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Minime. 299
- Subject: Minime. 299
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 10 Dec 2007 00:34:47 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 299 del 10 dicembre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: Ancora sull'abbattimento delle abitazioni dei rom a Roma 2. Ancora sulle stragi di "presunti talebani" 3. Vincenza Perilli: Chi ha paura del separatismo? 4. Patricia Tough: Quando il separatismo assume un doppio valore simbolico 5. Rossana Rossanda presenta "Principia iuris" di Luigi Ferrajoli 6. Tecla Mazzarese presenta "Principia iuris" di Luigi Ferrajoli 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: ANCORA SULL'ABBATTIMENTO DELLE ABITAZIONI DEI ROM A ROMA L'abbattimento delle abitazioni (e la distruzione dei beni che esse contenevano) di moltissime famiglie rom nelle periferie della capitale, devastazione decisa, fatta eseguire e trionfalmente rivendicata dal sindaco di Roma come atto inteso a costringere chi le abitava ad andarsene da Roma e dall'Italia, e' un crimine contro l'umanita'. Un crimine di fronte al quale dovrebbe esserci un'insurrezione morale di tutte le persone di retto sentire e di volonta' buona; dovrebbe esserci immediato l'intervento della polizia e della magistratura per arrestare, processare e condannare chi ha deciso, fatto eseguire e finanche pubblicamente vantato un atto cosi' disumano, cosi' delittuoso, cosi' tipicamente modellato su logiche e condotte mafiose, naziste. Il capo dello stato, il governo e il parlamento dovrebbero intervenire per stigmatizzare l'accaduto, riaffermare la legalita' democratica, la vigenza della Costituzione e dello stato di diritto, e risarcire le vittime; il popolo italiano tutto dovrebbe condannare il pogrom. Invece e' il silenzio. * Peggio del silenzio: la complicita' effettuale, il sostegno tronfio, il godimento sadico. Le televisioni riprendono e trasmettono il pogrom, da casa (le nostre case, che ancora non vengono rase al suolo in virtu' della nostra casuale appartenenza alla preclara razza italica) tanta parte del pubblico della prima serata - ben addestrato da anni ed anni di ideologia razzista, mafiosa e totalitaria profusa a piene mani e a reti unificate dalle televisioni tutte - annuisce, grugnisce soddisfatto, mentre attuffa il volto nel piatto della pastasciutta. * Scrivo queste cose e mi guardo intorno sperando che qualcun altro dica almeno: "E' vero. E' proprio la stessa modalita' d'azione dei nazisti di sempre e d'ovunque: distruggere le abitazioni per cacciare chi le abitava. E' proprio la logica dei pogrom, delle deportazioni, delle pulizie etniche. E' razzismo, e' fascismo. Come possiamo permettere tutto questo?". Invece e' il silenzio. Anzi, peggio del silenzio. * Quando a fondo ha scavato la tabe che ha consunto tutto cio' che una volta fu la democrazia nel nostro paese. 2. EDITORIALE. ANCORA SULLE STRAGI DI "PRESUNTI TALEBANI" Quando apprendo dai mass-media del ministero unificato della guerra e della cultura popolare che la coalizione dei virtuosi - l'armata di occupazione imperialista e razzista di cui l'Italia fa parte - ha individuato e abbattuto altri "presunti talebani", so cosa vuol dire in lingua italiana: che abbiamo fatto un'altra strage di innocenti e di patrioti in Afghanistan. Che abbiamo compiuto un altro atto di terrorismo su di un popolo martoriato, che abbiamo ancora una volta detto al mondo intero: uccidere e' tutto, l'umanita' e' nulla. La ragione e' di chi stermina tutti. * Ad ogni terrorismo occorre opporsi. Ad ogni guerra, ogni esercito, ogni arma. A tutte le uccisioni occorre opporsi, a tutte le violenze. Ed ogni vita umana avere a cuore. Cessi la partecipazione italiana alla guerra terrorista e stragista in Afghanistan. Torni l'Italia al rispetto del diritto internazionale e della legalita' costituzionale. Si adoperi l'Italia per la pace nell'unico modo con cui la pace si costruisce: con mezzi di pace, salvando le vite. Ripudiando la guerra, gli eserciti, le armi. La sola politica adeguata alla presente distretta dell'umanita' e' quella che assume la nonviolenza come criterio e come prassi. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. La nonviolenza e' l'unica possibile politica del XXI secolo. 