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Nonviolenza. Femminile plurale. 147
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 147
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 26 Dec 2007 12:35:07 +0100
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 147 del 26 dicembre 2007 In questo numero: 1. Luisa Passerini presenta il numero monografico della rivista "Zapruder" sul femminismo 2. Gli interventi all'incontro del Circolo della Rosa di Milano del primo dicembre 2007 (parte prima) 1. RIVISTE. LUISA PASSERINI PRESENTA IL NUMERO MONOGRAFICO DELLA RIVISTA "ZAPRUDER" SUL FEMMINISMO [Dal quotidiano "Liberazione" del 19 luglio 2007 riprendiamo il seguente articolo, dal titolo "Femminismo nel mondo? E' piu' vivo che mai" e il sommario "L'ultimo numero della rivista di storia 'Zapruder' a cura di Liliana Ellena e Elena Petricola, fa un bilancio di quello che resta a livello internazionale. Dalla lettura degli articoli emerge una risposta netta, decisa: resta moltissimo, anche tra le giovani donne". Luisa Passerini, nata nel 1941, docente di metodologia della ricerca storica e di storia culturalea all'Universita' di Torino e di storia del XX secolo all'Istituto Universitario Europeo di Firenze, si e' particolarmente occupata dell'uso storiografico dell'oralita' e della memoria, di storia del fascismo e dei nuovi movimenti sociali degli anni '60 e '70, e dell'identita' culturale europe. Dal sito dell'Universita' di Torino riprendiamo la seguente scheda sulle sue ricerche: "Le ricerche di Luisa Passerini hanno seguito alcuni filoni che collegano campi diversi. Un primo filone e' quello che studia il cambiamento politico, sociale e culturale, e i suoi attori, dai movimenti di liberazione africani ai nuovi movimenti sociali dei giovani, dei lavoratori e delle donne nel XX secolo. Un secondo concerne la memoria, soprattutto orale, analizzata sulla base di interviste e testimonianze, che le hanno permesso di esplorare la storia del fascismo da una nuova prospettiva e di indagare problemi di metodologia della storia, in particolare il rapporto tra la storia e le scienze sociali. Nel campo della metodologia Luisa Passerini ha dato particolare attenzione al nesso tra fonti, oggetti e metodi, e alle tecniche di interpretazione delle fonti per la storia della soggettivita'. Un terzo filone riguarda l'identita', considerata con uno sguardo fortemente decostruttivo, nel senso di mostrare le molteplici componenti delle identita' e il loro carattere di processi mutevoli nel tempo. Il tema dell'identita' europea e' stato coniugato con la storia dell'amore cortese e romantico, che hanno rivestito particolare rilevanza nella costruzione di un'identita' europea esclusiva e gerarchica; le ricerche di Luisa Passerini hanno mostrato contraddizioni e aperture nel progetto eurocentrico e cercato di definire nuove possibili forme di identita' aperta ma ancora collegate ai sentimenti. Una direzione di ricerca scaturita da questo filone e' stata l'analisi culturale del mito di Europa, che ha dato molta importanza alla ricerca iconografica. Nella direzione dell'uso delle fonti visuali, fisse e mobili, si muovono anche i suoi progetti recenti sul tema dell'europeita' nel cinema europeo". Tra le opere di Luisa Passerini: Torino operaia e fascismo. Una storia orale, Laterza, Roma-Bari 1984; Storia e soggettivita'. Le fonti orali, la memoria, La Nuova Italia, Firenze 1988; Autoritratto di gruppo, Giunti, Firenze 1988; Storie di donne e femministe, Rosenberg & Sellier, Torino 1991; Mussolini immaginario, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Patrizia Guerra), Ricordo di Pablo, Rosenberg & Sellier, Torino 1993; (a cura di), Identita' culturale europea: idee, sentimenti, relazioni, La Nuova Italia, Firenze 1998; L'Europa e l'amore. Immaginario e politica tra le due guerre, il Saggiatore, Milano 1999; La fontana della giovinezza, Giunti, 1999; (a cura di), Across the Atlantic. Cultural Exchanges between Europe and the United States, Peter Lang-P.I.E., Bruxelles 2000; Il mito d'Europa. Radici antiche per nuovi simboli, Giunti, Firenze 2002; (a cura di), Figures d'Europe. Images and Myths of Europe, Peter Lang-P.I.E., Bruxelles 2002; (con Francesco Gurrieri e Antonella Romualdi), Onofrio Pepe. Il mito di Europa, Polistampa, 2002; Memoria e Utopia. Il primato dell'intersoggettivita', Bollati-Boringhieri, Torino 2003; (a cura di, con Nerina Milletti), Fuori della norma. Storie lesbiche nell'Italia della prima meta' del Novecento, Rosenberg & Sellier, Torino 2007] Che cosa resta del femminismo? - si chiedono le curatrici dell'ultimo numero di "Zapruder". Molto, posso rispondere come lettrice, dopo aver visto il fascicolo, evidentemente frutto di un lavoro lungo e meditato. Molto, perche' nuove voci e nuovi punti di vista si sono manifestati negli ultimi tempi, da pubblicazioni provenienti dalla Societa' italiana delle storiche (come "Genesis" su femminismi e culture oltre l'Europa e Altri femminismi a cura di Teresa Bertilotti, Cristina Galasso, Alessandra