Nonviolenza. Femminile plurale. 156



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 156 del 7 febbraio 2008

In questo numero:
1. Federica Curzi: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
2. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
3. Itala Ricaldone: Un convegno genovese nel sessantesimo anniversario della
morte di Gandhi
4. Gloria Gazzeri: Tolstoj e l'ebraismo
5. Laura Silvia Battaglia intervista Sahar Khalifah

1. AMICIZIE. FEDERICA CURZI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Federica Curzi (per contatti: federica_curzi at libero.it) per
questo intervento.
Federica Curzi, nata a Jesi (Ancona), si e' laureata in filosofia nel 2002
presso l'universita' di Macerata ove attualmente svolge un dottorato di
ricerca; alla sua tesi e' stato attribuito il premio dell'Associazione
nazionale Amici di Aldo Capitini; collabora alla rivista on line
www.peacereporter.net Opere di Federica Curzi: Vivere la nonviolenza. La
filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004. Scritti su Federica
Curzi: cfr. l'ampio saggio dedicato al suo libro da Enrico Peyretti ne "La
domenica della nonviolenza" n. 23.
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che
contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale -
ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca -
bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato
il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una
raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea
d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo,
Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996;
segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri,
Edizioni Associate, Roma 1991; e la recente antologia degli scritti (a cura
di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della
nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione
nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org)
sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di
Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di
un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90
e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui
apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un
volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione
ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo
Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il
messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno:
Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di),
Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988;
Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini.
Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi
Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova
Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per
una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini,
Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume
monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante,
La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del
Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta
2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini,
Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un
profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze
2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze
2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della nonviolenza
di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; cfr. anche il capitolo dedicato a
Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi,
Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro
di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini
sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini:
www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai
utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere
richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a
Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento
Nonviolento: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it o anche redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org]

Da sempre, anche prima che esistessero parole e lessico atti a nominarla, la
nonviolenza vive in concomitanza con emergenze, necessita', urgenze. In
tempi come questi in cui una priorita' di civilta' e' la coltura della
democrazia in crisi di sistema e la cultura della pace che non sia scambiata
con il culto dell'umanitarismo, e' importante sottolineare l'esistenza di
luoghi specifici, reali e simbolici, in cui un mondo e' in movimento per il
rinnovamento delle pratiche dominanti (che si mantengono attraverso il
dominio). E' questione di giustizia promuoverli questi luoghi, promuovere la
loro esistenza, la loro attivita' e la crescita del loro potere di
rappresentanza. "Azione nonviolenta" e' una rivista in cui la nonviolenza ha
diritto di cittadinanza ed in cui gli amici della nonviolenza possono
sentirsi rappresentati.
La nonviolenza e' l'ispirazione di un agire quotidiano, storico, politico
che attualmente nel nostro paese e' apolide. Non esistono luoghi, al di la'
di quello in cui leggiamo anche questo articolo e questa campagna
abbonamenti per il luogo che e' "Azione nonviolenta", in cui ci si confronta
seriamente e si produce cultura nonviolenta. Chi volesse divenire persuaso
della nonviolenza o almeno confrontarsi con chi e' in cammino per
diventarlo, ha bisogno di un luogo in cui farlo. Come, invece, chi vive e
lavora giorno dopo giorno a percorsi culturali, esistenziali, religiosi e
spirituali ispirati alla nonviolenza ha il diritto di offrire a se stesso
una rappresentazione della comunita' che contribuisce a costruire.
Per questo non e' soltanto importante abbonarsi ad "Azione nonviolenta", ma
e' urgente assiepare ciascuna e ciascuno le proprie energie attive o
recettive attorno a questo progetto che di anno in anno compie gli stressi
anni dell'idea di un filosofo italiano che aveva il sogno di essere
incisivo, e non da solo, nel condizionare la vita pubblica, civica e
politica di questo paese con la fiducia e la credibilita' di un'Azione
Nonviolenta. Il suo nome era Aldo Capitini.

2. INDICAZIONI PRATICHE. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964; e' un mensile di formazione, informazione e
dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Redazione, direzione e amministrazione sono in via Spagna 8, 37123 Verona,
tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax 0458009212,
e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona. Oppure
bonifico bancario sullo stesso conto presso BancoPosta ABI 07601 - CAB
11700. Speificare nella causale "Abbonamento a 'Azione nonviolenta'".
E' possibile chiedere una copia omaggio della rivista, inviando una e-mail
all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione
nonviolenta'".

3. MEMORIA. ITALA RICALDONE: UN CONVEGNO GENOVESE NEL SESSANTESIMO
ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI GANDHI
[Attraverso Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) riceviamo il
seguente articolo apparso su "Notam" n. 301 del 4 febbraio 2008 (per
contatti: e-mail: notam at sacam.it, sito: www.ildialogo.org/notam).
