La domenica della nonviolenza. 141



==============================
LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 141 del 9 dicembre 2007

In questo numero:
1. Giuliano Pontara: L'escalation della barbarie. Un estratto dal primo
capitolo de "L'antibarbarie"
2. Giuliano Pontara: Il mondo come teatro delle forze costruttive. Un
estratto dall'ultimo capitolo de "L'antibarbarie"
3. Giuliano Pontara: Una via difficile. Le parole conclusive de
"L'antibarbarie"

1. TESTI. GIULIANO PONTARA: L'ESCALATION DELLA BARBARIE. UN ESTRATTO DAL
PRIMO CAPITOLO DE "L'ANTIBARBARIE"
[Da Giuliano Pontara, L'antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi
e il XXI secolo, Ega, Torino 2006, pp. 23-29 (sono le pagine iniziali del
primo capitolo del libro: "Della barbarie", capitolo in relazione al quale
in una nota Pontara scrive "Ho presentato una versione parziale e ridotta di
questo capitolo in una delle riunioni del ciclo di seminari sulla pace e la
guerra organizzati presso l'Universita' di Cagliari nel novembre-dicembre
del 2004. Il testo presentato in quell'occasione e' stato pubblicato,
insieme ai testi presentati dagli altri relatori, nel volume La pace e la
guerra. Guerra giusta e filosofia della pace, a cura di A. Loche,
Cooperativa Universitaria Editrice Cagliaritana, Cagliari 2005").
Giuliano Pontara e' uno dei massimi studiosi della nonviolenza a livello
internazionale, riproduciamo di seguito una breve notizia biografica gia'
apparsa in passato sul nostro notiziario (e nuovamente ringraziamo di tutto
cuore Giuliano Pontara per avercela messa a disposizione): "Giuliano Pontara
e' nato a Cles (Trento) il 7 settembre 1932. In seguito a forti dubbi sulla
eticita' del servizio militare, alla fine del 1952 lascia l'Italia per la
Svezia dove poi ha sempre vissuto. Ha insegnato Filosofia pratica per oltre
trent'anni all'Istituto di filosofia dell'Universita' di Stoccolma. E' in
pensione dal 1997. Negli ultimi quindici anni Pontara ha anche insegnato
come professore a contratto in varie universita' italiane tra cui Torino,
Siena, Cagliari, Padova, Bologna, Imperia, Trento. Pontara e' uno dei
fondatori della International University of Peoples' Institutions for Peace
(Iupip) - Universita' Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la
Pace (Unip), con sede a Rovereto (Tn), e dal 1994 al 2004 e' stato
coordinatore del Comitato scientifico della stessa e direttore dei corsi.
Dirige per le Edizioni Gruppo Abele la collana "Alternative", una serie di
agili libri sui grandi temi della pace. E' membro del Tribunale permanente
dei popoli fondato da Lelio Basso e in tale qualita' e' stato membro della
giuria nelle sessioni del Tribunale sulla violazione dei diritti in Tibet
(Strasburgo 1992), sul diritto di asilo in Europa (Berlino 1994), e sui
crimini di guerra nella ex Jugoslavia (sessioni di Berna 1995, come
presidente della giuria, e sessione di  Barcellona 1996). Pontara ha
pubblicato libri e saggi su una molteplicita' di temi di etica pratica e
teorica, metaetica  e filosofia politica. E' stato uno dei primi ad
introdurre in Italia la "Peace Research" e la conoscenza sistematica del
pensiero etico-politico del Mahatma Gandhi. Ha pubblicato in italiano,
inglese e svedese, ed alcuni dei suoi lavori sono stati tradotti in spagnolo
e francese. Tra i suoi lavori figurano: Etik, politik, revolution: en
inledning och ett stallningstagande (Etica, politica, rivoluzione: una
introduzione e una presa di posizione), in G. Pontara (a cura di), Etik,
Politik, Revolution, Bo Cavefors Forlag,  Staffanstorp  1971, 2 voll., vol.
I, pp. 11-70; Se il fine giustifichi i mezzi, Il Mulino, Bologna 1974; The
Concept of Violence, Journal of Peace Research , XV, 1, 1978, pp. 19-32;
Neocontrattualismo, socialismo e giustizia internazionale, in N. Bobbio, G.