Gissi, Francesca Lagorio) all'insieme degli scritti raccolti ora in "Zapruder" - Donne di mondo. Percorsi transnazionali dei femminismi, a cura di Liliana Ellena e Elena Petricola, Odradek, pp. 160, euro 10. Dopo e grazie a questi lavori, potremo riprendere in modo piu' meditato la riflessione su continuita' e discontinuita' del femminismo italiano. Alle origini di questo "Zapruder" sta l'intento delle curatrici - espresso nell'editoriale Femminismi di frontiera dagli anni Settanta a oggi - di interrogarsi su temi come la discontinuita' e l'eredita' del neofemminismo, la dislocazione contemporanea delle soggettivita' femministe in nuovi contesti, e le diverse posizionalita' all'interno del femminismo. Sebbene il taglio proposto sia apertamente decostruttivo - "ci ha guidate soprattutto il desiderio di mettere in primo piano quelle pratiche che hanno proposto, rivisto e scardinato le teorie elaborate negli ultimi trent'anni" - in realta' il fascicolo ha un carattere costruttivo rispetto all'intento di documentare i rapporti tra il femminismo occidentale e la nascita di movimenti femministi postcoloniali. Cio' e' soprattutto evidente nella parte centrale, dedicata a due saggi rispettivamente sull'ecofemminismo in India, di Laura Corradi, e sulle biografie di tre femministe africane tra diaspora e afrocentrismo, di Sara Tagliacozzo. Questi scritti arricchiscono la nostra comprensione di tali realta' postcoloniali e contemporaneamente offrono spunti per aprire il dibattito su dilemmi e problemi che oggi ci interessano tutte e tutti. Il saggio di Corradi sul contrasto tra l'approccio essenzialista del femminismo indiano, che ha proposto il principio femminile come legame immediato con la natura dea-madre (per esempio: Vandana Shiva), da un lato, e l'approccio social-costruzionista, dall'altro lato. Questo secondo interpreta il rapporto donna-natura come una costruzione sociale e culturale, mentre accusa le essenzialiste di limitare la loro critica al colonialismo e alla globalizzazione, senza giungere ad attaccare a sufficienza l'oppressione patriarcale locale (per esempio: Bina Agarwal e Meera Nanda). A sua volta, Tagliacozzo mette in luce pensieri e attivita' di femministe africane che riprendono - in affascinanti utopie contemporanee - il retaggio delle societa' matriarcali precoloniali, rischiando tuttavia un "etnocentrismo invertito" che risulterebbe in una scorciatoia ideologica. Questa scorciatoia, che nasce in parte da una certa ostilita' all'antropologia e alla storiografia femminista occidentali, ignora sul piano ideologico quello che le stesse intellettuali femministe africane - come la sociologa-etnografa nigeriana Ifi Amadiume, la scrittrice e drammaturga camerunese Werewere Liking, e la psicologa e teorica Amina Mama, attualmente direttrice dell'African gender institute di Cape Town - concorrono a mettere in luce, cioe' che le loro realta' sono inserite a pieno titolo nei flussi transnazionali di persone e culture della modernita' globale. E' un merito delle due autrici esporre con chiarezza questi dilemmi e problemi, senza nasconderli dietro un atteggiamento di mero ascolto, talvolta adottato - anche con buone ragioni - dagli intellettuali occidentali. L'atteggiamento di ascolto e' stata una giusta reazione alle pr ecedenti posizioni eurocentriche, e per certi versi puo' essere tuttora valido. Tuttavia, ormai e' tempo di riconoscere che dilemmi e conflitti intellettuali simili attraversano l'occidente che in passato fu colonizzatore e le aree che in passato furono colonizzate, che l'occidente non e' affatto, e non lo e' mai stato, un tutto unico e coerente, e che l'esito dei dibattiti che possono scaturire dal riconoscimento di diverse posizioni ci riguarda profondamente e da vicino. Tutto cio' mi sembra particolarmente vero per quanto riguarda il femminismo. Il solo ascolto e' inadeguato non solo perche' potrebbe nascondere un senso inconfessato di superiorita', ma anche perche' i problemi in questione sono urgenti a livello globale: forme di essenzialismo femminista sono ancora diffuse ovunque, a vari livelli e in modi diversi, e altrettanto lo sono varianti dell'etnocentrismo, talvolta non bieche, ma ingenuamente ottimistiche nel rilancio di culture del passato. Per questo mi sembra piu' adeguata una conclusione problematica come quella di Sara Tagliacozzo che non quella piu' ottimistica di Laura Corradi. Un altro contributo importante di questo "Zapruder" e' la rilevanza data alle immagini, in tutto il numero, ma soprattutto nell'inclusione di due dossier fotografici, l'uno di Marilaide Ghigliano sugli incontri femministi internazionali degli anni Settanta, e l'altro di Maila Iacovelli su donne del Mali in tempi recentissimi. In entrambi colpisce l'allegria di alcune donne al lavoro o in dialogo tra loro, ma soprattutto con entrambi si pone una sfida alla storiografia, di saper interpretare queste fonti, che rappresentano una nuova frontiera della ricerca storica. Proprio sul piano storiografico, i due saggi che aprono il fascicolo