3. RIFLESSIONE. VINCENZA PERILLI: CHI HA PAURA DEL SEPARATISMO? [Dal sito de "IL paese delle donne" (www.womenews.net/spip3/). Vincenza Perilli, intellettuale ed attivista femminista, acuta saggista e libera ricercatrice, cura il sito di "Marginalia" (http://marginaliavincenzaperilli.blogspot.com/)] Vorrei focalizzare l'attenzione sul dibattito, acceso e appassionato, che si e' sviluppato - essenzialmente tra donne - nella fase preparatoria della giornata del 24, discussione prevalentemente concentrata sulla scelta delle organizzatrici (e condivisa da molte delle donne presenti a Roma nelle due assemblee preparatorie nazionali e di molte che hanno partecipato alla discussione altrove) di caratterizzare l'iniziativa come una manifestazione di sole donne. Ritengo che il confronto e le diversita' siano elementi preziosi in ogni processo e progetto politico. Nondimeno vorrei rilevare come, a mio parere, questa discussione si sia svolta su delle false premesse che, se da una parte non sono state in grado di cogliere le reali motivazioni dell'opzione "separatista", dall'altra hanno rivelato una non conoscenza delle molteplici e distinte espressioni storiche del separatismo, del dibattito che le ha accompagnate e delle inedite e "fluttuanti" configurazioni assunte da questa pratica politica nel contesto odierno, soprattutto in quelle che - con termine ambiguo, ma oramai corrente -, vengono definite "giovani generazioni" femministe. Nonostante il singolare usato nel titolo che ho dato a questo mio intervento, sarebbe opportuno parlare di "separatismi", cosi' come oramai si e' da qualche anno consolidato l'uso di parlare di "femminismi", non senza importanti conseguenze teoriche. Innumerevoli e diversificate sono le forme che la pratica separatista ha assunto nel corso della storia dei femminismi e soprattutto le riflessioni che ha generato. Basti pensare al movimento suffragista che, pur essendo nella maggioranza "misto", gia' percepiva distintamente il rischio costituito dalla presenza degli uomini, della loro tendenza (non "naturale", ma che attiene a rapporti di potere asimmetrici) al leaderismo, l'attentato continuo all'autonomia delle donne, la maggiore difficolta' per queste ultime di prendere, in un ambito politico misto, parola e decisioni, di dimostrare (a se stesse e alle/agli altre/i) la propria capacita' di assumersi - e di sapersi assumere - quelle responsabilita' generalmente ritenute appannaggio esclusivo degli uomini. Da qui la necessita' di ritagliarsi "spazi", o anche soltanto "momenti", tra "sole donne". Cio' nonostante, in un certo immaginario - soprattutto maschile, ma non solo - il separatismo e' legato indissolubilmente al movimento femminista e lesbico degli anni '70, con l'immagine minacciosa di una guerra totale dei sessi, cio' che denota anche lo shock, non ancora superato, costituito dall'entrata in scena di un forte ed autonomo movimento delle donne. "Atto fondatore" del femminismo degli anni '70, come e' stato definito da Francoise Picq nella sua bella ricostruzione delle vicende del movimento femminista francese degli anni '70, il separatismo e', anche in quel periodo, lontano dall'essere una pratica totalmente condivisa e, soprattutto lontano dall'essere accettato "pacificamente" dagli uomini, anche da quelli che all'epoca, si chiamavano "compagni". In Italia, ad esempio, esistono in quegli anni, gruppi "misti" e che tali resteranno, donne che praticano la cosiddetta "doppia militanza", cioe' la contemporanea attivita' politica in gruppi della sinistra e dell'estrema sinistra e in gruppi di donne, gruppi che inizialmente sono aperti agli uomini (come ad esempio il Demau e Il cerchio spezzato) e che solo in seguito adotteranno la pratica separatista. Questa era, inizialmente, segno distintivo solo dei primissimi gruppi di autocoscienza (essenzialmente i gruppi di Rivolta Femminile) e del movimento lesbico, prima di diventare pratica condivisa dalla maggioranza del movimento delle donne. Ma soprattutto il separatismo e' una pratica multiforme: diverse erano le motivazioni e le modalita' del "separarsi" che esistevano anche tra chi aveva fatto questa scelta, tra le militanti femministe e le militanti lesbiche. Delle differenze (importanti) sussistevano anche all'interno di queste due (principali) "configurazioni", come ha mostrato, ad esempio, Nerina Milletti per il movimento lesbico, in un interessante saggio che ripercorre le due pratiche - per certi versi contraddittorie - del separatismo e della visibilita'. Il separatismo, quella necessita' di "darsi la liberta' di non essere referenziali al potere" (Daniela Pellegrini in una significativa intervista raccolta da Nicoletta Poidimani), pratica di "sottrazione", piuttosto che di "esclusione" (ancora Milletti), poteva avere delle ragioni di ordine tattico o contingente, delle ragioni di tipo teorico o politico. Poteva andare da riunioni precluse agli uomini, senza che questo significasse una pratica separatista nella quotidianita', a forme di "nazionalismo" lesbico, contestate in un oramai celebre articolo di Ti-Grace Atkinson. Poteva basarsi su un discorso di tipo "essenzialista", o fatto proprio da gruppi decisamente anti-essenzialisti, si pensi soltanto ai gruppi separatisti che avevano come punto teorico di riferimento, l'analisi "materialista" sviluppata da Christine Delphy in L'ennemi principal, uno dei testi chiave di quegli anni. I gruppi potevano essere costituiti solo da donne (eterosessuali e lesbiche), o viceversa includere alcuni uomini (i gay). Potevano essere