Minime. 297



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 297 dell'8 dicembre 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Il sindaco di Roma
2. La guerra afgana
3. Enzo Mazzi ricorda Lorenzo Milani
4. Tiziana Bartolini intervista Ibu Robin Lim
5. Mya Montero: Ero una donna ostaggio
6. Mauro Bersani ricorda Dante Isella
7. Massimo Raffaeli ricorda Dante Isella
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: IL SINDACO DI ROMA

Mena vanto il sindaco di Roma e duce del Partito sedicente democratico di
aver fatto demolire un numero ingente di misere abitazioni di povera gente,
e cosi' quella gente averla costretta alla fuga, a nascondersi come prede
braccate, a tremare di freddo e paura, a veder nello stato italiano un
nemico feroce, a potersi affidare soltanto a chi viola la legge violenta
sovente altra legge ancor piu' feroce imponendo.
Ne mena vanto il sindaco di Roma e duce del Partito sedicente democratico.
Chiamo quella sua azione razzista e fascista. Chiamo quella sua azione
criminale e disumana. Chiamo quella sua azione terrorista e mafiosa.
*
Mi dicono che abbia visitato piu' volte Auschwitz, scolaresche recandovi. Mi
chiedo cosa vi andasse a studiare.

2. EDITORIALE. LA GUERRA AFGHANA

Per il ruotare degli incarichi anche nella regione di Kabul, oltre che sul
fronte occidentale, e' italiano ora il comando di tutte le truppe Nato-Isaf
che stanno da anni conducendo la guerra terrorista e stragista in
Afghanistan contro gli afgani. Su due fronti decisivi e' italiano ora il
comando di tutte le truppe Nato-Isaf che stanno da anni militarmente
occupando l'Afghanistan contro gli afgani. Ogni morto ed ogni ferito che la
guerra - tutta la guerra, tutti i belligeranti - oggi in quelle aree
provoca, in primo luogo a noi italiani verra' a ragione imputato.
Il nostro governo assassino, il nostro parlamento assassino, il nostro
complice silenzio assassino. Tanto orrore che stiamo spargendo cola' ci
verra' restituito. Tanto orrore  che stiamo spargendo cola' sta gia'
incendiando il mondo intero.
Una e una sola e' la scelta da fare: la pace, il disarmo, la
smilitarizzazione. Fare della nonviolenza il criterio della politica
internazionale. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