Pontara, S. Veca, Crisi della democrazia e neocontrattualismo, Editori
Riuniti, Roma 1984, pp. 55-102; tr. spagnola, Crisis de la democracia,
Ariel, Barcelona 1985; Utilitaristerna, in Samhallsvetenskapens klassiker, a
cura di M. Bertilsson, B. Hansson, Studentlitteratur, Lund 1988, pp.
100-144; International Charity or International Justice?, in Democracy State
and Justice, ed. by. D. Sainsbury, Almqvist & Wiksell International,
Stockholm 1988, pp. 179-93; Filosofia pratica, Il Saggiatore, Milano 1988;
Antigone o Creonte. Etica e politica nell'era atomica, Editori Riuniti, Roma
1990; Etica e generazioni future, Laterza, Bari 1995; tr. spagnola, Etica y
generationes futuras, Ariel, Barcelona 1996; La personalita' nonviolenta,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Guerre, disobbedienza civile,
nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,  Torino 1996; Breviario per un'etica
quotidiana, Pratiche, Milano 1998; Il pragmatico e il persuaso, Il Ponte,
LIV, n. 10, ottobre 1998, pp. 35-49; L'antibarbarie. La concezione
etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega, Torino 2006. E' autore delle
voci Gandhismo, Nonviolenza, Pace (ricerca scientifica sulla), Utilitarismo,
in Dizionario di politica, seconda edizione, Utet, Torino 1983, 1990 (poi
anche Tea, Milano 1990, 1992). E' pure autore delle voci Gandhi,
Non-violence, Violence, in Dictionnaire de philosophie morale, Presses
Universitaires de France, Paris 1996, seconda edizione 1998. Per Einaudi
Pontara ha curato una vasta silloge di scritti di Gandhi, Teoria e pratica
della nonviolenza, Einaudi, nuova edizione, Torino 1996, cui ha premesso un
ampio studio su Il pensiero etico-politico di Gandhi, pp. IX-CLXI". Una piu'
ampia bibliografia degli scritti di Giuliano Pontara (che comprende circa
cento titoli) puo' essere letta nel n. 380 de "La nonviolenza e' in
cammino".
Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo
pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della
nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio
d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di
convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra,
avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro
la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della
nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito
del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico.
Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la
teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione
economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il
30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di
quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va  mitizzato, e
che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti
discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione,
della sua opera. Opere di Gandhi:  essendo Gandhi un organizzatore, un
giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una
natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere
contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua
riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede
significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In
italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza,
Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e
autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la
liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton;
Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura
della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e
fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi
sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di
frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da
Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio
pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato
l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi
ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali
della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono
stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi
massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda
il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza
civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi:
tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente
accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro
di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung,
Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente
detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il
Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il
Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il
Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e'
quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia
cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti
nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente
utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L.
Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti
Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci,
Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di
Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti
pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero
nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark
Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini,
L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con
la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini)
2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi
in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006; Giuliano Pontara,
L'antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega,
Torino 2006]

1.1. L'escalation della barbarie
Il XX secolo e' stato profondamente segnato dall'acuirsi di due processi
strettamente congiunti: l'escalation della brutalizzazione e la
globalizzazione della violenza. Agli inizi del XXI secolo non vi sono segni
di arresto e inversione.
Tutti e due questi processi vengono da lontano: dai massacri imperialisti e
razzisti perpetrati dagli spagnoli e dai portoghesi in America Latina e da
altri europei nell'America del Nord; da quelli perpetrati dagli inglesi, dai
francesi, dai belgi, dai tedeschi e, in ritardo su questi, dagli italiani in
Africa; dalla "missione civilizzatrice" degli inglesi in India, i quali
alternarono l'uso della violenza armata e delle carestie per tenere l'intero
subcontinente sotto il loro dispotico dominio.
