddito e' impossibile pagarsi un alloggio: anche una sola camera in un quartiere degradato, in un ghetto di immigrati lontano molte miglia dal posto di lavoro. No, perfino quello non era alla mia portata. A quei livelli di salario la caparra diventa una barriera insormontabile: e' impossibile mettere da parte un mese di affitto anticipato. Quando ho cercato di far quadrare i conti, ho capito perche' la mia compagna cameriera Marianne vive in una roulotte, e l'inserviente Tina col marito si rovina a pagare una squallida camera di motel: piu' cara di certi appartamenti poveri, ma almeno i motel non chiedono di essere pagati in anticipo. Sono finita anch'io al motel, col privilegio di essere sola: nella stanza a fianco c'era una famiglia di messicani, con un solo letto per dormire mangiare e per i compiti dei bambini. Molti lavoratori americani vivono cosi', senza neppure una cucina o un forno a microonde: l'altra faccia della vita in motel e' la condanna a nutrirsi solo nei fast-food, una dieta di hamburger e hot dog". Dell'esperienza di lavoro al ristorante rimane la descrizione raccapricciante della cucina: una caverna dove si mescolano in un fetore indelebile alimenti, avanzi, immondizie; una bolgia dove il pavimento e' perennemente viscido di salse, i banconi sono cosi' unti che e' impossibile toccarli senza che le dita si incollino a qualche sostanza indefinita. "Ma con le stesse mani devo poi afferrare le foglie d'insalata per i panini, acchiappare fette di torta alle mele, perfino spostare patatine fritte da un piatto all'altro". I ricordi dei ritmi massacranti si mescolano con l'ammirazione per i colleghi: "A fianco ho un ragazzo che per guadagnare di piu' fa tre turni di seguito, 24 ore senza staccare. Io dopo otto ore in piedi ho dolori lancinanti alla schiena, alla mattina arrivo al lavoro gia' imbottita di aspirine". Anche i piu' forti comunque finiscono abbrutiti dalla fatica. "Perche' non c'e' ribellione, conflitto? In parte la spiegazione e' l'immensa stanchezza fisica. Alla sera per molti di quei ragazzi l'unico divertimento e' un'uscita in macchina, un birra, poi crollano". Un altro squarcio di America reale sono i suoi mesi da commessa di WalMart, la piu' grande catena di supermercati americani. La Ehrenreich si sposta nel Maine, e la' al Nord i suoi compagni di lavoro non sono piu' in maggioranza immigrati ispanici ma "bianchi poveri", con gli occhi azzurri e i capelli biondi come lei. Da WalMart Barbara scopre un universo paternalistico e incredibilmente autoritario. C'e' un'ideologia aziendalista da grande famiglia ("le migliori idee innovative vengono sempre dai nostri dipendenti") ma al tempo stesso gli esami delle urine all'assunzione servono per identificare le donne incinte o chi fuma lo spinello. Delle otto ore di formazione-indottrinamento per i nuovi assunti, fa parte una serie di messaggi intimidatori antisindacali. "I sindacati tentano da anni di entrare da WalMart - recita il filmato aziendale - ma pensateci bene prima di iscrivervi. Se aderite a un sindacato perderete 20 dollari di tesseramento, perderete il diritto di pensare con la vostra testa, e forse perderete anche qualcos'altro". Nel decalogo della commessa c'e' il divieto di parlare con le colleghe anche durante i tempi morti. Indossare blue jeans e' consentito solo al venerdi', e con una penale di un dollaro sul salario. Barbara Ehrenreich ha vissuto questa esperienza senza furbizie ne' trucchi. Ha cercato di lavorare al meglio, di guadagnare il massimo in quelle mansioni, non si e' mai ribellata ai capi ("in quel mondo di sottomissione alla fine mi sentivo gratificata quando ero riuscita a pulire un cesso nei tempi prestabiliti"). "Sia chiaro - dice oggi - non ho vissuto un'esperienza estrema, ai margini della societa'. No, ho fatto la vita normale di milioni di lavoratori americani, con la sola differenza che io sapevo che un giorno ne sarei uscita". L'America di questo viaggio agli inferi e' il luogo in cui Bill Clinton ha varato l'esperimento sociale del "welfare to work", cioe' il tentativo di ridurre il numero di disoccupati assistiti, spingendoli a tornare al lavoro. Statisticamente e' stato un successo: molti ex disoccupati sono riusciti a inserirsi, e il lavoro li rende senz'altro meno dipendenti, meno emarginati, meno passivi. Ma si e' creato un esercito di lavoratori poveri: il 67% di coloro che chiedono cibo all'assistenza sociale attualmente hanno un'occupazione. "Prima - dice Barbara - il ceto medio americano era convinto che il Welfare servisse a mantenere dei parassiti, ragazze madri nere che vivevano alle spalle del contribuente. Ora le ragazze madri fanno le commesse da WalMart, le cameriere da Wendy's, o puliscono le case altrui. Trascurano i propri figli perche' i figli degli altri siano accuditi. Vivono senza alloggi perche' le case degli altri siano pulite. Si privano di tutto perche' l'inflazione resti bassa, e i profitti delle imprese alti. I working poors sono i filantropi della nostra epoca, donatori anonimi, i nostri benefattori senza volto". 