Nonviolenza. Femminile plurale. 158



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 158 del 15 febbraio 2008

In questo numero:
1. L'ultima parola e' la nostra. Dall'evidenza scientifica all'etica della
responsabilita'
2. Tiziana Bartolini: Il corpo, la voce
3. "Unione donne in Italia" di Napoli: Una violenza ancora
4. Lea Melandri: Gli anelli mancanti
5. Grazia Zuffa: L'antico sogno maschile
6. Qualche lettura ulteriore

1. APPELLI. L'ULTIMA PAROLA E' LA NOSTRA. DALL'EVIDENZA SCIENTIFICA
ALL'ETICA DELLA RESPONSABILITA'
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente appello]

L'ultima parola e' la nostra.
Dall'evidenza scientifica all'etica della responsabilita'.
*
Contrastiamo l'abitudine a pensare che sui temi essenziali che riguardano la
nostra vita, le nostre esperienze che si fanno corpo e anima, noi donne e
uomini comuni fatichiamo a prendere una decisione consapevole.
Osserviamo che in una societa' di esperti hanno autorevolezza lo scienziato,
il filosofo, il teologo, il giurista e recentemente il bioeticista, tutti
"rigorosamente" di sesso maschile, mentre noi donne non abbiamo parola
pubblica. Ma oggettivita' scientifica e soggettivita' non sono mondi
separati e le tecnologie che riguardano la vita e la morte sono oggi tali da
modificare la percezione, il senso e quindi la lettura che noi diamo di
esse. Dal concepimento al morire, le opportunita' (e i rischi) offerti dalle
biotecnologie mediche ci obbligano singolarmente e collettivamente a operare
scelte e mettere in atto decisioni spesso difficili. Ad esse la scienza
contribuisce in termini di conoscenza e ampliamento delle possibilita'. Ma
l'ultima parola spetta alla donna e all'uomo che di quelle scelte vivranno
le conseguenze.
*
Noi contrastiamo la violenza di un'etica dei principi indiscutibili e
astratti con l'etica della responsabilita' e denunciamo che il vuoto
lasciato dall'assenza di una cultura laica delle istituzioni e' riempito
dalla Chiesa e dai codici deontologici delle associazioni e/o corporazioni
degli esperti, scientifici e non, che dettano la propria legge.
Le questioni eticamente sensibili diventano cosi' strumenti che mirano a
fare dei corpi di uomini e donne le nuove "res publicae", su cui e
attraverso cui arrivare alle "nuove sintesi" politiche che spesso avvelenano
la civile convivenza e il quadro democratico.
Questo sta accadendo: ieri sulla legge 40, oggi sulla 194, la moratoria, la
lista di Ferrara e l'incursione all'ospedale di Napoli.
*
Riproponiamo l'autonomia e la liberta' di una donna di scegliere per se
stessa anche quando e' "uno e due contemporaneamente", cioe' quando e'
gravida, affermando che e' portatrice di una responsabilita' che ne fa un
soggetto morale capace di compiere la scelta di essere o non essere madre e
di interrogarsi sul senso e la qualita' di quella vita che ha deciso di
mettere al mondo.
La chiesa cattolica ha riconosciuto un'anima alle donne nel 1431. Quanti
secoli ancora per essere riconosciute soggetti morali?
*
Denunciamo la voluta confusione che ha animato il recente dibattito
sull'obbligo di rianimazione dei feti vitali anche in presenza di una
decisione contraria della madre. Si sono confuse questioni diverse: aborto
terapeutico e nascita prematura.
Aborto terapeutico e nascita prematura stanno su piani diversi, hanno
ricadute ed effetti differenti, le cui responsabilita' non sono del tutto
chiare dal punto di vista della legge.
Nel primo caso il riferimento e' la legge 194 dove in nome del diritto alla
salute della madre, ed in presenza di una grave malformazione del feto, la
legge consente alla donna di porre fine a quella vita.
Nel secondo caso siamo in presenza di un trattamento terapeutico su un
"minore" gia' nato che non e' in grado di esercitare quel "consenso
informato" di cui il medico ha bisogno per agire sul corpo del paziente e
che e' l'espressione della autonomia di scelta di ogni cittadino/a sancita
dalla Costituzione.
Tale questione non riguarda la 194 ma il diritto di limitare i trattamenti
di rianimazione e di sostegno vitale. Un feto di 4-5 mesi, puo' esercitare
questo diritto? La risposta e' evidente: no. Allora chi lo fa per esso? Chi
e' il soggetto morale che lo puo' fare? Una legge astratta dello Stato in
nome di un'etica dei principi, un codice deontologico medico che si fa legge
o la donna che l'ha nel suo corpo (quel feto e' parte di essa) e la cui
etica della responsabilita' le consente di coniugare i fatti, che
inaspettatamente le vengono presentati, con i valori che fino a quel momento
l'hanno conformata?
Noi rispondiamo che quella donna che ha dolorosamente scelto di interrompere
a 5-6 mesi dall'inizio una gravidanza desiderata e' l'unica autorizzata a
parlare e a prendere la decisione.
*
Prime firmatarie:
Elena Del Grosso, genetista, docente di bioetica  Universita' di Bologna,
rete delle donne di Bologna
Maddalena Gasparini, medico, Libera Universita' delle Donne di Milano
Eleonora Cirant, Associazione Osa-Donna, Osservatorio Donne Salute
*
Per adesioni: e.delgrosso at fastwebnet.it

