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Minime. 359
- Subject: Minime. 359
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 8 Feb 2008 00:44:01 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 359 dell'8 febbraio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Verso il 2 marzo. Tutto si decide nel mese di febbraio 2. Il 14 febbraio a Viterbo 3. Michele Prospero: Gandhi, il nonviolento che aveva letto Marx 4. Michele Nani presenta "Global Labour History" di autori vari 5. L'Agenda dell'antimafia 2008 6. L'agenda "Giorni nonviolenti" 2008 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. VERSO IL 2 MARZO. TUTTO SI DECIDE NEL MESE DI FEBBRAIO Il 2 marzo (la data proposta da Michele Boato, Maria G. Di Rienzo e Mao Valpiana per incontrarsi a Bologna e verificare la possibilita' concreta di presentare gia' alle prossime elezioni politiche liste della sinistra della nonviolenza, femministe ed ecologiste - per contatti: micheleboato at tin.it) non e' la data di inizio, ma il termine ultimo di verifica del lavoro svolto nel frattempo. * Poiche' si vota alla meta' di aprile, occorre aver presentato le liste un mese prima. E ci si concedera' che ci vorra' un po' di tempo per definire le candidature e svolgere tutti gli adempimenti tecnici. Cosicche' il momento di verificare l'ipotesi di lavoro delle liste della sinistra della nonviolenza (femministe ed ecologiste, solidali e antimafia, socialiste e libertarie, per il riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani, per introdurre nell'azione politica il principio "tu non uccidere") e' adesso. Ed e' adesso il momento di dirsi tutto cio' che deve essere detto per non fare un dialogo tra sordi, ed almeno per chi scrive queste righe tra cio' che va detto vi e' almeno quanto segue: a) la nonviolenza e' opposizione la piu' nitida e la piu' intransigente a tutte le violenze e le menzogne. La nonviolenza e' lotta. La nonviolenza e' un criterio per l'azione e una scelta politica impegnativa. Non e' nonviolenza, ma prostituzione al male, l'azione di chi accetta e cosi' avalla (sia pur passivamente, con condotta meramente omissiva) il crimine, le uccisioni, la guerra. b) L'opposizione integrale alla guerra e la difesa dei principi fondamentali della Costituzione sono elementi irrinunciabili del nostro impegno: questo implica che quelle persone e quelle organizzazioni che in questi anni hanno accettato e avallato (o addirittura sostenuto, propagandato e praticato) la politica della guerra e del razzismo, e quindi la politica della violazione della legalita' costituzionale, non possono essere ne' tra i promotori ne' tra i candidati delle liste della sinistra della nonviolenza. c) Vi e' un'urgenza estrema: certe scelte di governo votate dall'intero arco dei partiti attualmente presenti in parlamento in materia non solo di guerra e di razzismo, ma anche di riarmo come di modello di sviluppo, sono palesemente in contrasto con la difesa della civilta' umana e della biosfera. E' indispensabile una presenza in Parlamento di persone amiche della nonviolenza per opporsi a scelte dissennate e onnicide con tutti gli strumenti e le risorse che l'ordinamento giuridico offre e consente. d) Chi oggi votasse per i partiti che hanno governato negli ultimi due anni, non vota piu' - come due anni fa - contro l'eversione berlusconiana: vota per la guerra, il razzismo e la violazione della Costituzione, ovvero per l'eversione berlusconiana cosi' come proseguita dal governo Prodi. L'unico modo per contrastare l'eversione berlusconiana e' eleggere in parlamento persone amiche della nonviolenza con liste della sinistra della nonviolenza. e) Il femminismo (i femminismi, se si vuole) e' qui e adesso l'asse, il centro della proposta della nonviolenza in cammino. Proprio perche' dall'ideologia e dalla prassi del patriarcato, del maschilismo, del femminicidio precede il potere e la vicenda della denegazione di umanita', della violenza come una delle belle arti, dell'asservimento dell'altro essere umano e della sua riduzione al rango di mezzo e mai di fine, e quindi l'infinita catena della guerra e del distruggere, dello sfruttamento e dell'oppressione, proprio per questo il femminismo, che della nonviolenza in cammino e' l'inveramento storico maggiore e la corrente calda, e' il cuore e il fulcro, il riferimento essenziale della proposta delle liste elettorali della sinistra della nonviolenza. f) Il programma delle liste elettorali della sinistra della nonviolenza e' semplicemente la nonviolenza, intesa