7. LIBRI. BENEDETTO VECCHI PRESENTA "UNA PAGA DA FAME" DI BARBARA EHRENREICH [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 aprile 2002, col titolo "I miserabili a stelle e strisce". Benedetto Vecchi e' redattore delle pagine culturali del quotidiano "Il manifesto"; nel 2003 ha pubblicato per Laterza una Intervista sull'identita' a Zygmunt Bauman] Un'affermata giornalista free-lance incontra uno dei suoi editori. E' un pranzo di lavoro in uno dei ristoranti a' la page e la conversazione e' piacevole. La giornalista e' una reporter d'assalto che ha sulle spalle la militanza nel mouvement, un matrimonio con un sindacalista "arrabbiato" dei camionisti, due figli, molti reportage su argomenti "caldi" - dall'uso della medicina per reprimere le donne, ai riti della guerra - e un prestigio che fa dimenticare al suo editore la sua tendenza a fare, di tanto in tanto, "sermoni marxisti". Un pranzo di lavoro come tanti. A un certo punto pero' lo scambio conviviale di opinioni affronta il mondo del lavoro statunitense e le inquietanti statistiche che attestano si' la piena occupazione, ma che negli Usa la maggioranza della forza-lavoro e' costituita da working poor, lavoratori poveri che percepiscono salari di fame per lavori degradanti e nessun diritto. Lei, secca, apostrofa il suo editore: "Ci vorrebbe un giornalista giovane che viva per un anno come un lavoratore povero e tirarci fuori un libro che denunci questo scandalo". La risposta e' altrettanto concisa e non le lascia via di fughe: "Giusto: una come te". E' l'avvio di un reportage sull'universo lavorativo americano di questo inizio di millennio. Un libro costruito con cura, senza nessun ammiccamento retorico su un paese che sbandiera la liberta' come il suo valore piu' alto ma che costringe a una vita "infame" oltre il sessanta per cento della sua forza-lavoro. Una vita segnata da corpi abbrutiti da giornate lavorative che si sa quando iniziano, ma mai quando finiscono. Ma anche di biografie marchiate dall'arbitrio, dall'umiliazione, dal dispotismo di un capetto che si sente di esercitare il ruolo di padre-padrone solo in virtu' di un reddito decente, di una assicurazione sanitaria, di una casa di proprieta' e di una automobile. Il volume - Una paga da fame, Feltrinelli, pp. 164, euro 13.50 - e' scritto da Barbara Ehrenreich ed e' uno spaccato sugli Stati Uniti di oggi e ruota attorno ai lavori svolti per circa due anni dalla protagonista che cela la propria identita' di affermata professionista della carta stampata. Per prima cosa si trasferisce in Florida per fare la cameriera in una grande catena di alberghi. Poi passa nel Maine per pulire le case dei ricchi. Infine giunge nel Minnesota per fare la commessa in una grande catena di supermercati dell'abbigliamento. Tutti i suoi datori di lavoro sono manager di medio livello in una grande corporation che fonda la sua ricchezza nel vendere in franchising il proprio logo. L'orario di lavoro e' formalmente di otto ore, ma gli straordinari sono obbligatori e non vengono pagati. Il salario, infine, non supera mai i sette dollari all'ora e spesso e' al di sotto del "salario di ingresso" statunitense definito di stato in stato. Gia', perche' negli Usa la legislazione sul lavoro e' abbastanza diversa da quella vigente in Europa e vale il principio che il salario di ingresso (leggi minimo) venga definito per legge non a livello federale, ma sia prerogativa di ogni singolo stato (in Italia potremmo parlare di gabbie salariali, grazioso regalo avvelenato che ci vuol fare l'attuale governo in carica). I regolamenti sulle assicurazioni sanitarie sono sempre gli stessi: se ne ha diritto, ma solo dopo un periodo di prova, dai tre ai sei, nove mesi, a seconda del capriccio della sede locale dell'impresa. Periodo che pochi riescono a superare, dati i ritmi a cui si e' costretti, la denutrizione che riduce a larve e che ti costringe a cercare altri part-time per integrare il salario. Secondi e terzi lavori della stessa specie, ma che hanno come effetto "collaterale" milioni di infortunati sul lavoro (mai denunciati per paura