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Nonviolenza. Femminile plurale. 161
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 161
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 23 Feb 2008 15:38:58 +0100
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 161 del 23 febbraio 2008 In questo numero: 1. Franco Restaino: Il femminismo, avanguardia filosofica di fine secolo. Carla Lonzi (parte seconda e conclusiva) 2. Natalia Aspesi presenta "Troppo belle per il Nobel" di Nicolas Witkowski 3. Donatella Bassanesi presenta "Dopo la solitudine" di Barbara Mapelli 1. RIFLESSIONE. FRANCO RESTAINO: IL FEMMINISMO, AVANGUARDIA FILOSOFICA DI FINE SECOLO. CARLA LONZI (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA) [Riproponiamo ancora una volta il seguente saggio di Franco Restaino, che riprendiamo dalla rivista telematica "Per amore del mondo", n. 2 (nel sito www.diotimafilosofe.it), precedentemente apparso nel volume Le avanguardie filosofiche in Italia nel XX secolo, a cura di P. Di Giovanni, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 269-286. Franco Restaino, nato ad Alghero (Sassari) nel 1938, docente universitario prima a Cagliari e poi a Roma; "i suoi interessi di ricerca hanno riguardato prevalentemente le filosofie inglese, scozzese, francese e statunitense degli ultimi tre secoli. Ha intrapreso anche studi sull'estetica (avendola insegnata per dieci anni) e negli ultimi anni ha ripreso ed esteso le sue ricerche (iniziate negli anni Sessanta su Vailati) sull'area italiana, occupandosi degli sviluppi del positivismo. Attualmente continua le sue ricerche sulla recente filosofia inglese e statunitense, sui rapporti tra filosofia di lingua inglese e filosofie europeo-continentali e sul pensiero femminista". Tra le opere di Franco Restaino: La fortuna di Comte in Gran Bretagna. I. Comte sansimoniano, in "Rivista critica di storia della filosofia", XXIII, 1968, 2; II. Comte scienziato, ibidem, XXIII, 1968, 4; III. Comte filosofo, ibidem, XXIV, 1969, 2; IV. Comte pontefice, ibidem, XXIV, 1969, 4; J. S. Mill e la cultura filosofica britannica, La Nuova Italia, Firenze 1968;Scetticismo e senso comune. La filosofia scozzese da Hume a Reid, Laterza, Roma-Bari 1974; Note sul positivismo italiano (1865-1908). Gli inizi (1865-1880), in "Giornale critico della filosofia italiana", LXIV, 1985, 1; Il successo (1881-1891), ibidem, LXIV, 1985, 2; Il declino (1892-1908), ibidem, LXIV, 1985, 3; David Hume, Editori Riuniti, Roma 1986; Filosofia e postfilosofia in America. Rorty, Bernstein, MacIntyre, Angeli, Milano 1990; Storia dell'estetica moderna, Utet, Torino 1991; Storia della filosofia, fondata da N. Abbagnano, in collaborazione con G. Fornero e D. Antiseri, vol. IV, tomo II, La filosofia contemporanea, Utet, Torino 1994, poi Tea, Milano 1996; "Esthetique et poetique au XVIIIe siecle en Angleterre", in Histoire des Poetiques, a cura di J. Bessiere, E. Kushner, R. Mortier, J. Weisberger, Presses Universitaires de France, Paris 1997; "La filosofia anglo-americana", in La filosofia della seconda meta' del Novecento, a cura di G. Paganini, Piccin-Vallardi, Padova 1998; in collaborazione con A. Cavarero, Le filosofie femministe, Paravia Scriptorium, Torino 1999; Storia della filosofia, 4 voll., Utet Libreria, Torino 1999; La rivoluzione moderna. Vicende della cultura tra Otto e Novecento, Salerno Editrice, Roma 2001. Carla Lonzi e' stata un'acutissima intellettuale femminista, nata a Firenze nel 1931 e deceduta a Milano nel 1982, critica d'arte, fondatrice del gruppo di Rivolta Femminile. Opere di Carla Lonzi: Sputiamo su Hegel, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1974, poi Gammalibri, Milano 1982; Taci, anzi parla. Diario di una femminista, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1978; Scacco ragionato, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1985. Opere su Carla Lonzi: Maria Luisa Boccia, L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990] Con queste ultime tematiche entriamo in quello che costituisce lo sviluppo piu' significativo e innovativo del pensiero di Carla Lonzi, preparato da alcuni brevi scritti e attuato nel saggio piu' lungo e organico dal titolo La donna clitoridea e la donna vaginale, del 1971. In questi ultimi scritti teorici l'autrice prende di petto le questioni centrali relative alla sessualita': dalla maternita' all'aborto, dalla critica dell'eterosessualita' "vaginale" imposta dal dominio patriarcale come unica e "naturale" pratica sessuale alla rivendicazione di una sessualita' libera e polimorfa come pratica di autonomia femminile e di liberazione da quel dominio. Le tesi di fondo di questo aspetto centrale e radicale del pensiero di Carla Lonzi compaiono in forma piu' breve nello scritto Sessualita' femminile e aborto, e in forma piu' lunga e piu' riccamente argomentata nel saggio La donna clitoridea e la donna vaginale. Entrambi gli scritti sono dell'estate 1971. Il tema dell'aborto, nel primo dei due saggi, viene affrontato in maniera radicale e originale, nel senso che l'autrice rifiuta la rivendicazione politica, rivolta sostanzialmente ai maschi, di legalizzazione dell'aborto, e perviene a proposte che coinvolgono soltanto il mondo femminile, al quale spetta di mettere in pratica quella liberta' sessuale che renda obsoleto il problema della legalizzazione dell'aborto da parte di un parlamento maschile. Carla Lonzi va subito al cuore del problema con un interrogativo rivolto alle donne e con una risposta articolata che pone le premesse