Voci e volti della nonviolenza. 146



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 146 dell'8 febbraio 2008

In questo numero:
1. La scomparsa di Michele Ranchetti
2. Mauro Bertani ricorda Michele Ranchetti
3. Sergio Bologna ricorda Michele Ranchetti
4. Alberto Luchetti ricorda Michele Ranchetti
5. Massimo Raffaeli ricorda Michele Ranchetti

1. LA SCOMPARSA DI MICHELE RANCHETTI
[Michele Ranchetti (Milano 1925 - Firenze 2008), illustre intellettuale di
profonda cultura e di grande finezza, storico della chiesa e delle
religioni, docente universitario, poeta, pittore, saggista, traduttore,
consulente editoriale, editore; studioso, traduttore e curatore
dell'edizione italiana di opere di Wittgenstein, Freud, Celan, Rilke,
Benjamin; ha curato per i "Meridiani" Mondadori l'edizione della Bibbia di
Diodati. Opere di Michele Ranchetti: Cultura e riforma religiosa nella
storia del modernismo, Einaudi, Torino 1963; La mente musicale, Garzanti,
Milano 1988; Gli ultimi preti. Figure del cattolicesimo contemporaneo,
Edizioni Cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1997; (a cura di, con
Mauro Bertani), La psicoanalisi e l'antisemitismo, Einaudi, Torino 1999;
Scritti diversi. Vol. 1: Etica del testo, Storia e Letteratura, 1999;
Scritti diversi. Vol. 2: Chiesa cattolica ed esperienza religiosa, Storia e
Letteratura, 2000; Scritti diversi. Vol. 3: Lo spettro della psicoanalisi,
Storia e Letteratura, 2000; Verbale, Garzanti, Milano 2001; Scritti in
figure, Storia e Letteratura, 2002; Non c'e' piu' religione. Istituzione e
verita' nel cattolicesimo italiano del Novecento, Garzanti, Milano 2003.
Opere su Michele Ranchetti: AA. VV., Anima e paura. Studi in onore di
Michele Ranchetti, Quodlibet, Macerata 1998]

Un maestro, un esploratore, un inesausto ricercatore del vero, un amico
dell'umanita' ci ha lasciato.

2. MAURO BERTANI RICORDA MICHELE RANCHETTI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 febbraio 2008, col titolo "Di casa in
tanti saperi Ranchetti si lasciava ancora meravigliare".
Mauro Bertani, storico della filosofia e della psichiatria, insegna e svolge
attivita' di ricerca presso il Centro di documentazione di storia della
psichiatria di Reggio Emilia; fa parte dell'equipe di curatori dei Corsi al
College de France di Michel Foucault; ha tradotto e curato vari libri; ha
curato con Michele Ranchetti La psicoanalisi e l'antisemitismo, Einaudi,
Torino 1999]

Indirizzarsi a cio' che Michele Ranchetti aveva fatto, detto, scritto,
creato, organizzato, suscitato, messo in moto, per poi, magari, passare ad
altro era il modo migliore per conoscerlo. Passare ad altro e' esattamente
cio' che non ha mai smesso di fare per tutto il corso di una vita lunga,
operosa, ricca di relazioni, di affetti, senza dimenticare mai un volto, un
nome, una storia, un fatto, un libro, una parola, e anzi tentando di mettere
il tutto in circolazione, in comunicazione, facendosene l'intercessore.
Ecco, forse si potrebbe dire che Michele Ranchetti e' stato uno dei pochi,
veri, grandi intercessori della cultura della seconda meta' del '900, per
via della straordinaria capacita' che ha avuto di innestare le une sulle
altre, facendole reagire le une al contatto con le altre, storie, avventure
intellettuali, vicende spirituali, politiche o magari solo esistenziali,
altrimenti destinate a non incontrarsi mai.
Se la vita e' questa incessante capacita' di ricreare, rinnovare, riprendere
cio' che e' comunque destinato alla cieca, ostinata e ottusa fatalita' della
morte, Ranchetti ha avuto il meraviglioso dono di opporre a quella
fatalita', a cui sapeva meglio e piu' di tutti che non potremo mai sfuggire,
il gesto sovrano - ma sempre compiuto con modestia e in una certa
solitudine - della differenza che sapeva introdurre in tutto quanto il suo
sguardo attraversava e il suo ascolto coglieva, mentre passava attraverso i
saperi e gli ambiti disciplinari piu' diversi (dalla teologia alla storia,
dalla filosofia alla matematica, dalla psicoanalisi alla musica, dalla
politica alla pittura) non lasciando mai immutato cio' che anche solo per un
breve istante gli capitava di incrociare. E mentre ciascuno di noi - amici o
colleghi, collaboratori o avversari, interlocutori o discepoli - vivevamo
con fatica e tormento una esperienza e un determinato sapere, lui ne viveva
cento, e tutti con uguale intensita', austerita', rigore, rendendo, con la
sua sola presenza, ciascuno di noi un po' piu' intelligente, un po' piu'
attivo, un po' piu' curioso. E se dovessimo indicare la qualita' che piu' di
tutte colpiva in lui, forse proprio perche' si rinnovava sempre daccapo
(quando noi altri eravamo conviti che non ci fosse piu' nulla di cui
stupirsi), questa caratteristica era la curiosita', e la capacita', appunto,
di lasciarsi meravigliare.