Itala Ricaldone, studiosa e divulgatrice in Italia dell'opera di Vinoba
Bhave, il discepolo prediletto da Gandhi, e' la presidente di Assefa Italia.
Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo
pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della
nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio
d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di
convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra,
avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro
la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della
nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito
del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico.
Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la
teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione
economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il
30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di
quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va  mitizzato, e
che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti
discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione,
della sua opera. Opere di Gandhi:  essendo Gandhi un organizzatore, un
giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una
natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere
contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua
riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede
significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In
italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza,
Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e
autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la
liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton;
Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura
della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e
fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi
sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di
frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da
Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio
pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato
l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi
ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali
della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono
stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi
massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda
il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza
civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi:
tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente
accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro
di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung,
Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente
detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il
Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il
Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il
Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e'
quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia
cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti
nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente
utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L.
Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti
Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci,
Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di
Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti
pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero
nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark
Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini,
L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con
la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini)
2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi
in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006; Giuliano Pontara,
L'antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega,
Torino 2006]

Si e' celebrato in questi giorni il sessantesimo anniversario della morte di
Gandhi, ucciso da un fanatico indu', cioe' della sua stessa religione, che
lo riteneva troppo legato ai musulmani. Il destino di Gandhi sembra proprio
essere quello di essere frainteso, usato in forme che lui non avrebbe certo
approvato, dato che sua caratteristica era quella di lottare per il bene,
senza avere nell'animo o nei mezzi alcuna parvenza di odio o di disprezzo
nei confronti delle persone. Il 30 gennaio, giorno dell'anniversario, al
Porto Antico, l'ambasciatore dell'India in Italia e il Comune di Genova
hanno realizzato un omaggio di fronte alla statua di Gandhi, e anche
precedentemente diverse manifestazioni si sono svolte in citta'. Tra queste
un convegno organizzato da Laborpace (Caritas), Assefa e Movimento
Nonviolento.
*
Il convegno intendeva far riflettere sul carattere estremamente esigente,
spirituale e costruttivo del messaggio e della vita di Gandhi. Infatti e'
stata sottolineata la base religiosa del concetto di ahimsa (nonviolenza)
derivato dalla tradizione indu' e reso ancor piu' rigoroso per Gandhi dalla
religiosita' jainista di sua madre, seguace appunto di una spiritualita' che
richiede un grande rispetto per tutte le creature viventi e un grande
spirito di sacrificio personale, in cui il digiuno e' l'espressione piu'
tipica. Gandhi eredita tutto questo e trasforma il concetto "negativo" di
non-violenza in concetto positivo di amore (Dolcini, Universita' Statale di
Milano).
Nella straordinaria vicenda del Mahatma (Grande anima), come venne chiamato
da Tagore, numerosi sono i suggerimenti che ci propone per l'oggi. F. Contri
(vicepresidente emerito della Corte Costituzionale) sottolinea che, nella
sua qualita' di avvocato, Gandhi aveva capito che suo primo dovere era
quello di cercare la verita', tanto da essere capace di vedere le ragioni
delle parti in conflitto meglio di quanto loro stesse ne avessero
percezione. Su questa base, diventava possibile proporre una mediazione
accettabile da tutti. La figura del mediatore nei conflitti giudiziari
sarebbe indispensabile specialmente a favore dei minori quando il conflitto
e' tra i genitori, e ora si incomincia a comprenderne l'importanza. Infatti,
a livello delle autorita' europee, e' in atto l'idea di proporre questa
figura del mediatore, mentre anche a Genova l'ambiente giudiziario si
propone di studiare questa possibilita'.
Tutto il programma di Gandhi contiene in particolare una proposta di
educazione permanente, specie nei villaggi nei quali tuttora in India vive
la maggioranza della popolazione. A cominciare  dai bambini piccolissimi,
con una forma di educazione che parta dalla gioia e sappia trarre dagli
scolari il meglio di se' (E. Bianco, presidente della ong Assefa-Italia).
Gandhi proponeva l'educazione della mano con attivita' manuali che
aiutassero a ragionare, a restare collegati con la realta' e con l'ambiente
circostante, a mantenere la percezione della dignita' di qualsiasi lavoro.
Educazione del cuore con l'aiuto a vivere forme di solidarieta' e amore per
gli altri. E infine l'istruzione. Tutto questo viene attuato, insieme con la
preparazione ad essere cittadini responsabili, nelle scuole di villaggio
Assefa in India. Questo ideale fa parte del piu' ampio programma costruttivo
che il Mahatma aveva pensato per l'India liberata, perche' sarebbe stato
irresponsabile semplicemente sostituire i britannici con indiani
anglicizzati nelle scuole dell'Impero: riteneva infatti che senza
preparazione di un cambiamento culturale non sarebbe cambiato nulla, e
magari la situazione avrebbe potuto peggiorare. Si puo' constatare che,
anche se non ha messo in pratica propriamente il programma gandhiano,
l'India e' l'unico paese ex coloniale in cui ha retto senza discontinuita'
la democrazia.