2. OGGI. TIZIANA BARTOLINI: IL CORPO, LA VOCE
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org), col titolo "Moratoria e
campagna elettorale" e il sommario "L'offensiva sull'aborto, o meglio contro
la legge 194, potrebbe anche essere una trovata elettorale, ma a chi giova
buttare nell'arena un argomento cosi' scomodo e delicato?".
Tiziana Bartolini e' direttrice di "Noi donne" dal 2000. Nata a Roma ha due
figli. Laureata in storia e filosofia, giornalista, ha frequentato un master
in Formazione e Pari Opportunita' e un corso di alta specializzazione in
comunicazione e marketing del No Profit. Esperta di comunicazione sociale,
ha collaborato con riviste e quotidiani nazionali e con la Rai per il Terzo
Settore. Ha gestito quale responsabile nazionale l'area comunicazione e
l'ufficio stampa di un'organizzazione internazionale impegnata
nell'inclusione sociale delle persone con ritardo mentale, occupandosi anche
della formazione. E' stata coordinatrice editoriale di "Mondo sociale", ha
maturato competenze nel campo della pubblica amministrazione ed attualmente
e' componente del consiglio di amministrazione della Cooperativa Libera
Stampa, societa' editrice di "Noi donne"]

Per analogia lessicale e pari inconsistenza pratica con cui e' stato fatto
per l'aborto, potremmo invocare la moratoria per gli incidenti
automobilistici o per le morti sul lavoro. Moratoria significa sospensione e
sappiamo che con uno slogan propagandistico non si possono sospendere le
interruzioni di gravidanza, cui le donne hanno fatto sempre ricorso - con o
senza legge - quando si sono trovate nelle condizioni estreme di non poter
sostenere una maternita' e quindi la cura di un figlio. Con uno slogan si
puo', invece, riaccendere il fuoco della polemica su una contesa priva di
senso tra "abortisti" e "antiabortisti". Si puo' provare a defatigare chi
nei consultori e negli ospedali applica la legge. Si possono erigere nuovi
muri per rendere piu' difficile il dialogo tra culture e opinioni. Si puo'
rendere ancora piu' stantio il clima sociale e disincentivare la
partecipazione. Si puo', infine, colpevolizzare le donne mettendole sullo
stesso piano degli Stati assassini che infliggono la pena di morte. I
possibili e molteplici obiettivi che lo slogan cela sono tutti assai foschi.
L'offensiva sull'aborto, o meglio contro la legge 194, potrebbe anche essere
una trovata elettorale, ma a chi giova buttare nell'arena un argomento cosi'
scomodo e delicato? Prima di tutto a chi, non avendo argomenti convincenti
sulle politiche sociali o non volendo esplicitare propositi di riforme
costituzionali, prova ad alzare un polverone per offuscare la scena e
distogliare l'attenzione da questioni sicuramente impellenti e poco
spendibili elettoralmente, quali l'eterno problema del risanamento dei conti
dello Stato, la riorganizzazione della macchina burocratica o la stabilita'
lavorativa di milioni di persone. Ci piace credere all'ipotesi della
montatura momentanea perche', se invece fosse un obiettivo reale di un pezzo
della politica, sarebbero grane grosse. Ma chi pensa di banchettare
politicamente sul corpo delle donne deve stare attento: la Santa Alleanza
potrebbe non essere sufficiente a contenere l'onda d'urto che milioni di
donne in movimento potrebbero provocare. Rischiare sulla nostra capacita' di
riuscire ad organizzarci in modo incisivo per difendere i diritti
conquistati con lacrime e sangue e' una scommessa che puo' costare caro
perdere.
A Napoli, Roma, Bologna, Milano, Venezia e in tante altre citta' siamo scese
in piazza in modo spontaneo, senza alcuna organizzazione preventiva. Il tam
tam, gli sms, internet sono stati gli strumenti tecnici. Ma sono state le
sensibilita' delle donne a decidere, ciascuna in maniera autonoma, che era
necessaria una reazione decisa. Attenti, hanno detto le donne ieri nelle
piazze. Anche perche' "abbiamo ancora cosi' tanto da chiedere, che potremmo
decidere, finalmente, di presentare il conto per avere il risarcimento degli
stipendi piu' bassi, delle carriere negate, dei servizi inefficienti,
dell'assistenza approssimativa, delle troppe violenze fisiche e
psicologiche". Le manifestazioni di ieri hanno mostrato non solo che le
donne sono in grado di far sentire la loro voce, ma che non sono disponibili
a cedere di un millimetro. La politica e' avvertita.

