La domenica della nonviolenza. 150



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 150 del 10 febbraio 2008

In questo numero:
Ennio Abate intervista Michele Ranchetti (2005)

MEMORIA. ENNIO ABATE INTERVISTA MICHELE RANCHETTI (2005)
[Dal sito www.poliscritture.it riprendiamo la seguente intervista di Ennio
Abate a Michele Ranchetti.
Su Ennio Abate dal medesimo sito riprendiamo la seguente notizia: "Ennio
Abate e' nato a Baronissi (Salerno) nel 1941. Trasferitosi a Milano nel '61,
ha completato gli studi artistici e letterari interrotti, abilitandosi in
disegno e storia dell'arte e laureandosi poi in lettere moderne (indirizzo
storico). Ha lavorato per alcuni anni come impiegato e telefonista e
insegnato poi fino al 1998 italiano e storia nelle scuole superiori,
scrivendo e dipingendo da isolato. Dagli anni Novanta ha cominciato a
collaborare a varie riviste e associazioni culturali. E' stato finalista al
Premio di poesia Laura Nobile dell'Universita' di Siena nel 1992. Sue
poesie, disegni, saggi e interventi critici sono apparsi su Allegoria,
Hortus Musicus, Il gabellino, Il Monte Analogo, La ginestra, Inoltre,
L'ospite ingrato, Qui. Appunti dal presente, Samizdat Colognom, Symbolon,
Utopia concreta. Nel 2003 ha pubblicato Salernitudine (Edizioni Ripostes,
Salerno), la prima sezione di un suo vasto Narratorio tuttora inedito. E'
redattore di Poliscritture".
Michele Ranchetti (Milano 1925 - Firenze 2008), illustre intellettuale di
profonda cultura e di grande finezza, storico della chiesa e delle
religioni, docente universitario, poeta, pittore, saggista, traduttore,
consulente editoriale, editore; studioso, traduttore e curatore
dell'edizione italiana di opere di Wittgenstein, Freud, Celan, Rilke,
Benjamin; ha curato per i "Meridiani" Mondadori l'edizione della Bibbia di
Diodati. Opere di Michele Ranchetti: Cultura e riforma religiosa nella
storia del modernismo, Einaudi, Torino 1963; La mente musicale, Garzanti,
Milano 1988; Gli ultimi preti. Figure del cattolicesimo contemporaneo,
Edizioni Cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1997; (a cura di, con
Mauro Bertani), La psicoanalisi e l'antisemitismo, Einaudi, Torino 1999;
Scritti diversi. Vol. 1: Etica del testo, Storia e Letteratura, 1999;
Scritti diversi. Vol. 2: Chiesa cattolica ed esperienza religiosa, Storia e
Letteratura, 2000; Scritti diversi. Vol. 3: Lo spettro della psicoanalisi,
Storia e Letteratura, 2000; Verbale, Garzanti, Milano 2001; Scritti in
figure, Storia e Letteratura, 2002; Non c'e' piu' religione. Istituzione e
verita' nel cattolicesimo italiano del Novecento, Garzanti, Milano 2003.
Opere su Michele Ranchetti: AA. VV., Anima e paura. Studi in onore di
Michele Ranchetti, Quodlibet, Macerata 1998]

- Ennio Abate: Il tuo libro ripercorre "storicamente" gli elementi della
dottrina cattolica e contesta in modo rigoroso il magistero della Chiesa
cattolica. Resta - mi pare - nella dimensione religiosa e ripropone pero'
con attenuazioni e problematicamente il recupero di "un senso religioso
della vita", lasciando in sospeso la questione della necessita' o meno di un
tale recupero. Come mai questa sospensione? Cosa t'impedisce di affermarne
decisamente la necessita'?
- Michele Ranchetti: Sono nato, cresciuto e vissuto a lungo - ho ormai 80
anni - in questa dimensione religiosa, che per me e' stata di carattere
naturale. Adesso mi pare di vivere una certa crisi, nel senso che,
assistendo ad una forma di presenza dell'istituzione cattolica cosi'
mastodontica, cosi' dichiarata e accettata e ritenendola cosi' aberrante
rispetto al corso degli eventi e alle ragioni o non ragioni per cui si
svolgono, contrapponendo ad essi una struttura assolutamente non
significativa e che non corrisponde a nessun bisogno e a nessuna vera
motivazione religiosa, mi chiedo se proprio l'istituzione cattolica prima di
tutto, e anche la professione di fede religiosa non siano ormai da buttare a
mare. Ho sentito formulare solo da Ivan Illich, un amico morto recentemente,
in un suo testo che sto per rileggere e pubblicare questa domanda: c'e'
all'interno della professione di fede cattolica, cioe' nella vita e nella
dottrina del cristianesimo, qualcosa che imponga il suo pervertimento? Sono
di fronte a questa interrogazione. Non so se avra' mai risposta, ma e'
quella che adesso io mi pongo. Ossia, mi chiedo se quello che fino a qualche
tempo fa costituiva per me una perversione da parte dell'istituzione del
messaggio cristiano non sia invece da intendere come l'unica forma
possibile, per cui il messaggio cristiano non puo' essere che pervertito. E
l'istituzione cattolica e' una delle forme, non la piu' visibile forse, non
la meno rilevante di tale pervertimento.