delle conclusioni originali e atipiche, in quel momento, rispetto alla generale richiesta di legalizzazione dell'aborto da parte del movimento femminista: "Le donne abortiscono perche' restano incinte. Ma perche' restano incinte? E' perche' risponde a una loro specifica necessita' sessuale che effettuano i rapporti col partner in modo tale da sfidare il concepimento? La cultura patriarcale non si pone questa domanda poiche' non ammette dubbi sulle leggi 'naturali'. Evita solo di chiedersi se in questo ambito cio' che e' 'naturale' per l'uomo lo e' altrettanto per la donna. (...) Ma noi sappiamo che quando una donna resta incinta, e non lo voleva, cio' non e' avvenuto perche' lei si e' espressa sessualmente, ma perche' si e' conformata all'atto e al modello sessuale sicuramente prediletti dal maschio patriarcale, anche se questo poteva significare per lei restare incinta e quindi dover ricorrere a una interruzione della gravidanza" (pp. 68-69). Le donne sono quindi costrette all'aborto perche' sono costrette a una pratica sessuale, imposta dal sistema patriarcale come unica "naturale", che porta alla gravidanza. E perche' il sistema patriarcale ha imposto tale pratica sessuale? Questa e' l'altra domanda chiave la cui risposta porta l'autrice alle tesi piu' radicali sulla sessualita'. Secondo la Lonzi alla base della imposizione patriarcale della eterosessualita' vaginale sta il piacere dell'uomo, ricercato e attuato alle spese di quello della donna, esclusa dal piacere in questa pratica: "Nel mondo patriarcale (...) l'uomo ha imposto il suo piacere. Il piacere imposto dall'uomo alla donna conduce alla procreazione ed e' sulla base della procreazione che la cultura maschile ha segnato il confine tra sessualita' naturale e sessualita' innaturale, proibita o accessoria e preliminare. (...) Noi dobbiamo assolutamente intervenire con la coscienza che la natura ci ha dotate di un organo sessuale distinto dalla procreazione e che e' sulla base di questo che noi troveremo la nostra autonomia dall'uomo come nostro signore e dispensatore delle volutta' alla specie inferiorizzata, e svilupperemo una sessualita' che parta dal nostro fisiologico centro del piacere, la clitoride" (p. 69). Prima di passare, nel saggio successivo sulle due categorie di donna, alle tesi piu' generali e radicali fondate sulla distinzione tra sessualita' vaginale imposta e sessualita' clitoridea libera, la Lonzi conclude le sue considerazioni su sistema patriarcale, sessualita' vaginale, concepimento e aborto, evidenziando le conseguenze ultime, sulla donna, della sessualita' "naturale" imposta dal piacere maschile: "Il concepimento dunque e' frutto di una violenza della cultura sessuale maschile sulla donna, che viene poi responsabilizzata di una situazione che invece ha subito. Negandole la liberta' di aborto l'uomo trasforma il suo sopruso in una colpa della donna. Concedendole tale liberta' l'uomo la solleva della propria condanna attirandola in una nuova solidarieta'" (p. 70). Queste due ultime frasi indicano una profonda consapevolezza, da parte di una donna "liberata", della complessita' del problema relativo al concepimento, alla gravidanza, all'aborto, e preannunciano la proposta di autonomia "radicale" della donna, e delle sue pratiche sessuali e di piacere, dal dominio patriarcale: dominio che non si limita a "provocare" gravidanze non volute dalla donna, ma giunge alla colpevolizzazione della donna e addirittura alla perpetuazione di quel dominio sia negandole sia concedendole la liberta' di abortire. Sia il concepimento sia l'aborto, nel sistema patriarcale, appaiono "gestiti" dall'uomo: "Sotto questa luce la legalizzazione dell'aborto chiesta al maschio ha un aspetto sinistro poiche' la legalizzazione dell'aborto e anche l'aborto libero serviranno a codificare le volutta' della passivita' come espressione del sesso femminile e a rafforzare cio' che sottintendono e cioe' il mito dell'atto genitale concluso dall'orgasmo dell'uomo nella vagina" (p. 71). E' a questa situazione, perdurante da migliaia di anni, che la Lonzi si ribella a nome di tutte le donne schiavizzate dal sistema patriarcale; ed e' a questa situazione che essa contrappone una possibile via d'uscita proprio a partire dalla sfera della sessualita', affermando che la donna "gode di una sessualita' esterna alla vagina, dunque tale da poter essere affermata senza rischiare il concepimento" (p. 70). La donna puo' e deve mirare, per liberarsi dal dominio patriarcale che trova il suo fondamento nella sfera della sessualita', a una civilta' in cui si pratichi una libera sessualita' polimorfa; una sessualita' cioe' non vincolata all'eterosessualita' vaginale con finalita' o conseguenze procreative, ma tale per cui "da luogo della violenza e della volutta' [maschile] la vagina diventa, a discrezione, uno dei luoghi per i giochi sessuali. In tale civilta' apparirebbe chiaro che i contraccettivi spettano a chi intendesse usufruire della sessualita' di tipo procreativo, e che l'aborto non e' una soluzione per la donna libera, ma per la donna colonizzata dal sistema patriarcale" (p. 75). * Dalle premesse poste nel breve saggio su Sessualita' femminile a aborto muove lo sviluppo organico del pensiero di Carla Lonzi realizzato nel piu' noto saggio La donna clitoridea e la donna vaginale. In esso l'autrice perviene a conclusioni radicali, alla esaltazione di un libertarismo sessuale della donna, alquanto "inattuale" nel momento in cui venne proposto, ma in linea con alcune delle posizioni piu' radicali