Altra parola chiave della lotta di Gandhi e' il termine "satyagraha", cioe'
"la forza della verita'", concetto nato durante la sua prima lotta in
Sudafrica l'11 settembre 1907, cent'anni fa lo scorso anno. Satyagraha vuol
anche dire fermezza nel perseguire la giustizia (Fulvio Cesare Manara,
Universita' di Bergamo). Nella ricerca della verita', che non si possiede ma
va ricercata con umilta', cioe' sentendosi meno che polvere, si puo'
proporre all'avversario un messaggio che lo colpisce nel profondo e puo' far
emergere una conversione, o, quanto meno, quel che di buono si nasconde
nell'animo di qualsiasi persona.
La salvaguardia dell'ambiente e' un tema che e' tutt'altro che estraneo alla
possibilita' della pace (Rocco Altieri, Universita' di Pisa). Sono note le
occasioni di conflitto dovute alla gestione delle risorse naturali: acqua,
inquinamento, ecc. Pero' certi codici di comportamento sono difficili da
attuarsi nei paesi in cui non c'e' democrazia o domina il conflitto.
La nonviolenza e' necessaria anche per costruire un'economia sana (M.
Bramante), perche' la violenza genera poverta', mentre non e' affatto
provato il contrario.
Nella costruzione di un mondo piu' giusto e' importante anche il mercato
equo e solidale, anche se dal punto di vista delle teorie economiche
tradizionali e' un'anomalia perche' non e' determinato dall'interesse
dell'acquirente (F. Praussello, Universita' di Genova) ed ha diffusione
attualmente limitata: il 2%. Pero' ha la funzione di convincere i grandi
produttori a tenere conto dei diritti dei lavoratori.
In definitiva viene a delinearsi come dovrebbe essere una societa'
nonviolenta, che Gandhi vedeva come una comunita' formata da persone capaci
di autonomia personale (Mariani, saggista). Criticava l'invadenza delle
macchine, che avrebbe voluto limitata soltanto a quel che poteva esser
facilitazione del lavoro, ma a condizione che non togliesse all'uomo la
possibilita' del lavoro anche manuale.

4. RIFLESSIONE. GLORIA GAZZERI: TOLSTOJ E L'EBRAISMO
[Dalla bella rivista "Keshet", VIII, novembre-dicembre 2006 (disponibile
anche nel sito www.keshet.it) riprendiamo il seguente articolo.
Gloria Gazzeri, nitida amica della nonviolenza, e' l'animatrice
dell'associazione degli "Amici di Tolstoi" che ha pubblicato vari utili
libri di e su Tolstoj e per la nonviolenza.
Lev Tolstoj, nato nel 1828 e scomparso nel 1910, non solo grandissimo
scrittore, ma anche educatore e riformatore religioso e sociale,
propugnatore della nonviolenza. Opere di Lev Tolstoj: tralasciando qui le
opere letterarie (ma cfr. almeno Tutti i romanzi, Sansoni, Firenze 1967; e
Tutti i racconti, Mondadori, Milano 1991, 2005), della gigantesca
pubblicistica tolstojana segnaliamo particolarmente almeno Quale scuola,
Emme, Milano 1975, Mondadori, Milano 1978; La confessione, SE, Milano 1995;
Perche' la gente si droga? e altri saggio su societa', politica, religione,
Mondadori, Milano 1988; Il regno di Dio e' in voi, Bocca, Roma 1894, poi
Publiprint-Manca, Trento-Genova 1988; La legge della violenza e la legge
dell'amore, Edizioni del Movimento Nonviolento, Verona 1998; La vera vita,
Manca, Genova 1991; l'antologia Tolstoj verde, Manca, Genova 1990. Opere su
Lev Tolstoj: dal nostro punto di vista segnaliamo particolarmente Pier
Cesare Bori, Gianni Sofri, Gandhi e Tolstoj, Il Mulino, Bologna 1985; Pier
Cesare Bori, Tolstoj, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole
(Fi) 1991; Pier Cesare Bori, L'altro Tolstoj, Il Mulino, Bologna 1995; Amici
di Tolstoi (a cura di), Tolstoi il profeta, Il segno dei Gabrielli, S.
Pietro in Cariano (Vr) 2000]

Chi fu veramente Lev N. Tolstoj (1828-1910)?
Tutti hanno letto infatti Guerra e pace o Anna Karenina e magari qualcuno
degli straordinari racconti di Tolstoj. Poco conosciuti e letti invece sono
i suoi scritti filosofico-religiosi (quelli di cui il nostro gruppo di
ricerca si e' occupato specificatamente).
