Minime. 298



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 298 del 9 dicembre 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Enrico Peyretti presenta "Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004"
di Renato Solmi
2. Mao Valpiana: Intervista impossibile a John Lennon nell'anniversario
della morte
3. Un appello agli studenti dell'Universita' della Tuscia
4. Enrico Piovesana: Kabul come Baghdad
5. Giancarla Codrignani: Non c'ero ma c'ero
6. Il "Cos in rete" di dicembre
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. LIBRI. ENRICO PEYRETTI PRESENTA "AUTOBIOGRAFIA DOCUMENTARIA. SCRITTI
1950-2004" DI RENATO SOLMI
[Dal sito del Centro studi "Sereno Regis" di Torino (www.cssr-pas.org)
riprendiamo la seguente recensione del libro di Renato Solmi, Autobiografia
documentaria. Scritti 1950-2004, Quodlibet, Macerata 2007, pp. 828,
recensione che sara' pubblicata sul numero di dicembre 2007 della rivista
"L'Indice"
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di
pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato
con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il
foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel
Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian
Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro
Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo
comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione
col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento
Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora
a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di),
Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni,
Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi
1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?,
Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'.
Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e'
disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e
nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al
libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro
di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu'
volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli,
indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.cssr-pas.org,
www.ilfoglio.info e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia
degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n.
68.
Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha
introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del
pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di
generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che
attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte
della propria strumentazione intellettuale; e' impegnato nel Movimento
Nonviolento del Piemonte e della Valle d'Aosta]

Conosco Renato Solmi soltanto da circa una dozzina di anni, da quando ci
siamo incontrati nell'interesse e nel lavoro comune attorno alla cultura e
ai movimenti della nonviolenza positiva e attiva. Egli stesso dichiara la
speranza, al termine della prefazione (p. 16), che questo suo libro non
appaia soltanto "rivolto verso il passato", perche' egli "da un certo numero
di anni" vuole affacciarsi "sulla linea piu' avanzata del fronte che separa
il passato dal futuro, o, se si preferisce, la salvezza dalla catastrofe":
questa linea e' per Solmi la ricerca e l'azione nonviolenta (mi limito a
questo aspetto dei suoi scritti filosofici, editoriali, scolastici, storici,
qui raccolti).
"Le problematiche teoriche e le iniziative di carattere pratico (...) di
questi movimenti non mi sono del tutto estranee", dice con grande modestia,
e spera che militanti e personalita' della nonviolenza possano presto
"esercitare una funzione di guida e, insieme, di collegamento col mondo
della politica vera e propria, che necessita piu' che mai, oggi (...), di un
rinnovamento radicale" dei quadri, dei metodi, delle prospettive: "una
rivoluzione in piena regola, di portata difficilmente concepibile, il cui
giorno non dovrebbe essere lontano".
Oggi una tale speranza puo' sembrare meno vicina, davanti alle nuove
violenze del secolo XXI, ma questa conclusione di un tale osservatore e
studioso della politica, in quanto pensiero e azione, ci invita a riflettere
sulle linee di fondo della storia, che tante volte emergono anche in modo
imprevisto (come le rivoluzioni nonviolente del 1989, modello per altre
successive esperienze, e l'uscita con saggezza e senza la prevista violenza
del Sudafrica dall'apartheid). L'idea di rivoluzione, che aveva per decenni
orientato l'osservazione di questo studioso e amico, gli si presenta ora
possibile e necessaria come liberazione ed emancipazione storica dell'agire
politico dall'uso sistematico della violenza, a quell'agire finora
incorporato, spesso anche negli stati dalla forma democratica.
Percio' oggi Renato Solmi sollecita i movimenti nonviolenti ai quali
partecipa, anche con azioni esterne (lo rivedo camminare con la bandiera
iridata della pace sulle spalle nella grande manifestazione a Vicenza, nel
febbraio 2007, contro il raddoppio sciagurato della base Usa), ad agire
direttamente nella politica. Intanto, egli continua la sua opera di
traduttore, volgendo in italiano i maggiori autori della peace research
internazionale.
Senza dimenticare l'articolazione tra i movimenti e la politica
istituzionale attraverso i partiti, questa sua sollecitazione e' certamente
preziosa. Vedo in questo suo impegno attuale uno sbocco del suo cammino
intellettuale e pubblicistico, ampiamente documentato negli scritti raccolti
in questo poderoso volume.
Infatti, nell'ultima pagina del libro, Solmi, pur grato e ammirato per
quelli tra gli intellettuali comunisti della sua generazione che svolgono
una funzione critica preziosissima, dice che la maggior parte di loro, dopo
il tracollo politico dell'Urss, non avrebbero "avuto il tempo e la capacita'
di far fronte con una coscienza pienamente adeguata alla sfida rappresentata
da questi nuovi sviluppi" e "ai termini in cui si pongono attualmente i
problemi della lotta per la pace e per la giustizia sociale nel mondo". Nei
movimenti nonviolenti egli vede prefigurato "l'avvento di una nuova
Internazionale pacifista e nonviolenta, aliena da ogni forma di costrizione,
ma non meno saldamente coesa e compatta di quelle che l'avevano preceduta"
(pp. 815-816).