e piu' avanzate che a livello internazionale venivano proposte anche se non largamente condivise (9). Soltanto qualche anno dopo, con l'emergere pubblico del dibattito sull'omosessualita' femminile e con la rivendicazione di questa quale vera pratica di liberazione dal sistema patriarcale, le tesi di Carla Lonzi avrebbero avuto una qualche eco (10). Il saggio della Lonzi si presenta anche con aspetti "didattici", nel senso che spiega in termini elementarissimi, con estrema chiarezza, la "meccanica" fisiologica della sessualita' femminile, dei suoi organi, dei suoi modi e dei suoi diversi tipi di piacere e di orgasmo, utilizzando anche illustrazioni sui dettagli fisiologici e anatomici, per muovere verso un discorso teorico e di rivendicazione culturale e politica di estrema radicalita'. Premesso che "il sesso femminile e' la clitoride, il sesso maschile e' il pene"; che "la vagina e' la cavita' del corpo femminile che accoglie lo sperma dell'uomo e lo inoltra nell'utero affinche' avvenga la fecondazione dell'ovulo"; che "il momento in cui il pene dell'uomo emette lo sperma e' il momento del suo orgasmo"; che "nell'uomo dunque il meccanismo del piacere e' strettamente connesso al meccanismo della riproduzione"; la Lonzi individua e indica subito la "differenza" essenziale tra la sessualita' maschile e quella femminile: "Nella donna meccanismo del piacere e meccanismo della riproduzione sono comunicanti [cioe' la clitoride e' vicina ma non identica alla vagina], ma non coincidenti" (p. 77). Ma questa differenza e' stata negata dalla pratica eterosessuale vaginale imposta dal sistema patriarcale, che ha negato autonomia e legittimita' al piacere clitorideo, condannandolo come innaturale o come infantile (Freud) e in alcuni casi negandolo alla radice (la Lonzi aveva fatto riferimento, in pagine precedenti, alle pratiche di clitoridectomia in alcune aree del mondo islamico). Ora, continua la Lonzi, "la donna si chiede: su quale base si e' postulato che il piacere clitorideo esprime una personalita' femminile infantile e immatura? Forse perche' esso non risponde al modello sessuale procreativo. Ma il modello procreativo non e' quello in cui si e' cristallizzato il rapporto eterosessuale - anche quando il fine procreativo viene accuratamente evitato - secondo la netta preferenza del pene-egemone? Dunque il piacere clitorideo deve il suo discredito al fatto di non essere funzionale al modello genitale maschile" (p. 81). La donna e' stata costretta, nel sistema patriarcale di ultramillenaria durata, ad accettare e a introiettare anche sul piano psichico il primato, anzi il carattere esclusivo, della eterosessualita' vaginale, funzionale al piacere e al dominio maschili. La via della liberazione della donna passa per il rifiuto di questa eredita' codificata da tutte le forme di ideologia e divenuta patrimonio psichico della stessa donna, passa per la "conquista" della sessualita' clitoridea, unanimemente condannata e demonizzata nel sistema patriarcale: "Per godere pienamente dell'orgasmo clitorideo la donna deve trovare un'autonomia psichica dall'uomo. Questa autonomia psichica risulta cosi' inconcepibile per la civilta' maschile da essere interpretata come un rifiuto dell'uomo, come presupposto di una inclinazione verso le donne. Nel mondo patriarcale dunque le viene riservato in piu' l'ostracismo che si ha per tutto cio' che si sospetta un'apertura all'omosessualita'" (p. 83). A questo punto Carla Lonzi puo' proporre la contrapposizione che da' il titolo al saggio e che costituisce l'alternativa di fronte alla quale le donne devono operare la loro scelta essenziale: per o contro il sistema patriarcale, per o contro la liberta' della donna e la liberazione da quel sistema: "Dal punto di vista patriarcale la donna vaginale e' considerata quella che manifesta una giusta sessualita' mentre la clitoridea rappresenta l'immatura e la mascolinizzata, per la psicoanalisi freudiana addirittura la frigida. Invece il femminismo afferma che la vera valutazione di queste risposte al rapporto col sesso che opprime e' la seguente: la donna vaginale e' quella che, in cattivita', e' stata portata a una misura consenziente per il godimento del patriarca mentre la clitoridea e' una che non ha accondisceso alle suggestioni emotive dell'integrazione con l'altro, che sono quelle che hanno presa sulla donna passiva, e si e' espressa in una sessualita' non coincidente col coito" (pp. 83-84). Tutto il saggio ruota su questa contrapposizione, affrontata con l'analisi dei suoi aspetti fisiologici, psichici, sociali (l'istituzione matrimonio e la necessita', per la donna liberata, di uscirne). Largo spazio e' dedicato alla critica della psicoanalisi nelle versioni di Freud e di Reich. La Lonzi non accetta l'identificazione di donna clitoridea e di donna omosessuale. Il rifiuto dell'eterosessualita' fondata e codificata sulla penetrazione vaginale non e' il rifiuto dell'eterosessualita'. La Lonzi insiste anzi sul fatto che la vagina, per quanto sia organo erogeno "moderato", costituisce uno dei possibili luoghi di "giochi" erotici e sessuali con l'uomo. L'autrice non rifiuta il rapporto sessuale della donna con l'uomo, ma il carattere "passivo" di tale rapporto, per cui "per provare l'orgasmo durante il coito la donna deve avere dell'uomo un'idea che trascenda l'idea che essa ha di se stessa e convincersi di stare con un uomo all'altezza dell'alta idea che essa ha dell'uomo" (p. 108). La Lonzi mira a una liberazione della donna che comporti non piu' la passivita' nel