Eppure questi scritti - diari e lettere compresi - occupano circa una meta'
dei novanta volumi che costituiscono l'Opera omnia di Tolstoj nell'edizione
russa critica detta "del Giubileo".
Diremo anzi che questa seconda parte della sua vita e opera e' stata finora
rimossa, oscurata nella cultura moderna ufficiale. Non possiamo certo, nel
breve spazio di questo articolo, approfondire il perche' e il come di questo
misterioso occultamento (rimandiamo per questo al nostro saggio Tolstoi il
profeta); possiamo solo cercare di comunicare in breve il senso del
messaggio che Tolstoj ci lascio'.
Lasciamo parlare Tolstoj stesso, che cosi' scriveva nel 1884: "Ho vissuto
nel mondo 55 anni e, ove si escludano i 14 o 15 anni dell'infanzia, ne ho
vissuti 35 da nichilista... nel senso di mancante di ogni fede. Cinque anni
fa credetti nella dottrina di Cristo e all'improvviso la mia vita muto'...
Tutto dipese dall'aver capito la dottrina di Cristo in modo diverso da come
la intendevo prima. Non voglio offrire un'interpretazione della dottrina di
Cristo, voglio solo riferire come capii quello che in essa e' semplicissimo,
chiaro, comprensibile e incontrovertibile, rivolto a tutti gli uomini; e
come quello che capii sconvolse la mia anima e mi diede serenita' e
felicita'" (La mia fede. Introduzione).
In altri scritti Tolstoj racconta come alle soglie dei cinquant'anni -
ricco, famoso, amato (era felicemente sposato con numerosi figli) - si
accorge che la vita non ha senso, lo aspettano solo malattia, vecchiaia e
morte, viene preso dalla disperazione e pensa al suicidio.
E' la crisi del Buddha.
Tornato alla fede in Dio, cerca di cambiare la sua vita di ricco
possidente - pur fra enormi difficolta' - ma soprattutto cerca di
trasmettere alla gente quello che ha scoperto. Anzi, a mano a mano che
avanza nella sua ricerca, sente che Dio stesso lo chiama a dare un messaggio
agli uomini, in un momento storico in cui l'ordine cosmico appare gravemente
offeso e l'umanita' in pericolo.
"Giammai, prima d'ora, l'umanita' e' stata tanto vicina all'annientamento,
giammai cadde tanto moralmente in basso" (Conversazione con Teneromo sul
sionismo).
Egli sente, sa che Dio si serve di lui nonostante i suoi peccati, la sua
indegnita': "I miei pensieri, i miei scritti sono solo passati attraverso di
me, e cio' che in essi vi e' di cattivo e' mio, cio' che in essi vi e' di
buono e' di Dio" (Lettera a E. V. Molostova, 15 giugno 1904).
Un messaggio non sistematico ("non devo e non ne avrei nemmeno il tempo, in
ogni caso non devo assolutamente scrivere un sistema", Diari, 15 dicembre
1900), che si snoda per migliaia di pagine, non puo' certo essere riassunto
in breve qui. Ne elenchiamo solo i temi principali: la "non resistenza al
male"; l'antimilitarismo; la pedagogia antiautoritaria; la critica radicale
a ogni sistema di potere, sia politico che ecclesiastico; la critica alla
scienza moderna; la condanna del lusso, delle ricchezze, dello sfruttamento
delle masse operaie e contadine; l'esaltazione della civilta' agricola; il
vegetarianesimo; la teoria dell'arte popolare; l'esegesi biblica e
l'interesse per l'Oriente; l'etica della fratellanza, dell'amore, della pace
fra tutti gli uomini.
E possiamo solo cercare di comunicare in sintesi il senso del suo messaggio.
Tolstoj vuole avvertire gli uomini che si trovano di fronte a un pericoloso
passaggio epocale, annuncia "la rovina verso cui stiamo correndo
inarrestabilmente" (Ricredetevi, cap. V).
Implora di fermarsi, ascoltare, cambiare strada. Individua l'origine dei
nostri mali nella perdita di una comune spiegazione circa il significato e
lo scopo dell'esistenza, nella diffusione esponenziale della violenza e
dell'inganno nei nostri rapporti. Occorre allora "studiare cio' che e' stato
elaborato da tutti i grandi pensatori riguardo alla definizione degli
autentici fondamenti religiosi della vita" (Sul socialismo). Occorre
soprattutto porre l'amore reciproco, compreso l'amore per i nemici, a
fondamento dei rapporti umani, sia personali che sociali e politici, poiche'
questo amore e' oggi per noi la sola via di salvezza.
"Il prossimo compito della vita consiste nel sostituire la vita fondata
sulla lotta e la violenza con una vita fondata sull'amore e il ragionamento"
(Diari, 29 novembre 1901).