3. OGGI. "UNIONE DONNE IN ITALIA" DI NAPOLI: UNA VIOLENZA ANCORA
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org), col titolo "Vis-a'-vis" e il
sommario "Una di fronte all'altro. La forza delle ragioni e i muscoli
dell'indecenza"]

Conclusa la manifestazione di Napoli, la soddisfazione non puo' che essere,
come sempre, quella di aver fatto sentire al Paese la determinazione delle
donne, la giusta indignazione, la voce della ragione. La partecipazione
spontanea in risposta allo sforzo organizzativo dell'assemblea permanente
delle donne e' stata insieme la testimonianza dall'affetto per una donna,
colpita ingiustamente ed in modo vigliacco, e la riaffermazione del valore
politico e di servizio rivestito dalla legge che in Italia ha fatto uscire
l'aborto dalla clandestinita'.
L'onda dell'interesse risvegliata da un evento tanto vergognoso come quello
del II policlinico di Napoli, sappiamo, e' segnata anche da atteggiamenti
giornalistici e politici speculativi, e noi che da sempre seguiamo
l'applicazione ed il rispetto di una legge tanto importante come la 194,
denunciamo le efferatezze aggiuntive della campagna avviata da alcune
testate.
Alla nostra protesta, l'integralismo antiaborista risponde mirando la
ritorsione verso la donna gia' duramente colpita dall'intervento poliziesco,
diffamandola pubblicamente additando il suo gesto responsabile in modo falso
e grossolano. E' sofferenza e rabbia che proviamo per una "vendetta
trasversale" che vuole intimidire noi come soggetti politici e
disincentivare per tutte il ricorso alle strutture pubbliche
nell'interruzione volontaria di gravidanza.
Noi continueremo ad esserci, e la nostra indignazione monta col passare dei
giorni, perche' vediamo la protervia con la quale alcuni giornali vicini ad
un sedicente partito per la vita continuano ad insultare ed infangare una
donna discreta e sofferente.
Mentre le donne si mobilitano, ancora negli studi televisivi sono uomini,
leaders di partito ed opinionisti, ad usare e commentare perfino la nostra
protesta. Mentre a noi si toglie solo episodicamente il bavaglio, in alcune
trasmissioni televisive e' stato offerto il piu' largo margine d'espressione
ad una serie di insulti ed accuse, senza peraltro dar spazio alle vere
ragioni opposte, come si trattasse di semplici opinioni e non di reato
d'ingiuria.
Noi pensiamo che sia ora che chi lavora in modo serio ed intelligente nel
giornalismo accenda i riflettori, finalmente, non sul "caso" ma sugli
affarismi, i disservizi e sulla pretesa di imporre l'etica di Stato: su
tutto quanto danneggia, insieme, la sanita' pubblica e la qualita' della
vita di tutte le cittadine.
Pensiamo che il miglior modo di rispondere a tante offese subite in questi
giorni, sia di essere quelle che siamo e di continuare a fare il lavoro che
facciamo.
Abbracciamo ancora Silvana, le auguriamo di tornare a una normalita'
sopportabile: se vorra', le promettiamo aiuto discreto e silenzioso. Se ne
avra' bisogno sapra' dove trovarci.
A tutte le altre chiediamo di vigilare sui nostri e i loro diritti, anche
quando a metterli in discussione sono "solo parole".

4. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: GLI ANELLI MANCANTI
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo pubblicato
sul quotidiano "Liberazione" del primo febbraio 2008, dal titolo "L'uso
globale del corpo femminile: gli anelli mancanti nella discussione
sull'aborto".
Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista,
redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della
rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione
teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente
L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997;
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri,
Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa
del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby
Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le
passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito
www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha
insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene
corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di
Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata
redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba
voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il
desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al
movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica
dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni:
L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997);
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati
Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991;
La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996;
Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle
donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000;
Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati
Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza
In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della
rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la
rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato,
insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista,
Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le
rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'".
Gustavo Zagrebelsky, nato nel 1943 a San Germano Chisone (To), illustre
costituzionalista, docente universitario, giudice della Corte Costituzionale
(e suo presidente, quindi presidente emerito); componente dei comitati
scientifici delle riviste "Giurisprudenza costituzionale", "Quaderni
costituzionali", "Il diritto dell'informazione", "L'Indice dei libri", e
della Fondazione Roberto Ruffilli; socio corrispondente dell'Accademia delle
Scienze di Torino, gia' collaboratore del quotidiano "La Stampa"; per la
casa editrice Einaudi dirige la collana "Lessico civile"; autore di vari
volumi e saggi, ha collaborato al commentario alla Costituzione italiana
diretto da Giuseppe Branca. Tra i suoi numerosi lavori segnaliamo
particolarmente Amnistia, indulto e grazia. Problemi costituzionali,1972;
Manuale di diritto costituzionale. Il sistema costituzionale delle fonti del
diritto, 1974, 1978; La giustizia costituzionale,1978, 1988; Societa',
Stato, Costituzione. Lezioni di dottrina dello Stato, 1979; Le immunita'
parlamentari, Einaudi, Torino 1979; Il diritto mite, Einaudi, Torino 1992;
Questa Repubblica, Le Monnier, Firenze 1993; Il "crucifige" e la democrazia,
Einaudi, Torino 1995; (con Pier Paolo Portinaro e Joerg Luther, a cura di),
Il futuro della costituzione, Einaudi, Torino 1996; La giustizia
costituzionale, Il Mulino, Bologna 1996; (con Carlo Maria Martini), La
domanda di giustizia, Einaudi, Torino 2003; (a cura di), Diritti e
Costituzione nell'Unione europea, Laterza, Roma-Bari 2003, 2005; (con M. L.
Salvadori, R. Guastini, M. Bovero, P. P. Portinaro, L. Bonanate), Norberto
Bobbio tra diritto e politica, Laterza, Roma-Bari 2005; Imparare la
democrazia, Gruppo editoriale L'Espresso, Roma 2005; Principi e voti,
Einaudi, Torino 2005]