I massacri colonialisti sono perpetrati da eserciti dotati di armi
nettamente superiori e molto piu' distruttive di quelle di cui dispongono le
popolazioni che cercano di resistere. Verso la fine dell'Ottocento sono
inventate e adottate le prime mitragliatrici, prima semiautomatiche, poi
automatiche. Nel 1885 l'esercito dell'impero britannico viene dotato della
mitragliatrice automatica portabile Hiram Maxim, fornita di una capacita' di
fuoco tra i 500 e i 600 colpi al minuto. Nel 1898 l'uso di questa
mitragliatrice fu decisivo nella battaglia di Ondurman, in Sudan, nella
quale le truppe inglesi affogarono nel sangue i guerriglieri del movimento
indipendentista che si era sviluppato nel Paese sotto la guida di Muhammad
ibn Abd Allah (normalmente noto come Abdullahi). Nella battaglia furono
massacrati 22.000 sudanesi, altri 20.000 furono feriti. I morti tra le file
dell'esercito coloniale inglese furono 48. II giovane Winston Churchill,
futuro primo ministro inglese, presente alla battaglia come corrispondente
di guerra, descrive il fuoco "fermo e insistente" dei soldati che,
"interessati al loro lavoro" e "minuziosi nell'espletamento di esso",
sparavano "senza fretta e senza eccitazione", con la nuova mitragliatrice
Hiram Maxim su un "nemico lontano" che non poteva colpirli. Churchill chiama
la nuova arma automatica di distruzione un'"arma di civilizzazione" (l).
Sono omicidi di massa di questo tipo a preparare quella che un noto storico
contemporaneo ha chiamato "l'eta' dei massacri" (2), tuttora in corso,
iniziata con la prima guerra mondiale, durante la quale centinaia di
migliaia di soldati dei "Paesi civili" si massacrarono reciprocamente su
scala industriale per quasi cinque anni: solo nella battaglia di Verdun, nel
1915, i tedeschi uccisero 315.000 francesi e i francesi a loro volta
trucidarono 280.000 tedeschi (3). Con la prima guerra mondiale si rinforza
un militarismo profondamente legato a grandi e potenti interessi economici e
di classe. Di pari passo, e favorito dagli sviluppi sempre piu' rapidi della
scienza e della tecnologia, si intensifica un processo sempre piu' serrato
di corsa ad armamenti sempre piu' distruttivi che inghiotte somme sempre
piu' astronomiche: tra le nuove mitragliatrici usate nella prima guerra
mondiale (dopo che prototipi erano stati provati contro i "barbari incivili"
nei massacri coloniali) e lo sganciamento delle due bombe nucleari sul
Giappone intercorrono solo una trentina d'anni. Molti meno ce ne vorranno
per sviluppare e costruire su scala industriale sistemi di armi
termonucleari, chimiche e biologiche con le quali e' possibile distruggere
l'intero genere umano, o gran parte di esso.
Contemporaneamente, causa ed effetto dell'escalation della violenza, con la
prima guerra mondiale si innesca un rapido processo di vasta
brutalizzazione, di crescente e sempre piu' largamente condivisa
accettazione di forme di violenza precedentemente di regola non accettate e
giudicate inaccettabili. Attraverso il blocco economico della Germania,
efficacemente realizzato dalla flotta britannica per l'intera durata della
guerra, lo sforzo bellico viene per la prima volta direttamente rivolto
contro la popolazione civile allo scopo di abbatterne il morale. Le stime
dei civili che morirono a causa della penuria di risorse essenziali causata
dal blocco navale britannico variano da una cifra massima di 800.000 a una
minima di 424.000 (4). Esso costituisce l'inizio della guerra come
carneficina indiscriminata di combattenti e civili, perpetrata su scala
industriale. L'invenzione e costruzione su larga scala dell'aereo rende
possibile i bombardamenti terroristici diretti contro la popolazione civile,
i primi dei quali si verificarono gia' verso la fine della prima guerra
mondiale. Fatti inizialmente oggetto di un'ondata di proteste, questi
bombardamenti vennero in seguito sempre piu' accettati e sanzionati come
parte integrante della guerra, diventando fatto giornaliero durante la
seconda.