come criterio e come scelta: cogente, concreta, coerente nei mezzi e nei fini. Una tematizzazione essenziale puo' essere quella proposta nella Carta del Movimento Nonviolento. g) Affermare che il programma delle liste elettorali della sinistra della nonviolenza e' semplicemente la nonviolenza, significa anche che esso si articola nell'adesione ai, e nell'inveramento dei, principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana, fonte di diritto e progetto di societa'. h) Affermare che il programma delle liste elettorali della sinistra della nonviolenza e' dato dalla nonviolenza, e dai principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana, significa anche che esso fa propria l'affermazione dei diritti sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. * Le persone che a questo programma e a questa proposta si sentono in coscienza di poter dare un contributo, ebbene, e' adesso che possono e debbono farlo. Ovunque si apra una riflessione su questa idea grande e nuova - e antica come le montagne -: fare della nonviolenza la scelta e il criterio a fondamento dell'azione politica, del governo della cosa pubblica, dell'amministrazione di cio' che e' di tutti. Ovunque si avvii un'iniziativa per discutere, verificare, costruire la proposta delle liste elettorali della sinistra della nonviolenza. 2. INIZIATIVE. IL 14 FEBBRAIO A VITERBO Il 14 febbraio 2008 al Centro sociale autogestito "Valle Faul" si terra' un'iniziativa intitolata "Aeroporto... no, grazie. Per San Valentino ama te stesso e proteggi la Tuscia. Di' no all'aeroporto". L'iniziativa e' a sostegno del movimento che si oppone al devastante mega-aeroporto e s'impegna per la drastica e immediata riduzione del trasporto aereo. * Programma: Ore 20: cena sociale vegan-biologica. Ore 22: Reggae dancehall night con: JD Rural Sound, Red Iguana (Roma), Small Axe South (Molfetta). Il Centro sociale "Valle Faul" si trova in strada Castel d'Asso snc, a Viterbo. * Per informazioni e contatti: - Centro sociale autogestito "Valle Faul": tel. 3315063980, e-mail: csavallefaul at autistici.org, blog: csavallefaul.noblogs.org (nel blog c'e' anche la carta stradale per arrivare al centro) - Il comitato che si oppone all'aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo: e-mail: info at coipiediperterra.org, sito: www.coipiediperterra.org, per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at libero.it 3. MEMORIA. MICHELE PROSPERO: GANDHI, IL NONVIOLENTO CHE AVEVA LETTO MARX [Dal quotidiano "L'Unita'" del 29 gennaio 2008 riprendiamo il seguente articolo (disponibile anche nel sito www.unita.it), dal titolo "Gandhi, il nonviolento che aveva letto Marx". Michele Prospero e' docente di Scienza politica all'Universita' "La Sapienza" di Roma; politologo, e' autore di molti saggi. Tra le opere di Michele Prospero: Nostalgia della grande politica, 1990; La democrazia mediata, 1992; Sistemi politici e storici, 1995; I sistemi politici europei. Newton & Compton; Politica e vita buona. Comunita', societa', soggetto, Euroma La Goliardica, 1996; Il pensiero politico della destra, Newton & Compton, 1996; Sinistra e cambiamento istituzionale, Philos, 1997; Storia delle istituzioni in Italia, Editori Riuniti, 1999; Il fallimento del maggioritario, Philos, 2000; (con Roberto Gritti), Modernita' senza tradizione. Il male oscuro dei Democratici di Sinistra, Manni. 2000; (con Pasquale Rotunno), Il realismo politico. L'analisi del potere da Bartolo di Sassoferrato a Niccolo' Machiavelli, Philos, 2001; La politica moderna. Teorie e profili istituzionali, Carocci, 2002; Lo Stato in appalto. Berlusconi e la privatizzazione del politico, Manni, 2003; Politica e societa' globale, Laterza, 2004; L'equivoco riformista, Manni, 2005; Alle origini del laico. Diritto e secolarizzazione nella filosofia italiana, Franco Angeli, 2006; La Costituzione tra populismo e leaderismo, Franco Angeli, 2007. Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini, L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006; Giuliano Pontara, L'antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega, Torino 2006] La figura del "Mahatma" Gandhi e' certamente una tra quelle piu' significative ed eclettiche del Novecento. Nel secolo della paura e della violenza di massa, intesa da tutti come grammatica minimale del politico, egli esalta la "nonviolenza" declinandola come una condotta politica pacifica e nondimeno efficace per la liberazione dei popoli dalle potenze coloniali, ma anche come un argine protettivo utile persino contro i regimi piu' totalitari. Alla ormai sconfitta potenza inglese, che pero' intende imporre la netta separazione etnico-religiosa del territorio indiano tra musulmani e indu', Gandhi oppone le ragioni laiche della convivenza politico-territoriale comune. Proprio a questo apostolo della nonviolenza, ridotto a pesare 45 chili dai suoi lunghi digiuni, tocco' pero' una morte violenta che lo raggiunse nel corso di una pubblica preghiera, il 30 gennaio del 1948. Domani, a 60 anni dall'uccisione di Gandhi per mano di un indu' ortodosso, "l'Unita'" propone per "Le chiavi del tempo" un ampio volume di Giuliano Pontara (L'antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, pp. 351, euro 7,50, piu' il prezzo del quotidiano), uno dei maggiori studiosi della nonviolenza. Sul politico indiano, che postula una nonviolenza capace di operare in profondita' determinando mutamenti di mentalita' tra i carnefici, non si e' mai spento l'interesse, rimasto vivo nel tempo anche al di la' dell'effettiva robustezza, sistematicita' e coerenza concettuale dell'impianto delle sue riflessioni. Ricorda Pontara che "assieme a Lenin, Gandhi e' la figura politica del XX secolo sulla quale e' stato scritto piu' copiosamente". E i loro stili politici non potrebbero essere piu' diversi. Lenin e' un campione del realismo politico che scruta nelle condizioni oggettive la possibilita' di un grande evento risolutivo. La conquista del potere fa parte della posta in gioco dell'azione politica, ne e' anzi la prospettiva piu' accattivante. Anche la sua "guerra alla guerra" adotta il lessico della violenza, che e' pur sempre uno degli strumenti della politica da soppesare e da impiegare sulla base di una valutazione delle opportunita' e della effettiva natura dei rapporti di forza. Gandhi, che pure esalta la "levatura spirituale di Lenin" e "il sacrificio piu' puro" in nome dell'ideale, e' l'esemplare invece di un "politico morale" che esclude la guerra dal novero degli strumenti pensabili dell'agire collettivo. L'opposizione alla ribellione armata e' in lui totale e non e' collegata alla sua utilita', al suo vantaggio, al suo apporto strumentale al fine. La violenza e' dichiarata estranea in quanto tale al corredo della politica, rigettata indipendentemente dalla sua storica efficacia. * Un simile atteggiamento, basato sul principio vincolante dell'unita' del genere umano, e' molto ostile alle pratiche di sterminio del Novecento e Pontara trova alquanto singolare che "il secolo che ha generato Hitler e il nazismo abbia pero' generato anche il suo opposto Gandhi e la nonviolenza del forte". Anche rispetto a un regime totale di annientamento, la strada della disobbedienza civile, del rifiuto nonviolento e' quella piu' adatta per indurre gli oppressori a mitigare la repressione e a pervenire a generalizzate forme di non esecuzione di ordini cruenti entro le stesse fila degli eserciti occupanti. Gandhi (lo stesso fara' in seguito anche la Arendt) enfatizza il caso danese di disobbedienza civile all'aggressore nazista come pratica in parte riuscita di umanizzazione del nemico. E' evidente che su questo piano, quello cioe' che misura anche l'efficacia reale del metodo della nonviolenza, Gandhi e' costretto a scendere sul versante della pragmatica e, a rigore, ad accettare di valutare la stessa nonviolenza (con i suoi tipici ritrovati della noncollaborazione) alla stregua di ogni altro strumento d'azione collettiva. L'assolutezza di un metodo che non ha alternative viene di fatto limata se in questo "Machiavelli della nonviolenza", cosi' lo definisce anche Pontara, la stessa nonviolenza entra nel conteggio dei suoi vantaggi operativi riscontrabili in una situazione data. L'alternativa e' molto semplice: se la nonviolenza e' una assoluta etica della interiorita' e della verita', essa va adottata a prescindere dal suo impatto storico, se invece conta anche l'esito effettuale della pratica nonviolenta, allora anch'essa diventa uno degli strumenti dell'agire che vale non gia' in assoluto ma in quanto sottoposto a un calcolo politico di opportunita', di vantaggio, di efficacia. In questo caso, il principio di responsabilita' dell'azione, che valuta cioe' la reale ricaduta della mossa adottata, si impone anche al "politico morale" che non puo' esimersi dal dare conto dell'efficacia oggettiva della sua azione e delle sue empiriche conseguenze. * Anche sotto i regimi democratici la nonviolenza conserva la sua piena rilevanza. Gandhi ritiene anzitutto che proprio la democrazia sia la