Esplicitando questi spunti, possiamo dire che la prospettiva e' quella del
socialismo gandhiano, fondato sulla riforma morale, culturale, strutturale,
e non sulla costrizione. La nonviolenza genuina, quella che interessa a
Solmi, non e' la sola astensione dalla violenza, ma qualcosa di positivo:
una forma di lotta con le forze umane della volonta', della resistenza,
dell'unita', dell'amore per l'umanita', dell'agire concertato nella
politica; e' il programma costruttivo per togliere le violenze strutturali e
culturali dalla societa', piu' profonde e gravi della stessa violenza
diretta (1).
Sono pochissimi gli intellettuali - in generale, ma anche nella sinistra di
origine comunista - che hanno compreso come Solmi il ruolo della politica
nonviolenta nel nuovo tempo storico. Nel 2003-2004, il Partito della
Rifondazione Comunista visse una stagione di impegno, non senza contrasti
interni, per la nonviolenza come nuova identita' della sinistra (gia'
l'ultimo Sartre indicava "una idea per la sinistra" nella "fraternita' senza
terrore"), sebbene in una concezione piu' tattica che strategica: fu una
stagione che sembrava promettente, ma presto dimenticata (2).
In questo volume, specialmente nella lunga sezione (quasi trecento pagine di
saggi, rapporti e traduzioni pubblicati tra il 1965 e il 1976, piu' uno del
2000) su La nuova sinistra americana, la guerra del Vietnam, la resistenza
nell'esercito americano, e lo sviluppo dei movimenti pacifisti, l'Autore
presta gia' attenzione agli aspetti nonviolenti dei fenomeni studiati (3).
Chiama dapprima "simboliche" le azioni dimostrative nonviolente, ma registra
l'uso del metodo del consenso (p. 424), parla di "rivoluzione nonviolenta",
di "esercito nonviolento", di "rivoluzione interiore" (pp. 428, 432, 447),
studia l'obiezione di coscienza (pp. 605-610). Ma soprattutto dedica spazio
(pp. 443-449) alla "questione della nonviolenza": Solmi conclude
giudicandola un mezzo adeguato agli obiettivi limitati di quelle lotte per i
diritti civili, ma non alla "prospettiva di una rivoluzione vera e propria,
che implica la necessita' di gestire il potere in un ambito piu' o meno
vasto, e quindi anche l'eventualita' del ricorso alla violenza" (pp.
448-449). Poi registra "alcuni limiti chiaramente individuabili" del
movimento per la pace negli Stati Uniti, "incapace di andare alla radice del
problema", perche', tendendo a isolare l'aspetto della paura atomica, "si
presta difficilmente a fornire la premessa di un'azione politica
rivoluzionaria". Ma la guerra del Vietnam, toccando piu' direttamente le
coscienze, "stringe in modo indissolubile i diversi aspetti della situazione
storica internazionale" e permette una certa continuita' e rapporto fra la
tradizione rivoluzionaria socialista e i movimenti nuovi che si sviluppano
in questa fase in America e altrove, a componente antimilitarista e
pacifista (pp. 599-600). In questi movimenti, le forze costruttive della
coscienza personale, coltivate soprattutto nelle chiese dissidenti o
minoritarie, si ergono contro la guerra, cosi' come si sono levate contro la
discriminazione razziale: il loro gesto eminente e' l'obiezione di coscienza
(da p. 605 anche fino a 620). Ora, questa obiezione e' la radice della
scelta attiva nonviolenta. Il movimento, pur differenziato, che, dagli Stati
Uniti si presenta al mondo nella figura di Martin Luther King, specialmente
dopo la sua uccisione il 4 aprile 1968 (sei mesi dopo Che Guevara), e' il
quarto dei filoni di cultura e spirito che sorgono dalle "macroculture" (4)
dell'umanita', capaci di azione storica nonviolenta: e' il filone cristiano,
dopo quello buddhista (fino dall'antichita' di Ashoka), quello induista
aperto, con Gandhi, quello islamico con Badshah Khan (finora troppo poco
conosciuto) (5). Negli scritti di quegli anni, Solmi coglie elementi che
vedremo svilupparsi, seppur contrastati duramente, fino ad oggi.