sono consistenti e di notevole spessore critico. Vincenza Perilli ricostruisce con intelligenza e dovizia di documentazione la storia dell'analogia tra razza e genere, gettando nuova luce sulla storia del femminismo, e ricordando che questa analogia, "imperfetta", ha contribuito a rendere invisibili le donne non bianche. La sua analisi giunge a colpire il presente, nell'additare una certa "storiofobia" del femminismo italiano della differenza e soprattutto nel richiamare l'attuale dibattito sui-sulle migranti, che Perilli invita a maggior concretezza. Un filo comune a questo saggio e al successivo, di Paola Guazzo, e' l'attenzione al linguaggio, una tradizione propria a molte ali del femminismo. Guazzo la declina con finezza a proposito della traduzione e ricezione di testi internazionali - come quelli di Adrienne Rich e Monique Wittig - nella riflessione dei gruppi lesbici italiani dagli anni Ottanta agli anni Novanta, con una rivisitazione che si rivela preziosa nel ripercorrere questa storia ancora insufficientemente conosciuta. L'ultimo "Zapruder" contiene altri interventi piu' brevi su temi di notevole interesse, dalla questione del velo (Chiara Bonfiglioli) alla "questione femminile" in Antonio Gramsci (Martina Guerrini), dal pensiero di Mario Mieli (Cristian Loiacono) alle notizie sull'anagrafe dei partigiani e delle partigiane in Emilia-Romagna (Sara Galli), dall'Archivia della Casa internazionale delle donne a Roma (Emanuela Fiorletta) a una critica dei libri di testo sul concetto di totalitarismo (Gino Candreva) e a un pertinente bilancio dell'esperienza della "Feminist Review", che ha conosciuto conflitti laceranti, ma anche passi avanti significativi sul tema del rapporto tra razza e genere (Enrica Capussotti). Il fascicolo comprende anche tre belle interviste, la prima di Stefania Voli alla femminista storica Angela Miglietti, traduttrice di Noi e il nostro corpo; la seconda di Silvia Bonanni a Gabriella Romano, regista e autrice che ha condotto e usato testimonianze di donne lesbiche per il suo lavoro; e la terza di Carla Pagliero ad Alina Marazzi, regista di documentari di natura storica e biografica di grande suggestione. Il fascicolo si chiude con un breve intervento a firma collettiva (una ben nota prassi dei movimenti delle donne) di A/matrix su biotecnologie, corpi e immagini. Mi rallegra udire questa voce che mi parla contemporaneamente da una vicinanza e una distanza. Riconosco (o ritrovo dopo lungo tempo, e apprezzo) la pervicacia nel voler "dire la nostra su tutto cio' che riguarda le nostre vite", il tono del dissenso radicale, la rivendicazione della politica come piacere, la volonta' di autonomia ma anche di dialogo, la voglia di sovversione, l'interesse per l'immaginario e le parole da scegliere, nonche' la passione per la performance di ispirazione situazionista. La lontananza non e' sui temi, che reputo centrali e cruciali, e sui quali condivido le posizioni espresse ("l'accesso per tutte e tutti alle nuove tecnologie" e la negazione della biologia come destino), ma - implicitamente - sul tema del limite. Un segno ne e' la dichiarazione che "l'eta' ci interessa poco", il che puo' sembrare coerente dopo la negazione della determinazione biologica. Ma qui entra la consapevolezza del limite: a me l'eta' interessa invece molto, da qualche tempo, e in particolare la vecchiaia, proprio come tramite per toccare il limite, sia della vita sia della rivolta, limite che nessuna negazione del determinismo biologico puo' ignorare. Tuttavia mi piace che "Zapruder" si chiuda su questo rilancio al futuro e su questa apertura di una scommessa politica, apparentemente senza limiti. 2. DISCUSSIONE. GLI INTERVENTI ALL'INCONTRO DEL CIRCOLO DELLA ROSA DI MILANO DEL PRIMO DICEMBRE 2007 (PARTE PRIMA) [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo, nella trascrizione di Clara Jourdan, gli interventi svolti nell'incontro sul tema "Stiamo tornando al vittimismo?" tenutosi al Circolo della Rosa di Milano sabato primo dicembre 2007; l'intervento introduttivo di Luisa Muraro abbiamo gia' pubblicato nel n. 144 di "Nonviolenza. Femminile plurale" (e quindi non lo riportiamo di nuovo qui)] Francesca Zambelli: Il giorno della manifestazione ero a casa e ho acceso la televisione su La7 che trasmetteva quello che andava succedendo a Roma, per cui ho visto tutto quello che ha suscitato i commenti piu' accesi. Parlo in particolare del fatto che alcune donne sono state costrette a lasciare la manifestazione e alcune altre sono state allontanate da una postazione televisiva. Alla fine del programma, ho sentito un senso di enorme gratitudine nei confronti di quelle donne che avevano fatto "saltare il banco", cioe' avevano impedito alle Pollastrini, alle ministre un po' di destra un po' di sinistra, di prendersi un immeritato protagonismo. Io so cosa vuol dire organizzare una manifestazione, so che chi la organizza fa tutte le sue mediazioni. Li' c'erano circa quattrocento soggetti politici - le case delle donne maltrattate, i collettivi dell'universita', i