rapporto sessuale con l'uomo ma la liberta' di iniziativa, la "rinegoziazione" del rapporto eterosessuale: "Nella seduta amorosa la donna non deve aspettare dall'uomo delle maldestre iniziative sulla clitoride che la disturbano, ma deve mostrare lei stessa quale e' la carezza ritmica preferita che, ininterrotta, la porta al punto del godimento. Il rapporto con una donna che vuole il piacere clitorideo come piacere sessuale in proprio non presuppone una tecnica e gesti erotici inusitati, ma un diverso rapporto tra soggetti che riscoprono le loro fonti del piacere e i gesti ad esse convenienti. L'uomo deve sapere che la vagina e', per la donna, una zona moderatamente esogena e adatta ai giochi sessuali, mentre la clitoride e' l'organo centrale della sua eccitazione e del suo orgasmo" (p. 113). Va da se' che tutte le forme di erotismo e di autoerotismo devono essere a disposizione della donna liberatasi dal dominio patriarcale. Nello scritto precedente la Lonzi aveva indicato nella libera sessualita' polimorfa l'orizzonte della nuova donna liberata. In questo piu' organico saggio ripropone in forme piu' riccamente sviluppate questo tema, esteso a tutti gli esseri umani, compresi i bambini (nel Manifesto di un anno prima aveva scritto: "Sono un diritto dei bambini e degli adolescenti la curiosita' e i giochi sessuali", p. 16): "Il sesso e' una funzione biologica essenziale dell'essere umano e vive di due momenti: uno personale e privato che e' l'autoerotismo, uno di relazione che e' lo scambio erotico con un partner" (p. 113). Anche l'autoerotismo e' quindi una delle forme "essenziali" di quella funzione biologica che e' il sesso, e anche in questa sfera la donna e' stata "inferiorizzata" dal sistema patriarcale: "L'interdizione all'autoerotismo ha colpito duramente la donna poiche' non solo l'ha privata o l'ha disturbata in questa realizzazione di se', ma anche l'ha consegnata inesperta e colpevolizzata al mito dell'orgasmo vaginale che per lei e' diventato 'il sesso'" (ivi). Nella parte finale del saggio Carla Lonzi evita di presentare la donna clitoridea, liberata dal sistema patriarcale, come qualcosa di eccezionale, di eroico, da esaltare; anzi ritiene che la donna clitoridea debba essere la donna "normale" in una civilta' nella quale sia stato sconfitto il sistema patriarcale senza per questo mirare a un idealizzato e utopico sistema matriarcale. Una donna normale di fronte a un uomo normale: entrambi esseri sessuati, ma con le loro "differenze" da valorizzare e non da mortificare al servizio dell'uno/a o dell'altro/a: "La donna clitoridea non ha da offrire all'uomo niente di essenziale, e non si aspetta niente di essenziale da lui. Non soffre della dualita' e non vuole diventare uno. Non aspira al matriarcato che e' una mitica epoca di donne vaginali glorificate. La donna non e' la grande-madre, la vagina del mondo, ma la piccola clitoride per la sua liberazione. Essa chiede carezze, non eroismi; vuole dare carezze, non assoluzione e adorazione. La donna e' un essere umano sessuato. (...) Non e' piu' l'eterosessualita' a qualsiasi prezzo, ma l'eterosessualita' se non ha prezzo" (p. 118). E quel che fa la differenza, nei due tipi di sessualita' ed eterosessualita', e' la passivita' o l'assenza di questa: "La passivita' non e' l'essenza della femminilita', ma l'effetto di un'oppressione che la rende inoperante nel mondo. La donna clitoridea rappresenta il tramandarsi di una femminilita' che non si riconosce nell'essenza passiva" (p. 134). * Qui possiamo dar termine al nostro contributo, che voleva essere prevalentemente informativo e che per tale motivo ha abbondato in riferimenti testuali numerosi e talvolta lunghi. Il pensiero di Carla Lonzi e' legato a un momento iniziale e radicale del femminismo, italiano e internazionale. Esso presenta forti momenti di originalita' e tratta temi che negli anni successivi avrebbero avuto sviluppi teorici riccamente diversificati, sia in Italia sia fuori d'Italia. Non e' un pensiero conosciuto o studiato nella filosofia fatta secondo il genere maschile. Non e' questo, pero', un limite di quel pensiero, ma di quella filosofia, che tarda ancora a prendere atto del fatto che il pensiero delle donne, dopo la Lonzi e grazie anche ad essa, ha raggiunto livelli di approfondimento e di ampiezza tematica, sia sul piano teorico sia su quello storiografico, che potrebbero portare nuova linfa ad una filosofia nel suo complesso vivacchiante da un po' di anni senza dare segni di una qualche originalita' (11). * Note 9. La tematica relativa alla differenza tra pratiche sessuali centrate sulla vagina e quelle centrate sulla clitoride veniva proposta in un brevissimo scritto di Anne Koedt, circolato in forma di ciclostilato nel 1968 e pubblicato nel 1970 in una dimensione piu' lunga, dal titolo The Myth of the Vaginal Orgasm. Lo si trova nelle pp. 64-66 del volume gia' citato a cura di B. A. Crow, Radical Feminism, oltre che nelle pp. 333-343 del volume curato da M. Schneir, The Vintage Book of Feminism, Vintage, London 1994 (in questo volume lo scritto viene inquadrato nel dibattito aperto nel 1966 dal celebre libro inchiesta di W. H. Masters, V. E. Johnson, Human Sexual Response, nel quale per la prima volta si rendeva noto al grande pubblico che Freud e tutta la tradizione sessuologica avevano sbagliato nell'individuare la fonte del piacere e dell'orgasmo femminili nella vagina anziche' nella clitoride, fonte di piacere, secondo Freud, soltanto per la bambina e l'adolescente, la cui sessualita' avrebbe raggiunto la piena maturita' soltanto con il piacere e l'orgasmo vaginali; Freud concludeva anche che la frigidita' femminile dipendeva dal non voler abbandonare la fase clitoridea e dal rifiutare il rapporto con il maschio nella fase della penetrazione vaginale). Lo scritto di A. Koedt e' rivolto principalmente a confutare le tesi di Freud, e in questo compito e' stato molto efficace e fortunato in ambito femminista. 