"Per sbarazzarsi di un nemico, bisogna amarlo" (Diari, 14 settembre 1896).
E ancora: "Vorrei supplicare gli uomini di godere cio' che della felicita'
della vita e' in nostro potere. Questa felicita' della vita che sopprime
tutto, prevale su tutto cio' che e' spiacevole e doloroso, questa felicita'
e' l'amoreî (Quaderni, 13 agosto 1907).
Sulla "non resistenza al male" e sull'amore Tolstoj scrivera' centinaia di
pagine, che ispireranno Gandhi nella sua azione politica. In particolare Il
Regno di Dio e' dentro di voi, uno dei testi tolstoiani piu' importanti
sull'argomento, letto da Gandhi in Sud Africa nel 1894, nella versione
inglese, dara' origine alla sua conversione alla nonviolenza.
*
E veniamo alla seconda parte del nostro argomento. Che rapporto c'e', ci si
chiedera', fra uno scrittore russo di un secolo fa ispirato dal Vangelo e
l'ebraismo? Vi sono interessanti contatti storici innanzitutto (1).
Bisogna anche tener presente che Tolstoj, dopo essere partito dal puro
Vangelo (2), scartando e anzi opponendosi alle successive interpretazioni -
a volte manipolazioni - ecclesiastiche, allargo' la sua ricerca a tutte le
altre grandi religioni e giunse alla conclusione che "le dottrine religiose
sono innumerevoli ma la religione e' unica" (La religione e le religioni).
Scrisse, di conseguenza, un articolo specifico Sulla tolleranza religiosa
(1901).
Nell'ambito di questa ricerca religiosa a largo raggio studio' i testi
ebraici e fu in amichevoli rapporti con parecchi ebrei, i quali nella Russia
zarista costituivano, si puo' dire, un mondo a parte, soggetto a gravi
restrizioni civili e non di rado a crudeli persecuzioni.
Tolstoj si appassiono' alla letteratura e alla lingua d'Israele. Studio'
l'ebraico con il rabbino Minor di Mosca. Essi fecero insieme la lettura del
Vecchio Testamento, dalla prima parola del Genesi a Isaia, ma con lacune.
Facevano confronti con il Nuovo Testamento, e Minor osservava quasi a ogni
versetto del cap. V di Matteo: "Questo si trova nel Vecchio Testamento,
quest'altro nel Talmud". Ma quando arrivarono al precetto di non resistere
al male, il rabbino confesso' che nulla di simile si trovava nel Vecchio
Testamento o nel Talmud, aggiungendo pero' con un sorriso: "Ma i cristiani
l'osservano?" (Riprenderemo l'argomento della non resistenza piu' avanti).
Tolstoj spinse i suoi studi sino al Talmud e alle idee dei talmudisti (3),
sempre interrogando, discutendo, ponendo confronti e interpretazioni morali
ed esegetiche. Ammiro' il meglio dell'antica sapienza ebraica: i Profeti,
Giobbe, i Salmi, l'Ecclesiaste, i Proverbi, la Sapienza, erano i libri che
piu' apprezzava e citava spesso. Pose Mose' tra i grandi saggi
dell'umanita'. Considero' molto importante, per il suo valore morale e
sociale, il v. 19 del cap. III del Genesi "Tu mangerai il pane con il sudore
della tua fronte", ch'egli interpreto' "Impasta il tuo pane col sudore della
tua fronte", per far risaltare l'idea, a lui cara, del lavoro manuale.
La "regola aurea" fu uno dei principi basilari della "religione universale"
di Tolstoj. Molto gradite dunque gli saranno risuonate le parole di Hillel,
il dottore fariseo di poco antecedente Gesu': "Non fare agli altri cio' che
ti e' sgradito: ecco tutta la Legge, il resto non e' che il commento".
Le persecuzioni sanguinose che il governo zarista infliggeva agli ebrei
russi indignarono profondamente Tolstoj che condanno' "il governo con il suo
clero che abbrutisce e fanatizza gli uomini e la sua banda di funzionari
briganti", e in una lettera simpatizzo' con gli ebrei "fratelli che io amo
non perche' ebrei, ma perche' noi ed essi, come tutti gli uomini, siamo i
figli di uno stesso Padre, Dio" (Lettera del 27 aprile 1902 a un suo
conoscente ebreo). Alla fine di questa lettera, Tolstoj esorta gli ebrei a
seguire la regola aurea del "fare agli altri cio' che si vuole fatto a noi
stessi" e a lottare contro il governo non con la violenza, ma con il buon
sistema di vita che esclude non solo ogni violenza sul prossimo, ma la
partecipazione alla violenza. In quell'anno 1903 si era avuto il pogrom di
Kishinev che commosse il mondo civile (non ancora testimone dei massacri di
ebrei a milioni, operati dai nazisti). Tolstoj diede il suo nome a una
protesta firmata da un gruppo di eminenti studiosi, e quando il noto
scrittore ebreo Shalom Alechem volle pubblicare, in aiuto alle vittime, una
raccolta letteraria, Tolstoj vi contribui' con tre racconti.