gruppi di sole lesbiche o, come ad esempio negli Usa, di sole donne nere (eterosessuali e lesbiche), o di sole lesbiche nere. C'e' stata anche l'esperienza di chi, e penso al Combahee River Collective - collettivo di donne e lesbiche nere, pioniere del Black Feminism -, ha rifiutato, senza per questo desolidarizzarsi dal resto del movimento femminista, il separatismo, in nome della comune esperienza del razzismo con gli uomini neri. In questo scenario piuttosto variegato, l'unico elemento che sembra realmente omogeneo e' la reazione di rifiuto, anche violenta, che la pratica del separatismo ha suscitato negli uomini. Se la "secessione delle donne" - come ha sottolineato in un saggio sul "separatismo come metafora" Liliane Kandel -, rianimava i fantasmi arcaici della guerra tra i sessi, il vero "scandalo" del separatismo risiedeva nel suo carattere metaforico o simbolico, nella sua capacita' di veicolare - con immediatezza e "violenza" - un certo numero di messaggi. La scelta separatista denunciava il carattere "non misto" della nostra societa' (l'esclusione delle donne da luoghi, attivita', istituzioni; esclusione che, quando non sancita dal diritto, lo era nei fatti), nominava l'esclusione e l'oppressione di tutte le donne in quanto gruppo e delle singole donne in quanto individuo, annunciava la presa di coscienza e la rivolta nascente, designava infine "l'identita' dell'oppressore", non piu' soltanto un "sistema" (capitalista o patriarcale), ma un gruppo sociale definito (e insisto sul gruppo sociale): quello degli uomini. Sarebbe bastato, forse, gettare uno sguardo verso questo passato, verso questa storia cosi' complessa e istruttiva, eppure inspiegabilmente dimenticata o mai appresa, per evitare alcune delle semplificazioni che hanno contraddistinto il dibattito sul separatismo (nella forma della rigida contrapposizione separatismo si'/separatismo no) prima e durante la grande manifestazione del 24 a Roma "contro la violenza maschile sulle donne". Tornando brevemente sulla discussione pre-manifestazione, la scelta di un corteo di sole donne - che tra l'altro ho condiviso -, viene contestata da alcune donne (e solo in seguito, e marginalmente, da uomini) in quanto giudicata "discriminatoria" soprattutto verso coloro che, pur se "biologicamente" di sesso maschile, subiscono e/o combattono la violenza in prima persona, come i gay, i trans FtM o gli uomini impegnati in una critica della "mascolinita'". Questa decisione viene inoltre percepita come un'imposizione dall'alto di una pratica non piu' condivisa e le donne che la sostengono vengono tacciate di "veterofemminismo" (creando, tra l'altro una fittizia contrapposizione tra "giovani" e "vecchie") e di farsi portatrici con questa scelta di un discorso di tipo identitario, essenzialista e finanche "razzista". Visto come un pericoloso arretramento culturale che individua nell'appartenenza "biologica a un genere la legittimita' di partecipazione e mobilitazione", sordo ad "anni di contaminazioni queer e critica trans", lo spettro del "separatismo" (parola invero mai nominata nel documento di convocazione della manifestazione), comincia ad aggirarsi nel dibattito. Nei discorsi privati e pubblici, cosi' come nelle mailing list, nei siti e nei blog di singole donne, gruppi e associazioni coinvolti nell'organizzazione, la discussione cresce in maniera esponenziale man mano che la data della manifestazione si avvicina. Il 18 novembre l'inserto domenicale di "Liberazione", "Queer", dedicato alla manifestazione del 24, pubblica due articoli che dovrebbero illustrare le due posizioni separatismo si'/separatismo no verso le quali si e' rapidamente polarizzata - e, forse, cristallizzata - la discussione. Se l'irrigidimento di questa contrapposizione ha rischiato di indurre, come e' stato da piu' parti sottolineato, un rischioso allontanamento da quello che era l'obiettivo primario della manifestazione, esso ha anche prodotto una semplificazione drastica e riduttiva delle ragioni e dei problemi in campo. Mi sono chiesta - e mi chiedo - perche' e' intorno alla scelta di "un" corteo separato che si e' acceso il dibattito, un dibattito che ha posto in maniera forte il problema dell'essenzialismo e/o del "razzismo", veicolato dai nostri discorsi e dalle nostre pratiche. Mi sono chiesta perche', se altre questioni si possono - strategicamente - "mettere nel cassetto" come sottolineava Gaia Maqi Giuliani nel suo articolo su "Liberazione", senza (quasi) suscitare discussioni, questo non e' possibile con il separatismo, nonostante in molte ne abbiano spiegato la contingenza. Mi e' sembrato, del resto, troppo "facile" e mistificante mettere sul conto dell'opzione in favore di una manifestazione separata, in una certa circostanza, un certo giorno e su un certo tema, i guasti prodotti da un essenzialismo che, in Italia, ha nutrito una lunga egemonia del "pensiero della differenza sessuale" e