*
- Ennio Abate: Come virtu' per un eventuale recupero del senso religioso
della vita indichi paradossalmente la disobbedienza "cieca e assoluta"
perinde ac cadaver, criticando cosi' le figure degli "ultimi preti", che -
dici - "non erano dei dissidenti, tanto meno degli eretici", ma appunto
"obbedienti". Mi chiedo: tale disobbedienza non rischia di essere
"irrazionale", "luciferina", valore in se' e non strumento per raggiungere
"qualcos'altro" che la ragione, il cui uso rivendichi con passione, abbia
davvero afferrato (e questo sia che ci si ponga su un piano religioso sia
che ci si attesti su quello civile e storico)?
- Michele Ranchetti: Nella prospettiva di una corruzione da parte
dell'istituzione religiosa del messaggio cristiano, la disobbedienza ha un
senso, perche' corrisponde a un progetto religioso o a un'appartenenza
religiosa non rappresentata. Di fronte alla presenza di un magistero cosi'
aberrante e di fronte a manifestazioni di idolatria nei confronti di un
pontefice idolatrato che ha contribuito largamente alla struttura di potere
della chiesa, la cosa che si poteva fare o si poteva auspicare e' che i
credenti, coloro che si ritenevano ancora all'interno dell'espressione di
fede cristiana, si ribellassero. Se pero' io mi domando se l'istituzione che
si sostituisce alla predicazione, che si e' dispersa nel mondo sia l'unica
forma possibile, allora la disobbedienza ha meno rilievo. Ripropongo percio'
la stessa domanda di prima: per contrapporsi occorre pensare che dalla
professione di fede cristiana e in particolare dalla lettura o rilettura del
Vangelo emerga una possibilita' di comportamento anche civile? Questa
interrogazione per me rimane in sospeso. Allora, si puo' sempre disobbedire,
perche' il comportamento dell'istituzione e' certamente aberrante anche
rispetto alla pace, alla guerra e alla giustizia. Questo pero' non so se
debba essere o se possa iscriversi in una professione di fede.
*
- Ennio Abate: Ma anche se nel momento in cui si disobbedisce manca una
proposta positiva? Insisto: la disobbedienza non dovrebbe accompagnarsi alla
proposta di qualcosa di diverso, altrimenti...
- Michele Ranchetti: Altrimenti, no. Io non so cosa succede. Pero', se in
nome di una professione di fede religiosa uno agisce da criminale questo si
puo' e si deve fare, auspicare che questa persona venga incriminata. Si puo'
incriminare come pervertimento del messaggio cristiano nella sua
elementarita', che e' l'amore, il volersi bene, la giustizia, la verita'. Si
puo' incriminare per una diversa intelligenza del Vangelo, che io non ho.
*
- Ennio Abate: Pensi che l'abbiano altri? Insisto nel porti il problema
della disobbedienza in termini che considero politici e non solo etici:
quasi sempre a rifiutare la dottrina della chiesa cattolica sono individui
arrivati alla consapevolezza della inconsistenza religiosa dell'istituzione
e/o della sua connivenza con poteri oppressivi, ma tale consapevolezza manca
agli altri. Si puo' costruire un movimento - io dico di lotta - soltanto
sulla disobbedienza individuale o di pochi? Mi ripeto: la disobbedienza non
dovrebbe essere "costruttiva", accompagnarsi ad altro, al "sogno" almeno di
qualcos'altro?
- Michele Ranchetti: Certo. Forse diciamo la stessa cosa. L'istituzione
cattolica che si riferisce al Vangelo e' evidentemente una perversione del
Vangelo. Si puo', quindi, e si deve disobbedire ad essa, perche' ti dice di
votare per Berlusconi in quanto uomo di fede, e non e' vero. Fin qui e'
tutto legittimo, e' tutto giusto; e non hai da fare un riferimento a
qualcosa d'altro. Se ad un certo punto l'istituzione viene riconosciuta per
quello che e', e cioe' una struttura di potere, hai gia' fatto un passo
avanti.
*
- Ennio Abate: Si', ma quanti la riconoscono per quella che e'?
- Michele Ranchetti: Lo so, molto pochi.
*
- Ennio Abate: E, se quei pochi, che pur hanno afferrato questa verita', non
la riescono a trasmettere agli altri, ai tanti, e finiscono isolati? Certo,
e' preferibile questa condizione all'appartenenza a una comunita' falsa.
- Michele Ranchetti: Si', finiamo cosi'. Ma non ho nulla da eccepire al
finire diseredati dalla tradizione, respinti da un vivere civile o da un
vivere cosiddetto comunitariamente religioso, pero' abbiamo fatto un passo
avanti verso la distruzione di una falsa verita'. Cominciamo a fare questo.