Vorrei accostare, in argomento, a questi testi lontani, un intervento piu'
recente di Solmi, comparso in appendice ad un volumetto che io raccolsi nel
1999, contro la guerra Nato-Serbia (6). In quelle pagine, Solmi replicava a
quella che gli pareva una condanna assoluta, senza eccezioni, della guerra,
rivendicando il diritto di difesa, anche armata, di un popolo aggredito. Il
suo interesse e attenzione per la nonviolenza, mi pare, contiene anche oggi
questa riserva. E' noto che Gandhi stesso incita a ribellarsi con la
violenza ad una violenza, piuttosto che subirla, che sarebbe vilta' e
collaborazione passiva. Ma nello stesso momento indica una terza via tra
vilta' e violenza, che e' la resistenza e la lotta nonviolenta (7),
certamente da costruire per tempo nelle menti, nelle strutture, nelle
esperienze (8). Il punto e' qui: doverosa e' l'azione di difesa della
dignita' offesa (propria o altrui), condannabile l'inazione; l'azione, poi,
sara' violenta o nonviolenta (9) secondo che siamo impreparati, costretti a
ripetere l'aggiunta di violenza a violenza, oppure preparati a quella
rivoluzione storico-politica che sola puo' condurre l'umanita' fuori dalla
catastrofe predisposta dalla vecchia logica distruttiva.
Insomma, Renato Solmi ci insegna che se la nonviolenza non e' anche critica,
autocritica, problematica, percio' anche politica, rischia di rimanere
retorica.
*
Note
1. Volendo indicare pochi testi recenti, tra i molti, per la conoscenza
diretta del complesso movimento partito da Gandhi, proporrei: Gandhi, Teoria
e pratica della nonviolenza, Einaudi 1996, con ampio saggio introduttivo di
Giuliano Pontara, una riduzione del quale e' nel mio Esperimenti con la
verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, 2005; Jean-Marie Muller, Il
principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Pisa University Press,
2004; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi
in un'eta' di terrorismi, Unicopli, 2006; Giuliano Pontara, L'antibarbarie.
La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Edizioni Gruppo
Abele, 2006.
2. Documenti di quel periodo sono: AA. VV., Agire la nonviolenza.
Prospettive di liberazione nella globalizzazione, Atti del convegno 28-29
febbraio 2004, Edizioni Punto Rosso, 2004; La politica della non-violenza.
Per una nuova identita' della sinistra alternativa, Liberazione, 2004;
Fausto Bertinotti, Lidia Menapace, Marco Revelli, Nonviolenza. Le ragioni
del pacifismo, Fazi editore, 2004.
3. Martin Luther King e' citato tredici volte, Gandhi e Thoreau due. Non
compare ancora Gene Sharp, che nel 1973 pubblicava a Boston i tre volumi
della sua opera principale The Politics of Nonviolent Action, tradotti in
italiano tra il 1985 e il 1997 dalle Edizioni Gruppo Abele.
4. Johan Galtung, Pace con mezzi pacifici, Esperia, Milano 2000.
5. Eknath Easwaran, Badshah Khan, il Gandhi musulmano, Sonda, Torino 1990
6. Renato Solmi, Una discussione amichevole, alle pp. 109-114 di Enrico
Peyretti, Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999.
7. Gandhi, opera citata, almeno pp. 18 e 320.
8. Le esperienze storiche di lotte nonviolente sono poco conosciute, ma non
mancano: cfr la bibliografia sui casi storici di "Difesa senza guerra" in
http://www.google.it/search?hl=it&q=difesa+senza+guerra&meta=
9. Cfr Jean-Marie Muller, opera citata, nel paragrafo Rifiutare anzitutto la
vilta', pp. 287-288.

2. MEMORIA. MAO VALPIANA: INTERVISTA IMPOSSIBILE A JOHN LENNON
NELL'ANNIVERSARIO DELLA MORTE
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at nonviolenti.org) per questo
intervento dal titolo originale "Pace, amore e rock'n'roll".
Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della
nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come
assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel
Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come
metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di
coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa
della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione
Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al
servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla
campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione
della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario
nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione
diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per
"blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio
direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio
della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione
di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato
di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per
la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il
digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana
rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto
con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4
dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in cammino"; una sua ampia intervista e'
nelle "Minime" n. 255 del 27 ottobre 2007.
Su John Lennon, "il menestrello della nonviolenza", un bel profilo - scritto
da Mao Valpiana - e' nel n. 1137 de "La nonviolenza e' in cammino"]

Dream is over. Il sogno e' finito quell'8 dicembre 1980 con cinque colpi di
pistola, davanti a casa. John Lennon muore come aveva vissuto, in modo
imprevedibile. Ma proprio quella morte violenta e mai chiarita l'ha reso
immortale. Non solo le sue canzoni sono ancora la colonna sonora del nostro
tempo, ma lui stesso sembra aver sempre qualcosa di nuovo da dirci.
Cosi' mi e' venuta la voglia di intervistarlo.