che ancora pervade pratiche e discorsi di diversi femminismi, talvolta in maniera "inconsapevole", come ha sottolineato Lidia Cirillo nel suo Meglio orfane. Troppo facile, e forse consolatorio, mettere sul conto del "separatismo" le difficolta' storiche proprie a molt* di interrogarsi sul nodo cruciale sessismo e razzismo, tema che ha assunto con troppo ritardo - e solo "grazie" alla campagna ignobile montata da politici e media dopo l'omicidio di Giovanna Reggiani - una posizione centrale nel dibattito pubblico, senza peraltro, e mi sembra sintomatico, suscitare una necessaria riflessione sul razzismo "interno" alle stesse teorie e pratiche femministe (e qui mi permetto di rinviare al mio contributo a Donne di mondo, recente numero della rivista "Zapruder" sui femminismi transnazionali). Mi sono chiesta ancora se le critiche mosse alla scelta separatista oltre a denotare una non conoscenza delle configurazioni assunte nel passato dal separatismo, manifestassero anche ignoranza di quelle attuali. In una ricerca sulle giovani generazioni femministe in Francia, ad esempio, Liane Henneron, ha mostrato come - sullo sfondo del peculiare, e talvolta conflittuale, rapporto di rottura/continuita' che lega le "giovani" militanti al femminismo degli anni '70 -, non esista una modalita' univoca nelle forme adottate dalle militanti per relazionarsi con gli "altr*". Se privilegiare situazioni "miste" sembra maggioritario (e talvolta con una volonta', non sempre esplicita, di "smarcarsi", attraverso il rifiuto del separatismo, da una certa immagine del femminismo), non mancano situazioni in cui la strategia politica del separatismo e' rivendicato e rimodulato in forme inedite. Basti pensare al gruppo parigino delle Furieuses Fallopes, che nel 2005 organizzarono una grande manifestazione separatista notturna contro la violenza sessista, manifestazione che suscito', sia detto per inciso, una qualche ostilita' da parte di alcune "vecchie" e l'entusiasmo contagioso delle piu' "giovani". La strategia politica separatista e' reinventata a partire dalle "contaminazioni queer" e dall'opposizione a ogni tentazione naturalista: il separatismo delle Furieuses Fallopes e' una militanza "tra donne", ovvero tra tutte e tutti quelle/i che sono identificate/i, si sentono, si dichiarano, si "vivono" come donne. Del resto la maggioranza delle singole donne, dei gruppi, della associazioni che hanno condiviso la scelta separatista della manifestazione romana, praticano una felice e fruttuosa commistione tra momenti "separati" e "non separati", militando magari in gruppi di sole donne ma partecipando attivamente ad altri progetti politici "misti" (lotte contro la deriva securitaria, il precariato, l'omofobia, la lesbofobia e la transfobia, contro il razzismo e per i diritti e la liberta' dei/delle migranti). Oltre a motivazioni tattiche o strategiche (l'evitare strumentalizzazioni da parte di forze politiche ed istituzionali, ad esempio), penso che quante hanno sostenuto la scelta di una manifestazione di sole donne, condividessero la necessita' - in questa precisa congiuntura - che fossero i nostri "corpi" (dove "corpo" non e' ne' genere, ne' "sesso"), a dire basta alla violenza e alla sua strumentalizzazione in chiave razzista e securitaria, a dire ancora una volta "non in nostro nome" come scandiva lo slogan della rete femminista transnazionale Nextgenderation contro la guerra in Iraq, ricordato nel suo intervento su queste pagine da Cristina Papa. Il - sacrosanto - allontanamento delle donne ministre da parte delle manifestanti, oltre ad aver dimostrato (se ce ne fosse stato bisogno) quanto la scelta "separatista" fosse lontana da ogni nostalgia "biologica", ha scatenato sulla stampa un nuovo attacco in nome della (presunta) violenza delle partecipanti al corteo, che si e' in alcuni casi tradotto nell'equazione separatiste uguale violente. Con questo intervento spero di aver contribuito, oltre a chiarire qualche equivoco di merito, a indicare di che cosa e di chi c'e' (forse) da aver paura. 4. RIFLESSIONE. PATRICIA TOUGH: QUANDO IL SEPARATISMO ASSUME UN DOPPIO VALORE SIMBOLICO [Dal sito de "IL paese delle donne" (www.womenews.net/spip3/). Patricia Tough fa parte delle Donne in nero di Bologna ed ha partecipato ad iniziative internazionali di solidarieta' e di interposizione nonviolenta] A mio parere, e lo dico con tutto l'entusiasmo con cui ho partecipato sia alla preparazione che al corteo, e' stata una delle manifestazioni piu' importanti del movimento delle donne e che puo' essere in grado ancor piu' della manifestazione in difesa delle 194, di rilanciare questo movimento perche' va al cuore della questione delle relazioni fra i generi, la violenza appunto del genere maschile su quello femminile. Questa questione e' alla base della cultura patriarcale, la attraversa e la informa di se' perche' e' questa violenza a condizionare la nostra liberta', in