Ci sono quelli che all'interno della chiesa, anche con responsabilita' molto
maggiori di quelle che abbia io (io ce l'ho, perche' sono un uomo vivo e
basta; non ho nessuna struttura di riferimento che mi autorizzi a parlare in
modo diverso dagli altri), piu' obbedienti di me in un primo tempo o piu'
disobbedienti di me in un secondo tempo, che hanno riconosciuto questo
pervertimento e si sono posti in una direzione diversa? Non li conosco. Quei
preti a cui faccio riferimento - gli ultimi preti: Turoldo, Balducci ed
altri - hanno fatto un passo in avanti? No, non mi sembra. Sono rimasti
nella delusione di una struttura che non corrisponde al loro ideale. Hanno
cercato di migliorarla dov'era possibile. Hanno cercato di avere delle forme
di convivenza religiosa con i loro confratelli, di predicare in modo
diverso, di non fare riferimento a falsi valori o a false verita'. L'hanno
fatto e sono benemeriti. Si sono posti al di fuori? No. Si sono posti
contro? No. Sono rimasti, come ho detto tante volte, gli ultimi preti. C'e'
bisogno di ultimi preti? Si', piu' che di preti consenzienti, certo.
Bastano? No.
*
- Ennio Abate: A pagina 67 del tuo libro scrivi: "si poteva cercare nuovi
maestri 'atei', ma dove trovarli?". Capisco la difficolta' di tale ricerca
per un giovane profondamente cattolico e in un tempo di alleanza piena fra
chiesa e fascismo. Ma furono da te cercati davvero questi nuovi maestri
atei? Ho l'impressione che tu non abbia mai voluto spingerti con decisione
fuori dalla problematica cattolica e riconvertire la tua ricerca religiosa
in direzioni piu' "rischiose", che so verso la critica illuminista o del
materialismo marxiano (mentre so che hai avuto un'attenzione partecipe al
pensiero di Freud e alla psicoanalisi). Vorrei che approfondissi questa che
a me e' parsa una tua ritrosia a misurarti con determinate tendenze del
pensiero moderno.
- Michele Ranchetti: Hai ragione. Descrivi molto bene il mio itinerario, sia
che l'abbia esposto io sia che l'abbia riconosciuto tu nei miei scritti. In
realta', ci sono due maestri che io ho cercato al di fuori della professione
di fede e di appartenenza religiosa: il primo e' Wittgenstein, il secondo
Freud. Perche'? Perche' Wittgenstein ha posto se stesso e il mondo in
un'interrogazione senza presupposti, cercando di sapere come stanno le cose,
non facendole dipendere da un precedente gia' detto, gia' pensato. Questa
totale disponibilita' verso un'interrogazione assoluta l'ho trovata solo in
lui. Per questo sono rimasto affascinato dal suo pensiero e ho cercato di
farne tesoro, per cosi' dire. La seconda possibilita' mi fu offerta dalla
psicanalisi. Perche'? Perche', secondo me (e non siamo molti a pensare
cosi'), la ricerca di Freud e' il tentativo piu' radicalmente antireligioso
che io abbia incontrato nella mia vita. E' un'interrogazione precisa di
tutti i presupposti religiosi nella ipotesi di ricondurli ad altre fonti,
che non sono la presenza di una divinita' religiosa incarnata in Gesu'
Cristo o incarnata in qualche altra cosa. E quindi una riduzione
dell'interrogazione a interrogazione che riguarda il singolo cosi' com'e'
nel momento in cui egli vive. Ogni struttura causale, che e' stata
introdotta nella giustificazione dell'esistenza, viene sottoposta a
un'interrogazione radicale. Nell'ipotesi (che e' riuscita solo in parte) di
sostituire ad essa i veri nessi, che sono diversi da quelli accettati nella
tradizione filosofica o religiosa o in altre tradizioni, compresa quella
scientifica. Quindi una interrogazione sui vari statuti disciplinari, per
sostituire ad essi altri statuti, che sono quelli che la psicanalisi ha
cercato di costruire. Non ce l'ha fatta. Pero' la domanda radicale che lui
si e' posta e' analoga a quella di Wittgenstein. Questi due radicalismi sono
quelli che ho trovato nella mia strada. Non li ho percorsi e non ho seguito
il loro esempio fino in fondo, ma e' quello che, finche' vivo, cerchero' di
fare.
*
- Ennio Abate: Quelli che io ritengo altri radicalismi - quello degli
illuministi, quello di Marx - tu non li consideri?
- Michele Ranchetti: Non li considero non perche' non li ritenga tali. Non
li considero perche' non li ho incontrati sulla mia strada.
*
- Ennio Abate: Scusami, ma perche' avresti dovuto incontrarli proprio ed
esclusivamente sulla tua strada? Certe strade non s'incrociano
necessariamente con quella che abbiamo imboccato.