*
... sono emozionatissimo... un vecchio sogno della mia infanzia prende
corpo: sto per incontrare John Lennon, si' proprio lui, il nostro mito. Di
passaggio in Italia per un viaggio, mi ha concesso un'intervista. I contatti
li ho presi tramite la War Resisters International (l'internazionale dei
resistenti alla guerra di cui fa parte anche il Movimento Nonviolento
italiano), alla quale Lennon lascia sostanziosi finanziamenti. John e'
impegnato a fondo contro la guerra, contro l'industria bellica, le spese
militari, la politica imperialista, partecipa attivamente al movimento per
la pace. Per fare gli auguri di Natale ha riempito le citta' americane e le
principali capitali del mondo di manifesti con la scritta "War is over" ("la
guerra e' finita - se tu lo vuoi", firmati "con amore, John e Yoko, da NY").
Insieme a Yoko ha acquistato intere pagine dei giornali americani per
pubblicare i suoi pensieri sulla nonviolenza. Con i Beatles era un musicista
che cantava la pace, ora e' un pacifista che fa musica.
Ci incontriamo in una saletta riservata dell'aeroporto. Il tempo concesso e'
di mezz'ora. Arrivo e lui e' gia' li'. Un sorriso, una stretta di mano; io
sono evidentemente imbarazzato, non riesco ad iniziare. John mi prende in
contropiede e fa lui la prima battuta: "Ti chiami come il Presidente cinese,
che non era proprio un nonviolento... non era meglio se ti chiamavi come
Gandhi?", ride, e l'atmosfera immediatamente si scioglie.
Arriviamo subito al dunque e al motivo del nostro incontro.
*
- Mao: Cos'e' per te, oggi, la nonviolenza?
- John: Per me vale ancora quello che ho scritto piu' di trentacinque anni
fa in "Revolution", quelle parole esprimono bene cio' che provo tutt'ora nei
confronti della politica. Non contate su di me se di mezzo c'e' la violenza.
Non aspettatevi che salga sulle barricata se non con un fiore. E per quanto
riguarda rovesciare qualcosa in nome di qualche ideologia, voglio sapere
cosa si fara' dopo averla abbattuta. Intendo dire: non si potrebbe tenere
buono qualcosa? A cosa serve mettere le bombe a Wall Street? Se vuoi
cambiare il sistema, cambia il sistema, non serve a niente ammazzare la
gente. Se vuoi la pace non la otterrai mai con la violenza. Ditemi quale
rivoluzione violenta ha funzionato. Certo, qualcuna ha conquistato il
potere, ma dopo cosa e' successo? Lo status quo. La storia di abbattere il
sistema va avanti da sempre. L'hanno fatto gli irlandesi, i russi, i
francesi, i cinesi, e questo dove li ha portati? Da nessuna parte. E' sempre
lo stesso vecchio gioco. Chi guidera' il crollo? Chi prendera' il potere? I
peggiori distruttori. Sono sempre loro ad arrivare primi. Quello che ho
detto in molte mie canzoni e': cambiate la vostra testa. Se pensiamo a chi
ha il potere, dobbiamo ricordarci che sono loro i malati. E, se hai un
bambino malato in famiglia, non lo butti fuori di casa: cerchi di prenderti
cura di lui e gli porgi la mano. Quindi prima o poi si deve trovare un punto
di incontro con ciascuno, anche con i potenti. Se davvero noi siamo la
generazione consapevole, dobbiamo stendere la mano al bambino ritardato e
non dargli un calcio sui denti. L'unico sistema per assicurare una pace
durevole e' cambiare la nostra mentalita': non c'e' altro metodo. I fini non
giustificano i mezzi. Dobbiamo imparare dai metodi utilizzati da Gandhi e da
Martin Luther King. La gente ha gia' il potere; tutto quello che noi
dobbiamo fare e' prenderne coscienza. Alla fine accadra', deve accadere.
Potrebbe essere adesso o fra cento anni, ma accadra'.
*
- Mao: Molte tue canzoni hanno affrontato il tema religioso. Come parleresti
oggi ai giovani della fede e della morte, della tua morte?
- John: Ho sempre sospettato che ci fosse un Dio anche quando pensavo di
essere ateo. Sono credente e mi sento pieno di compassione. Lui e' il potere
supremo, Lui non e' ne' buono ne' cattivo, ne' bianco ne' nero: e' e basta.
Dovesse accadere qualcosa a me o a Yoko in questo periodo non sara' un
incidente, ma non ho paura di morire. Sono preparato alla morte perche' non
ci credo. Penso che sia solo uscire da un'auto per salire su un'altra.
*
- Mao: Una domanda banale, ma inevitabile: cosa resta vivo dei Beatles?
Riguardando il tuo album fotografico, senti della nostalgia?
- John: Non rimpiango niente di quello che ho fatto, davvero, a parte forse
aver ferito altre persone. Non rinnego niente. Ho sempre avuto l'idea della
pace: si poteva gia' intuire dalle nostre prime canzoni. Noi siamo stati
insieme molto piu' a lungo di quanto il pubblico sappia. E' impegnativo
vivere insieme in quattro per anni e anni, ed e' questo che abbiamo fatto.