tutti i suoi aspetti e i timori atavici che ci portiamo dentro piu' o meno consapevolmente. Pensiamo solo durante i conflitti armati o durante i colpi di stato come sia stata usata e si usa l'arma dello stupro in modo generalizzato sia per umiliare il nemico ma anche per fiaccare la resistenza delle donne, non dimentichero' mai quello che mi disse in tal senso una donna argentina rispetto al golpe di Videla. Trovo fondamentale il fatto che per la prima volta si sia esplicitato il genere della violenza sulle donne: la parola "maschile" aggiunta per la prima volta pubblicamente ha dato un senso ultimativo alla nostra lotta da cui non possiamo tornare indietro. Abbiamo inderogabilmente posto sul piatto la questione, e la manifestazione in tal senso non poteva che essere radicale, nel senso che non ci poniamo genericamente il compito di ottenere una legge ma di cambiare la cultura che sta alla base di questo reiterarsi millenario della violenza sulle donne. Il fatto che la manifestazione fosse "separatista" assume quindi un doppio valore simbolico, quello del riconoscimento delle responsabilita' del genere maschile con cui si intende indicare non solo gli autori materiali ma anche chi e' semplicemente connivente con la violenza, indifferente, resta in silenzio di fronte a tutte quelle espressioni di sessismo che danno nutrimento alla cultura della violenza ecc. ma pone anche le donne di fronte alla necessita' di superare le corresponsabilita' e connivenze laddove i ruoli e l'indifferenza o la superficialita' superano l'appartenenza di genere. L'atteggiamento delle ministre doveva naturalmente essere di ascolto e non di protagonismo e questo ci riporta alla questione della rappresentanza che va rivisitata in modo approfondito fra di noi. Ho sentito fortemente il calore della sorellanza in questa manifestazione, quella che sento in genere all'interno delle Donne in Nero intese non solo come rete locale ma anche internazionale. Le donne dell'America Latina pongono al centro della loro attivita' proprio la sorellanza fra donne ed e' questo che da' loro la forza di lottare in situazioni tanto piu' difficili rispetto alla nostra in paesi come Guatemala, Peru', Colombia, ecc. dove le cifre delle violenza e del femminicidio sono molto piu' alte che da noi. Questo mi fa riflettere sul fatto che nessun sistema, neanche il piu' democratico, ci salva da questa situazione se la questione non viene affrontata direttamente con misure non generiche ma chiaramente rivolte al tema, e in questo dovrebbero essere coinvolti tutti i soggetti della vita sociale di un paese, a cominciare dalle donne che ne sono e ne debbono essere protagoniste, a seguire con le istituzioni i mezzi di comunicazione di massa, le associazioni ecc., ma con al primo posto i maschi che devono riflettere sulla propria sessualita' e la propria relazione con il genere femminile, eterosessuali e lesbiche, ma anche con l'omosessualita' in genere. Credo comunque che ancora una volta dipenda da noi tutte dare impulso a questa lotta e affrontare tutti i soggetti della societa' che possono darci un contributo; a questo scopo dobbiamo continuare con la campagna, con video, teatro, ogni tipo di attivita' che ci faccia incontrare la societa' civile e possa convincere alla necessita' di un cambio davvero importante che potrebbe dare uno slancio alla societa', dare valore alle donne e alla loro liberta'. 5. LIBRI. ROSSANA ROSSANDA PRESENTA "PRINCIPIA IURIS" DI LUIGI FERRAJOLI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 dicembre 2007, col titolo "La passione del fare politico" e il sommario ""Rigore e semplicita'. Le qualita' di 'Principia Iuris'. Un'opera che interroga il secolo breve senza ritrarsi di fronte ai nodi che ha lasciato in eredita'". Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari 1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste. Luigi Ferrajoli, illustre giurista, nato a Firenze nel 1940, gia' magistrato tra il 1967 e il 1975, dal 1970 docente universitario, insegna filosofia del diritto e teoria generale del diritto all'Universita' di Camerino. Opere di Luigi Ferrajoli: della sua vasta produzione scientifica segnaliamo particolarmente Teoria assiomatizzata del diritto, Giuffre', Milano 1970; (con Danilo Zolo), Democrazia autoritaria e capitalismo maturo, Feltrinelli, Milano 1978; Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Laterza, Roma-Bari 1989; La sovranita' nel mondo moderno, Laterza, Roma-Bari 1997; La cultura giuridica nell'Italia del Novecento, Laterza, Roma-Bari 1999; Diritti fondamentali, Laterza, Roma-Bari 2001; Principia iuris, Laterza, Roma-Bari 2007] Coloro che hanno seguito sia pur da lontano Luigi Ferrajoli nella stesura dei Principia Iuris sanno quanta fatica gli sia costato non l'impianto dell'opera, cosi' radicato nella sua formazione intellettuale, quanto la determinazione a renderla come un pane da spezzare per qualsiasi