- Michele Ranchetti: Io sono arrivato alla lettura di Freud e di
Wittgenstein per caso, nel senso concreto del termine, perche' una persona
(un ebreo), che ha voluto convertirsi alla fede cattolica e ha scelto me
come padrino, mi ha portato il libro di Wittgenstein di cui era stato
allievo. Allora l'ho preso e l'ho letto. Secondo esempio: Freud. Non avendo
nessuna fonte di lavoro, mi sono rivolto a Boringhieri, che stava iniziando
la pubblicazione delle sue opere, e mi sono offerto come traduttore dal
tedesco. E cosi' ho cominciato a leggere Freud. Queste due occasioni
concrete mi hanno posto di fronte a un libro, alla persona che l'ha scritto
e all'universo che ha cercato di produrre ed io le ho colte. Non e' avvenuta
la stessa cosa per Marx. Queste due letture - di Wittgenstein e di Freud -
sono state in un certo senso imposte a me per esigenze concrete: una di
lavoro e l'altra dall'offerta di una persona che mi e' apparsa subito
"nuova" rispetto alla mia cultura. Non mi e' capitato invece che qualcuno,
con la stessa necessita' di proposta, mi offrisse la lettura di Marx.
*
- Ennio Abate: Neppure nel confronto che avesti con esponenti della
Resistenza di cui parli in quel tuo scritto intitolato Sopra una qualsiasi
rivoluzione (in Scritti diversi II, p. 215)?
- Michele Ranchetti: La persona che mi ha introdotto a questa dinamica, a
questi incontri, e cioe' Delfino Insolera, aveva gia' proceduto ad
interrogare Marx e a lasciarlo da parte.
*
- Ennio Abate: Ma in quegli anni il Pci di Togliatti un certo discorso su
Marx lo sventolava a destra e a manca. Non ti ha per lo meno incuriosito?
- Michele Ranchetti: Io ho sempre proceduto nella mia vita per fatti
concreti. Ho avuto sempre delle occasioni molto precise per cui sono andato
da una situazione a un'altra. Nel caso di Marx, e quindi della filosofia
marxista, e quindi del Partito comunista, alcuni accadimenti sono stati per
me determinanti. All'universita' avevo come insegnante Banfi, che allora era
sia insegnante di filosofia sia anche membro attivo e eminente della
struttura di potere marxista del Pci. Io ho avuto uno scontro molto violento
con Banfi. Facevo l'universita' e ho sempre saputo di non essere per nulla
una testa filosofica, caso mai una testa artistica. Andavo alle sue lezioni
e Banfi le faceva nel modo in cui le ha sempre fatte negli ultimi tempi,
quindi passeggiando, in modo salottiero, in modo molto intelligente, ma
pochissimo marxista; e quindi mi dava molto fastidio. Era venerato da tutti
ma io non pensavo di doverlo venerare. E' capitato poi che una mia zia, dopo
varie crisi e traversie anche religiose, e' diventata medico. Durante la
guerra, molto piu' di mia madre, si e' impegnata politicamente e ha tenuto
rapporti piuttosto stretti con gli ebrei. Ne ha fatti scappare ed e' stata
per questo incarcerata a San Vittore. Poi ne e' uscita e ha continuato la
sua vita fino ad ottantacinque anni. In quegli anni, data la sua
appartenenza a questi ambienti politici di carcerati, lei era venuta in
contatto con alcuni esponenti sia della Resistenza sia dei fascisti
incarcerati subito dopo il '45. Uno di questi fascisti era stato imputato
della uccisione di Curiel. Lei l'ha conosciuto in carcere. E mi ha detto: -
Senti, tu conosci Banfi? Siccome lui e' un pezzo grosso... Tizio non e'
colpevole di questo crimine. Sara' fucilato. Se tu vedi Banfi, prova a
dirglielo. Banfi era molto connesso con Curiel e quindi per mia zia doveva
essere interessato a fare giustizia. Allora io sono andato da Banfi.
Fortunatamente allora, come anche adesso, non ho nessun rispetto umano, come
si dice. Ho chiesto di parlargli. Era in biblioteca e gli ho detto questo.
Ha cominciato a gridare in modo tremendo, in un modo drammatico e teatrale:
quello e' un porco fascista! Adesso si mettono a salvare anche i fascisti! E
questo mi ha fatto piangere. Ho pianto per l'assurdita' di questo tipo di
reazione di allora (ma lo penso anche adesso). Secondo fatto traumatico: io
durante la guerra non ho fatto nulla. Ero sul lago di Como in una situazione
molto privilegiata. Ero abbastanza giovane. Mi sono fatto esentare dal
servizio militare, mentre mio fratello era in guerra. Facevo solo il lavoro
materiale di traversare il lago con gli ebrei che dovevano scappare di la'.
Quindi la guerra non l'ho vissuta in nessun modo. Non ho fatto il
partigiano. Non ho fatto il basista e cosi' via. Ma nei giorni della
Liberazione io ero presente a Milano. E - anche questo fu un fatto
relativamente drammatico per una mentalita' niente affatto politica come la
mia - ho assistito al farsi dei partigiani: il giorno prima seduti
tranquilli, a bere, a fumare e a fare l'amore, si sono travestiti da
partigiani e hanno partecipato alla vita politica in quanto partigiani, che
non era vero. Altro elemento: partecipavano tutti attivamente al Fronte
della Gioventu' diretto da Banfi; ed erano quasi tutti fascisti e si
comportavano come fascisti. Io mi sono iscritto nelle liste degli
indipendenti di sinistra per le prime elezioni all'Universita'. Ho avuto il
massimo dei voti. Ho partecipato alle riunioni. Ho fatto qualche proposta.