Domenica sera, intervistato dal Tg1 - non si sa a quale titolo -, Giuliano
Ferrara apre la sua personale campagna elettorale con l'appello per una
"moratoria sull'aborto", che spera di far giungere fino alle Nazioni Unite.
Il giorno dopo, lunedi' 28 gennaio 2008, sul quotidiano "La Repubblica",
esce la risposta lucida, ampiamente argomentata di Gustavo Zagrebelsky, che
riporta i termini della questione ai suoi presupposti giuridici, oltre che
economici, sociali e culturali. Cade l'ipocrita copertura che vorrebbe far
credere che l'iniziativa di Ferrara non abbia niente a che fare con la
"revisione" della legge 194.
Scrive Zagrebelsky: "Lo slogan 'moratoria dell'aborto', stabilendo una
'stringente analogia' (card. Bagnasco alla Cei, il 21 gennaio) tra pena di
morte e aborto", di fatto li accomuna "come assassinii legali... Una cosa e'
chiedere alle Nazioni Unite di condannare i Paesi che usano l'aborto come
strumento di controllo demografico e di selezioni 'di genere'... diverso, in
riferimento alle societa' dove l'aborto non e' imposto, ma e', sotto certe
condizioni, ammesso. 'Moratoria' non puo' significare che divieto. Per noi
sarebbe un tornare a prima del 1975, quando la donna che abortiva lo faceva
illegalmente, e dunque clandestinamente, e rischiava severe sanzioni".
Sulla scena pubblica, la "crociata" aperta da Giuliano Ferrara, e dalle piu'
alte gerarchie della Chiesa, vede protagonisti quasi unici uomini contro
altri uomini, accusatori o difensori di un "femminile" che, in assenza di
voci reali di donne, si colora inevitabilmente a tinte contrastanti: Bene e
Male, Vita e Morte, vittima e aggressore.
Se il "mettere a tu per tu la donna e il concepito" permette a Ferrara di
sostenere la necessita' di una legge che protegga "l'inerme, l'incolpevole"
dall'"arbitrio del piu' forte", l'analisi dettagliata che Zagrebelsky fa
della "catena di violenze" - "psicofisiche, morali, sociali, economiche"...
che incombono sulla donna, lo porta alla conclusione inconfutabile che essa
e' a sua volta un "soggetto debole", e che, caricarla integralmente
"dell'intero peso della violenza di cui la societa' e' intrisa", vuol dire
continuare a vederla come "strumento di riproduzione".
Ma se andiamo poi a vedere il contesto entro cui si va a collocare questa
"violenza dei deboli sui piu' deboli", non e' difficile accorgersi che
l'aborto torna ad essere una questione essenzialmente "femminile".
La "condizione umana", che nessuna minaccia di pene e' mai riuscita a
cambiare, e che percio' grava come una fatalita' sulla vita delle donne, ha
a che fare, secondo Zagrebelsky, con "la crudelta' della natura e
l'ingiustizia della societa'", mentre richiama, per il credente, il senso
profondo della maledizione divina: "Moltiplichero' i tuoi dolori e le tue
gravidanze".
Se la natura e le sue risorse non possono far fronte a una crescita
demografica illimitata, la societa' a sua volta non sembra far molto per
garantire occupazione, stabilita' nel lavoro, servizi sociali e sostegni
economici alle coppie che vogliono figli. A cio' si aggiunge il fatto che,
se in "condizioni normali" una gravidanza e' "onorata e protetta", in
"situazioni anormali" puo' diventare la vergogna o la pietra dello scandalo.
*
Nel discorso di Zagrebelsky, ci sono almeno due passaggi mancanti - ma si
potrebbe anche dire rimozioni -, che possono tuttavia aiutarci a capire
perche' sia cosi' restia a venire alla coscienza storica una verita'
evidente: cioe' il rapporto della gravidanza con la sessualita', e della
sessualita' con il dominio maschile - appropriazione del corpo della donna,
espropriazione della sessualita' femminile, incanalata verso l'obbligo
riproduttivo, esaltazione della virilita' come potere fecondante.
"Questo atto, che nell'eterosessualita' appare scontato, un percorso
'naturale' e preordinato il cui momento finale e unico orientamento e' la
penetrazione/eiaculazione/fecondazione, si rivela come uso globale del
territorio corporeo femminile, indifferente alle esigenze delle donne, di