3. SERGIO BOLOGNA RICORDA MICHELE RANCHETTI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 febbraio 2008, col titolo "Le sue doti.
Il senso del rischio e l'amore del dono".
Sergio Bologna (Trieste 1937) ha insegnato storia del movimento operaio e
della societa' industriale in varie universita' in Italia e all'estero dal
1966 al 1983. Negli anni Settanta ha fondato e diretto la rivista "Primo
Maggio". Dal 1985 svolge attivita' di consulenza ed e' tra gli animatori
dell'Associazione Consulenti Terziario Avanzato (Acta). Fa parte del
comitato scientifico della Fondazione di Amburgo per la storia sociale del
XX secolo e della Fondazione "Luigi Micheletti" di Brescia. E' presidente
della Libera Universita' di Milano e del suo hinterland "Franco Fortini".
Tra le opere di Sergio Bologna: (con Edoarda Masi, Roberto Finelli), Uomini
usciti di pianto in ragione. Saggi su Franco Fortini, Manifestolibri, Roma
1996; Nazismo e classe operaia 1933-1993, Manifestolibri, Roma 1997; (a cura
di Sergio Bologna e Andrea Fumagalli), Il lavoro autonomo di seconda
generazione. Scenari del postfordismo in Italia, Feltrinelli, Milano 1997;
Ceti medi senza futuro? Scritti, appunti sul lavoro e altro, DeriveApprodi,
2007]

Ripensando alla figura di Michele Ranchetti, si ha la sensazione che il
termine "cultura" - che in parte definisce la nostra esistenza - in realta'
per noi stessi stia perdendo, come in una dissolvenza, i suoi contorni e il
suo pieno significato, perche' si stanno estinguendo le persone umane che lo
incarnano pienamente, sicche' - dovendo riflettere sul senso di quella
parola - sempe piu' il pensiero corre a dei vocabolari e sempre meno a dei
volti. Puo' darsi che questo effetto sia dovuto al meticciato crescente, si'
che quella che a noi pare "cultura" sia in realta' la cultura "occidentale",
cristiana e rinascimentale, illuminista e marxista. Ma il discorso vale lo
stesso, perche' e' proprio "quella" cultura occidentale che si sta
dissolvendo.
Michele Ranchetti era quella cultura, le aveva dato il corpo della sua
minuta persona. Non era, grazie a Dio, uno specialista e, allo stesso modo,
potremmo dire che non era un intellettuale ne' un professore e non lo era
perche' la vera cultura occidentale e' essenzialmente liberta' senza
confini, senza segnali divisori e senza scudi protettivi. E' rischio
continuo, quello di cercare punti di vista diversi, idee diverse, che
confliggono con l'opinione dominante, quindi granelli di novita',
d'innovazione, non rifrittura. Ed e' rischio dominato dall'amore per gli
altri, perche' si e' convinti di "dare" qualcosa con le proprie idee, di
contribuire alla liberta' altrui. Un senso del dono che si accompagna a un
piacere, a un godimento personale, una privazione che si accompagna alla
sazieta'. Quindi sono belle vite quelle degli uomini di questa cultura, vite
di cui dici "meritavano di essere vissute", malgrado i dolori.
Michele Ranchetti con il dolore aveva una relazione speciale, sembrava che
quello fosse il terreno a lui piu' familiare, lo avvicinava con forte
concentrazione, come se nell'affrontarlo richiamasse tutte le sue energie e
le sue doti, con senso di laico rispetto e di cristiana carita'. E pertanto
chi era ferito dal dolore riceveva sempre da lui sollievo. La vera cultura
occidentale non ha paura ne' della modernita' ne' della piu' sfrenata
modernizzazione e se deve giocarsi con questa l'ultima partita se la gioca,
non si ritira in un museo, non si impietrisce in un monumento. Meglio
lasciarci le penne che percepire un sussidio di vecchiaia dai vincitori.
Michele aveva conosciuto la modernita' della grande impresa, dalla meccanica
all'editoria.
Aveva praticato il lavoro dipendente e il lavoro da freelance, con lo stesso
rigore, la stessa ironia con cui aveva ricoperto il ruolo di funzionario di
stato. Aveva accettato la condizione generale di salariato ma non l'aveva
mai negoziata con la sua liberta'. Rotture e strappi sono stati frequenti
nella sua vita, poteva permetterselo. Non perche' alle spalle avesse terre o
fortune ma perche' poteva trasferirsi con naturalezza nello spazio infinito
della poesia, della musica, del disegno. E' stato un uomo fortunato e
fortunati noi che gli siamo stati amici.