Molti ebrei di diverse nazioni, Italia compresa, furono studiosi di Tolstoj
di vario tipo: ammiratori, critici sereni e critici negativi, traduttori,
espositori ed editori delle sue opere.
Citiamo solo, in proposito, come caratteristico, l'atteggiamento del dotto
ebreo lituano Joseph Klausner che, nella sua nota opera Gesu' di Nazareth,
1922 (originale ebraico, tradotto in inglese, francese, tedesco) cita piu'
volte Tolstoj e le sue idee. Egli chiama Tolstoj "colosso morale della
nostra epoca", ma non accetta pienamente l'immagine di Gesu' data da Tolstoj
poiche' il Gesu' storico ed ebreo e' ridotto da lui quasi a nulla (4).
Ma forse i due dati piu' interessanti dei rapporti storici di Tolstoj con
l'ebraismo sono i seguenti. Non tutti sanno che Aharon David Gordon, il
grande fautore del sionismo socialista, era un tolstoiano. Egli cerco'
infatti di applicare nei kibbutzim i principi tolstoiani di fraterna
uguaglianza e il lavoro della terra anche per gli intellettuali. Comuni
tolstoiane simili si erano formate anche in Russia. Alcune si esaurirono da
se', altre furono perseguitate e distrutte dal governo sovietico.
Di notevole interesse ci sembra poi una conversazione di Tolstoj sul
sionismo, raccolta dal discepolo e segretario Fainerman (Teneromo) (5)
intorno agli anni 1880. In sintesi, Tolstoj si dichiarava contrario a uno
Stato ebraico con il suo esercito, il suo parlamento, e cosi' via - infatti
egli era contrario a ogni organizzazione statale -, mentre era estremamente
favorevole a un movimento di emigrazione "per allargare lo spazio dove sono
assiepati gli ebrei e riportarli al lavoro agricolo". Naturalmente si puo'
essere o non essere d'accordo con queste sue idee, varrebbe pero' la pena di
esaminarle.
Ma noi crediamo che ancora piu' importante e costruttivo sarebbe il
ricercare e lo scoprire il senso dei rapporti profondi, spirituali, fra
Tolstoj e l'ebraismo.
Innanzitutto l'intero mondo moderno - o meglio postmoderno - occidentale
avrebbe bisogno di conoscere e assimilare sempre piu' questo pensiero
tolstoiano per salvarsi dall'autodistruzione. E di questo mondo la cultura
ebraica e' parte intrinseca, e non di poco conto.
Specificatamente, poi, noi crediamo che la teoria e la pratica della non
resistenza - nonviolenza, che e' il nocciolo del messaggio tolstoiano,
riguardi il popolo ebraico molto da vicino. Una ricerca sull'argomento
sarebbe essenziale. Rimane un problema aperto.
Il rabbino Minor non trovava riferimenti alla non resistenza nell'Antico
Testamento, invece possono trovarvisi e tanti (pensiamo al servo di JHWH che
"oppresso tutto sopportava senza aprire bocca" in Isaia; al Signore che
"fara' cessare le guerre sino ai confini della terra" del Salmo 45; o a
certi detti del Siracide: "E' un eunuco che vuol deflorare una ragazza chi
vuole rendere giustizia con la violenza", 20, 4).
E ancora, se il famoso rabbino italiano del XIX secolo Elia Benamozegh (6)
faceva la distinzione - come del resto gia' sant'Agostino e Lutero - fra il
privato in cui si deve perdonare il nemico, e il politico in cui il nemico
resta nemico, questa distinzione e' oggi messa in discussione.
Quanta sofferenza inutile, insensata per la violenza politica il popolo
ebraico ha sempre subito in passato e oggi in Palestina da' e subisce!
"La sostituzione della violenza con l'accordo ragionevole - ammonisce
Tolstoj - non bisogna aspettarsela al di fuori di noi, bisogna invece
realizzarla nella nostra vita" (Lettera a Goldweizer, 11 novembre 1905).
*
Note
1. A parte una straordinaria somiglianza di posizioni - diremmo quasi di
immagine - con i profeti di Israele, che fece pensare a origini ebraiche
della famiglia Tolstoj, origini che pero' furono smentite, a me che lo
chiedevo, dalla nipote stessa Tania Albertini Tolstoj.
2. Ma poi Gesu' detto il Cristo non era forse un ebreo, legato alla cultura
ebraica? E non sarebbe opportuno che la cultura ebraica - cosa che del resto
credo si stia cominciando a fare - ne riscoprisse il messaggio originale
autentico, come voleva Tolstoj, al di la' di tanti secoli di interpretazioni
piu' o meno forzate?