ciascuna donna... Se un sesso ha piu' potere dell'altro, non si riflettera'
tutto cio' sulla sessualita'?" (Paola Tabet, La grande beffa, Rubbettino
2004). L'incitamento verso una sessualita' riproduttiva al servizio di un
uomo nel matrimonio, eredita' di un passato tutt'altro che estinto, non e'
forse la ragione prima di quel senso di colpa, di quella vergogna che
intervengono, come dice Zagrebelsky, nelle "situazioni anormali", come le
gravidanze fuori dal matrimonio, i figli indesiderati all'interno di legami
coniugali?
L'assenza, quando si parla del problema dell'aborto, dell'unico "soggetto" a
cui e' stata riconosciuta una sessualita' propria - una sessualita'
riproduttiva -, il potere di imporla anche con la forza, e quindi di
provocare gravidanze indesiderate, dovrebbe quanto meno indurre a chiedersi
dove e' finito l'attore primo di quello che continua ad apparire come un
"dramma" con una protagonista unica.
Forse, a leggere attentamente lo scritto di Zagrebelsky, ci si accorge che
in realta' l'uomo c'e': c'e' come figlio potenziale, promessa racchiusa in
quel "tu" che "deve ancora diventare persona", ma che la "tutela del
concepito", prevista oggi da una legge dello Stato italiano, ha fatto
assurgere a soggetto titolare di diritti, primo tra tutti il "diritto a
nascere". Il che significa, di conseguenza, che la donna deve portare avanti
la gravidanza, "costi quel che costi".
Il fatto che Zagrebelsky veda nella Legge 194 la soluzione intermedia fra
"due soggetti", garantiti entrambi da diritti costituzionali - da un parte i
diritti inviolabili dell'uomo, dall'altra la salute della donna -, dice
indirettamente che non viene messa in discussione la personalita' giuridica
dell'embrione, sancita dalla legge 40, a cui fanno appello oggi tutte le
"crociate" contro l'aborto, in Italia e fuori. Ne e' prova il fatto che, al
primo posto nella "catene delle violenze", Zagrebelsky nomina "la violenza
sull'essere umano in formazione, privato del diritto alla vita".
*
L'immaginario che cancella il rapporto uomo-donna, sovrapponendogli la
coppia madre-figlio, deve essere una delle invarianti piu' coriacee della
cultura maschile, se puo' accostare senza turbamento l'iconografia cattolica
delle Vergini Madri con Bambino allo scenario "irriverente" delle
biotecnologie, che trasferisce lo status di essere umano su un "fatto
scientifico", isolato in laboratorio - lo zigote -, mentre, come va
ripetendo Barbara Duden, trasforma la donna nell'"ambiente uterino" in cui
dovra' svolgersi la "crescita fetale".
Ma sono solo il desiderio e la nostalgia di figlio a tener lontano dalla
cultura politica l'asservimento che l'uomo ha fatto del corpo che l'ha
generato?
Una rimozione analoga e' quella che si nota in molti comunicati, appelli e
volantini di donne, che in questi giorni si moltiplicano in difesa della
Legge 194, preoccupati di salvare il diritto della donna a decidere del
proprio corpo e della propria vita, ma silenziosi su tutte le condizioni
storiche che hanno reso questa liberta' impraticabile.
La ribellione delle donne torna a farsi sentire, nelle vie delle citta' e
nelle piazze virtuali dei blog, delle mailing list, ma rischia di
presentarsi smemorata rispetto all'intuizione che ha sovvertito coscienze,
pregiudizi antichi come il mondo, costruzioni sociali dell'uomo passate come
leggi naturali o volonta' divina.
*
Sulla "catena delle violenze", che pesano sulle donne e che continuano
tutt'oggi a renderne cosi' flebile e sporadico il protagonismo sulla scena
pubblica, manca ancora una parola articolata, estesa a tutti gli aspetti di
un potere che unisce, come scrive Paola Tabet, "sfruttamento economico,
oppressione sessuale, limitazione della conoscenza".
E' su questa "globalita'" del dominio piu' duraturo della storia che resta
ancora molto da dire, mettendo insieme i tasselli dei tanti saperi che il
femminismo va esplorando pazientemente da anni, riconoscendo i cambiamenti
che ha prodotto e che oggi vede con sorpresa riaffiorare in una generazione
piu' giovane.