collettivi femministi, i movimenti, l'Arcilesbica... - si era discusso fino a morire, uomini si', uomini no, uomini in coda, uomini a destra, uomini a sinistra, alla fine la manifestazione aveva tre pregiudiziali: primo, nessun inciucio con chi ha voluto il family day e cioe' quel movimento che dimentica, non sa, rimuove che la violenza maggiore le donne e i bambini la subiscono in famiglia, che si e' connotata per una omofobia pazzesca e che ha voluto una legge indecente come la legge 40. Secondo: sulla pelle delle donne si sta chiedendo un pacchetto sicurezza vergognoso, perche' parla degli immigrati contro le donne, e quindi si chiede un giro di vite su questa cosa. Terza e ultima pregiudiziale, non ci sarebbero state tribune offerte a relatrici, parlatrici, e la manifestazione avrebbe parlato da se'. Bene, alla fine - il clou della manifestazione si svolgeva in una certa piazza - c'era una postazione di La7 e si alternavano al microfono Barbara Pollastrini, Livia Turco e la Giovanna Melandri che era li' a parlare della violenza negli stadi (l'ho sentita io) e che ovviamente e' stata costretta ad andare via. Io sono molto felice di questo, nel senso che dietro l'atteggiamento da cerbiatta di Giovanna Melandri e' spuntato tutto l'armamentario politico-linguistico di un cinghiale... Che la Prestigiacomo, con o senza guardia del corpo, sia stata invitata ad andare da un'altra parte, mi sembra elementare. * Liliana Sacchi: Io non sono contenta che due donne che manifestavano a titolo personale, anche se con facce politicamente note, siano state espulse da una manifestazione delle donne per le donne. Io sono orgogliosamente di sinistra, ma ritengo che una donna di destra sulla quale si usi violenza abbia diritto come una donna di sinistra o di centro, non e' meno grave. In quella manifestazione secondo me di tutte le donne, di qualsiasi schieramento - non e' stato detto che era una manifestazione delle donne di sinistra - e' stato fatto un atto che io non condivido assolutamente. (Voci che protestano: partecipare al corteo e' un conto, salire sul palco un altro). * Marisa Guarneri: Io sono molto d'accordo con l'impostazione di Luisa e vorrei andare anche piu' a fondo. Quello che e' successo prima della manifestazione a me interessa molto di piu' di quello che e' successo dopo, perche' questo e' una logica conseguenza dell'impostazione politica che c'era dentro la manifestazione. Si doveva sapere, perche' era scritto a chiarissime lettere: una manifestazione antirazzista, contro la violenza maschile, antifascista ecc., le parole d'ordine erano abbastanza chiare. Quello che ho visto venire avanti, che mi ha veramente preoccupato - e poi entrero' nel merito della rete dei centri - era intanto questo scandalo sui giornali, come se se ne fossero accorti adesso, il 23 novembre, che questi sono i numeri della violenza contro le donne. L'Istat e' del 2006, quando sono usciti i dati non e' successo niente, e comunque sono dati che noi diamo da vent'anni. D'accordo che l'Istat ha un'accoglienza sui media diversa, pero' sono dati che riconfermano cose dette da tantissimo tempo. Una dice: meno male... Ma questa cosa della violenza maschile... Io sono vent'anni che dico, insieme alle altre: violenza degli uomini contro le donne. Perche' mi da' cosi' fastidio questa sintesi che viene fuori? E' vero che e' violenza maschile, ma sentivo qualcosa che mi dava veramente fastidio, perche' dividere un'altra volta in due, le donne vittime da una parte e tutti gli uomini violenti dall'altra, e' una semplificazione che fa scomparire il soggetto che subisce violenza. Nel senso che non importa piu' se ha ragione, se ha torto, come sono andate le cose, che cosa si puo' fare per modificare la realta', ma: di chi e' la colpa. Questa cosa noi l'abbiamo incontrata nel 1986: tutto era visto in senso criminologico, le vittime da una parte, la legge dall'altra, in mezzo non c'era niente. Noi in mezzo ci abbiamo messo la relazione, e la pratica di relazione fra donne. Per cui questa semplificazione e' una trappola, in cui sono caduti anche molti centri antiviolenza, e non e' un caso, secondo me. Perche' se non c'e' pratica di relazione e alla fine e' solo relazione d'aiuto, questo accade. Se la relazione d'aiuto e' tra chi pensa di essere un gradino sopra e elargisce un aiuto, punto, e chi ne ha bisogno, e' facile che la donna venga vista come soggetto debole, come complice. Mi ricordo il dibattito che abbiamo fatto qui, mesi fa, quando Luisa mi chiese: "Com'e' che avete risolto il problema della complicita'?", e io sono rimasta un po' li', sono andata sul tecnico... Poi pensandoci, pero', effettivamente e' questa la questione: se la violenza viene vista come fenomeno e non come esperienza di una vita, e gli uomini vengono visti in blocco come responsabili, come dire?, chi se frega dei cambiamenti, ci siamo risolti il problema. E questa secondo me e' la cosa che proprio mi ha dato fastidio, anche perche' nel nostro dibattito, non solo nel femminismo ma anche nella rete dei centri, siamo