forma politica piu' coerente con le ispirazioni della nonviolenza nei rapporti intersoggettivi. Aggiunge inoltre che il principio di maggioranza e la competizione elettorale rendono pacifica la contesa tra le parti, anche se l'adozione del metodo nonviolento di per se' non cancella del tutto la differenza, l'eccentricita', rispetto alle richieste di obbedienza. Tutti i regimi, anche quelli piu' tirannici, non si reggono senza una base di consenso. E tutti i governi, anche quelli piu' democratici, suppongono una piu' o meno modica quantita' di violenza. E' evidente che entro societa' democratiche ben strutturate ogni forma di conflitto non potra' che svolgersi con il corredo delle tecniche nonviolente (voto, disobbedienza civile, scioperi, boicottaggio, evasione delle tasse destinate alle armi, mentre perplesso Gandhi si mostra sui picchettaggi, sui sabotaggi). Entro un regime democratico si rintraccia di sicuro un titolo superiore di legittimita' rispetto ad ogni altro meccanismo di potere. Per questo, secondo Gandhi, in una democrazia l'ordinamento non puo' venire contestato nel suo complesso. E' ipotizzabile solo una disobbedienza civile difensiva che sia agita dinanzi a singole decisioni adottate peraltro nel rispetto del principio di maggioranza. La separazione dei poteri non cancella per Gandhi il diritto della minoranza ad agire diversamente per motivi di coscienza laica o religiosa (pagando pero' le conseguenze legali e le sanzioni previste per la disobbedienza e la rottura dell'obbligo politico). Anche rispetto all'autorita' legittima e' sempre lecita la disobbedienza (parziale, non di sistema, rivolta alla singola legge ritenuta ingiusta. non all'ordinamento costituzionale). * Diverso e' invece il caso di regimi oppressivi nei quali Gandhi contempla la "disobbedienza civile offensiva", una pratica intransigente mirante cioe' a demolire un ordinamento illegittimo nelle sue stesse fondamenta. Di sicuro nelle pagine politiche di Gandhi scorre una venatura anarchico-libertaria molto evidente (propugna ad esempio un azzeramento degli istituti repressivi). Sul piano economico invece egli rigetta ogni forma di individualismo accostandosi a forme di socialismo che non prevedono pero' il conflitto tra capitale e lavoro. Gandhi contesta il principio di Adam Smith per cui il mercato e' sovrano con i suoi anonimi automatismi e il fattore umano si presenta sempre come un inaccettabile momento di disturbo. Secondo Gandhi il vero fattore di disturbo da eliminare e' proprio il calcolo egocentrico, perche' dai congegni del libero mercato in cui operano individui perfettamente razionali si originano sempre oscuri meccanismi di dipendenza. La violenza strutturale insita nell'economia puo' essere cosi' estirpata solo da elementi di socialismo conditi in una salsa molto indiana e pragmatica. Pontara rammenta a questo proposito che Gandhi ha letto Il Capitale trovando in Marx "vari riscontri a idee che era andato sviluppato, anche in base alla sua diretta esperienza di colonizzato, circa la natura del modo di produzione capitalistico. Egli stesso disse che il suo socialismo era naturale, non era stato imparato su nessun libro". Un anelito di eguaglianza, un bisogno di giustizia sociale piu' che una critica della proprieta' privata dei mezzi di produzione accompagnano la riflessione di Gandhi, che ammette una forma di "proprieta' fiduciaria". Nelle sue pagine e' presente una critica demolitrice della civilta' delle macchine, della metropoli, del consumo, della proliferazione delle armi di sterminio in nome di rapporti piu' semplici, di legami piu' immediati, di valori tradizionali infranti, del disarmo. * Cosa resta nel XXI secolo di questo abile maneggiatore dei mezzi di comunicazione e nondimeno ascetico e "sedizioso avvocatuccio", come lo bollo' Churchill? Pontara non ha dubbi: una capacita' di scovare e contrastare alla radice quella "tendenza nazista", come la chiama, che opera in profondita' e coincide in ogni tempo con l'esaltazione della violenza, del capo, della disuguaglianza, del fondamentalismo del mercato, della "guerra giusta" e dello scontro di civilta'. Pontara vede in circolazione anche nel postmoderno molte immagini del nemico e velleita' di costruire un sistema di apartheid globale. In un mondo che riscopre le guerre di civilta' ed esalta la religione come identita' differenziante, il messaggio del religiosissimo Gandhi risuona come un pressante invito laico a conservare la religione nella sua dimora solo privata, non pubblica. I modi