Nel XX secolo la guerra, compresa quella "civile", e' dunque diventata
totale. La percentuale dei civili uccisi in guerra non ha fatto che
crescere: alla fine dell'Ottocento e' il 5%; nelle guerre di fine Novecento
e' il 90% (5). Molte delle vittime sono bambini: soltanto nel corso dei vari
conflitti violenti che hanno infestato varie regioni del pianeta negli
ultimi quindici anni i bambini uccisi, resi invalidi, orfani, profondamente
traumatizzati si contano a milioni. Alla fine degli anni Novanta esistevano
oltre 110 milioni di mine attive disseminate in una settantina di Paesi
martoriati da conflitti violenti (6); e' stato calcolato che in media ogni
mese 2.000 persone pestano una di queste mine e vengono uccise o rese
invalide per il resto della vita. Aveva ragione il militarista Karl von
Clausewitz quando scriveva che "gli spiriti umani potrebbero pensare che
esistano metodi tecnici per disarmare o abbattere l'avversario senza
infliggergli troppe ferite e che sia questa la finalita' autentica dell'arte
militare. Per quanto seducente ne sia l'apparenza occorre distruggere tale
errore. La guerra e' un atto di forza, all'impiego del quale non esistono
limiti: i belligeranti si impongono legge mutuamente; ne risulta un'azione
reciproca che logicamente deve condurre all'estremo" (7). A massacri
avvenuti, e suggellati dalle carneficine di civili causate dai bombardamenti
atomici con cui gli Stati Uniti rasero al suolo le citta' di Hiroshima e
Nagasaki e da quello "tradizionale" con cui gli alleati, a guerra
praticamente conclusa e vinta, distrussero nel fuoco la citt" di Dresda, "i
popoli della terra", nauseati dal sangue che arriva fino alle ginocchia, si
dichiarano solennemente "decisi a salvare le future generazioni dal flagello
della guerra" (8). Ma il flagello continua attraverso una serie di guerre
locali, alcune delle quali assumono dimensioni mondiali in quanto
coinvolgono, direttamente o indirettamente, le maggiori potenze militari del
pianeta: guerra di Corea, guerra di Indocina, guerra del Vietnam, guerra di
Algeria, guerre in Africa, guerre balcaniche, guerre in Aghanistan, guerre
in Iraq, guerre in Libano. Appare cosi' un nuovo fenomeno: la crescente
globalizzazione e internazionalizzazione del terrorismo non statale (quello
di Stato e' ben piu' antico e massiccio) favorito dalla globalizzazione del
mercato, legale e nero, delle armi, dai nuovi fondamentalismi religiosi, ma
anche da geopolitiche neo-imperialiste e dall'enorme iniquita' nella
distribuzione delle risorse nel mondo.
A suo tempo, Karl Marx, con una metafora divenuta celebre, poteva parlare
della violenza come ostetrica della storia, come lo strumento attraverso il
quale lo sviluppo storico si apre la strada, abbattendo vecchie e
pietrificate strutture, verso forme sempre piu' aperte, meno violente e piu'
umane di societa'. Oggi c'e' il rischio che la metafora piu' calzante sia
un'altra: quella della violenza come becchino della storia.
*
1.2. La barbarie nazista
I vasti processi di brutalizzazione e globalizzazione della violenza,
innescati dai massacri imperialisti nel mondo extraeuropeo, e ulteriormente
sviluppati nel corso della prima guerra mondiale, favoriscono l'affermarsi
del nazismo, una sistematica (anche se incoerente) ideologia della violenza
e prassi metodica di essa come fine e come mezzo, che, a sua volta, fornisce
combustibile a un ulteriore imbarbarimento.
Inteso come ideologia - Weltanschauung la chiamavano i suoi fautori - il
nazismo e' un misto di nazionalismo tribale, di darwinismo sociale e di
elitismo conditi con idee sul superuomo e la volonta' di potenza provenienti
da Nietzsche (dai lati piu' oscuri del suo pensiero) e con la tendenza, di
provenienza hegeliana, a concepire un popolo, una nazione come un'entita'
metafisica. Cosi' inteso, il nazismo si articola in una costellazione di
interconnesse componenti che si manifestano sia a livello verbale (a questo
livello la bibbia del nazismo rimane pur sempre il Mein Kampf di Hitler),
sia a livello comportamentale, attraverso atteggiamenti e comportamenti
individuali e collettivi estremamente violenti e brutali, sia a livello
strutturale in istituzioni e strutture che promuovono distribuzioni inique
di potere e autorita' nel sistema sociale e di risorse e ricchezza a livello
economico.
Molto fa ritenere che le componenti che assieme costituiscono la
Weltanschauung nazista siano l'espressione estrema di strutture mentali,
assunti, norme, valori a lungo presenti e coltivati non solo nella cultura
tedesca, bensi' piu' in generale nella cultura occidentale (9). Ne' si
tratta di un fenomeno circoscritto allo specifico contesto dei dodici anni
di dittatura hitleriana in Germania. A determinate condizioni le componenti
che congiuntamente costituiscono il nocciolo duro dell'ideologia nazista si
possono realizzare, singolarmente o tutte assieme, in altri contesti. "E'
avvenuto, quindi puo' accadere di nuovo... e dappertutto" (10).