4. ALBERTO LUCHETTI RICORDA MICHELE RANCHETTI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 febbraio 2008, col titolo "Tra lui e
Freud. La sua passione per la psicoanalisi".
Alberto Luchetti, psicoanalista della Spi e dell'Ipa; redattore capo della
"Rivista di psicoanalisi"; ha tradotto e curato l'edizione italiana di testi
psicoanalitici di autori francesi, tra cui P. Aulagnier e J. Laplanche;
autore di numerosi articoli pubblicati su riviste psicoanalitiche e in
volumi collettanei, collaboratore del quotidiano "Il manifesto"]

Alcuni anni fa Michele Ranchetti intitolo' una raccolta di scritti Lo
spettro della psicoanalisi, e tra quelle pagine, dalla sua posizione in
margine di saggista, storico delle religioni, traduttore, poeta, consulente
editoriale e ultimamente anche editore, pur dichiarandosi "per cosi' dire un
esterno, ma non un estraneo" alla psicoanalisi, non mancava di sollevare
problemi capaci di interrogarla "dall'interno". Nel farlo, Ranchetti
rilevava come il venir meno di quel progetto ambizioso secondo cui la
disciplina di Freud si proponeva "come una forma totalizzante di pensiero
critico, come uno stimolo a ripensare alla radice e in modo globale le
scienze dell'uomo", rischiasse di far smarrire anche "l'oggetto" su cui la
psicoanalisi "intendeva operare".
Privilegiando la sua riduzione a una particolare tecnica terapeutica e a una
sua professionalizzazione, la psicoanalisi si andava configurando - scriveva
Ranchetti - come "un insieme spesso contraddittorio di scuole di pensiero,
di strategie di potere, di tecniche", indebolendo la sua spinta verso la
"primitiva, radicale indagine sulle radici della sofferenza umana".
Tuttavia, Ranchetti riscontrava un "qualcosa d'altro" che resiste nella
psicoanalisi, e al tempo stesso e' la radice di quella "necessita'
teoretica" che regge le riflessioni di Freud, ispira le sue esperienze e
alimenta la "resistenza della psicoanalisi ad essere assorbita da altro". E
lo individuava in cio' da cui essa stessa si origina: un rapporto umano sui
generis che tende a "travolgere lo stesso nesso tra soggetto e oggetto cosi'
come stravolge le nozioni di verita', di errore e di causa".
Un rapporto che, pur assumendo forme diverse, "non potra' mai essere
eliminato, sostituito da qualcos'altro, incorporato", e che la psicoanalisi
mediante la parola tende a ripristinare in vivo laddove la medicina tende
invece a liberarsene.
Da questo nodo relazionale si dipartono due altri consistenti fili della
riflessione e del lavoro di Ranchetti sulla psicoanalisi: innanzitutto le
ricerche e il pensiero sul testo freudiano, sulla storia delle sue edizioni
e traduzioni, sui problemi terminologici che pone e sullo stesso suo
rapporto con la lingua e la cultura del suo tempo, riflessioni niente
affatto estrinseche o accessorie. E poi gli scritti circa la problematicita'
e paradossalita' di una storia della psicoanalisi alla quale stava dedicando
il progetto editoriale di una riedizione "contestuale" di alcuni testi
freudiani, di cui aveva cominciato la pubblicazione da Bollati Boringhieri
tra non poche polemiche, convinto che il corpus freudiano attenda ancora una
edizione critica.