cittadino che si interroghi sulle relazioni interindividuali e fra individui e societa'. Come darsi un sistema di regole al fine di garantire la reciproca liberta' e sicurezza dei diritti? Antico problema, ma rivisto alla fine di un secolo che ha messo in causa sia le forme della democrazia, sia quello che si voleva un suo superamento in senso comunista. Ne e' venuto un lavoro imponente e semplice, rigoroso e comunicante senza nulla togliere allo spessore dell'argomentazione, ai riscontri del e nel sistema, e alla genesi storica e teorica dei concetti. Sembra impossibile che un titolo cosi' severo e la mole delle pagine costituiscano un'opera che chiunque puo' prendere in mano senza sentirsi allontanato. Si deve certo all'eleganza della scrittura, ma soprattutto, credo, alla convinzione morale e politica di Ferrajoli che urge ricostruire un sistema di rapporti umani ormai a rischio di imbarbarimento. Bisogna e si puo'. E' poi il fondamento del politico, una posta alta, il contrario d'un esercizio accademico. In questo Luigi Ferrajoli e' proprio un illuminista, ne possiede (e' posseduto da) quella passione di capire, dirimere e spiegare che si fonda sulla convinzione che la specie umana ha la capacita' di darsi un senso e delle regole che ne consentano una terrena sopravvivenza. Si potranno fare altre accuse all'illuminismo, non quella di non averci restituito la possibilita' di quella salvezza, nei limiti della vita, che le religioni negano, rimettendo il nostro destino nelle nostre mani. Filo d'Arianna l'uso della ragione, strumento da usare e verificare nella sua struttura logica e fin matematica. Questa non e' una fede, e' una scelta. Controcorrente, a stare agli ormai trentennali assalti alla ragione tacciata di imperialismo occidentalista, astrazione, pretesa universalistica, misconoscenza delle differenze. E' proprio la sigla di Ferrajoli - si ricordera' Diritto e ragione - e non perche' ignori quanto l'irrazionalita' sia costituente dell'umano, ma per la persuasione che non e' possibile fondare sull'irrazionale una rete di rapporti che garantisca la liberta'. Liberta' "di" e liberta' "da". Ne viene - sembrera' un paradosso - una lezione di rigore e di senso del limite. Ferrajoli insiste sul carattere di convenzione nel tempo e nello spazio d'una teoria assiomatica del diritto che considera decisiva per una moderna democrazia concreta. Convenzione, che esclude dunque il sacro e l'indicibile, non sconfina dal suo territorio, non si concede divisioni di tempi e settori, non si presta a un'eterogenesi dei fini. Non e' mortifera. La domanda e', se mai, dove trascenda altri tempi e altre culture, ma gia' questo e' uno sconfinare. E' dal suo interno - il da noi e oggi - che va interrogata. Ma soprattutto utilizzata. Chi legge si sente raccomandare dall'autore di non spaventarsi per la mole del lavoro, di saltare questa e quella parte, di andare senz'altro al secondo volume perche' questo libro non e' stato pensato soltanto per sperimentare fino in fondo un percorso di metodo, ma per essere agito. Per il fare politico, arendtiano. Come se la completezza della ricerca, la politura dell'opera fosse una sfida prima di tutto per chi l'ha stesa, bisogno di non lasciarsi zone non controllate. Gli altri, gente non addetta ai lavori, non si annoino, non si stanchino, vadano al dunque, il nocciolo utile, necessario che e' il come della democrazia. La scommessa e' stata anche nello scrivere un'argomentazione inattaccabile in quel che Ferrajoli chiama "il linguaggio comune", per quel che di comune sta nel definire i nostri rapporti con l'altro e gli altri. E' una scrittura densa e senza trappole. A me, confesso, e' capitato di farne un uso irrispettoso; avevo il manoscritto e piu' volte sono andata a cercare - indici irreprensibili - com'era impostato o risolto un problema che le cose del mondo mi ponevano. E di li' poi vagavo per richiami, perche' in questa idea del diritto come convenzione compatta, articolata, logico-matematica, tutto si tiene. E tutto serve. Invitata a guardarmi dal primo volume, vi ho pescato invece alcuni passi per me decisivi, e quindi mi sono messa a leggerlo a cavalletta, saltando le verifiche logico-matematiche, con la voglia di riflettere, tornarvi, discutere, qualche volta litigare. Per chi viene dal Novecento, Principia iuris impatta sui nodi dell'esperienza e li riproblematizza. Mi sia permesso, da profana, di evocarne due. Il primo riguarda il rapporto tra quel che Marx chiama materiale reale e il diritto. Lasciamo pure da parte la vulgata su struttura e sovrastruttura, chi viene prima e chi viene dopo, dalla quale sono venuti molti guai. E' un fatto che l'attuale prepotere dell'economico sul politico non deriva da un errore di diritto, da una incomprensione del pubblico o da una miopia del privato - c'e' un rapporto di forza che appare oggi del tutto asimmetrico, tale che infatti obbliga Ferrajoli