In effetti molte sono le situazioni che portano a pensare che diverse delle
componenti essenziali del nazismo siano ancora oggi largamente presenti nel
mondo, a Nord come a Sud, in Occidente come in Oriente. Non penso qui tanto
ai vari gruppi neonazisti attivi in diversi Paesi e che si ispirano
direttamente agli insegnamenti di Hitler, richiamandosi piu' o meno
apertamente al suo nome. Penso piuttosto alla diffusione di modi di pensare,
di concepire l'uomo e il mondo per vari versi simili a quelli propri del
nazismo, alle strutture autoritarie e oppressive non molto dissimili da
quelle naziste tuttora imperanti nel mondo, alle forme sempre piu' brutali e
distruttive assunte dalla violenza armata dopo la caduta del nazismo in
Germania e che, come gia' aveva rilevato Primo Levi, sembrano in parte
diramarsi proprio dalla violenza dominante nella Germania di Hitler (11).
Nelle pagine che seguono cerchero' di mettere brevemente e sinteticamente in
luce ciascuna delle componenti che costituisce il nocciolo della
Weltanschauung nazista (12), indicando di volta in volta come ciascuna di
esse sia ancora ben presente nel mondo in tendenze naziste che costituiscono
una grande minaccia per il futuro dell'umanita'.
Ostacolare lo sviluppo di queste tendenze costituisce una delle maggiori
sfide del secolo XXI.
*
1.3. La nuova barbarie: tendenze naziste oggi
Elenco riassuntivamente le componenti essenziali dell'ideologia nazista
sulle quali nel resto di questo capitolo intendo incentrare il discorso.
Esse sono otto:
a. la visione del mondo come teatro di una spietata lotta per la supremazia;
b. il diritto assoluto del piu' forte;
c. lo svincolamento della politica da ogni limite morale;
d. l'elitismo;
e. il disprezzo per il debole;
f. la glorificazione della violenza;
g. il culto dell'obbedienza assoluta;
h. il dogmatismo fanatico.
*
Note
1. W. Churchill, The River War: An Historical Account of the Reconquest of
the Sudan, Green Longmans, London 1899 (tr. it. Riconquistare Khartoum,
Piemme, Casale Monferrato 1999).
2. E. Hobsbawm, The Age of Extremes, Abacus, London 1995, p. 24 (tr. it. Il
secolo breve, Rizzoli, Milano 1997).
3. S. Robson, La prima guerra mondiale, il Mulino, Bologna 2002, p. 89 (ed.
orig. The First World War, Longman, London-New York 1998).
4. J. Glover, Humanity. Una storia morale del ventesimo secolo, Il
Saggiatore, Milano 2002, pp. 90-91 (ed. orig. Humanity. A Moral History of
the Twentieth Century, Pimlico, London 2001).
5. Undp, Human Development Report, Oxford University Press, Oxford 1998, p.
35.
6. Ivi.
7. K. von Clausewitz, Della guerra, Mondadori, Milano 1970, pp. 21-22.
8. Preambolo della Carta delle Nazioni Unite.
9. Lo storico Enzo Traverso argomenta bene questa tesi nel suo lavoro La
violenza nazista. Una genealogia, il Mulino, Bologna 2002.
10. P. Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 1986, p. 164.
11. Ivi, p. 165.
12. Per una dettagliata analisi delle molteplici componenti che
costituiscono la Weltanschauung nazista cfr. la meticolosa ricostruzione
dell'intera ideologia fatta da H. Ofstad in Our Contempt for Weakness: Nazi
Norms and Values - and Our Own, Almqvist & Wiksell International, Stockholm
1989 (ed. orig. in norvegese, Var forakt for svakhet, Pax Forlag, Oslo
1971). Debbo molto a questa analisi. Cfr. anche l'intera parte VI del lavoro
di Glover, op. cit.

2. TESTI. GIULIANO PONTARA: IL MONDO COME TEATRO DELLE FORZE COSTRUTTIVE. UN
ESTRATTO DALL'ULTIMO CAPITOLO DE "L'ANTIBARBARIE"
[Riproponiamo il seguente estratto da Giuliano Pontara, L'antibarbarie. La
concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega, Torino 2006, pp.