Tutti i miei amici comunque erano i Beatles. C'erano i Beatles e forse altri
tre con i quali ero veramente intimo. Penso che i Beatles fossero una sorta
di religione. I Beatles sono finiti, ma io voglio ancora bene a quei
ragazzi... Oggi non sono piu' alla ricerca di un guru. Non sto cercando
niente. Le cose sono semplicemente cosi' come sono.
*
- Mao: Dopo i Beatles, dopo la tua carriere solista, ora che hai superato la
soglia dei 67 anni, cosa puoi dire di aver imparato da tutte queste
esperienze?
- John: La mia filosofia di vita e' piuttosto semplice: pace, nonviolenza, e
tutto in armonia con il resto del mondo. E' ovvio che in tutti noi c'e'
della violenza, pero' si deve essere capaci di incanalarla o di gestirla in
qualche modo. Se voglio un mondo in pace mi limitero' a proporre al prossimo
questa visione, non forzero' nessuno a volere la pace come me. D'altra parte
bisogna essere consapevoli che o ci si sforza di combattere per la pace,
oppure si e' destinati a morire in maniera violenta.
*
- Mao: Ci resta solo un minuto. Qual e' l'ultimo messaggio per i giovani di
oggi?
- John: Credo che gli anni Sessanta siano stati un grande decennio. I grandi
raduni di giovani furono per alcuni solo un concerto pop, ma sono stati ben
di piu'. Sono stati la gioventu' che si e' riunita e ha detto: crediamo in
Dio, crediamo nella speranza e nella verita', ed eccoci tutti insieme in
pace. I giovani hanno speranze perche' sperano nel futuro e se sono depressi
per il loro futuro allora siamo nei guai. Noi dobbiamo tenere viva la
speranza tenendola viva fra i giovani. Io ho grandi speranze per il futuro.
*
L'intervista e' finita. John Lennon mi saluta e se ne va sorridente.
Quarant'anni fa ha infiammato la mia generazione; oggi e' un signore saggio,
dai modi gentili, che riflette sulla nonviolenza che puo' salvare
l'umanita'. Resta il nostro fratello maggiore.
Verona, 8 dicembre 2007
*
Nota
I testi sono tratti dalla biografia ufficiale autorizzata da Yoko Ono, The
Beatles Anthology.

3. APPELLI. UN APPELLO AGLI STUDENTI DELL'UNIVERSITA' DELLA TUSCIA
[Riportiamo il seguente appello del 7 dicembre 2007 del comitato che si
oppone all'aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto
aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti
di tutti (per contatti: e-mail: info at coipiediperterra.org, sito:
www.coipiediperterra.org]

Cari amici,
una spregiudicata e irresponsabile lobby politico-affaristica vorrebbe
realizzare a Viterbo un devastante mega-aeroporto per voli low cost
finalizzato al turismo "mordi e fuggi" per Roma.
I principali effetti della realizzazione di questa opera sarebbero i
seguenti:
- si devasterebbe irreversibilmente l'area termale del Bulicame, un prezioso
bene naturalistico, storico-culturale, sociale e terapeutico;
- si provocherebbe un gravissimo inquinamento atmosferico a danno della
salute della popolazione dell'Alto Lazio, che gia' subisce le emissioni
velenose della servitu' energetica del polo Civitavecchia-Montalto;
- si provocherebbe un elevatissimo inquinamento acustico che toglierebbe
salute, tranquillita' e benessere a tantissime persone;
- si incrementerebbe una forma di trasporto che contribuisce in ingente
misura all'effetto serra, ovvero al surriscaldamento del clima che e' oggi
la piu' drammatica emergenza ambientale planetaria;
- si sperpererebbero enormi risorse finanziarie pubbliche a beneficio di
pochi speculatori (come certe compagnie low cost che violano
sistematicamente i diritti sindacali e rifiutano di rispettare la
legislazione italiana a tutela dei lavoratori) e a danno di tutti i
cittadini.
Occorre impedire che questo scempio si compia.
Occorre impegnarsi per ottenere il rispetto della legalita', della
democrazia, dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
Occorre impegnarsi per salvare Viterbo dall'assalto dei nuovi barbari e
degli speculatori di sempre.
Occorre impegnarsi affinche' i beni ambientali e culturali siano
salvaguardati e valorizzati.
Occorre impegnarsi affinche' i finanziamenti pubblici siano utilizzati a
vantaggio di tutti i cittadini e non a loro danno.
*
A Viterbo occorre innanzitutto migliorare il trasporto pubblico locale, e
soprattutto la rete ferroviaria.