3. MEMORIA. ENZO MAZZI RICORDA LORENZO MILANI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 dicembre 2007, col titolo "Un mito per
tutte le stagioni", l'occhiello "La figura del sacerdote di Barbiana e'
messa sull'altare per ridurlo a un innocuo feticcio", il sommario "Ricordare
Don Milani a quarant'anni dalla sua morte vuol dire fare i conti con il
contesto nel quale opero'. E registrare i cambiamenti avvenuti per rinnovare
la sua esperienza".
Enzo Mazzi, animatore dell'esperienza della comunita' dell'Isolotto a
Firenze, e' una delle figure piu' vive dell'esperienza delle comunita'
cristiane di base, e della riflessione e delle prassi di pace, solidarieta',
liberazione, nonviolenza. Tra le opere di Enzo Mazzi e della Comunita'
dell'Isolotto segnaliamo almeno: Isolotto 1954/1969, Laterza, Bari 1969;
Ernesto Balducci e il dissenso creativo, Manifestolibri, Roma 2002.
Lorenzo Milani nacque a Firenze nel 1923, proveniente da una famiglia della
borghesia intellettuale, ordinato prete nel 1947. Opera dapprima a S. Donato
a Calenzano, ove realizza una scuola serale aperta a tutti i giovani di
estrazione popolare e proletaria, senza discriminazioni politiche. Viene poi
trasferito punitivamente a Barbiana nel 1954. Qui realizza l'esperienza
della sua scuola. Nel 1958 pubblica Esperienze pastorali, di cui la
gerarchia ecclesiastica ordinera' il ritiro dal commercio. Nel 1965 scrive
la lettera ai cappellani militari da cui derivera' il processo i cui atti
sono pubblicati ne L'obbedienza non e' piu' una virtu'. Muore dopo una lunga
malattia nel 1967; era appena uscita la Lettera a una professoressa della
scuola di Barbiana. L'educazione come pratica di liberazione, la scelta di
classe dalla parte degli oppressi, l'opposizione alla guerra, la denuncia
della scuola classista che discrimina i poveri: sono alcuni dei temi su cui
la lezione di don Milani resta di grande valore. Opere di Lorenzo Milani e
della scuola di Barbiana: Esperienze pastorali, L'obbedienza non e' piu' una
virtu', Lettera a una professoressa, pubblicate tutte presso la Libreria
Editrice Fiorentina (Lef). Postume sono state pubblicate le raccolte di
Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Mondadori; le Lettere alla
mamma, Mondadori; e sempre delle lettere alla madre l'edizione critica,
integrale e annotata, Alla mamma. Lettere 1943-1967, Marietti. Altri testi
sono apparsi sparsamente in volumi di diversi autori. La casa editrice
Stampa Alternativa ha meritoriamente effettuato nell'ultimo decennio la
ripubblicazione di vari testi milaniani in edizioni ultraeconomiche e
criticamente curate. La Emi ha recentemente pubblicato, a cura di Giorgio
Pecorini, lettere, appunti e carte varie inedite di don Lorenzo Milani nel
volume I care ancora. Altri testi ha pubblicato ancora la Lef. Opere su
Lorenzo Milani: sono ormai numerose; fondamentali sono: Neera Fallaci, Vita
del prete Lorenzo Milani. Dalla parte dell'ultimo, Rizzoli, Milano 1993;
Giorgio Pecorini, Don Milani! Chi era costui?, Baldini & Castoldi, Milano
1996; Mario Lancisi (a cura di), Don Lorenzo Milani: dibattito aperto,
Borla, Roma 1979; Ernesto Balducci, L'insegnamento di don Lorenzo Milani,
Laterza, Roma-Bari 1995; Gianfranco Riccioni, La stampa e don Milani, Lef,
Firenze 1974; Antonio Schina (a cura di), Don Milani, Centro di
documentazione di Pistoia, 1993. Segnaliamo anche l'interessante fascicolo
monografico di "Azione nonviolenta" del giugno 1997. Segnaliamo anche il
fascicolo Don Lorenzo Milani, maestro di liberta', supplemento a "Conquiste
del lavoro", n. 50 del 1987. Tra i testi apparsi di recente: il testo su don
Milani di Michele Ranchetti nel suo libro Gli ultimi preti, Edizioni cultura
della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1997; David Maria Turoldo, Il mio
amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte (Bg) 1997; Liana Fiorani, Don
Milani tra storia e attualita', Lef, Firenze 1997, poi Centro don Milani,
Firenze 1999; AA. VV., Rileggiamo don Lorenzo Milani a trenta anni dalla sua
morte, Comune di Rubano 1998; Centro documentazione don Lorenzo Milani e
scuola di Barbiana, Progetto Lorenzo Milani: il maestro, Firenze 1998; Liana
Fiorani, Dediche a don Milani, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2001; Edoardo
Martinelli, Pedagogia dell'aderenza, Polaris, Vicchio di Mugello (Fi) 2002;
Marco Moraccini (a cura di), Scritti su Lorenzo Milani. Una antologia
critica, Il Grandevetro - Jaca Book, Santa Croce sull'Arno (Pi) - Milano
2002]