*
- Ennio Abate: Passiamo al tema del rapporto cattolicesimo-comunismo.
Giudicasti positivamente, se non sbaglio, l'ipotesi di Rodano di
"un'alleanza storicamente e religiosamente necessaria fra cattolicesimo e
comunismo". Essa rappresento' di fatto la base teorica del "compromesso
storico". E questo mi pare, allo stesso tempo, il punto in cui massima e'
stata la vicinanza tra te e il comunismo e il punto maggiore di distanza fra
te e la mia generazione, che secondo Rodano si sarebbe abbandonata agli
"estremismi" del '68 o si sarebbe lasciata attrarre - anche tramite Fortini
o la Masi - dalle chimere del "terzo mondo". Puoi precisarmi la tua
collocazione rispetto a quelle che una volta si chiamavano "sinistra
storica" e "nuova sinistra"?
- Michele Ranchetti: Tutto vero. Con alcuni elementi in piu', anche questi
di carattere geografico. La mia vicinanza al partito della sinistra
cristiana deriva anche dal fatto che ho conosciuto e amato Felice Balbo.
Felice Balbo non lo conosce piu' nessuno. Era un uomo straordinario, amico
di Pavese e Giaime Pintor e collaboratore della Einaudi. Egli e' poi uscito
dalla cerchia degli intellettuali organici al Pci e all'istituzione
einaudiana ed e' entrato all'Iri. Poi si e' un po' stancato ed e' rientrato
nei ranghi universitari. Insegnava Filosofia morale all'universita' di Roma.
E' morto giovanissimo. In quei tempi lui era il filosofo di un gruppo
composto anche da Rodano e Napoleoni. Questi erano i tre che avrebbero
voluto e forse sarebbero anche riusciti a comporre economia, politica e
filosofia. La testa maggiore era Balbo. Costituivano una "scuola", termine
inventato dallo stesso Balbo, il cui obiettivo era la formazione di quadri
per un futuro civile. Quando Balbo e' morto, al suo posto hanno preso me. E
quindi c'e' stata la "scuola di Roma", in cui insegnavamo: io filosofia,
Rodano politica e Napoleoni economia. E' durata pochissimo e poi e' stata
interrotta dal '68, che ha determinato prese di posizione piuttosto precise
da parte di noi tre: Rodano di rifiuto radicale, Napoleoni di attenzione
relativa e partecipazione modesta, io di partecipazione assoluta. Quindi la
scuola si e' interrotta. Anche perche', mentre gli altri due avevano una
struttura disciplinare precisa, io non sono riuscito a immettervi, ma dopo
parecchio tempo, negli ultimi anni Settanta, ne' Wittgenstein ne' Freud,
diciamo cosi', ne' un'alternativa a questi due. Come ho detto la
partecipazione al marxismo da parte mia era modestissima e non ero in grado
di elaborare le idee che Balbo aveva gia' tracciato coi suoi scritti sul
marxismo. Ero l'"aspirante filosofo" all'interno di questo gruppo.
L'esperienza si e' interrotta, pero' l'ipotesi che Rodano sempre sosteneva
di recuperare il senso religioso del cristianesimo al marxismo nella
convivenza istituzionale tra il cattolicesimo e il Partito comunista, un po'
l'ho condivisa.
*
- Ennio Abate: Qui mi pare di cogliere una sorta di contraddizione. Che
legame ci puo' essere tra la tua rigorosa critica al magistero cattolico per
avere sempre difeso inesorabilmente la divisione gerarchica fra ceto
sacerdotale e laici e la tua adesione o simpatia per le posizioni di Rodano
e per il ruolo del Pci, la cui burocrazia, secondo me, ha seguito proprio
quel modello di pratica del potere della chiesa? La dannosa differenza tra
laicato e chiesa per me c'era anche tra intellettuali-burocrati del Pci e
militanti di base della classe operaia.
- Michele Ranchetti: Si', certo. Probabilmente hai ragione. Non ho nulla da
obbiettare. La mia pero' tu l'hai giustamente definita una "simpatia".
Questa era molto motivata dall'ipotesi che dall'iniziativa di Balbo si
riuscisse a fondere Rodano con Napoleoni e lo stesso Balbo, ossia la
politica di Rodano con l'economia di Napoleoni e la filosofia in largo senso
"religiosa". Ma essa si e' interrotta. Io non l'ho piu' seguita, non ero in
grado di sviluppare quella prospettiva. Io ho avuto simpatia, ma questa
simpatia l'ho interrotta al momento in cui Rodano e' andato per la sua
strada e Napoleoni e' andato per una strada di economia che io non potevo
seguire, anche se ho mantenuto un grande affetto e una grande stima per lui.