andate molto ma molto piu' avanti, sia rispetto a cosa vivono le donne quando si trovano in una situazione di violenza sia a come si possono accogliere sia a quali prospettive ci sono per uscire da questo. Allora, poter dire che ci sono e che sono importanti figure maschili positive nel percorso di uscita dalla violenza, non e' un passaggio semplice. Anche se lo ritengo acquisito, perche' stiamo vedendo che accade, che molti uomini vengono in associazione a chiedere aiuto per le persone a loro care e che anche da parte nostra non c'e' piu' la preoccupazione che il luogo sia asetticamente solo femminile. E' necessario ancora che il primo impatto dell'accoglienza sia fra donne e che il percorso venga vissuto fra donne, ma non in un luogo asettico, neutro, di separatismo totale. La cosa piu' semplice e' dire che per i bambini che assistono alla violenza avere figure maschili positive e' salvifico, perche' se no l'unico modello maschile e' quello negativo. Ma anche per le donne, perche' comunque si articola la questione. Un'acquisizione dell'oggi su cui mi vorrei confrontare. A me sembra di avere trovato una sorta di via d'uscita in questo senso: noi stiamo lavorando - abbiamo anche cambiato il modo di fare i colloqui con le donne - sulla percezione del rischio. Quindi non soltanto accogliere il sentimento, l'emotivita', la sofferenza, e fare un progetto insieme per uscirne, ma dare strumenti perche' le donne si rendano conto di quando la situazione effettivamente arriva a un momento di rischio. E questo lo facciamo con una tecnica, una specie di questionario, domande che facciamo insieme con le donne in maniera ovviamente empatica ma che apre tante strade, perche' mette in collegamento tante cose che accadono che viste singolarmente non danno la sensazione del problema, viste insieme - quindi ricollegate in un sistema - danno la sensazione dell'insieme, e quindi danno a chi e' in difficolta' anche il senso di quello che si potrebbe fare, che lei potrebbe fare per evitare questa cosa. Questo mi sta piacendo molto, perche' chiarisce, tantissimo, a me e alle altre che facciamo l'accoglienza, cosa dobbiamo fare. Ripulendo la questione da tutta una serie di cose: quelle che dici tu, che ti avevano dato fastidio nel libro della religiosa, tutto quel mix di "io ti aiuto pero' io sono come te...", tutto un casino emotivo, intellettuale, di pratica politica ecc. E' come una cosa che diventa limpida. * Antonella Nappi: Le manifestazioni mi sorprendono sempre, io non le voglio, non ci penso, poi quando fanno delle manifestazioni in strada le donne rimango colpita in positivo. Perche' evidentemente ogni tanto una grande manifestazione anche molto semplice nella sua affermazione ti fa sentire in rapporto con gli altri, ti da' il senso della visibilita'... cose che a me sembra che un pochino contino. Allora questa manifestazione mi ha detto - come diceva la prima che ha parlato dopo Luisa - che le donne si sono molto arrabbiate del pacchetto sicurezza contro i rom. E questo mi e' sembrato una cosa enorme, magnifica. E poi hanno detto che chi viene eletta non ci rappresenta, non rappresenta nessuno, rappresenta solo destra/sinistra, meno peggio, e' gente che obbligatoriamente noi dobbiamo pagare perche' governi - queste sono le elezioni - e dunque vedremo cosa fanno, se governano bene, male ecc. Il mandarle via dal palco e' geniale, e' meraviglioso, e' dire: tu fa' le tue cose, noi ascoltaci! Che e' il contrario di quello che i politici e le politiche fanno d'abitudine: non sentono nessuno e ti vogliono parlare, in una forma quasi di pazzia, siccome sono stati eletti si sentono in dovere di parlare di qualsiasi cosa agli altri. Questa pazzia deve essere smascherata e curata. Poi che la Prestigiacomo fosse nel corteo... Diciamo che se una donna e' molto in vista e per di piu' di destra, puo' essere sgradita a quelle che ha vicino, provi a cambiare posto. Pero' se poi dava l'impressione che avrebbe parlato... Comunque a me della Prestigiacomo importa poco, direi che e' come quelle che si mettono in mostra per raccogliere... pero' li' non c'ero. Lo scandalo dei giornali, altra cosa ottima: che ci sia un'occasione in cui di nuovo si sentono quei numeri li'. Appunto perche' la stampa da' poche informazioni intelligenti, e' stata una buona occasione. Su quello che diceva Luisa, che la donna maltrattata e' lei che deve prendere la parola, e' difficile, infatti la casa delle donne maltrattate ha trovato delle tecniche. E' difficile, e lo dico per me, che sono anni che qui dico che sul lavoro sono una vittima - probabilmente non e' poi cosi' vero e anch'io ci ho messo del mio, ma rispetto alla competizione o ad esempio alle tradizioni accademiche, che sono di legarsi a qualcuno, di chinare la testa e di chiedere aiuto, io non ce l'ho fatta, non ce la faccio, e dunque ho perso la competizione. Io ho una difficolta' terribile a essere competitiva, cioe' ad avere quella violenza li', che hanno appunto gli uomini, e quindi penso che si debba essere aiutate, dalle relazioni con