10. Su questo dibattito e sulla bibliografia relativa mi permetto di rinviare al gia' citato vol. di F. Restaino, A. Cavarero, Le filosofie femministe. 11. Su questa sordita' della filosofia "maschile" rispetto ai contributi teorici provenienti dalla filosofia "femminile" e femminista mi permetto di rinviare al mio articolo Femminismo e filosofia: contro, fuori o dentro?, in "Rivista di storia della filosofia", LVI, 2001, n. 3, pp. 455-472. 2. LIBRI. NATALIA ASPESI PRESENTA "TROPPO BELLE PER IL NOBEL" DI NICOLAS WITKOWSKI [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "La Repubblica" del 3 febbraio 2008 col titolo "Le ragazze da Nobel geniali cenerentole" e il sommario "Discriminate. La prima donna di scienza fu Ipazia di Alessandria nel IV secolo: fatta a pezzi da monaci cristiani. Poi vennero le streghe: mandate al rogo. Infine ecco le loro nipoti alle prese con un'istituzione esclusiva quanto misogina. In un libro la storia delle loro sconfitte (ingiuste) e delle vittorie (troppo poche). August Strindberg disse di Sofia Kovalevskaja: 'Una femmina professore di matematica e' una mostruosita''". Natalia Aspesi e' una notissima giornalista e scrittrice, acuta e brillante osservatrice dei fenomeni di costume, critica cinematografica e di altre espressioni artistiche e forme di spettacolo; e' nata, vive e lavora a Milano, dove ha iniziato l'attivita' giornalistica alla "Notte", diventando successivamente inviata del "Giorno" e poi di "Repubblica", giornale cui collabora dalla fondazione. Nicolas Witkowski, fisico, e' autore di varie opere e articoli sulla storia della scienza. Tra le opere di Nicolas Witkowski: La vasca di Archimede. Piccola mitologia della scienza, Raffaello Cortina, Milano 1998; Storia sentimentale della scienza. Le passioni all'origine del pensiero scientifico, Raffaello Cortina, Milano 2003; Troppo belle per il Nobel. La meta' femminile della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2008] Sofia Kovalevskaja adorava la matematica in tempi in cui uno scrittore come August Strindberg, non piu' misogino di altri, cosi' aveva accolto il suo arrivo all'universita' di Stoccolma: "Una femmina professore di matematica e' un fenomeno pernicioso e sgradevole persino, si potrebbe dire una mostruosita': e il fatto che sia stata invitata in un paese dove ci sono cosi' tanti maschi matematici di gran lunga superiori puo' essere spiegato soltanto con la galanteria degli svedesi verso il sesso femminile". In quella seconda meta' del XIX secolo in cui sempre piu' donne si infiammavano fastidiose per le scienze, gli stessi scienziati si affannavano ad affermare che ogni legame tra femminilita' e cervello, essendo contro natura, non solo sarebbe stato causa della rovina delle donne, ma avrebbe anche portato alla fine dell'umanita'. Quasi mezzo secolo prima che Sofia nascesse, era stata un'altra giovane donna, Sophie Germain, che per passare il tempo mentre impazzava il Terrore aveva imparato da sola il calcolo differenziale, a vincere nella Parigi napoleonica il gran premio dell'Istituto di Francia per le scienze matematiche e fisiche, pur essendo stata sempre tenuta fuori dalla comunita' scientifica, ovviamente in quanto donna. Gli uomini sapevano tutto dei limiti e delle inadeguatezze delle donne, avendoli teorizzati loro senza peraltro consultarle, e si affannavano a spiegarglieli per il loro bene. Kant, che la sapeva lunga in quanto massimo pensatore, l'aveva gia' annunciato decenni prima, affinche' non si facessero illusioni e stessero al loro posto: "Ogni conoscenza astratta, ogni conoscenza che sia essenziale, si avverte deve essere lasciata alla mente solida e laboriosa dell'uomo. Per questa ragione le donne non impareranno mai la geometria". Invece Sofia Kovalevskaja la geometria, anzi la geometria analitica, la imparo' in un baleno, allenata com'era, sin da piccola, a scrutare i fogli delle lezioni litografate di Ostrogradiskij sul calcolo differenziale e integrale con cui in mancanza di carta da parati era stata tappezzata la sua cameretta. Come altre ragazze aristocratiche russe che volevano andare a studiare all'estero, organizzo' un matrimonio di convenienza per poter avere il passaporto: poi si sa, anche in Europa, una donna, il suo fragile cervello, il decoro, la matematica! Immense difficolta' ad assistere alle lezioni, fatiche incommensurabili per avere il permesso di frequentare la biblioteca universitaria e lei imperterrita che nel 1875, a venticinque anni, presenta La teoria delle equazioni differenziali parziali e pubblica il saggio sulla Riduzione di una classe di integrali abeliani di terzo grado a integrali ellittici. Otterra' la laurea, sia pure "in absentia", in quanto era indecoroso che una donna si presentasse di persona, ma non un lavoro essendo impensabile un posto per un dottore in matematica cosi' difettoso da essere donna; e tuttavia vincera' il massimo riconoscimento scientifico francese, il Prix Bourdin, con il miglior saggio sulla Rotazione di un corpo rigido intorno a un punto fisso. Molto carina, civetta, femminile, ottima scrittrice, nichilista