a interrogarsi sulla globalizzazione. Ma non ci rinvia a un problema troppo rapidamente affrontato nell'affermazione che, certo, la difesa della liberta' "dalla" proprieta' andrebbe regolata non meno che la difesa dell'individuo dallo stato? Perche' questa regolazione non si e' mai data e sempre meno si da'? L'altra domanda riguarda il femminismo. Ci sono, a me sembra, molti equivoci tra le donne e Ferrajoli sul tema eguaglianza e differenza. Per farla breve, io sono dalla sua parte. La questione e' un'altra: e' possibile che un codice, i suoi lemmi e le sue gerarchie, scritti da uno dei due sessi valga in assoluto anche per l'altro e si tratta soltanto di applicarlo con quella coerenza che finora non avrebbe avuto? Le donne possono essere silenziose, puramente riflesse, nella formazione del diritto e dei suoi assiomatici fondamenti? L'insignificanza del femminile come soggetto non comporta qualche problema per una teoria della liberta'? Ma di questo e di altro avremo occasione di discutere. 6. LIBRI. TECLA MAZZARESE PPRESENTA "PRINCIPIA IURIS" DI LUIGI FERRAJOLI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 dicembre 2007, col titolo "L'indicibile legame della democrazia" e il sommario "Da domani a Brescia un seminario internazionale su 'Principia Iuris', di Luigi Ferrajaoli. Un lavoro di ricerca durato quarant'anni che propone un modello coerente e unitario di 'scienza giuridica'". Tecla Mazzarese, giurista, e' docente all'Universita' di Brescia. Tra le opere di Tecla Mazzarese: Logica deontica e linguaggio giuridico, Cedam, 1989; Forme di razionalita' delle decisioni giudiziali, Giappichelli, 1996; Neocostituzionalismo e tutela (sovra)nazionale dei diritti fondamentali, Giappichelli, 2002] Il 6 e 7 dicembre a Brescia, presso la Facolta' di Giurisprudenza, studiosi italiani e spagnoli discuteranno di diritto e democrazia costituzionale. Un problema classico e tuttavia di grande attualita', in un momento nel quale la ridefinizione dell'apparato categoriale tanto del diritto che della democrazia costituzionale, cosi' come le loro possibili interazioni, appare tanto urgente quanto complessa e per molti aspetti controversa. Occasione dell'incontro e' la recente pubblicazione di un'opera davvero inconsueta per le molte singolarita' che la caratterizzano: Principia Iuris. Teoria del diritto e della democrazia, tre volumi di Luigi Ferrajoli editi da Laterza (in libreria i volumi sono due e il terzo, in cd, con la formalizzazione logica della teoria del diritto, e' allegato al primo). * Un modello integrato Una prima singolarita' di Principia Iuris, quanto mai rara nella letteratura degli ultimi decenni, e' di offrire una teoria unitaria e compiuta in cui diritto e democrazia sono due dimensioni, l'una all'altra complementare, di uno stesso impianto concettuale e di uno stesso progetto politico; una teoria puntuale nella sua scansione e di sorprendente ricchezza nella molteplicita' dei temi affrontati. In particolare, e' un'opera che sviluppa una teoria unitaria e compiuta che, come lo stesso Ferrajoli ha sottolineato nella prima presentazione pubblica di Principia Iuris a Citta' del Messico lo scorso 30 ottobre, in netta contrapposizione con una situazione "caratterizzata da un sostanziale analfabetismo giuridico dei filosofi e da un non minore analfabetismo filosofico dei giuristi", propone un "modello integrato di scienza giuridica" che, senza ignorarne le rispettive competenze disciplinari tematiche e metodologiche, rivendica la reciproca complementarieta' fra teoria del diritto, dogmatica, filosofia politica e sociologia del diritto. Da questa caratteristica la decisione di riunire a Brescia a discutere del suo metodo e delle sue tesi non solo filosofi del diritto (Manuel Atienza, Juan Carlos Bayon, Riccardo Guastini, Jose' Juan Moreso, Luis Prieto, Danilo Zolo), ma anche logici (Carlo dalla Pozza, Mauro Palma, Marina Gascon), filosofi della politica (Michelangelo Bovero, Ernesto Garzon Valdes, Geminello Preterossi, Pierpaolo Portinaro, Alfonso Ruiz Miguel), magistrati e giuristi (Perfecto Andres Ibanez, Salvatore Senese, Michele Taruffo, Gustavo Zagrebelsky), e il segretario uscente della Camera del lavoro di Brescia, Dino Greco. E ancora: Principia Iuris e' un'opera singolare sia sotto il profilo metodologico, sia sotto il profilo teorico. In particolare, sotto il profilo metodologico, la sua singolarita' e' di proporre una teoria assiomatizzata del diritto, considerata funzionale e al tempo stesso complementare a una teoria della democrazia costituzionale (non assiomatizzata, questa, ma rigorosamente delineata e scandita nelle diverse tessere che ne individuano l'impianto complessivo). Non priva di illustri precedenti nella storia della filosofia del diritto (valga per tutti il riferimento a Leibniz), questa singolarita' e' risolutamente difesa da Ferrajoli che nella Prefazione del primo volume, non solo giustifica