A Viterbo occorre innanzitutto realizzare servizi sociali e di accoglienza
che promuovano i diritti e il benessere della popolazione e uno sviluppo
autocentrato che valorizzi e non distrugga i beni ambientali e culturali e
le autentiche vocazioni produttive del territorio.
Da Viterbo occorre promuovere un impegno non solo locale ma globale per la
riduzione drastica e immediata del trasporto aereo. E quindi: occorre non
solo opporsi ad ogni incremento dei voli; non solo opporsi alla
realizzazione di nuovi aeroporti e all'ampliamento di quelli esistenti;
occorre ridurre tout court il trasporto aereo, e nel Lazio occorre subito -
subito - liberare Ciampino da un traffico aereo mostruoso che avvelena e
soffoca i cittadini; liberare Ciampino occorre, e non "ciampinizzare" altri
luoghi. Ridurre il trasporto aereo occorre, e non dissennatamente aumentarlo
come hanno proposto un ministro e un presidente regionale che evidentemente
non sanno cosa dicono.
*
In quanto studenti universitari, e di un'Universita' che si caratterizza per
la qualificata peculiare attenzione ai beni ambientali ed ai beni culturali,
voi potete dare un contributo rilevante all'impegno affinche' si impedisca
la realizzazione a Viterbo di un devastante, distruttivo, velenoso
mega-aeroporto per voli low cost a vantaggio di pochi speculatori e a danno
dell'intera comunita'.
E' scandaloso che il rettore dell'Universita' della Tuscia invece di
difendere i beni culturali e ambientali, invece di ascoltare voci autorevoli
della sua stessa Universita', abbia espresso un appoggio alla realizzazione
della devastante, barbara opera.
Siate voi studenti ad impegnarvi per il bene comune.
Siate voi studenti a fare opera di scienza, opera di verita', in
collaborazione con i vostri docenti che si impegnano in difesa dei beni
ambientali, dei beni culturali, dei diritti umani, dell'umana civilta'.
Siate voi a spiegare al vostro rettore quanto grave sia stato il suo errore
e quanto doverosa e urgente una sua resipiscenza.
Siate voi, ove occorre, ad educare gli educatori. Siate voi a richiamare
alle loro responsabilita' civile quegli intellettuali che nel vostro ateneo
lavorano e che ancora - con poche luminose eccezioni - non hanno voluto
pronunciare una parola di verita' e un invito all'impegno contro la
devastazione dell'ambiente, della cultura, della salute e della vita delle
persone che a Viterbo abitano o studiano o lavorano.
Siate voi insieme all'intera popolazione dell'Alto Lazio a fermare un'opera
speculativa, nociva, distruttiva.

4. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: KABUL COME BAGHDAD
[Dal sito di Peacereporter (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente
articolo del 5 dicembre 2007, dal titolo "Kabul come Baghdad. Italiani al
comando nella sempre piu' violenta capitale afgana".
Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter", per cui segue la
zona dell'Asia centrale e del Caucaso; e' stato piu' volte in Afghanistan in
qualita' di inviato]

Chihulsutoon, periferia meridionale di Kabul. Nel traffico mattutino un
pulmino bianco di fabbricazione cinese, carico di soldati afgani, viene
affiancato da una piccola auto guidata da un kamikaze. L'esplosione,
potentissima, riduce il pulmino a un rottame contorto e fumante. Otto
militari rimangono uccisi assieme ad almeno altrettanti passanti, tra cui
quattro bambini. Decine i feriti gravi.
Il giorno precedente, alla stessa ora, lungo la strada che collega
l'aeroporto al centro di Kabul un'altra autobomba esplode al passaggio di un
convoglio militare della Nato. Ventidue passanti, tutti civili, rimangono
feriti, molti in maniera grave.
Pochi giorni prima, il 27 novembre, sempre nella capitale, un'autobomba
salta in aria vicino a due blindati dell'esercito Usa, devastando una vicina
abitazione privata: due civili rimangono uccisi, altri feriti.
*
La guerra e' ormai arrivata a Kabul
La capitale afgana e' sempre piu' simile a quella irachena: gli attentati
suicidi contro le forze straniere e governative sono ormai quasi quotidiani.
Negli ultimi mesi questo fenomeno sta registrando una crescita esponenziale.
La citta' e' stata penetrata da decine di shahid pronti a farsi saltare in
aria. E, quel che piu' preoccupa Usa e Nato, i guerriglieri talebani
circondano ormai la capitale da tutti i lati. La guerriglia non solo e'
ormai attiva in tutte le province attorno a Kabul ñ Vardak, Parvan, Kapisa,
Lowgar e Nangarhar ñ ma anche all'interno della stessa provincia capitale: i
ribelli sono ormai sulle montagne e nelle vallate che si trovano solo venti,
trenta chilometri a sud della citta'. Come Pagman o Musayi: zone
regolarmente pattugliate dalle forze Isaf italiane, sempre piu' spesso
oggetto di attacchi talebani come quello del 24 novembre, costato la vita al
maresciallo Daniele Paladini.