con i quali salvare l'anima per lui non riguardano lo Stato. Le credenze non possono avere ricadute pubbliche e la religione, ammonisce Gandhi, e' solo "una mia faccenda personale. Lo Stato non c'entra. Lo Stato dovrebbe preoccuparsi del benessere temporale, della salute, delle comunicazioni, delle relazioni con l'estero, della circolazione della moneta, ma non della vostra o della mia religione. Questa e' affare personale di ciascuno". Per questo Gandhi, che rivendica un'etica del rispetto verso il vivente non umano, si proclama favorevole all'eutanasia per far cessare le forme di inaudita sofferenza. La sua proposta non e' poi cosi' distante dai temi eticamente sensibili che oggi sono ovunque al centro dell'agenda pubblica. 4. LIBRI. MICHELE NANI PRESENTA "GLOBAL LABOUR HISTORY" DI AUTORI VARI [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 gennaio 2008, col titolo "Un nuovo atlante per la storia operaia" e il sommario "'Il lavoro intellettuale strappa l'uomo alla comunit‡ umana. Il lavoro manuale, invece, conduce l'uomo verso gli uomini' (Franz Kafka). Sebbene gli storici del lavoro tendano a parlare di crisi del proprio campo di ricerca, la storia sociale presenta fertili articolazioni che hanno consentito l'emergere di nuovi settori di studio. Ne sono prova i numerosi saggi all'interno del volume Global Labour History, che puntano l'attenzione fra l'altro sull'evoluzione del lavoro in Africa e in Sudamerica". Michele Nani, storico, docente all'Universita' di Padova, ha condotto studi alla Fondation pour la memoire de la Shoah presso l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, fa parte della Sissco e della redazione della rivista "Novecento. Per una storia del tempo presente". Si e' occupato prevalentemente della storia del razzismo e del nazionalismo in Italia, intrecciando la storia delle idee e degli intellettuali con la storia dell'opinione pubblica e della stampa; accanto a questi oggetti principali, ha studiato diversi aspetti della storia culturale dell'Ottocento italiano, interessandosi alla divulgazione scientifica, all'editoria, ai rapporti fra pittura e politica e fra teatro e societa'; ha dedicato alcuni studi alla storia politica e amministrativa del Novecento; attualmente lavora ad una ricerca sui socialisti e la "questione ebraica" nell'Ottocento europeo, nel quadro di una riflessione piu' complessiva sulla storia dell'antisemitismo e del movimento operaio, sulla storia sociale della politica e sul rapporto fra la storiografia e le scienze sociali, in particolare la sociologia. Opere di Michele Nani: Fisiologia sociale e politica della razza latina. Note sui dispositivi di naturalizzazione negli scritti di Angelo Mosso, in Studi sul razzismo italiano, a cura di Alberto Burgio e Luciano Casali, Bologna, Clueb 1996; Per una storia del ceto politico locale bolognese (1946-1970). Materiali sociografici sugli eletti nei Comuni e in Provincia, a cura e con introduzione di Michele Nani, Bologna, Provincia di Bologna/Archivio Storico - Istituto per la Storia della Resistenza e della Societa' Contemporanea nella Provincia di Bologna, 1999; L'immaginario razziale di un ufficiale della nuova Italia: Niccola Marselli, in Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d'Italia 1870-1940, a cura di Alberto Burgio, Bologna, Il Mulino 1999; La repubblica dei braccianti. La campagna elettorale del 1946 nel Ferrarese, in La fondazione della Repubblica. Modelli e immaginario repubblicani in Emilia e Romagna negli anni della Costituente, a cura di Mariuccia Salvati, Milano, Angeli 1999; Che cos'e' il razzismo? Chiavi di lettura, introduzione al dossier Il razzismo fra storia e invenzione, a cura di Michele Nani e Paola Zagatti, ne "I viaggi di Erodoto", n. 37, 1999; Editoria e culture scientifiche nell'Italia postunitaria. Appunti sulle edizioni Dumolard, in "Ricerche storicheî, n. 2, 1999; (con Riccardo Bonavita) Icone della propaganda. I discorsi della guerra civile, in Immagini nemiche. La guerra civile spagnola e le sue rappresentazioni 1936-1939, Bologna, Compositori 1999 (catalogo dell'omonima mostra, Bologna, dicembre 1999-febbraio 2000); Angelo Mosso, La fatica [1891], a cura e con introduzione di Michele Nani, Firenze, Giunti 2001; La "lotta della civilta' contro la barbarie". Colonialismo e immagine dell'"alterita'" africana nella stampa torinese al tempo dell'andata a Massaua, in [Dipartimento di Discipline Storiche - Universita' di Bologna] Annale 1999-2000, Bologna, Clueb 2002; "Dalle viscere del