Il pensiero di Balbo e' rimasto interrotto per la sua morte e anche perche'
io non me ne sono piu' occupato, anche perche' - questo e' un fatto
contingente - le sue carte sono state tenute segrete dalla sua vedova. Quasi
nessuno poteva leggerle e solo adesso sono riaffiorate alla luce. Pero' era
una simpatia. Anzi negli anni successivi e' cresciuta la mia ostilita' a
questa ipotesi che tu giustamente rilevi come un'alleanza tra burocrazie.
*
- Ennio Abate: In effetti, nella tua critica alle scelte del magistero della
chiesa dall'Ottocento ad oggi ho colto una profonda analogia (non so quanto
legittima e fondata storicamente) con la polemica contro la
burocratizzazione del comunismo ad opera delle dirigenze di partito. E
percio' ritengo prezioso il tuo libro non solo per i credenti, ma anche per
quanti non si sono pentiti di aver lottato per il comunismo. Cosa ne pensi?
- Michele Ranchetti: Il problema, che poi e' stato affrontato da molti, per
me e' sempre questo: esiste la predicazione ed esiste l'istituzione che si
costruisce sulla predicazione. Evidentemente il nesso che si istituisce e'
sempre sbagliato. Quando la predicazione diventa istituzione, diventa
partito, diventa chiesa, la predicazione scompare e prevalgono motivazioni
interne alla struttura. Esse impediscono che la predicazione rimanga quella
che e', rimanga "pura", diciamo cosi'. Questo e' un fenomeno che si verifica
sempre. Nell'ambito dei partiti lo vediamo. Nell'ambito della chiesa non si
e' visto abbastanza. Pero' l'ipotesi del ritorno alle origini, che e' stata
spesso affacciata, per contrastarlo e' assurda, perche' al momento delle
origini trovi la predicazione e pensi che tutto quello che si e' costruito
sopra sia un errore, mentre esiste una necessita'; e non puo' che esistere
una necessita' del passaggio dalla predicazione all'istituzione. Dovrebbe
avvenire in un modo diverso da quello in cui e' avvenuto.
*
- Ennio Abate: In termini politici e' il cosiddetto problema del passaggio
dalla spontaneita' all'organizzazione.
- Michele Ranchetti: E quello non e' stato risolto mai. E' irrisolubile? Non
lo so.
*
- Ennio Abate: Un nodo grosso. Si ripresenta di fronte ad ogni movimento,
anche adesso coi no global.
- Michele Ranchetti: Si', finche' i no global passeggiano per Roma, per
Firenze e dicono delle cose giuste, va benissimo. Al momento in cui dicono
facciamo qualcosa di diverso, e' finita. E' quel momento li'... E' possibile
che non possa essere che cosi'?
*
- Ennio Abate: Concludo chiedendoti una precisazione. Nel punto in cui parli
della chiesa che riconosce le colpe di ieri, chiede perdono a non si sa chi
e in fin dei conti si assolve, affermi che essa non ha solo "caratteri
umani" e appartiene "per sua precisa dichiarazione... a qualcosa d'altro, e
che non e', semplicemente, il campo e il dominio della fede". Alludi forse
alla distanza insuperata fra senso religioso e senso mondano, politico del
comunismo? Sarebbe come dire che il comunismo rimane una cosa ancora "troppo
umana"?
- Michele Ranchetti: La cosa che non si ricorda e che fa parte dei principi
elementari della dottrina cristiana, di cui tutti fan finta di sapere (parlo
del magistero), e' la definizione di chiesa. Cambiano i secoli, ma non e'
stata mai riconosciuta una definizione unica. Definendo una cosa devi dire
anche cio' che non e'. Pero' tra le definizioni correnti, che non sono
definitive, non autenticate da nulla, c'e' quella della chiesa docente e
della chiesa discente, c'e' quella della chiesa come societa' perfetta e
quella della chiesa come popolo di Dio. E poi c'e' la chiesa non visibile,
che e' l'appartenenza di tutti a un mondo che e' qui sulla terra ma che ha
anche la sua prosecuzione nel cielo. Non c'e' nulla di morto nella chiesa. I
morti non esistono, sono risorti. Quindi c'e' una presenza di cose non
visibili che costituisce l'essere della chiesa anche nella visibilita'.
Questo fa si' che la sfera della chiesa non e' fissabile entro il traguardo
terreno, ma va anche oltre. E il potere della chiesa deriva dalla
disponibilita' di questo oltre sul qui. La sfera politica ha sempre una
prosecuzione non visibile che e' di competenza della chiesa.
*
- Ennio Abate: L'aldila' ha sempre la meglio sull'al di qua...
- Michele Ranchetti: Ha la meglio perche' lo contiene. Perche' contiene l'al
di qua diventato eterno.
*
- Ennio Abate: Per Bloch l'aldila' deve diventare al di qua, perche' e'
l'altra faccia (sublimata) di quella che diciamo "realta'".
- Michele Ranchetti: Si, questo come progetto. Ma la chiesa non ha mai detto
che questo e' un progetto. Ha detto che e' la sua essenza.