5. MASSIMO RAFFAELI RICORDA MICHELE RANCHETTI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 febbraio 2008, col titolo "Michele
Ranchetti. Un vero umanista, ritroso e magnanimo" e il sommario "Nessuna
passione era mai spenta per Michele Ranchetti, poeta, studioso di storia
della chiesa, grande tramite della psicoanalisi in Italia. E' morto sabato a
Firenze, aveva ottantatre anni".
Massimo Raffaeli scrive di critica letteraria sul quotidiano "Il manifesto"
e su vari periodici]

Cosi' grande e definita e' la figura di Michele Ranchetti che non tollera
riduzioni alle consuete caselle disciplinari e professionali. Dire che cosa
e' stato e che cosa ha rappresentato nella cultura italiana dell'ultimo
mezzo secolo equivale a interrogarsi su un pensiero a statuto speciale dove
si combinano, porgendosi al lettore in un equilibrio di assoluta
naturalezza, storiografia e teoretica, riflessione morale e impulso poetico,
capaci ogni volta di depositarsi sulla pagina senza che la partitura in
prosa o in versi rappresenti mai un ostacolo, o tantomeno un azzardo.
Filologia, filosofia, poesia erano per lui occasioni versatili del vivere al
presente, ovvero le espressioni di un pensiero cosi' incandescente e
centrato da ritrovare sempre, come per miracolo, il senso, la misura e il
confine temporaneo della propria espansione.
*
Testi in forma di costellazione
Il dominio culturale di Ranchetti era vastissimo e la capienza dello
sguardo, la sua spettacolare e tuttavia ritrosa magnanimita', rivelava
subito, ad apertura di pagina, i tratti elettivi del grande umanista: in un
paese come il nostro, che esibisce volentieri la maschera del cosmopolitismo
per celare un profilo di provincia subalterna, Ranchetti era tra i pochi
intellettuali che davvero potessero dirsi di rango internazionale. A partire
dal libro d'esordio, quello piu' legato al suo primo mestiere di storico
della chiesa e dei movimenti religiosi (l'ormai classico e da molto tempo
introvabile Cultura e riforma religiosa nella storia del modernismo, Einaudi
1963), la sua bibliografia e' emersa solo relativamente tardi per ricomporsi
nella forma di una estesa costellazione. Oggi e' quasi tutta contenuta nei
tre volumi usciti una decina di anni fa, a cura di Fabio Milana per le
Edizioni di Storia e Letteratura, che l'autore ha voluto riunire sotto il
semplice titolo, persino deminutorio, di Scritti diversi.
Il primo raccoglie i contributi di natura propriamente ermeneutica e
filosofica, dove spiccano i nomi di alcuni interlocutori privilegiati,
presenze per lui di lunghissimo periodo - da Lutero agli antichi biblisti,
da Benjamin a Wittgenstein, da Bonhoeffer a Jacob Taubes (perche' Ranchetti
e' stato anche un eminente germanista, traduttore fra gli altri dello stesso
Wittgenstein, di Freud e di alcune liriche di Paul Celan); il secondo volume
e' dedicato agli studi di storia della chiesa e del cristianesimo, con
riguardo particolare a figure segnate dall'esperienza del Concilio (don
Lorenzo Milani, padre Ernesto Balducci, David Maria Turoldo) ma anche a
fisionomie di laici e marxisti la cui parabola gli rivelava la ricchezza
dell'autenticita' e insieme di un'inquietudine mai arresa, in cui volentieri
si riconosceva: Claudio Napoleoni, Franco Fortini e Rossana Rossanda;
infine, il terzo volume, concerne i fondamenti e la vicenda storica della
psicoanalisi, un interesse a lungo mantenuto sottotraccia, quasi defilato
per pudore, ma che in realta' incombeva sulla zona piu' profonda e sensibile
della sua riflessione, come peraltro testimonia l'indice degli amici e
compagni di via, da Giorgio Agamben a Luciano Amodio, da Camillo de Piaz a