donne si', ma il problema esiste. * Lilli Rampello: Io credo che siamo di fronte - per come ce l'ha presentata Luisa - a una discussione molto sottile, molto difficile, perche' e' fatta di tante cose. E ho sentito questa difficolta' ancora piu' chiara di fronte a me quando ho sentito l'intervento di Marisa. Che forse non ho capito del tutto. Perche' credo che sia giustissimo quanto lei dice del lavoro svolto da loro, delle pratiche che sono state messe in atto - ti ho letto sempre con attenzione, ti ho ascoltato sempre con attenzione. Ma credo che nella messa in scena complessiva, quale si da' in una manifestazione di piazza, succeda qualcosa anche di diverso da quello che puo' essere fatto poi in contesti piu' piccoli, in contesti in cui precipita pero', di fatto, il tema e la questione che quella manifestazione vuole affrontare. Allora, io sulla questione del vittimismo faccio un po' fatica. Infatti ritengo giusta l'espressione di Luisa "siamo su un piano inclinato". Forse io non arrivo a vedere tutti i pericoli cosi' come li vede Luisa perche' ho visto in questa manifestazione intanto di nuovo una presa di parola molto netta sull'indisponibilita' del corpo femminile: di fronte a questo sono sempre molto contenta, e penso che non sia riassumibile nello schema vittima-stupratore, non c'era solo quello. Poi ha ragione Luisa a dirci: attenzione, le vittime ci sono davvero. Perche' se no si rischia di capovolgere la questione, di dire che non sta succedendo niente. No, le cose succedono, e quello a cui io invece tengo molto - pero' probabilmente sono schematica - e' il fatto che la violenza di un uomo su una donna sia un primum, nel senso che cosi' come ritengo che la differenza sessuale sia la prima differenza che organizza le altre, ritengo che quella cosa che e' violenza dell'uomo sul corpo della donna sia un primum, che organizza e fa ordine per gli uomini rispetto ad altre violenze. A questo sono molto "legata", perche' mi e' proprio maestra la Woolf: il fascismo nasce in famiglia. Sono tutte cose che sappiamo benissimo: come si declinano oggi? Come si declinano quando si ha voglia di dirlo? Questa voglia di dirlo io l'ho vista ad esempio in generazioni diverse dalla mia, in donne lontanissime da me, e quindi la mia attenzione e' stata tesa a capire che cosa stavano dicendo. Ho fatto una discussione molto aspra con una mia carissima amica, via e-mail, su un appello che lei aveva fatto pubblicare sul "Manifesto". Cioe', ci sono in moto molte idee, e molto scambio. Io vorrei capire se questa particolare violenza puo' essere intesa come ordinatrice, nella societa' costruita dagli uomini, delle altre violenze, o se invece - perche' questo io non lo vorrei - si scioglie (passatemi il termine) fra le mille altre diverse violenze che ci sono, che sono di tutti i tipi. Come si tiene la barra su questa questione, evitando il vittimismo, ma come la si tiene? Allora, questa manifestazione ha detto molte cose, non e' riassumibile in una sola cosa. * Manuela Ulivi: Io lavoro con Marisa, Tiziana e tante altre alla Casa delle donne. Sono qui stasera perche' mi ha interessato proprio la parola "vittimismo", che tu adesso richiamavi. Perche' dall'esperienza da cui sempre mi ha insegnato Marisa a partire, quindi da me stessa, da quello che faccio e dalle donne che vedo, la parola vittimismo dentro a questa manifestazione, a come l'hanno segnata i giornali e l'hanno voluta forse anche i giornali, mi stava stretta, non mi e' mai piaciuta, e pero' penso che sia stata utilizzata non solo dai giornali ma anche dalle donne che sono state dentro la manifestazione. Mi spiego: io trovo che la violenza che oggi noi viviamo, delle donne che si rivolgono a noi, e' una violenza che viene da un rapporto non di vittima, ma da un rapporto nel quale l'uomo molto spesso non accetta di essere secondo, cioe' non accetta di avere un lavoro magari meno importante della donna, di avere un'istruzione inferiore... Quindi e' molto spesso una violenza che vedo esercitata su donne che sanno, non su donne che sono vittime di per se', cioe' su donne che sono anche donne forti, fuori nella vita, nel mondo del lavoro. Questo mi fa ancora piu' specie, perche' dentro alla situazione famiglia tutto questo si scioglie in una cosa diversa, dove comunque quel primum che tu dicevi e' proprio "tu sei donna e devi stare in una certa situazione". Noi facciamo con le donne i nostri percorsi, quando arriviamo pero' alla politica - nel senso che la politica la facciamo tutti i giorni pero' poi c'e' la politica delle leggi, le donne con cui anche ci relazioniamo, che sono politiche, con cui discutiamo della legge sullo stalking, ad esempio, che noi abbiamo ritenuto che dovesse essere cercata e approvata - c'e' uno scarto. Perche' qualcuno cerca di mettere sempre il cappello a tutto quanto stiamo facendo. Ho avuto l'impressione che la manifestazione fosse proprio questo tentativo: siccome oggi di violenza si parla molto, se ne parla dappertutto, allora fa comodo prendere questo argomento e cominciare a