impegnata, sposata, separata da un marito poi suicida, madre di una bambina, poi pazza d'amore per uno storico russo e decisa a piantar tutto per sposarlo, mori' per un attacco di cuore a quarant'anni, sospirando: "Troppa felicita'". C'e' una sorta di vago legame tra la bella matematica russa e il Premio Nobel istituito dieci anni dopo la sua morte. Il celebre professore svedese Gosta Mittag-Leffler, fondatore della rivista "Acta mathematica", l'ammirava molto e le diede un posto prezioso di redattrice che le consentiva di arrivare alla fine del mese con meno fatica (pessima nei lavori domestici, come tutti si aspettavano da una funesta matematica, usava dire: "Se fossi un uomo, anch'io sceglierei una bella mogliettina che li faccia al posto mio"). Quando Alfred Nobel scrisse il testamento in cui istituiva i famosi premi, "dimentico'" la matematica e si sparse la voce che Nobel avesse voluto vendicarsi di Mittag-Leffler, che gli avrebbe conteso, con successo, i favori di una giovane donna. Questa donna non era Sofia e la voce forse e' priva di fondamento, ma sottolinea l'incredibile misoginia dell'ambiente scientifico, in cui le donne potevano (possono?) eventualmente essere oggetto di rivalita' amorosa ma non serie interlocutrici. Poi ci si puo' anche vergognare e magari pentire, e infatti esiste una medaglia Fields per la matematica paragonabile al Nobel e da poco e' stato istituito un premio Kovalevskaja che fa vincere ventidue milioni di euro. * Il gossip scientifico, del resto molto noto, e' contenuto tra altre succose notizie da Dagospia accademico, nel brioso, sin dal titolo, Troppo belle per il Nobel, scritto dal fisico Nicolas Witkowski qualche anno fa e adesso pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri: in copertina una bella foto del re di Svezia in frac e pieno di decorazioni che nel 1986 consegna il premio per la medicina e fisiologia alla meravigliosa Rita Levi Montalcini, diviso con il compagno di ricerca Cohen, per la scoperta del fattore di crescita nervoso. Il saggio francese non dedica una sola riga alla nostra impavida senatrice, che l'anno prossimo avra' cent'anni, ma ci ricorda con dovizia di storie il cammino accidentato di quelle poche donne cocciute che in passato furono ignorate, schernite, temute, disprezzate, allontanate, rinchiuse, punite, fatte fuori, per l'intrusione in mondi a loro preclusi. Prima martire diventata simbolo della donna scienziata e di tutti gli orrori con cui si tento' di scoraggiarne la sapienza, fu Ipazia di Alessandria, nata nel 370 dopo Cristo, matematica, astronoma, inventrice dell'astrolabio, del planisfero e dell'idroscopio, gentilmente fatta a pezzi da una squadraccia di furibondi monaci cristiani. Poi l'insondabile labirinto di esclusione continuo' imperterrito nei secoli, quando la societa' maschile piu' buia affido' agli inquisitori il compito di difenderla dal fiorire di una scienza femminile: basto' bollare come streghe le donne piu' sapienti per mandarle al rogo in nome della morale e di Dio; non meglio si comporto' secoli dopo la cultura piu' illuminata, appunto la cultura dei Lumi, che incarico' i suoi filosofi e i suoi rivoluzionari di togliergliele di torno, quelle noiose, rinchiudendole nel paradiso domestico in nome della Ragione e della superiorita' maschile. Geniale Jules Verne nel suo Il mondo sottosopra (1899): "Dunque secondo voi, signor Maston, vedendo cadere una mela nessuna donna avrebbe mai potuto scoprire le leggi della gravitazione universale come fece l'illustre scienziato inglese alla fine del XVIII secolo?". "Vedendo cadere una mela, signor Scorbitt, a una donna non sarebbe venuta altra idea che di mangiarsela, secondo l'esempio di nostra madre Eva!". Anche i responsabili dei Nobel scientifici si sono mostrati piuttosto distratti o scettici verso i meriti delle signore: da quando sono stati istituiti, nel 1901, ne sono stati assegnati piu' di cinquecento e solo una esigua manciata, undici, ha onorato le donne. D'altra parte la moltitudine di studiosi che negli ultimi decenni dell'Ottocento sfornavano teorie sulla pericolosa inconsistenza delle donne non dava tregua. Il patologo Mobius aveva fatto del suo L'inferiorita' mentale della donna un fortunato bestseller, l'antropologo Karl Vogt affermo' che essendo il cranio femminile piu' piccolo di quello maschile, il suo contenuto doveva essere simile a quello di un bambino o anche di uomini, pero' di razze inferiori. Secondo il lunatico scrittore americano Nicolas Cooke, la donna doveva evitare ogni inutile attivita' mentale perche' "nell'uomo la materia cerebrale e' piu' densa e consistente, nella donna piu' soffice e di dimensioni ridotte". In piu', con le mestruazioni e le gravidanze, delirava il naturalista darwiniano George Romanes, la donna era sottoposta a continuo "esaurimento del cervello", il che non era poi cosi' importante visto che nelle donne quell'organo non era che un meccanismo inutile e anacronistico, pre-evolutivo. * E tuttavia, per quanto di genere altamente difettoso, gia' nel 1903 la polacca Maria Sklodowska, piu' conosciuta dopo il matrimonio come Marie Curie, vinceva il Nobel per la fisica col marito Pierre e con Henri Becquerel. Nel 1911 gliene fu assegnato un secondo, per la chimica, mentre anche sua figlia Irene Joliot-Curie assieme al marito Frederic avrebbe ottenuto il Nobel per la chimica nel 1935. Scoprendo la radioattivita', che si credeva debellasse il cancro e gia' celava il nero futuro della bomba atomica, Marie Curie fu "assieme fata e strega, in laboratorio