di essere cacciati). Ci sono pagine "poetiche" sui rapporti della giornalista con i suoi compagni di disgrazia, segnati da sentimenti diversi e contrastanti, un misto di mutuo soccorso - nel sendo di fornire cibo a chi non ne ha - e la diffidenza tipica di chi e' inserito nel processo lavorativo in una condizione di servilismo. La maggioranza sono donne con una storia pesante sulla spalle (spesso sono le uniche che "portano i soldi a casa") e che devono lottare con le unghie e con i denti contro chi, proprio perche' sono donne, esprime dubbi sulla loro natura "umana". Barbara Ehrenreich scrive di "sorellanza": con cautela, pero', perche' la condivisione della stessa situazione e' in negativo, cioe' sulle privazioni e non sulla necessita' di rompere il meccanismo che le costringe a vivere come vagabonde. Vagabonde perche' gli affitti sono alti e bisogna dormire in un motel puzzolente o in una roulotte progettata per gnomi. Nei depliant delle imprese si leggono frasi altisonanti sullo spirito di iniziativa dei "collaboratori", pardon dei lavoratori, ma poi sei considerato un perdente, perche' non hai una casa, una famiglia decente, perche' ti vesti male, perche', in fondo in fondo, sei un po' stupido se sei arrivato a galleggiare nel fondo del barile. Umiliazioni che non riescono a piegare le donne, che fanno andare avanti la baracca con la inventiva di astuti accorgimenti per "risparmiare tempo", riservandone un po' per se'. Un'inventiva che usano con parsimonia, perche' "mostrarsi troppo brave" non conviene, visto che "i capi piu' vedono che sai fare, piu' pretendono da te e ti sfruttano". Un antico e vecchio slogan del Novecento sosteneva che "per salario di merda, ci vuole un lavoro di merda". E' quello che fanno le protagoniste e i protagonisti di Una paga da fame. Donne in maggioranza, ma anche migranti. Croati, salvadoregni, guatemaltechi, russi. Ma il mondo del libro non e' quello descritto da John Dos Passos in Manhattan Transfer ottanta anni fa. No, quella di Barbara Ehrenreich e' l'America di Bush e di Clinton. Tremende sono anche le statistiche che nelle conclusioni vengono fornite dall'autrice. Tra un primo e un secondo lavoro, il salario annuo della maggioranza della forza-lavoro e' attorno ai 12-13.000 dollari, mentre per riprodursi in quanto tale si spendono dai 13-15.000 dollari. E i conti vengono fatti quadrare senza curarsi (tutti i compagni di lavoro della giornalista si riempiono di analgesici) e mangiando solo un pacchettino di patatine fritte per pranzo. Ma perche' queste donne e questi uomini non si ribellano? La risposta sta nel racconto di quando la protagonista lavora come commessa. L'impresa e' la Wal-mart, grande catena della commercializzazione, il piu' grande datore di lavoro privato degli Usa. Odia il manager che la chiama "collaboratrice", imponendo pero' che timbri il cartellino ogni volta che va a fare pipi'; oppure quando passa in rassegna come ha piegato gli abiti e se non e' soddisfatto li getta malignamente a terra con un righello, quasi fosse un sergente che punisce il soldato negligente. Ma cio' che tiene chiusa la forza-lavoro nella gabbia d'acciaio della gerarchia sociale sono espressioni suadenti e dolci, come lavoro di squadra, inventiva, incentivo ai suggerimenti: sono le forche caudine da passare per avere venti, trenta centesimi in piu' all'ora. E che dire dell'odioso rito di iniziazione alla gerarchia rappresentato dalle analisi delle urine per vedere se hai assunto alcol o qualche droga? Un raffinato strumento per farti presente che sei sempre sotto controllo. L'autrice pero' non perde la speranza e quando in tv vede un sit-in dei lavoratori di una catena di alberghi in sciopero, alza il pugno in segno di vittoria. Una compagna di lavoro sorride e dice che dovrebbero farlo anche loro. Infine si abbracciano. Lieto fine? No. La giornalista e' ritornata alla sua vita da oltre 150.000 dollari all'anno. Le sue compagne di disgrazia no. Spesso gli Usa hanno anticipato cio' che poi sarebbe accaduto nel resto del mondo capitalista. Questo libro giunge quindi a proposito. Le proposte avanzate dal governo Berlusconi per riformare il mercato del lavoro puntano a creare le condizioni per renderlo simile a quello statunitense. Dopo aver letto Paga da fame, se mai qualcuno avesse avuto dei dubbi, la battaglia per fermare il Cavaliere del libero mercato e' una battaglia di civilta'. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 385 del 5 marzo 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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