5. RIFLESSIONE. GRAZIA ZUFFA: L'ANTICO SOGNO MASCHILE
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo pubblicato
dal quotidiano "Il manifesto" del 9 febbraio 2008, dal titolo "La madre, il
feto, il ginecologo".
Grazia Zuffa fa parte del Comitato nazionale di bioetica, psicologa,
senatrice per due legislature, nel 1990 presento' un disegno di legge sulle
tecnologie della riproduzione artificiale; si occupa da anni di teoria e
politica femminista, con particolar riguardo ai temi della sessualita' e
della procreazione; direttrice del mensile "Fuoriluogo", autrice di molti
saggi, ha collaborato tra l'altro a: Il tempo della maternita', 1993; Franca
Pizzini, Lia Lombardi (a cura di), Madre provetta, Angeli, Milano 1994; con
Maria Luisa Boccia ha scritto L'eclissi della madre, Pratiche, Milano 1998]

Dopo le polemiche, innescate da Formigoni, circa i limiti da imporre
all'aborto terapeutico sulla base delle nuove possibilita' di sopravvivenza
al di fuori del grembo materno, e dopo l'uscita di un gruppo di ginecologi
romani sullo stesso tema, si precisa il quadro dell'offensiva integralista:
diretta non solo e non tanto contro la legge sull'interruzione di
gravidanza, quanto, piu' alla radice, contro la centralita' del "corpo
pensante" della madre nella procreazione: reinquadrando la scena della
nascita alla luce dei progressi tecnologici.
Partiamo da come sono presentati i "fatti" scientifici e le conseguenti
ricadute. I progressi nel campo delle cure neonatali sono stati cosi'
straordinari che fino dalla ventiduesima settimana di gravidanza i feti
sarebbero in grado di vivere: dunque va messo in discussione l'aborto oltre
i tre mesi, che si configura come soppressione di un bambino.
L'abbassamento dei limiti di sopravvivenza al di fuori dell'utero e' un dato
inoppugnabile che testimonia lo sviluppo tecnologico, ma puo' essere
analizzato da molti punti di vista e ha molteplici risvolti di carattere
etico: come si evince dal confronto da tempo in corso fra i pediatri e i
neonatologi sulle cure da fornire ai bambini nati molto prematuri, il cui
numero pare in crescita. Una problematica, come si vedra', assai diversa
dall'interruzione volontaria di gravidanza.
Dunque, c'e' innanzitutto da chiedersi perche' proprio il conflitto con la
194 emerga come "il problema etico", vista l'eccezionalita' dell'aborto
negli stadi piu' avanzati di gravidanza, che la legge ma soprattutto le
donne ben tengono presente.
L'aborto e' destinato a balzare in primo piano solo seguendo una precisa e
univoca lettura simbolica dell'evento tecnologico: i feti che un tempo erano
destinati a rimanere "non nati" al di fuori del corpo materno, adesso
"nascono" grazie alle tecnologie neonatali. Il feto e' sempre piu' un
"soggetto" autonomo: suo alleato e' il medico, che lo salva (e' proprio il
caso di dirlo), dalla natura matrigna e dalla madre nemica (la madre
assassina della moratoria sull'aborto). Questo il senso dell'appello di quei
ginecologi che avocano a se' soli il diritto/dovere di rianimarlo, contro la
madre. In tal modo il medico gioca un ruolo di autorita' morale, oltre che
tecnica. O meglio, le due cose sono connesse: le tecnologie al servizio
della "sacralita' della vita" sono anch'esse sacralizzate, col medico nelle
vesti di officiante.
Soffermiamoci sulla assolutizzazione/sacralizzazione delle tecnologie: non
una parola e' spesa nel merito dell'ambivalenza delle tecniche, nel caso
specifico le tecniche di rianimazione neonatale. Non una parola e' spesa sul
carattere straordinario (e straordinariamente gravoso) delle cure intensive
cui si vorrebbe sottoporre di regola i feti e/o i prematuri di ventidue
settimane.
Eppure proprio questo e' il punto da cui e' partita qualche anno fa la
riflessione di molti pediatri, sfociata in un documento, chiamato Carta di
Firenze, da qualche tempo all'attenzione anche del Comitato nazionale di
bioetica.
Basti leggere il preambolo: le riflessioni della Carta sono "ispirate alla
necessita' di garantire alla madre e al neonato adeguata assistenza, col
fine unico di evitare loro cure inutili, dolorose e inefficaci,
configurabili con l'accanimento terapeutico".
Dunque i dubbi (dei cultori laici della medicina e non dei gran sacerdoti)
sorgono non dalla preoccupazione di un deficit di cure, ma al contrario di
un possibile eccesso: ad uno stadio di maturazione in cui mancano le
evidenze di efficacia degli interventi. In particolare, si ribadisce che al
di sotto della ventitreesima settimana non esiste (allo stato attuale)
possibilita' di sopravvivenza al di fuori del corpo materno salvo casi del
tutto eccezionali; al di sopra delle 25 settimane e' possibile la
sopravvivenza pur dipendente da cure intensive. Rimane dunque da valutare la
fascia delle 23/24 settimane - dice la Carta - su come e quando applicare le
cure definite straordinarie per evitare che si configurino come cure
sproporzionate.
Per chiarire la delicatezza umana di questa valutazione basti pensare
all'invasivita' di queste cure straordinarie, a fronte non solo di
bassissime probabilita' e durata di sopravvivenza, ma anche di danni
iatrogeni gravi e irriversibili: pratiche quali l'intubazione tracheale e il
massaggio cardiaco esterno possono provocare, oltre a sofferenze certe, la
lacerazione della trachea, lo pneumotorace e altro, data l'estrema
vulnerabilita' di questi piccolissimi.
I rischi sono aumentati dalla casistica estremamente esigua a quello stadio
di eta' e dunque dall'esperienza assai limitata dei medici.
Da qui l'insistenza della Carta nel coinvolgere i genitori nella decisione
se intraprendere o meno le cure straordinarie al di sotto delle 25
settimane. Puo' sembrare un'indicazione ovvia, a partire dal riconoscimento
della responsabilita' genitoriale e dal rispetto degli affetti dei soggetti
coinvolti: ma questo e' il punto principale di scontro, con chi vorrebbe
lasciare al solo medico la scelta.
Eppure, proprio perche' il sapere tecnico vacilla (mancano le evidenze circa
l'appropriatezza delle cure mediche da prestare) e la valutazione dei
costi/benefici e' particolarmente dubbia e dolorosa, proprio per questo i
medici dovrebbero temere la solitudine. Per alcuni e' cosi', come la Carta
mostra. Per altri no: come se dall'imperativo assoluto di schierarsi a
favore della Vita discendesse un potere assoluto delle tecniche e del medico
chiamato ad applicarle.
Un potere che non vuol vedere i limiti e le contraddizioni delle tecniche di
cui dispone, che volta il capo davanti alle nuove sofferenze che possono
arrecare. In questa luce, le problematiche dell'inizio della vita appaiono
del tutto simili a quelle della fine della vita; cosi' come le posizioni
etiche in campo.
Torniamo alla polemica intorno alla 194 o meglio alla rappresentazione delle
tecnologie salvifiche contro la madre mortifera. L'irruzione delle tecniche
sulla scena della procreazione non e' cosa nuova e neppure il loro utilizzo
simbolico contro le donne.
Barbara Duden ha mostrato come le tecnologie della gravidanza, rendendo
trasparente il corpo femminile, siano un potente veicolo della
rappresentazione del feto "autonomo" e del degrado della madre ridotta a
puro ambiente di vita. In un crescendo, le tecnologie della riproduzione
hanno "creato" l'embrione in provetta, al di fuori del corpo materno.
Oggi quel corpo viene mostrato come sempre meno necessario: ridotti i tempi
dell'opera materna, ridotta la funzione, negata la parola. Sempre piu' la
madre e' un grembo di transito.
L'antico sogno maschile del controllo completo della procreazione sembra
piu' vicino a realizzarsi. Di questo dovremmo discutere, uomini e donne.