popolo". Pellizza, il "quarto stato" e il socialismo, in Michele Nani, Liliana Ellena, Marco Scavino, Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo tra cultura e politica. Un'immagine e la sua fortuna, introduzione di Aurora Scotti, Torino, Angolo Manzoni 2002; Vedi alla voce "razzismo", ne "L'informazione bibliografica", n. 3, 2002; Per un profilo del Consiglio provinciale: appunti sul secondo Ottocento (1860-1914), in Terra di Provincia. Uomini donne memorie figure. Percorsi storico-istituzionali della Provincia di Ferrara dal 1796 agli anni '80 del Novecento, a cura di Delfina Tromboni, Ferrara, Amministrazione provinciale di Ferrara 2003; L'immagine degli ebrei fra vecchi e nuovi stereotipi, in "Contemporanea", n. 2, 2004; Una zuffa di simboli. Il Cristo di Bovio e il suo pubblico, in L'Italia fin de siecle a teatro, a cura di Carlotta Sorba, Roma, Carocci 2004; Nazione e alterita' fra storia e politica. Il caso italiano, in "Novecento", n. 11, 2004; La nazione e i suoi altri, in "Storica", n. 30, 2004; "Le metamorfosi del razzismo", in Storia della Shoah, Torino, Utet 2005; Ai confini della nazione. Stampa e razzismo nell'Italia di fine Ottocento, Roma, Carocci 2006] Gli storici del lavoro tendono spesso a ribadire lo stato di "crisi" del proprio campo di studi. Esistono molte ragioni interne che aiutano a comprendere questa ricorrente constatazione, legate a insufficienze teoriche, a limiti metodologici e alla natura e disponibilita' delle fonti. Tuttavia per un ambito di ricerca inevitabilmente sottoposto a forti sollecitazioni politiche e sociali resta preponderante il condizionamento esterno. Dopo l'apice degli anni Settanta, il crollo parallelo di comunismo e socialdemocrazia sembra destinare a un drastico ridimensionamento l'interesse per le classi subalterne e per i loro movimenti di lotta. I ricorrenti giudizi sulla fine della "storia sociale" e sulla "crisi" piu' complessiva delle stesse discipline storiche hanno contribuito allo smarrimento del senso di ricerche sulle esperienze di vita, di lavoro e di lotta dei lavoratori e delle lavoratrici. Eppure, fra gli altri, un bel libro di Gerard Noiriel, che da piu' di dieci anni attende una traduzione italiana, poneva nel giusto contesto e valutava in maniera meno sbrigativa la pretesa "crisi" del sapere storico (Sur la "crise" de l'histoire, Paris 1996). Inoltre, la stessa storia "sociale" ha conosciuto un'articolazione estremamente feconda e ha costituito lo spazio che ha permesso l'emersione di nuovi e importanti settori di studio (dal "genere" alla storia urbana) e continua a essere un punto di riferimento ineludibile per correggere gli approcci troppo esclusivi alla politica, alla cultura o all'economia. Non a caso non di esaurimento, ma piu' opportunamente di metamorfosi della storia sociale si e' discusso qualche anno fa tracciando un bilancio nell'omonimo fascicolo, curato nel 2002 da Maria Malatesta, di "Memoria e ricerca" (www.fondazionecasadioriani.it). Anche per la storia del lavoro la diagnosi di una crisi e' questione di prospettiva: lo dimostrano le quasi ottocento pagine della raccolta curata da Jan Lucassen per i tipi bernesi di Peter Lang, che ne traccia uno "stato dell'arte" su scala mondiale. * Un interrogativo di fondo Nel saggio che apre Global Labour History, Marcel van der Linden invita sin dalle prime pagine a prendere atto che il mondo e' molto piu' ampio dell'area nordatlantica ove e' nata e si e' sviluppata da piu' di un secolo la storiografia sulla classe operaia. La "globalizzazione" della labour history e' ormai cosa compiuta: mentre si delinea una sempre piu' stretta comunicazione su scala mondiale, gli sviluppi in alcune aree (soprattutto America Latina, Sud Africa e India) sono tali da mettere in discussione gli assunti tradizionali del campo di studi e si profila la possibilita' di delineare una vera e propria storia "globale". Quest'ultimo ambizioso orizzonte si scontra tuttavia con questioni teoriche ancora in sospeso. La "storia globale" della classe lavoratrice va intesa come "storia universale del lavoro", vale a dire come comparazione fra esperienze diverse nel tempo e nello spazio, o come "storia del lavoro globalizzato", cioe' dal punto di vista delle catene transnazionali che connettono la produzione e, sia pure in forma ancora limitata, l'esperienza e l'organizzazione operaia? A questo interrogativo di fondo se ne affiancano altri: fin quando e' possibile proiettare nel passato un concetto come quello di "societa' globale"? Quando matura