cavalcarlo, quindi farci anche una manifestazione. Ragione per cui la manifestazione come si e' espressa, anche con aspetti molto interessanti, poi ha scemato su argomenti che non c'entravano molto con quello che si voleva dire. Perche' e' nata sul fatto che fosse imminente la giornata della lotta alla violenza contro le donne, il 25 novembre, e quindi da li' e' montato tutto questo: facciamoci sentire. Dove pero' le protagoniste, quelle che - se mi permettete di dirlo - sanno, perche' da tanti anni si occupano proprio di questo specifico, non sono state minimamente sentite. * Una donna: Forse perche' non sono abituata a leggere i giornali chiacchieroni, non mi risulta il vittimismo di cui state parlando. Invece ho molto vivi i ricordi della manifestazione, dei suoi momenti e di come queste ragazze - che sono la generazione successiva alla nostra che abbiamo cinquanta-sessant'anni, perche' sono nate quando avevamo trent'anni, sono come le nostre figlie - sono state autonome, consapevoli, di come hanno gestito il loro speakeraggio, si sono guidate i loro camion, scelti gli slogan, suonato la musica, di come si sono mosse, si sono fatte ritrarre sullo schermo che abbiamo visto in Piazza Navona... Insomma, per me e' stata una gran bella giornata, e quando hanno parlato di violenza c'e' stato un momento in cui mi sono sentita col filo sospeso perche' pensavo che si potesse cadere nel vittimismo, ma la loro precisione nel rifiutare la violenza contro la donna per approdare alla convinzione di volere una societa' diversa, ha liberato dal concetto di vittimismo che poteva nascondersi dietro l'angolo e ci ha recuperato la liberta'. E allora grazie a questa nuova generazione. * Luisa Muraro: Sento l'esigenza di ripetere un'idea che ho espresso in apertura. E cioe' che il tema del vittimismo e' stato scelto indipendentemente e prima della manifestazione e in rapporto a denunce che facevano i giornali. * Vita Cosentino: Anch'io non vorrei legare il vittimismo alla manifestazione. Vorrei considerare che oggi le manifestazioni - ricordo anche quella del gennaio dell'anno scorso - hanno cambiato natura rispetto agli anni Settanta. Quando Ida Dominijanni, riferendosi alle ministre, ha parlato di monopolio della politica, ci ho trovato un'idea molto interessante, nel senso che le manifestazioni sono diventate in alcuni momenti, a mio modo di vedere, il modo in cui si puo' prendere la parola in una situazione in cui effettivamente c'e' un monopolio della politica nelle mani di chi la fa di professione. E quindi le considero parte di quella sfera pubblica piu' generale in cui ci sono le donne. Anche se ho qualche retropensiero, perche' il fatto di stare una volta all'anno in piazza, o una volta al mese, obbedisce anche a un'altra cosa che io non considero buona dell'epoca in cui viviamo, che e' la logica della vita come evento. Lo diceva Ina Praetorius al Simposio delle filosofe: si fa il grande evento, si e' sulla scena quel giorno in grande, e tutto e' li'. A me sembra che questo oscuri quell'idea di politica che a me e' molto cara: si cambiano i contesti in cui si e', si fa politica tutti i giorni con le relazioni. Quindi anch'io vedo che dei problemi ci sono, e c'e' come un bilico. Pero' devo dire che anch'io sono stata soddisfatta, perche' ero rimasta veramente disgustata di come i giornali avevano trattato la questione dell'uccisione di Giovanna e come il governo ne aveva approfittato per il pacchetto sicurezza. Ero rimasta disgustata e anche non sapevo come fare qualcosa, e quindi che sia entrato potentemente come molla anche di questa manifestazione mi e' sembrato importante. Anche perche' li' - e ritorniamo al monopolio della politica - si era giocato, da quel poco che ho potuto sapere leggendo i giornali, un conflitto tra i sessi enorme, che nessuno ha messo in evidenza: la madre di Giovanna ha detto "poteva essere un italiano", nel senso di dire "e' un uomo"; Emilia, la donna che l'ha denunciato, una rom come lui, pure lei ha detto "e' un uomo e io lo denuncio". Che le donne coinvolte nella tragedia si siano comportate da donne ben consapevoli di questo conflitto tra i sessi, non si e' letto da nessuna parte. Sono cose pazzesche di un mondo in cui avere parola, prendere parola e' diventato molto molto ma molto complicato. E nel corteo, l'apertura di tutte quelle ragazzine, anche di dodici anni, rom - c'era la foto sul "Manifesto" - che dicevano "noi siamo con Emilia", mi ha dato una grande soddisfazione. Anche l'altra questione, delle donne di destra, la vorrei legare al problema del monopolio della politica. Mi piacerebbe che Radio Popolare facesse un microfono aperto sulla domanda: "C'erano donne di destra?". Secondo me si', perche' se non e' questione di famiglie benestanti o non benestanti, colte o non colte..., la questione diventa la parlamentare di destra che approfitta ancora una volta della vetrina, perche' quando si capisce che sono 150.000 e' un'ottima vetrina. Cioe' e' sempre lo stesso discorso, che secondo me dobbiamo anche un po' smontare, perche' si