4 gennaio 2005
*
Nota di Ennio Abate del 13 maggio 2005
L'intervista appena letta ha una lunga gestazione e alcune motivazioni
personali e politiche che e' giusto esplicitare. Non c'e' piu' religione e'
uscito da Garzanti nel 2003 e il filo conduttore del colloquio con Ranchetti
parte da una mia istintiva reazione alla lettura del libro. Potrei
riassumerla cosi': bisognerebbe scrivere, a completamento, un Non c'e' piu'
comunismo altrettanto rigoroso e appassionato. Ovviamente un libro del
genere oggi per me non c'e'. Oltre il Novecento di Revelli si limita -
credo - a esorcizzare la parte sanguinolenta di quel fantasma storico, e
Impero o Moltitudine di Hardt e Negri anticipano fin troppo,
teleologicamente, un miraggio gioioso e moltitudinario di neocomunismo,
sottovalutando la morsa presente di guerre, precariati permanenti, tsunami e
altri disastri umani e ambientali. Ho voluto percio' confrontarmi a fondo
con questo libro e poi porre direttamente al suo autore delle domande legate
ad esperienze che credo siano state comuni alla generazione cresciuta
nell'immediato dopoguerra. Sono, infatti, uno dei tanti - suppongo - che,
segnato nella sua infanzia e prima adolescenza dal cattolicesimo (certo con
differenze di eta', di ceto e di formazione rilevanti rispetto a Ranchetti,
ma non tali da impedirmi di cogliere la sostanziale continuita'
dell'ideologia e della pratica dell'Azione Cattolica dei suoi tempi con
quelle a me riproposte tra anni Quaranta e Cinquanta, in parrocchia, a
Salerno), se ne e' poi staccato; e ha preso parte a esperienze di vita e di
lotta sociale e politica non solo in contrasto con l'insegnamento cattolico,
ma decisamente spostate in partibus infidelium e nutrite di idee illuministe
e marxiane, circolate ampiamente da noi attorno al '68 e per buona parte
degli anni Settanta e tendenti ad oltrepassare il terreno religioso o a
"materializzarlo" in senso piu' o meno blochiano. La lettura di questo e di
altri libri di Ranchetti mi ha dato, a distanza di tanti anni, la percezione
dell'esistenza di una possibilita' nella mia giovinezza del tutto
insospettata: quella di una critica radicale al cattolicesimo restando
cristiani. Nel mio ambiente e in quel periodo, infatti, ogni ipotesi
"protestante" o di dissidenza fu per me inesistente. Adesso la ritrovo
nell'esperienza di Ranchetti, che ha fatto diventare la sua insofferenza per
l'istituzione cattolica rigorosa critica intellettuale. In me invece ha
portato a una rottura soprattutto fisica con quel mondo e a deviare o a
trasformare quel "senso religioso della vita" in direzioni non so se piu'
"estremiste" delle sue ma comunque non coincidenti. Questo mi permette di
guardare oggi il suo percorso e il mio con uno sguardo che direi strabico.
Da qui la mia tendenza ad incalzarlo su aspetti che a me paiono "limiti" o
sono forse solo problemi che sento con piu' forza; e l'insistenza di alcune
domande, che - come mi ha fatto notare Ranchetti stesso - non corrispondono
alle sue domande e forse non trovano del tutto risposta da parte sua.
L'ipotesi, ad esempio, della relazione fra crisi del comunismo e crisi del
cristianesimo non so quanto sia interessante dal punto di vista della sua
vasta e lunga ricerca o alla luce dell'interrogativo di Illich che oggi
l'assilla. Non so neppure quanto possa suscitare interesse in altri.
Tuttavia mi e' piaciuto sondare il suo pensiero su questioni "mie" o fino a
tempi recenti anche "nostre", e cioe' di una certa area culturale e politica
di "sinistra", che ha parlato o in qualche sua residua componente ancora
parla di comunismo. Nella fase di preparazione dell'intervista mi sono
chiesto anche se non sia un paradosso pretendere che un libro lucido e
spietato su "istituzione e verita' nel cattolicesimo italiano del
Novecento", argomenti che parrebbero rivolti esclusivamente a cattolici o a
credenti nell'aldila', interessi "a sinistra". Eppure, al di la' delle
intenzioni o opinioni di Ranchetti e contro altre obiezioni che ho messo in
preventivo, credo che valga la pena tentare di riportare l'attenzione almeno
di una certa intelligenza "di sinistra" su questo libro, sollecitando prese
di posizione.