come nell'alcova", ci informa Witkowski. "Quando si tratto' di attribuire il Nobel ai Curie, si fece solo il nome di Pierre", e soltanto per le proteste del marito, innamorato e conscio del genio di Marie, lei non ne fu esclusa. Fu pero' pregata di stare zitta, e il discorso di accettazione lo fece solo Pierre. Rimasta vedova inconsolabile e depressa, tutta la scienza di Marie fu offuscata da una storia usata contro di lei per infangarla, la relazione con un collega piu' giovane, sposato e padre, che invase i giornali proprio come capita adesso, trasformando un premio Nobel in "una straniera ladra di mariti". E confermando l'idea diffusa che la scienza non giova alle donne, rendendole oltretutto immorali e pericolose per la famiglia e la societa'. L'ultima signora Nobel, Cristiane Nusselein-Volhard, per la medicina e la fisiologia, risale al 1995 [errsta corrige: l'ultima scienziata a ricevere il Nobel e' stata nel 2004 Linda Buck - ndr], ma piu' di lei forse sono note le scienziate cui il Nobel fu scippato dai colleghi meno galanti e piu' svelti, e comunque, in quanto maschi, piu' credibili. Anthony Hewish, direttore del dipartimento di astrofisica di Cambridge, si prese il Nobel nel 1974 per aver scoperto le pulsar, che invece erano state rilevate, studiate e decifrate dall'allieva Jocelyn Bell, naturalmente neppure nominata. Appropriandosi senza il suo consenso del lavoro della giovane cristallografa inglese Rosalind Franklin sulla struttura intima del dna, tre colleghi di Cambridge (dove lei in quanto donna non aveva accesso alla sala ristoro) scoprirono la struttura a doppia elica del dna e nel 1962 ebbero il Nobel. Lise Meitner, detta la Marie Curie tedesca, ebrea, rifugiata a Stoccolma per sfuggire alle persecuzioni razziali, scopri' la fissione nucleare. Il Nobel lo prese pero' nel 1944 Otto Hahn, suo collaboratore rimasto in Germania. Di queste cenerentole della scienza, bistrattate nella ricerca e accantonate nella carriera e nei riconoscimenti, ce ne sono decine, e forse la piu' sorprendente e' Mileva Maric, della cui creativita' si sarebbe appropriato, dicono, il marito: un uomo venerato dalla scienza, riconosciuto come il piu' grande genio del secolo scorso, Albert Einstein. Sarebbe stata la piccola serba, grande matematica abile nei calcoli in cui il fisico tedesco invece si perdeva, a collaborare attivamente alla rivoluzionaria teoria della relativita'. Fu pero' un altro studio, l'interpretazione dell'effetto fotoelettrico, a far vincere il Nobel ad Einstein nel 1922; ma di Mileva, fregata nella scienza e nei sentimenti, non si sapeva gia' piu' nulla da quando, nel 1914, il celebre marito l'aveva lasciata per sposare poi la cugina Elsa. * La rivolta delle scienziate, come del resto di altre donne in altri campi, comincio' negli anni Settanta con i primi studi femministi che mandavano all'aria la vetusta antropologia virilista, seguiti da una valanga di "gender studies" che riscrivevano tutta la storia, compresa quella della matematica, della fisica, della chimica, dell'astronomia, della cosmologia, dell'atomo, togliendo dalla polvere centinaia di donne geniali e creative, sottovalutate ai loro tempi e dimenticate poi. Oggi i laboratori scientifici sono invasi dalle donne, che fanno ancora fatica a fare carriera in un ambiente tuttora misogino, ma sanno difendersi e infastidire attraverso associazioni, network, lobby, gruppi di pressione, convegni, progetti internazionali, borse di studio come quelle istituite da L'Oreal. L'ex presidente dell'Universit‡ di Harvard, Larry Summers, per aver sostenuto due anni fa che le donne non avrebbero i geni adatti a scalare le vette della fisica, ha dovuto dimettersi e lo ha sostituito una donna. Al Mit si alternano i presidenti, una volta un uomo una volta una donna. Una donna, Carolyn Porco, guida la missione Cassini, la piu' importante lanciata nel sistema solare. Gli astrofisici hanno eletto loro presidente Catherine Cesarsky. E' una donna, Flavia Zucco, a dirigere la ricerca dell'Istituto di neurobiologia e medicina molecolare di Roma. E' una donna, Elisa Molinari, la coordinatrice dell'Istituto nazionale di fisica della materia. I sessisti hanno scoperto che quando il gioco si fa duro, quando ci si trova nei guai, non c'e' niente di meglio, anche nelle scienze, che mandare avanti le donne affinche' se la sbrighino da sole. 3. LIBRI. DONATELLA BASSANESI PRESENTA "DOPO LA SOLITUDINE" DI BARBARA MAPELLI [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo la seguente recensione dal titolo "Barbara Mapelli, traccia un passaggio". Donatella Bassanesi, docente, saggista, pittrice, vive tra Milano e Venezia, laureata in design a Venezia, studi di filosofia a Milano; ha insegnato grafica presso la Scuola del Libro della Societa' Umanitaria di Milano; ha insegnato nei corsi monografici delle 150 ore a Milano, e nella Libera universita' delle donne di Milano, conducendo analisi sulla citta', a partire dall'esperienza e dal pensiero delle donne; insegna oggi nei corsi della Libera universita' delle donne, intorno alle questioni dell'arte. Tra le opere di Donatella Bassanesi: Donne di Picche, Salamandra; Mie belle signore, Regione Lombardia; Spazio-tempo, Lud; Le porte della citta', Lud; Rosso - la terra, l'ombra, Lud; Foto di gruppo in un quartiere, Comune di Milano; Hannah Arendt. Pensare il presente, Lud, Milano 2006. Barbara Mapelli e' nata a Milano l'8 settembre 1947, sposata e madre di un figlio, svolge da anni attivita' di progettazione formativa e ricerca sociopedagogica, con