*
Rinforzi italiani per difendere la capitale
E' in questo clima che domani l'Italia, gia' al comando del sempre piu'
"caldo" fronte occidentale con il generale di brigata Fausto Macor,
prendera' sotto la sua responsabilita' anche la citta' di Kabul e la sua
provincia.
Il generale di brigata Federico Bonato assume il comando del "Regional
Command Capital", il che significa che per otto mesi l'Italia guidera' tutte
le attivita' militari Nato nella zona e vi partecipera' in prima fila. In
buona sostanza, da domani la sicurezza e la difesa di Kabul sono affar
nostro. A tale scopo sono sbarcati in Afghanistan 250 uomini di rinforzo:
non soldati qualunque, ma uomini della brigata Alpina "Taurinense",
specializzata per il combattimento in montagna.
Vista la situazione sopradescritta e i timori di un'offensiva talebana per
la presa di Kabul in primavera, i nostri soldati potrebbero trovarsi nei
prossimi mesi a fronteggiare una situazione ancora peggiore dell'attuale:
evitare la caduta della capitale afgana in mano ai talebani.

5. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: NON C'ERO MA C'ERO
[Dal sito de "IL paese delle donne" (www.womenews.net/spip3/).
Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli obiettori di
coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei
movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure
piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la
nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai
telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le
altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994;
L'amore ordinato, Edizioni Com nuovi tempi, Roma 2005]

Non c'ero, ma c'ero. Suppongo che sia il sentire comune di moltissime che
non sono potute andare a Roma. E' trascorsa ormai una settimana, ma
l'entusiasmo scalda ancora il cuore con le immagini memorizzate di tante
donne tornate a manifestare contro la vergogna della violenza dei maschi che
iniziano la loro voglia di guerra sul corpo delle donne.
Forse e' presto per un bilancio, ma vale la pena di provarci, tanto sono
ricchi i messaggi che ne derivano (anche con la posta elettronica).
Non intendo neppure parlare di Miriam Mafai, divenuta ignara di fatti che,
per eta', dovrebbe conoscere benissimo. Nessuna, infatti, puo' ignorare che,
per avere una legge contro lo stupro non da oggi giudicata inadeguata, le
donne italiane hanno impiegato vent'anni e sette legislature, pur
abbreviate. Cosi' come nessuna puo' ignorare che il femminismo negli anni
Settanta (del secolo scorso) era fortemente, come posizione "di genere",
anti-istituzionale: chi entrava in Parlamento "passava dall'altra parte",
nella fossa dei leoni del potere maschile. Perfino qualcuna di quelle che
avevano voglia di sperimentarsi era d'accordo.
D'altra parte, in qualche modo resta vero che il potere non e' "di genere",
ma rigorosamente neutro, e alle donne si concedono erogazioni di benefici e,
perfino, di posti. La soglia che anche le donne varcano seleziona e anche
noi ci adeguiamo alla designazione politica: i partiti privilegiano
personale affidabile per fedelta' e disciplina agli indirizzi normativi. Che
sono ineludibilmente maschili e legano le donne alla connivenza. Con un
prezzo che il genere consente a pagare e che apparenta la casalinga - che
porta tutto sulle spalle e privilegia tutti (i bimbi che accompagna
all'asilo, il marito a cui preparare la cena e stira le camicie, il suocero
a cui fa assistenza, l'affitto da pagare e il mondo da sostenere) ponendo se
stessa per ultima, senza permettersi tempo per se' - con la parlamentare che
premette agli interessi delle donne, la democrazia, le istituzioni, la
maggioranza, il partito, perfino il segretario.
Ho un ricordo specifico di Giglia Tedesco, certamente la comunista meno
adeguata al Partito: era la seconda legislatura che affrontava la violenza
sessuale, ancora "reato contro la morale" (e, quindi, penalmente
irrilevante) e, ancora una volta, si era in fase di stallo al Senato. Io -
che facevo parte di un gruppo storico importante e libero da vincoli, la
Sinistra Indipendente - chiesi a Giglia se non era opportuno andare allo
scontro per dimostrare al paese di chi fosse la responsabilita' della
mancata approvazione di una norma che non costava una lira alle finanze
dello Stato ed era gradita a tutte le donne, dall'estrema sinistra
all'estrema destra. Giglia mi fece presente che neppure i comunisti erano
d'accordo di estendere il reato di violenza al matrimonio.
La terza volta che la legge si presento', a Montecitorio, quando cadde il
primo articolo, la relatrice, che era la comunista Angela Bottari (che
avevamo visto nominata a rappresentarci con grande soddisfazione per essere
una donna, siciliana di sinistra) si dimise d'impeto clamorosamente e il
capogruppo del Pci, che era Napolitano, la redargui' aspramente. Solo il
giorno seguente anche il partito riconobbe giusta la posizione della
relatrice, per l'esplosione di rabbia delle donne che affollavano la soglia
del Parlamento, richiamate da un tam-tam che oggi sembra prodigioso in
assenza dei cellulari.