la transizione al capitalismo, con il mercato mondiale del Quattro-Cinquecento (la linea che va da Smith a Wallerstein) o con la produzione industriale del tardo Settecento (con Marx, Mandel e Brenner)? Come scrivere una storia non eurocentrica, che non assuma l'"Occidente" a modello su cui misurare le lacune o distorsioni degli altri percorsi storici? Lo stesso concetto di "classe operaia" e di "lavoratore" va ripensato in profondita', oltre la centralita' del lavoro salariato "libero", poiche' nella nascita e riproduzione della societa' capitalistica sono state e restano centrali altre forme di lavoro, soggetto a coercizione economica (i debiti, contratti-capestro semiservili finalizzati all'emigrazione, la mezzadria, etc.) o extra-economica (schiavitu', servitu', lavoro domestico, etc.). Il contributo di van der Linden si chiude delineando un'agenda di questioni cruciali. * La svolta dell'Ottocento All'enfasi di van der Linden sui problemi presenti della ricerca, segue, nel saggio di Jan Lucassen, una ricostruzione dei modi nei quali si e' effettivamente tentato di scrivere una storia "globale" della classe operaia. A fronte del massiccio investimento novecentesco in forme "nazionali" e specialistiche di storiografia, che hanno segnato anche il momento apicale degli anni Sessanta-Settanta e le stesse esperienze britanniche (basti pensare ai nomi di Thompson e Hobsbawm), nel secolo precedente, pur senza la raffinatezza e la profondita' della matura labour history, si possono rinvenire alcuni segnali di una sensibilita' diversa, prima dell'impatto decisivo del marxismo e della nascita di una storiografia di parte socialista. Dopo secoli di oblio, per il basso status sociale di lavoro e lavoratori, l'Ottocento segno' la nascita di uno specifico interesse storico, nel quadro di un'attenzione generale delle scienze sociali a lavoro e produzione, che ci ha lasciato le tuttora imprescindibili elaborazioni di Marx, Durkheim e Weber. Nel 1838, uno di questi primi storici, il francese Granier de Cassagnac, descriveva con un'immagine efficace la svolta: "Le classi lavoratrici (...) vanno a bussare con la stessa forza alla porta degli studiosi e a quella dei re, dicendo ai primi: 'Vogliamo la nostra storia' e ai secondi 'Vogliamo il nostro pane'". Sono tentativi storiografici isolati, ma di grande interesse, non solo perche' la loro scala geografica e temporale era, almeno programmaticamente, molto ampia, ma anche per la loro attenzione a figure sociali poi ridimensionate dalla concentrazione marxista sul proletariato di fabbrica nazionale, come i lavoratori stagionali-occasionali (il "precariato" storico), gli artigiani salariati, i militari professionali e gli apprendisti. * Dentro l'economia-mondo Il decentramento dalla prospettiva europea e nordamericana e' evidente in tutti i contributi del volume. Uno dei migliori studiosi di storia africana, Frederick Cooper, mostra come il paradigma della "proletarizzazione" non regga all'esame delle vicende dell'Africa sub-sahariana: inserita, almeno dall'epoca del commercio atlantico di schiavi, nell'economia-mondo capitalistica, come hanno segnalato da tempo C.R.L. James ed Eric Williams, quell'area non ha conosciuto processi di formazione di "classe". Anche nel quarto di secolo successivo alla seconda guerra mondiale, quando quel fenomeno sembro' avviarsi, la stabilizzazione lavorativa e' coesistita con l'articolazione di lavoro salariato e di logiche relazionali di comunita' e parentela. * Il ruolo dell'Africa Al di la' di un orientamento economicistico, la diffusione della produzione capitalistica coinvolge anche politica e ideologia, disciplinamento sociale e creazione di categorie giuridiche: a quel livello i propositi normalizzatori delle elite coloniali e post-coloniali si sono scontrati con le strategie e i bisogni delle societa' africane, rendendo del tutto fuorviante lo schema della "proletarizzazione", ma sollecitando l'analisi approfondita della diffusione del salariato. L'Africa, conclude Cooper, e' stata trasformata dalla connessione globale, ma al contempo il mondo globale nel quale viviamo e' condizionato, da secoli, dal lavoro degli africani. Le miniere africane sono importanti anche nel quadro della ricerca internazionale su lavoro nei bacini carboniferi, riassunta da Ian Phimister. L'immagine tradizionale che contrappone, a partire dai ricorrenti scioperi generali, la solidarieta' di classe delle comunita' di miniera alla repressione padronale e statale, e' stata rivista. Paradossalmente