3. Moltissime sono le frasi del Talmud da Tolstoj citate nelle sue raccolte
di detti memorabili: La via della vita, Pensieri di uomini saggi, e altri.
4. Per queste notizie ci siamo serviti del testo di P. Biriukof ed E.
Marcucci, Tolstoj e l'Oriente, Alaya, Milano 1952, che dedica alcune pagine
specifiche ai rapporti di Tolstoj con l'ebraismo.
5. Isaac Borissov Fainerman (1862-1925), che si firmava con lo pseudonimo di
Teneromo, era appunto un ebreo russo, ammiratore di Tolstoj, che aveva
organizzato una comunita' tolstoiana nella provincia di Kherson intorno al
1889. Egli annoto' fedelmente conversazioni e pensieri di Tolstoj. Ne esiste
un'edizione in russo e una in francese.
6. E. Benamozegh, Morale ebraica e morale cristiana, Marietti, Genova 1997.

5. TESTIMONIANZE. LAURA SILVIA BATTAGLIA INTERVISTA SAHAR KHALIFAH
[Dal quotidiano "Avvenire" del 25 gennaio 2008 col titolo "Io, palestinese,
cerco pari dignita'" e il sommario "Parla la scrittrice Sahar Khalifah:
'Israele deve rispettarci. Ma noi dobbiamo dimostrare di essere capaci di
vera democrazia'".
Laura Silvia Battaglia, giornalista, poetessa, musicista, autrice per il
teatro musicale e il cinema, nata a Catania nel 1974, vive a Milano;
collabora a varie testate. Tre le sue opere: Per favore non ditelo ai poeti,
Ibiskos, Empoli 2004.
Sahar Khalifah, scrittrice e intellettuale impegnata per i diritti umani,
vive ad Amman ed e' una delle voci piu' autorevoli della letteratura
palestinese; impegnata nella denuncia della condizione della donna nella
societa' araba contemporanea, ha fondato il "Centro per le donne" a Nablus,
Amman e Gaza. Opere di Sahar Khalifah: La svergognata. Diario di una donna
palestinese, Giunti, Firenze 1989; La porta della piazza, Jouvence editore,
Roma 1994; Terra di fichi d'India, Jouvence, Roma. 1996; Una primavera di
fuoco, Giunti, Firenze 2008]

Potrebbe essere davvero una Primavera di fuoco, quella che si preannuncia di
qui a poco in Medio Oriente. Il confine abbattuto nella Striscia di Gaza e
le migliaia di palestinesi che si riversano in Egitto in cerca di cibo e
farmaci, dopo l'embargo israeliano, fanno temere nuove ostilita' tra Israele
e Palestina e fanno emergere ancora piu' forte la spaccatura tra il governo
palestinese di Abu Mazen e il movimento di Hamas. Sahar Khalifah vive ad
Amman ed e' una delle voci piu' autorevoli della letteratura palestinese.
Impegnata nella denuncia della condizione della donna nella societa' araba
contemporanea, e fondatrice del "Centro per le donne" a Nablus, Amman e
Gaza, il suo Una primavera di fuoco, che esce in questi giorni in libreria
(Giunti, pagine 336, euro 14,50), e' la storia di una modesta famiglia
palestinese che vive nel campo profughi di 'Ein al Murgian, vicino a Nablus.
Il tempo e' quello della primavera 2002, seconda Intifada, costruzione del
Muro.
Protagoniste, tre generazioni di palestinesi: un padre e due figli, divisi
tra la fede nella resistenza e il desiderio di comprensione del mondo
ebraico. Sahar Khalifah crede nella pace ma, diversamente dall'israeliano
Avraham Yehoshua, non prevede la "Hudna", cioe' il "cessate il fuoco", da
subito. "Non credo in una soluzione pacifica nell'immediato futuro. Se gli
israeliani non sono ancora pronti, gli arabi non accettano Israele. E anche
se i governi dei Paesi arabi accettano Israele e la sua politica, le
popolazioni no".
*
- Laura Silvia Battaglia: Si riferisce al fatto che Hamas ha grande presa
sulla popolazione palestinese?
- Sahar Khalifah: Israele deve imparare a trattarci alla pari. E gli arabi
devono dimostrare al resto del mondo che sono capaci di una via concreta e
moderna alla democrazia. Entrambi devono imparare troppe cose per dimostrare
agli altri e a se stessi di riuscire a sostenersi da soli. E' un circolo
vizioso. Chi cambiera' atteggiamento per primo? Gli israeliani o gli arabi?
Non ci sono risposte a questo proposito. Lo dira' solo il tempo.
*
- Laura Silvia Battaglia: In questo nuovo libro lei si occupa di
generazioni, della differenza tra le vecchie e le nuove. Come sono le nuove
generazioni di palestinesi? Con quali ideali sono cresciute? In cosa
sperano? Riescono a trovare nei coetanei ebrei un buon motivo per non
odiarli?