tratta di stare a quello che chiedono, prendere sul serio le organizzatrici. Gli uomini in questa circostanza lo hanno fatto. E' stato detto "no uomini" e loro hanno cominciato a interloquire. Ho sentito a Radio Popolare e letto sui giornali chi diceva "noi rispettiamo questa decisione", chi invece diceva "io ci voglio andare lo stesso e accetto di mettermi in coda" ecc.: hanno interloquito. Quando e' stato detto "non vogliamo donne del family day", qualcuna ha preso una penna, un microfono, per dire "perche' non volete..." e cominciare a parlare? Questo e' il fatto, ed e' questo che a me da' fastidio, perche' io penso che invece tra quella folla di donne ci fossero donne di destra, mi piacerebbe saperlo con certezza e non lo posso sapere. Pero' si e' aperto un conflitto tra donne, non su destra-sinistra, perche' hanno cacciato via dal palco pure quelle..., ma secondo me da una parte sul monopolio della politica, e dall'altra sullo stare o non stare davvero alle parole, all'impostazione di chi quella cosa la sta facendo. * Javiera: Io non parlo molto bene l'italiano, faro' del mio meglio. Siamo di Padova, del "fuxia block" che e' un collettivo misto, non solo di donne, che lavora sul tema dell'autodeterminazione, liberta' di scelta, laicita'... e ci e' sembrata molto interessante la tematica di mettere in discussione la vittimizzazione. Noi questa stessa discussione l'avevamo ripresa quando e' arrivato l'appello per la manifestazione, e abbiamo cominciato a discutere su come ci poniamo. Quello che abbiamo messo in discussione era: I) Il concetto di donna, nel senso di dire: si', noi siamo donne e uomini e siamo coscienti che esistono le discriminazioni sulle donne e c'e' una particolarita' delle donne, pero' qualche volta ci sembra che il concetto di donna sia un concetto neutro. Abbiamo fatto per esempio un incontro sul 50e50 dove appariva il discorso "a me non importa se la donna e' di destra o di sinistra, ma comunque che ci sia", come se l'essere donna fosse neutrale, non fosse una categoria attraversata dalla politica. E questa e' stata la prima cosa su cui abbiamo detto "facciamo attenzione", perche' non vogliamo cadere nel naturalizzare e non mettere in gioco questa categoria. II) Il tema della vittima: io sono pienamente d'accordo che il tema della donna come vittima e' un andare indietro. Si era andate avanti, e adesso si torna indietro con un insieme di cose: il tema della sicurezza, il dividere il mondo tra la vittima e l'autore del reato, il prendere questa categoria che e' giuridica, criminologica, come soggetto per definire la tua identita' o la tua posizione sociale. Ci sembra sbagliato, nel senso che la vittima in se' non ha parola, e' parlata. Infatti parlare di vittima mette il conflitto nel sistema del diritto, togliendolo alle persone che direttamente vivono questa situazione: non e' la vittima quella che parla, e' lo stato che parla per lei. Anche questo ci sembrava una cosa da mettere in discussione. Vogliamo veramente andare con la bandiera che siamo vittime degli uomini, o della societa'? O vogliamo assumere che c'e' qualcosa del fare un atto politico che va oltre l'essere una vittima? Se io sono capace di prendere la parola significa che il ruolo di vittima non e' tanto... io ho una coscienza di quello. Alla fine non abbiamo chiarito veramente qual e' la nostra posizione, e non siamo andati alla manifestazione. Vogliamo capire cosa succede veramente e come possiamo collaborare e aprire un canale di comunicazione con queste tematiche. Io penso che per parlare della violenza, della vittima, dobbiamo tentare di lasciare indietro questa neutralita', come un assoluto, del parlare de "la donna" - io non so cos'e' la donna, cosa significa, penso che siamo le donne... - queste categorie che neutralizzano, che tolgono la politica, quello che c'e' di conflittuale. Perche' nella violenza non e' "l'uomo", e' l'uomo che e' padre, figlio... ci sono altre cose che attraversano la violenza contro le donne o nell'ambito familiare. Vogliamo mettere in discussione solo il potere maschile, solo il patriarcato, o anche il modello familiare che risponde a questo, o anche il ruolo che la donna, il figlio, il padre ha dentro la famiglia? Magari non troveremo una risposta, ma e' importante mettere in discussione le categorie, e non arrabbiarsi, perche' e' vero che si puo' cadere nell'estremo del "io devo essere autocosciente, io devo prendermi la responsabilita' e se mi picchiano e' colpa mia", pero' ammettere che questa tensione esiste, che ci muoviamo in questa tensione, secondo me e' da dove possiamo andare avanti, se no si torna alla cosa di noi donne vittime degli uomini, che a me non piace. Tento di allontanarmi il piu' possibile quando sento quei discorsi perche' gli anni Settanta, il femminismo qualcosa ci ha insegnato e dobbiamo andare avanti. (Parte prima - segue) ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 147 del 26 dicembre 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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