la ricerca europea ha conseguito solidi risultati proprio quando i pozzi europei hanno perso rilievo su scala mondiale. Tuttavia i quadri d'insieme quantitativi e i dettagliati studi di caso su Gran Bretagna, Francia e Germania rappresentano solo una parte dell'innovazione storiografica recente: altrettanto si deve all'esame della stratificazione etnica nelle comunita' minerarie statunitensi e indonesiane o al rilievo della dimensione di genere in quelle sudafricane e cilene. I contributi di Cooper e Phimister segnalano con forza la necessita' di condurre indagini puntuali su contesti locali o regionali, cercando tuttavia di connetterle in una trama transnazionale o comparativa. Lo stesso van der Linden conclude la sua rassegna problematica indicando alcuni settori sui quali potrebbe dirigersi la futura labour history su scala globale. * Lessici dei mestieri Fra gli altri, van der Linden menziona la chiarificazione concettuale fra le diverse tradizioni nazionali al fine di rendere traducibili i rispettivi lessici del lavoro, lo studio comparato delle corporazioni e dei loro sviluppi in eta' capitalistico-industriale, il confronto internazionale di mestieri e professioni (tradizionalmente "operai" come tessili e metalmeccanici, ma anche domestici e venditori ambulanti) e lo studio sull'azione collettiva transnazionale, come il ciclo di lotte operaie e studentesche del 1966-1976 o la comparazione dei fenomeni ricorrenti di "luddismo", cioe' di distruzione delle macchine da parte dei lavoratori come forma di lotta. In questa agenda potrebbero inserirsi anche gli studi italiani, poco presenti in queste pagine, vuoi per ragioni linguistiche, vuoi per la loro ancora parziale internazionalizzazione. A pesare e' soprattutto il riflusso storiografico, la cesura degli anni Ottanta, ma gioca un certo ruolo anche l'odierna dispersione, che rende il nostro paese un caso particolare, mentre in giro per il mondo nascono associazioni niente affatto accademiche, tese al coordinamento e alla promozione della storia del lavoro. * Postilla. Storia del lavoro, lo stato dell'arte Nono volume di un'importante collana dedicata alla "storia sociale comparata e internazionale", che comprende titoli su razzismo e mercato del lavoro, mutualismo, sindacati, migrazioni, diritto del lavoro, Global Labour History. A State of the Art pubblica i contributi, rivisti e ampliati, presentati nel 2000 al convegno per il sessantacinquesimo anniversario della fondazione dell'Istituto internazionale di storia sociale di Amsterdam (www.iisg.nl). Ai saggi di taglio piu' generale di van der Linden e Lucassen, si affiancano interventi sulla storia del lavoro e dei lavoratori in singole aree geografiche (Cooper sull'Africa subsahariana, Lockman su Medio Oriente e Nordafrica, Bhattacharaya sull'Asia meridionale, Suzuki sul Giappone, Palmer su Canada e Stati Uniti, Geary sull'Europa, French su America latina e Caraibi, Taksa sull'Oceania, Dirlik sulla Cina e Sokolov sulla Russia) e studi globali o comparati (Parthasarathi sugli agricoltori, Saptari sul lavoro domestico, Lucassen sui fornaciai, Phimister sui minatori, Heerma van Voss sui portuali e Stromquist sui ferrovieri). Chiudono il volume un centinaio di pagine di bibliografia e indici tematici, nominativi e geografici. 5. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2008 Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo: l'Agenda dell'antimafia 2008, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2007, euro 10. A cura di Anna Puglisi e Umberto Santino, edita dal Centro Impastato con Addiopizzo, Cesvop, Comune di Gela, Consorzio Ulisse. L'agenda puo' essere richiesta al Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it 6. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI" 2008 Dal 1994 ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine offre spunti giornalieri di riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di "antologia della nonviolenza" che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata. Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo. Per richieste: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell. 3495843946, e-mail: info at qualevita.it, sito: www.qualevita.it Il costo di una copia di "Giorni nonviolenti" 2008 e' di 10 euro, sconti progressivi per l'acquisto di un numero di copie maggiore. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 359 dell'8 febbraio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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