6. MATERIALI. QUALCHE LETTURA ULTERIORE
[Riproponiamo la seguente minima bibliografia orientativa gia' apparsa ne
"La domenica della nonviolenza" n. 93]

- Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1964, 1994.
- Gregory Bateson, Mente e natura, Adelphi, Milano 1984, 1995.
- Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1961, 1984.
- Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa, L'eclissi della madre, Pratiche, Milano
1998.
- Judith Butler, Corpi che contano, Feltrinelli, Milano 1997.
- Adriana Cavarero, Corpo in figure, Feltrinelli, Milano 1995.
- Nancy Chodorow, La funzione materna, La tartaruga, Milano 1991.
- Ernesto De Martino, La fine del mondo, Einaudi, Torino 1977, 2002.
- Diotima, Mettere al mondo il mondo, La tartaruga, Milano 1990.
- Alessandra Di Pietro, Paola Tavella, Madri selvagge, Einaudi, Torino 2006.
- Barbara Duden, Il gene in testa e il feto nel grembo, Bollati Boringhieri,
Torino 2006.
- Carol Gilligan, Con voce di donna, Feltrinelli, Milano 1987.
- Luce Irigaray, Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975, 1989.
- Emmanuel Levinas, Totalita' e infinito, Jaca Book, Milano 1980, 1995.
- Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti,
Rosenberg & Sellier, Torino 1987.
- Juliet Mitchell, Psicoanalisi e femminismo, Einaudi, Torino 1976.
- Giuliana Morandini, ... E allora mi hanno rinchiusa, Bompiani, Milano
1977, 1985.
- Luisa Muraro, L'ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991.
- "Nuova dwf - donnawomanfemme", n. 6-7, gennaio-giugno 1978, Maternita' e
imperialismo, Roma 1978.
- Franca Ongaro Basaglia, Salute/malattia, Einaudi, Torino 1982.
- Franca Ongaro Basaglia, Una voce, Il Saggiatore, Milano 1982.
- Daniela Padoan, Le pazze, Bompiani, Milano 2005.
- Adrienne Rich, Nato di donna, Garzanti, Milano 1977, 2000.
- Silvia Vegetti Finzi, Il bambino della notte, Mondadori, Milano 1990,
1998.
- Silvia Vegetti Finzi, Volere un figlio, Mondadori, Milano 1997, 1999.

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 158 del 15 febbraio 2008

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