Chi era attiva in quegli anni non puo' dimenticare la mortificazione dei
ritardi nell'approvare una legge che, ripeto, andava a beneficio di tutto
l'elettorato e che, clamorosamente, denunciava i maschi "per genere" ostili
alla liberta' femminile.
Anche sulla presenza di "uomini solidali" nel corteo rifarei in primo luogo
memoria del vecchio separatismo. Le donne non ammettevano gli uomini per
riappropriazione del proprio genere, e per liberta': uomini perbene e
contrari alla violenza ce ne sono sempre stati (mio padre lamentava che ci
fossero uomini che facevano piu' carezze al cane che alla moglie); ma chi
interveniva nei gruppi del movimento femminista in compagnia del proprio
compagno, vedeva farsi ostile l'espressione dell'uomo che si rendeva conto
che "anche la sua donna" condivideva le accuse rivolte al genere maschile e,
quindi, era scontenta di lui. Le cose sono in qualche modo cambiate
soprattutto perche' sia noi, sia le piu' giovani, siamo capaci di confronto
e di argomentazione. Tuttavia, direi che, mentre convegni e dibattiti
possono essere aperti agli uomini, e' stato giusto riservare una
manifestazione sulla violenza alla nostra dignita'. Gli uomini che capiscono
la gravita' dei maltrattamenti e degli stupri sono molti e fanno bene a
condannare le violenze; ma bisogna anche che si interroghino sulle ragioni
che spingono i maschi a fare la guerra incominciando dal corpo delle donne.
Non sara' male se un giorno apriranno a noi un loro corteo.
Ma, se non va dimenticata la storia, bisognera' anche confrontarsi
sull'oggi. Guardando le immagini in diretta su La 7, ho visto "le ministre"
e le contestazioni: non mi sono meravigliata che la televisione chiedesse il
parere delle autorita', come da tradizione maschile che si estende
automaticamente alla professionista donna. Mi e' sembrato poco politico,
invece, che le donne di governo non invitassero la giornalista a rivolgersi
alle ragazze che avevano voluto la manifestazione, se l'erano organizzata ed
erano le protagoniste: sarebbe stata una buona propaganda anche per loro. Si
vede che, come Mafai, anche loro erano immemori dello stile e degli umori
del femminismo.
Tuttavia, dalle cronache e dalle e-mail successive, mi e' sembrato di dover
evidenziare una contraddizione delle compagne. Molte delle 150.000 che erano
a Roma coincidevano con le 120.000 firmatarie della proposta "50 e 50": in
qualche modo, chiedendo l'equilibrio della rappresentanza in ogni sede,
potrebbero aspirare a governare. Le ministre facevano da specchio ai loro
desideri. Per questo non me prenderei troppo; a meno che non si tratti di
antipolitica, nel qual caso personalmente mi dissocio.
La cosa che piu' mi preme e', pero', un'altra: una differenza grande tra i
movimenti di venti o trent'anni fa e di oggi e' che non basta manifestare:
adesso sulla rete ci vogliono i progetti concreti e le proposte per dare
senso e forma ai nostri interessi. Anche tra donne non e' facile l'intesa e
l'unita'; ma la politica non e' ne' solo pensiero ne' sola organizzazione. E
la struttura delle istituzioni e' inevitabilmente neutra: piegarla alla
cultura della (e delle) differenze sara' dura. Il rischio e' l'omologazione.

6. STRUMENTI. IL "COS IN RETE" DI DICEMBRE
[Dall'Associazione nazionale Amici di Aldo Capitini (per contatti:
l.mencaroni at libero.it) riceviamo e diffondiamo]

Cari amici,
vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento di dicembre 2007 del "Cos in rete",
www.cosinrete.it.
Ricordando il Cos (Centro di orientamento sociale) di Capitini, il primo
esperimento di partecipazione democratica alle decisioni del potere locale e
nazionale, raccogliamo e commentiamo una scelta di quello che scrive la
stampa sui temi capitiniani della nonviolenza, difesa della pace,
liberalsocialismo, partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso,
religione aperta, educazione aperta, antifascismo.
Tra gli altri,  in questo numero ci sono: I cattolici e la democrazia; A
tavola con i tarocchi italiani; Le colpe rimosse; Il brutto e' immorale; Per
vivere meglio senza rubare; Evviva la repubblica mondiale; ecc.
La partecipazione al Cos in rete e' libera e aperta a tutti mandando i
contributi a capitini at tiscali.it o al blog del Cos: http://cos.splinder.com
Il sito con scritti di e su Aldo Capitini e': www.aldocapitini.it

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 298 del 9 dicembre 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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