Affaccio a sostegno alcune mie convinzioni: 1) il tentativo di Ranchetti di
"ripristinare un'interrogazione religiosa nel senso piu' ampio del termine",
offrendo alla discussione una serie di tesi fin dal primo numero de
"L'ospite ingrato" del 1998, mi pare andare incontro a quelli compiuti per
tutto il Novecento da minoranze comuniste e socialiste dissidenti dai
partiti, che hanno anch'esse cercato di ripristinare un'interrogazione -
politica certo - nel senso piu' ampio del termine; 2) il libro, pur restando
dentro la dimensione religiosa cristiana, contesta coraggiosamente e con
solidissime argomentazioni teologiche e storiche l'autorita' della chiesa
cattolica, la cui secolare struttura gerarchica e' matrice della pur laica
"forma partito"; e la separazione fra sacerdozio e laicato, su cui Ranchetti
tanto insiste, e' il modello profondo di ogni separazione fra Stato e
societa' civile, fra intellettuali e classe, fra politici (e rivoluzionari)
di professione e movimenti; 3) se non e' peregrina l'analogia tra
cristianesimo e comunismo (e poi tra tentativi di riforma religiosa e
tentativi "antirevisionisti" di Marx), va considerato anche il parallelismo
tra crisi del cristianesimo, divenuto nell'Ottocento come Ranchetti
documenta istituzione "totalitaria", e crisi del comunismo, tradottosi nel
Novecento prima in stalinismo e poi imploso; 4) per contrastare lo sfacelo
teorico e ideologico nell'ultimo trentennio che ha colpito tutte le aree
della sinistra ("storica" o "nuova" si diceva una volta) puo' essere utile
affrontare la centralita' indiscussa del modello-chiesa, cosi' accanitamente
e lucidamente al centro degli studi di Ranchetti, specie in questo momento
in cui gran parte della sinistra - come ha ricordato Massimo Cappitti in una
delle pochissime recensioni che Non c'e' piu' religione abbia ricevuto (in
"L'ospite ingrato", n. 2, 2003) - sembra allinearsi ossequiosamente alla
chiesa, fino a ritenerla l'"unica istanza etica universale capace di parlare
autorevolmente al mondo 'globalizzato'"; 5) chi viene dalla storia della
sinistra comunista piu' radicale si potrebbe pero' chiedere se abbia senso
partire dalla critica della chiesa fatta da Ranchetti invece che dalle tante
critiche anarchiche fatte fin dall'inizio del movimento operaio alla
forma-partito (da Bakunin a Rosa Luxemburg alla rivoluzione culturale
cinese). Mi sono risposto: a queste critiche, sovente troppo fiduciosamente
illuministiche, e' sfuggita quasi sempre la presa dell'aspetto sacrale del
potere sull'immaginario sociale. Ed e' stata, invece, proprio la chiesa -
come fa notare Ranchetti nella coda dell'intervista - che per lunghi secoli,
sottraendo il suo e l'altrui potere ad ogni interrogazione o intromissione
dei suoi laici e dei cosiddetti "eretici", ha monopolizzato le risposte a
dubbi fondamentali dell'esistenza nostra, riverberando sugli altri poteri
con cui mano mano si e' alleata - dagli imperatori ai fascismi - l'aura
della sua sacralita'; 6) se forse c'interrogassimo seriamente sul perche' la
"chiesa comunista" sia crollata e quella cattolica invece mantenga una sua
presenza pervasiva (sia pur pervertita), sa perdonarsi e assolversi dei
propri "errori" o esibire in modi spettacolari fascinosi le dichiarazioni e
le imprese dei suoi capi carismatici e puo' presentarsi oggi come "l'unico
soggetto monopolista della storia e della verita'" (Cappitti), dovremmo
rispondere che l'amministrazione oculata del suo Sacro le ha permesso di
avere rapporti privilegiati di connivenza e di adattamento con altri gestori
di un sacro degradato (fascismo e nazismo); e oggi anche col Capitale
finanziario trionfante, dalla chiesa criticato per i suoi "eccessi
materialistici", ma mai disconosciuto e tanto meno scomunicato, come capito'
al comunismo da parte di Pio XII. Mentre il comunismo staliniano non seppe
andare oltre un certo rozzo culto della personalita'.
Aggiungo infine almeno altre tre domande che la lettura di Non c'e' piu'
religione mi ha suscitato: 1) perche' e' stata possibile una connivenza
quasi logica, come dimostra Ranchetti, fra Chiesa cattolica e fascismo o,
altrimenti, e' stata sempre piu' facile l'"alleanza tra trono ed altare" e
cosi' ardua quella fra cristianesimo e comunismo? 2) la critica al
cattolicesimo di Ranchetti verrebbe rafforzata o indebolita da quella al
Capitale, il grande innominato del suo libro? (Marx, se non sbaglio, e'
citato una sola volta, a p. 79, parlando del tentativo di interpretazione
fatto da parte dei cattolici di sinistra e nell'intervista Ranchetti
chiarisce bene anche alcune ragioni biografiche dell'assenza nella sua
riflessione di questo autore); 3) da chi e come si potra' spezzare questo
monopolio totalitario della Chiesa, se tutta la memoria del tentativo del
comunismo novecentesco e' diventata oggi tabu'? (Ricordo en passant che
Giovanni Paolo II, oltre che "incarnazione di un 'primato che non riconosce
errore'" e' stato presentato anche come il "vincitore del comunismo", e
cioe' di un'esperienza storica nella quale si era affacciata l'ipotesi che
forse un senso religioso alla vita poteva anche non essere piu' necessario).

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 150 del 10 febbraio 2008

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