322-323]

Alla Weltanschauung nazista che vede il mondo come teatro di una perenne
lotta violenta e brutale per la supremazia, la mentalita' nonviolenta oppone
una visione del mondo al centro della quale sta quella "forza costruttiva"
che nella storia dell'umanita' si esprime concretamente in atteggiamenti,
comportamenti, pratiche, istituzioni, strutture - a livello morale,
giuridico, sociale, economico, politico - volti ad arginare la violenza in
tutte le sue forme; quella forza costruttiva che nella storia ha permesso
agli esseri umani di convivere pacificamente, di condurre e risolvere i
conflitti senza distruggersi a vicenda, di istituire relazioni cooperative,
fiduciose, e costruire societa' fiorenti. La pace non e' vista come
situazione di tregua tra guerre, bensi' come un continuo e dinamico processo
costruttivo interrotto da esse. A una visione della storia umana, per cui il
"progresso" si fa faticosamente strada con e grazie alla violenza, viene
opposta una visione per cui le maggiori conquiste dell'umanita' sono
avvenute non grazie alla violenza, ma nonostante essa.
Questa concezione costruttiva non nega la centralita' del conflitto nel
mondo delle relazioni umane e l'importanza del potere nella conduzione dei
conflitti. Ma potere non equivale a violenza; se la violenza e' sempre
potere, non sempre il potere e' violenza. Non e' contraddittorio a livello
teorico, ne' controfattuale a livello empirico, parlare di potere della
nonviolenza, potere che nella storia si e' manifestato in una miriade di
modi diversi, sia prima sia dopo Gandhi, e al quale Gandhi ha aggiunto, con
la dottrina e la pratica del satyagraha, una nuova e originale dimensione.

3. TESTI. GIULIANO PONTARA: UNA VIA DIFFICILE. LE PAROLE CONCLUSIVE DE
"L'ANTIBARBARIE"
[Riproponiamo il seguente estratto da Giuliano Pontara, L'antibarbarie. La
concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega, Torino 2006, pp.
333-334]

"Sento nel piu' profondo del mio cuore - scriveva Gandhi verso la fine della
sua vita - che il mondo e' mortalmente nauseato dai versamenti di sangue. Il
mondo sta cercando una via d'uscita". Uscita dalla barbarie.
Combattere la barbarie senza diventare barbari, questo e' il problema;
opporsi, con mezzi immuni dal contagio, alla logica della volonta' di
potenza, quella logica gia' enunciata, e forse anche denunciata, da Tucidide
per cui "i forti fanno cio' che hanno la potenza per fare, mentre i deboli
accettano quello che sono costretti ad accettare", e in base alla quale gli
ateniesi, dopo che Melos si era arresa a discrezione, fecero massacro tra
gli abitanti maschi in eta' militare e deportarono in schiavitu' donne e
bambini; la stessa logica che domina tuttora nel mondo fra quanti vedono nel
terrorismo della guerra e nella guerra del terrorismo la continuazione della
politica con altri mezzi. E' difficile vedere come si possa uscire da questa
logica con nuove e ulteriori violenze. Non c'e' una guerra che ponga fine a
tutte le guerre, un terrorismo che ponga fine a ogni terrorismo, una
barbarie che ponga fine a ogni barbarie, tranne la barbarie ultima
dell'olocausto dell'umanita'. Non si tratta di abbandonarsi a discorsi
apocalittici, ma non si puo' e non si deve assuefarsi alla convivenza con
armi di distruzione di massa, e rimuovere la consapevolezza che la minaccia
e il pericolo di una Auschwitz e di una Hiroshima sempre piu' globali sono
pur sempre incombenti.
Se, da una parte, guardando all'immane corsa storica ad armamenti sempre
piu' distruttivi, ai massacri, alle carneficine, alle guerre, ai genocidi
perpetrati nel "mattatoio della storia" e alle minacciose tendenze naziste
nel mondo d'oggi, si puo' ragionevolmente e pessimisticamente disperare di
poter uscire dalla barbarie ed evitare la barbarie ultima; dall'altra,
rivolgendo l'attenzione alle forze morali, costruttive e nonviolente che in
ogni epoca della storia gli umani sono riusciti a mobilitare contro la
violenza e la barbarie, si possono trovare ragioni per non disperare,
appigli per un'intelligente speranza, quell'intelligente speranza di cui era
"prigioniero" Gandhi e che l'accompagno' nel suo cammino sulla via della
politica e della lotta nonviolenta. La via e' difficile, e Gandhi e' il
primo a riconoscerlo: "Enunciare la nobile dottrina dell'ahimsa e' facile;
osservarla in un mondo pieno di conflitti, di sconvolgimenti e di passioni
e' un compito della cui difficolta' mi rendo conto ogni giorno di piu'". Ma
esistono forse vie facili?

==============================
LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 141 del 9 dicembre 2007

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it