Pier Vincenzo Mengaldo, che gli hanno reso omaggio in occasione del
settantesimo compleanno con un libro di straordinario spessore Anima e paura
(a cura di Fabio Milana, Quodlibet 1998).
*
Il problema della tradizione
Ma che cosa ha davvero pensato Ranchetti, qual era cioe' il fuoco da cui si
diramavano interessi cosi' molteplici? Quale trama infine connetteva fino a
fargliele apparire una cosa sola, cangiante e implacabile, comunque per lui
vincolante, ora la filosofia, ora la poesia, ora l'esperienza religiosa?
Semplicemente, era in gioco una domanda primordiale circa il senso
dell'esserci, in se' destituita di qualunque presunzione di verita' ma
stimolata da una sola persuasione: disponiamo di strumenti limitati
(l'intelligenza, la buona fede) per interpretare dei segni, non sempre
scritti, non necessariamente scritti, i quali ci precedono, doppiano il filo
delle nostre esistenze, ma anche ci sopravanzano nello spazio e nel tempo.
Si tratta appunto di interpretarli, e cioe' di interrogarli. Per questo la
vastita' degli interessi e la pluralita' delle sue scelte di scrittura non
sono spiegabili se non a partire dal problema della tradizione, che ai suoi
occhi non andava celebrata ma nemmeno accusata, come invece vorrebbero
modernisti e avanguardie.
La sua era una etica del testo fondativa di una attivita' saggistica la cui
limpidezza e' stata costantemente autenticata dalla corretta formulazione di
una domanda, dalla critica del fossile dogmatico, o dal varco che si apriva
imprevisto, dopo una lunga ricognizione filologico-documentaria, nella
superbia della dottrina consolidata.
Basta leggere, al riguardo, lo scritto che apre il recente e densissimo
numero monografico dell'"Ospite ingrato" (n. 2, 2006, Centro Studi Franco
Fortini - Quodlibet), dal titolo Il disagio nella civilta' cristiana, in cui
scrive con sgomento, e quasi con disperazione, a proposito della clausura
identitaria e dell'oscurantismo che caratterizza l'attuale papato: "Forse e'
stato sempre cosi', dall'istituzione della chiesa, e i tentativi che si sono
verificati nel corso dei secoli, di opporre una diversa intelligenza della
rivelazione nella storia cristiana, sono stati solo dei falsi fuochi fatui
che qualcuno ha creduto di intravedere sulla tomba dei martiri. Ma se questo
e' vero, non ha piu' senso pensare a movimenti e a figure alternative,
neppure a eretici e a dissenzienti, a correnti di pensiero che si sarebbero
contrapposti nella speranza di una riforma della chiesa o di un suo diverso
ordinamento".
*
Natura e concretezza
Una diversa intelligenza, cioe' un comprendere che accolga al suo interno le
ragioni della alterita', in un continuo venir meno dei confini e di ogni
interdetto: questa e' la divisa intellettuale di Ranchetti ma e' insieme il
fondamento della sua poesia (o meglio del pensiero-poesia, e viceversa) che
si legge in due raccolte, La mente musicale e Verbale (entrambi Garzanti)
dove il segno esatto e scandito diviene il controluce del pensiero, dove
persino le parole della natura e della concretezza quotidiana tendono sempre
a diventare - ha notato Mengaldo - categorie dello spirito.
Risalgono a molti anni fa i versi di Michele Ranchetti che noi oggi leggiamo
come fossero un testamento: "Credo diverso il senso della vita/ dal suo
giudizio, pure ad esso piego/ la mia memoria e libero il futuro/ dal suo
peso di amore ancora vivo/ per chi e' gia' morto in se'./ Pietra e destino".

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Numero 146 dell'8 febbraio 2008

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