particolare attenzione alle tematiche di genere; in questo ambito ha partecipato e diretto la progettazione e realizzazione di ricerche e iniziative di formazione italiane ed europee. Insegna Pedagogia della differenza di genere presso la seconda Universita' di Milano-Bicocca. Ha collaborato con il Ministero pari opportunita', divisione scuola e cultura, ha fatto parte per dieci anni del Comitato pari opportunita' del Ministero pubblica istruzione e ha diretto, dal 1987 al 2000, l'area di ricerca Genere e educazione presso il Cisem (Istituto di ricerca della Provincia di Milano). Fa parte della redazione della rivista "Adultita'" e su questa ed altre riviste specializzate ha pubblicato articoli e saggi; collabora a numerose riviste di pedagogia e ha diretto la progettazione e realizzazione di video didattici sulle tematiche oggetto delle sue ricerche. Tra le pubblicazioni di Barbara Mapelli: Immagini di cristallo. Desideri femminili e immaginario scientifico, Milano, 1991; Un futuro per le ragazze. Manuale di orientamento al femminile, Firenze,1991; Sentimenti, gesti, parole, Milano, 1992; I modelli e le virtu', Milano, 1994; Desideri e immagini di futuro, Milano, 1994; Care, carissime donne, Roma, 1995; Tra donne e uomini, Milano, 1997; Educare alla sessualita', Firenze, 1998; Il libro della cura, Torino, 1999; Scuola di relazioni, Milano, 1999; Cuore di mamma, Milano, 2000; Orientamento e identita' di genere, Firenze-Milano, 2001; Dopo la solitudine, Mimesis edizioni, 2008] Barbara Mapelli, Dopo la solitudine. Pedagogia narrativa tra donne e uomini, Mimesis edizioni, 2008, euro 14. * Il libro di Barbara Mapelli, Dopo la solitudine, a partire dal titolo invita a una riflessione tra un prima di solitudine e un dopo. Prima e' la solitudine dell'uomo. Si colloca in un se' Doppio e fondativo che si conclude con l'uccisione di una parte (cosi' si fondano le citta', Romolo e Remo). Cosi' si pone la legge piu' generale della citta' a ragione della quale sempre c'e' un vincitore e un vinto (asservito che regge sulle sue spalle chi lo ha vinto). Questo significa che, con la figura del Doppio, il maschile si costituisce, proprio nella duplicazione e successiva uccisione, come eliminatore dell'altro (non c'e' altro da se', l'Io domina, il potere si fa tirannico, paradossalmente, proprio a ragione di un'amputazione). A partire da li' si costituisce il vivere sociale che ingloba storicamente le donne (costrette in ruoli subordinati, che tuttavia di quel Doppio devono tenere conto). Prima e' anche solitudine in presenza dello specchio stregato e deformante (che Barbara riesamina riferendosi a Virginia Woolf). Costituito da una donna che, cadendo inconsapevolmente nella trappola di un ruolo socialmente accettato ingigantisce l'uomo riducendo se stessa a figura-immagine, alle due dimensioni, uno spettro che e' ombra e traccia di una menzogna. Dunque una societa' chiusa che deriva e produce la solitudine di un sistema insieme difensivo-offensivo amputato. Questa la legge generale. Eppure infra si intravede un passaggio che sta tra il prima e il dopo: la solitudine come passaggio. Quando il pensiero fattosi critico si stacca dal prima (che e' accettazione del dato), verso un dopo di cui sappiamo poco (fabuloso) ma di cui intravediamo qualcosa, un percorso che desidereremmo fosse pur non sapendo realmente cosa potrebbe essere, un dopo che si distacca dal prima, e non e' semplicemente una questione temporale, sta in mezzo frammentariamente nel presente come parte nascosta (il suo "silenzio" e' la domanda). E' l'indeterminatezza di un percorso non tracciato ma che passi vanno tracciando in una solitudine necessaria che non e' isolamento (essere fuori dal mondo), al contrario pongono sulla soglia, il luogo dove sta chi scrive, testimone e guardiano del libro che e' il suo doppio, dove apre un varco, incontra l'altro e percio' si stacca dall'uno. Solitudine questa che si colloca (in un certo modo sta nel titolo di questo libro) tra un prima (implicito) e un dopo; ossia in quella fessura tra dato e possibile che non e' ma e' anche tra passato e futuro, il luogo piu' appropriato del pensiero. Solitudine dunque come luogo di riflessione e di passaggio, ascoltando storie, quelle che qui ritroviamo e ci spostano facendoci procedere da un mondo chiuso e immobile verso una possibilita' "forse" di "inventarne un altro", scrive Barbara nell'introduzione. Perche' e' "una storia di solitudine, inizialmente", ci porta a riflettere intorno al silenzio e a interpretare i silenzi, andando verso cio' che abbiamo rimosso, abbiamo cercato di non vedere, che tuttavia forse fa parte di quel silenzio per il quale i pensieri prendono forma, consistenza, vengono al mondo e possono diventare azioni, ossia ci permettono di "stare in questo mondo e pensarne, progettarne un altro", ma anche ci lasciano vedere fino in fondo questo mondo e le sue trappole, i suoi inganni e gli orrori che producono, con i quali quotidianamente conviviamo (anche e specialmente la doppia immagine che risulta dallo specchio stregato e deformante, segno di un potere che si regge sulla falsificazione, privato e deprivante, teso a distruggere la realta') che se non visti rimangono eterna inconciliabilita', conflitto permanente non solo tra maschile e femminile, ma ancora piu' profondamente tra se' e se', tra se' e mondo. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 161 del 23 febbraio 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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