l'adozione del metodo assiomatico con "ragioni teoretiche" ma la rivendica anche, e forse soprattutto, per la sua "funzione pratica" perche' "il metodo assiomatico rappresenta (...) un potente strumento di chiarificazione concettuale, di elaborazione sistematica e razionale, di analisi critica e di invenzione teorica, ed e' quindi particolarmente efficace ai fini dell'esplicazione della crescente complessita' e ineffettivita' degli ordinamenti moderni, nonche' della progettazione dei loro modelli normativi e delle loro tecniche di garanzia". Sotto il profilo teorico, poi, Principia Iuris offre una teoria assiomatizzata del paradigma giuridico, cioe' di quella griglia analitica che nella filosofia del diritto e nella politica degli ultimi anni e' stato denominata come neocostituzionalismo e che, forse per prendere le distanze dalle sue concezioni che tendono ad affermare una (nuova) versione di cognitivismo etico sovrapponendo e confondendo diritto e morale, Ferrajoli preferisce denominare invece giuscostituzionalismo. * Al riparo del mercato Sotto il profilo teorico, Principia Iuris offre, cioe', una teoria assiomatizzata del paradigma giuridico dei Paesi che, affrancatisi da regimi totalitari e illiberali, dal secondo dopoguerra si sono dati una costituzione scritta, lunga, rigida e garantita; una costituzione, cioe', che nella positivizzazione dei diritti fondamentali e del principio del mantenimento della pace individua e delimita quella che Ferrajoli denomina "sfera dell'indecidibile"; una sfera, cioe', relativa ai diritti individuali che non si possono ledere ne' violare e ai diritti sociali che si devono attuare e implementare, la quale e' sottratta, almeno di principio anche se non sempre di fatto, alla discrezionalita' del legislatore ed e' preclusa alle ingerenze e interferenze del mercato e della politica. Un'altra singolarita' e' che Principia Iuris gia' da alcuni anni e' al centro di un vivace dibattito internazionale. Nei lunghi anni che ne hanno accompagnato la redazione, quasi quaranta dalla prima enunciazione del suo nucleo concettuale nella Teoria assiomatizzata del diritto del 1970, sia la scelta del metodo assiomatico che le teorie del diritto e della democrazia che Ferrajoli andava sviluppando sono stati infatti piu' volte discussi e sottoposti a un attento vaglio critico, non privo, a volte, anche di toni aspri e accenti polemici. Molti, in particolare, gli incontri di studio che nel corso degli anni sono stati organizzati nelle piu' diverse sedi universitarie italiane, e ancora piu' numerosi, forse, quelli organizzati in Spagna, Argentina, Brasile e Messico dove l'attenzione per l'opera di Ferrajoli e' davvero grande, al punto che Principia Iuris e' gia' in corso di traduzione in castigliano. A ogni osservazione, commento o critica, e' questa l'ulteriore singolarita' di Principia Iuris, Ferrajoli ha sempre risposto, testimoniando cosi' della propria irriducibile fiducia nel dialogo e nel confronto, in modo attento e puntuale, spiegando e argomentando ogni volta il perche' delle proprie tesi e la ragione degli argomenti scelti per giustificarle. Principia Iuris e', cosi', il risultato di un processo di scrittura e riscrittura continua, durato piu' di quarant'anni; processo che non si e' interrotto neppure in fase di correzione di bozze, quando, i due giovani studiosi che lo hanno aiutato, Dario Ippolito e Fabrizio Mastromartino, non sono riusciti a trattenersi dal fare osservazioni e commenti alle pagine che leggevano, e Ferrajoli non e' riuscito ad astenersi dal tener conto delle loro osservazioni apportando qua e la' ancora qualche modifica al testo. * Un classico del Novecento Ultimo aspetto dell'opera, ma non per questo meno importante, e' la mole di materiali raccolti criticamente dall'autore. Una mole di riferimenti che, come ha osservato Manuel Atienza, relatore della sessione introduttiva dell'incontro bresciano, ricorda le grandi opere filosofiche del passato: imponenti, sorprendentemente rigorosi nell'articolazione, particolareggiati nell'argomentazione. Nella migliore tradizione delle grandi opere filosofiche, Principia Iuris e' dunque improntata ad un'idea forte che la fonda e, in una sola frase, ne sintetizza e chiarisce la ragion d'essere; una singola frase che, gia' dieci anni prima della sua pubblicazione, nel 1997, a Camerino, in occasione del conferimento di una laurea honoris causa a Norberto Bobbio, Luigi Ferrajoli pronuncia nelle battute conclusive della sua splendida laudatio, quando afferma: "c'e' una cosa che la storia (del Novecento) ci ha insegnato: che nella costruzione della democrazia non esistono alternative al diritto, e che nella costruzione del diritto non esistono alternative alla ragione". 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 299 del 10 dicembre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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