- Sahar Khalifah: Le vecchie generazioni hanno scelto il fondamentalismo
come strumento di difesa della loro identita' dall'occupazione israeliana.
Da qui la reazione e la lotta. Ma dalla violenza nasce solo violenza. Per
questo le nuove generazioni sono ancora piu' arrabbiate. Vivere in Palestina
e' come vivere in una immensa prigione, dove non c'e' modo per risalire da
un'economia in picchiata: nella Striscia di Gaza abbiamo il tasso di
poverta' piu' alto, l'80%. Ma non credo che le nuove generazioni di
israeliani siano meno esasperate: la differenza tra i nostri ragazzi e i
loro sta nel fatto che i nostri usano le pietre, e loro le armi
tecnologiche. C'e' una cosa da sottolineare, pero': la fede islamica per
molti di questi giovani e' piu' forma che sostanza. E' piu' un'apparenza,
che non una fede. Gli uomini e le donne nei paesi arabi spesso amano
dimostrare, anche nell'abbigliamento, la loro aderenza religiosa: e in
questo sono alla ricerca dell'identita'. Voglio dire che l'Islam e'
diventato una "merce". E centinaia di sceicchi, facendo presa su questo,
hanno usato la scarsa educazione di alcuni e i pregiudizi nei confronti
dell'Occidente di molti per emergere, arricchirsi, acquisire potere.
*
- Laura Silvia Battaglia: Le donne palestinesi. E' da loro che puo' venire
una scossa per il futuro? Oppure sono le donne le depositarie piu' strenue
della tradizione?
- Sahar Khalifah: Le donne palestinesi, come quelle di ogni parte del mondo,
potranno cambiare il destino della Palestina se verranno dati loro gli
strumenti e le opportunita' per farlo. Ma, con la nuova ondata di
fondamentalismo, ci sono poche possibilita'. Le attiviste dei movimenti
femminili spesso si sentono indifese. E non tanto nei confronti della
tradizione, quanto dalla politica israelo-americana che ci toglie margini di
manovra come donne.
*
- Laura Silvia Battaglia: Lei ha fatto protagonisti di questo libro un
giornalista (il padre) e un ragazzino (Ahmad, il figlio) che ama la
fotografia e ne comprende il valore di testimonianza. "Vedere" equivale
sempre a conoscere, a sapere?
- Sahar Khalifah: Si', "vedere" equivale a conoscere. E' la ragione per cui,
come scrittrice, cerco di descrivere e di fare vedere al lettore cio' che
vedo io. Ho cercato di mostrare com'e' la Palestina dall'interno, non di
definirla in quanto entita' politica.
*
- Laura Silvia Battaglia: Come sono, chi sono i palestinesi?
- Sahar Khalifah: A dispetto delle nostre vite, noi amiamo la vita. Siamo
sensibili. Non siamo cosi' terribili come ci dipingono i media occidentali.
Siamo anche belli, divertenti, allegri. Se non potete venire a vedere come
siamo, potete leggere di noi. E leggere e' vedere. Questo puo' cambiare il
mondo. Io ci ho creduto, tanto da scommetterci tutta la mia vita.
*
- Laura Silvia Battaglia: Vivere sotto assedio. Ci dica com'e'. Come si puo'
sopravvivere all'idea di essere un bersaglio casuale, di vedere distrutta la
casa del vicino e, invece, graziata la propria?
- Sahar Khalifah: Ma, mi dica, abbiamo un'alternativa? Se ne avessimo avuto
la possibilita', ci sarebbe piaciuto vivere in un giardino lussureggiante
con alberi e fiori. Ma ce ne staremo sotto le bombe finche' non avremo
alternative.
*
- Laura Silvia Battaglia: Yasser Arafat e' protagonista di un episodio del
libro, l'assedio alla Muqata, sede dell'Autorita' palestinese a Ramallah.
Chi e' stato per il mondo, chi era, chi e' Arafat per i palestinesi?
- Sahar Khalifah: Arafat e' stato unico, nel senso che la dedizione, la
determinazione e l'abilita' di riuscire a parlare con chiunque alla pari e,
nello stesso tempo, comprendendo le sue ragioni, lo hanno fatto amare e
odiare insieme, come nessun altro leader. Per i palestinesi e' stato un
padre. Molti credono che, se fosse stato ancora in vita, la spaccatura tra
l'Olp e Hamas non sarebbe mai avvenuta. Sono sempre stata colpita dalla sua
multiforme personalita'. Non ho mai amato i suoi provvedimenti
paternalistici, e ho sperato che diventasse piu' democratico. Ma quando lo
confronto con i nostri leader attuali, non riesco a trovare una sua sola
qualita' che sia peggiore dei difetti degli altri.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 156 del 7 febbraio 2008

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