C'e' un'affermazione che racchiude credo il senso della vita di don Milani:
"Il mondo ingiusto l'hanno da raddrizzare i poveri e lo raddrizzeranno solo
quando l'avranno giudicato e condannato con mente aperta e sveglia come la
puo' avere solo un povero che e' stato a scuola". E' una frase problematica,
letta oggi. Perche' i poveri hanno avuto ed hanno la scuola. Ma il mondo non
sembra che sia stato raddrizzato.
Guardando pero' quella frase come paradigma ideale della grande transizione
storica della nostra epoca, essa racchiude il progetto, la positiva
presunzione di Barbiana: vivere la crisi della societa' arcaica e la caduta
di secolari barriere per soddisfare l'altrettanto secolare sete di
protagonismo, anzi di sovranita' delle classi popolari; e in secondo luogo
far propri gli strumenti offerti dalla societa' moderna, cioe' la diffusione
delle conoscenze e del senso critico, giungendo a usare tali strumenti
contro lo stesso progetto di trasformazione delle classi dominanti.
Un unico filo lega fra loro tutte le altre esperienze di quel laboratorio
culturale, ecclesiale, sociale e politico che si e' sviluppato nella Firenze
degli anni '50-'70: vivere la grande transizione storica facendo spazio ai
valori di giustizia, solidarieta', protagonismo e partecipazione di cui,
seppur con grandi contraddizioni, erano portatrici le classi popolari. Le
cose non sono andate secondo le aspettative di quel paradigma ideale che ci
animava. Ma non sara' che a quello stesso paradigma si dovra' ritornare come
unica risorsa per risalire dall'orrido baratro in cui stiamo scivolando?
*
Esplorare l'ignoto
Quando, nell'immediato dopoguerra, studiavamo teologia nel Seminario
fiorentino, la nostra ansia culturale e intellettuale, la tensione morale e
la ricerca di fede erano tutte protese a uscire dalla prigione della sintesi
sacrale del medioevo, evitando pero' l'abbraccio mortifero di una modernita'
che aveva si' riaperto lo spazio dell'autonomia e della liberta' ma, per
estrema contraddizione, aveva anche sottomesso il mondo al clima di terrore
della guerra totale.
La cupola del tempio, imponente utero materno, non racchiudeva piu' i cuori
e le menti di alcuni giovani seminaristi. Avevamo bisogno di volare alto. Ma
la cupola di fuoco della bomba si presentava come un approdo altrettanto
oppressivo. Fra questi poli, simbolicamente espressi dalle due cupole,
nasceva una appassionata ricerca di sintesi nuove, di percorsi creativi, di
tentativi inediti.
Eravamo ingenui, ma non stupidi; idealisti, ma non privi di quel realismo
autentico che e' la dote di chi non ha altra scelta che tentare
l'inesplorato.
Non sapevamo che il mondo operaio e contadino era agli sgoccioli. Ma non
eravamo neppure in attesa della sua messianica vittoria. Ci premeva
l'affermazione e la penetrazione dei valori umani ed evangelici dei poveri
nella societa' e nella Chiesa. Quei valori, fra l'altro, che alcuni di noi,
provenienti da famiglie proletarie di sinistra, avevano succhiato col latte
materno e che poi entrando in seminario avevano abbandonato non senza un
senso di rottura e quasi di tradimento. Ora si trattava di immergersi di
nuovo in quella realta' dalla quale si proveniva. Non era il caso di don
Milani che proveniva da una famiglia alto-borghese e che nell'intimo sentiva
il bisogno di una specie di lavacro.
Con un tale desiderio di incarnazione nel "mondo dei poveri", uno dopo
l'altro uscimmo di seminario.
Ci trovammo immersi in un crogiuolo che andava ben oltre la nostra
immaginazione e i nostri progetti. Si preparava la metafora di uno di quei
magici tempi della evoluzione della specie in cui nasce un essere nuovo.
*
Una rivoluzione copernicana
Ci accorgemmo ben presto, gia' alle prime esperienze di pratica pastorale,
che non si trattava solo di una questione di preti, di Chiesa o di Vangelo.
La societa' intera era investita da una trasformazione profonda e ambigua.
Proprio per questo pero' l'opportunita' che si apriva per il Vangelo e per
la Chiesa era di incalcolabile valore. Bisognava scommettere la vita intera
e la stessa fede.
E' quello che tentammo di fare, giovanissimi preti, chi in fabbrica, chi
nelle parrocchie, perseguendo esperienze che insieme a tante altre analoghe
avrebbero preparato e alimentato la rivoluzione copernicana del Concilio e
la rivoluzione culturale e sociale del '68.
Isolare don Milani da questo contesto non serve a lui e non serve alla
storia.
In particolare chi ha amore alla scuola e cerca e sperimenta la fatica di
percorsi innovativi non ha bisogno di miti. Quanto piuttosto, io credo, di
annodare i fili di tante esperienze, individuando, anche nella scuola di
Barbiana, le costanti o gli orientamenti di fondo di un processo di
emersione e di riscatto delle culture negate. O la scuola infatti si porra'
come fondamentale l'obbiettivo di levatrice dell'intreccio fra le culture
che finora non hanno avuto acccesso alla visibilita' o sbattera' la testa
contro l'impotenza di un riformismo da allevamento. Barbiana in questo e'
preziosa; purche' non se faccia un quadretto da "presepio di Greccio". I
poveri oggi hanno la parola e restano poveri. Molti immigrati che puliscono
le nostre fogne sono laureati. Essi non hanno bisogno di maestri. Barbiana a
loro non serve come esempio di scuola ma come esperimento di comunita' oltre
i confini.
Dunque don Milani e' stato smentito? Se si isola e si mitizza il messaggio
della persona, direi di si'.
E qui ritorna il tema della comunita' oltre i confini. E' vero che don
Milani era lontano dall'esperienza delle comunita' di base e dalla stessa
riforma conciliare. Lui diceva infatti: "la religione consiste solo
nell'osservare i dieci comandamenti e confessarsi presto quando non si sono
osservati. Tutto il resto o sono balle o appartiene a un livello che non e'
per me e che certo non serve ai poveri". Non l'abbiamo mai avuto vicino
quando alimentavamo, ispiravamo e sostenevamo la battaglia dei padri
conciliari, tipo il cardinale Lercaro o dom Franzoni, per la Chiesa povera e
dei poveri e per la Chiesa-comunita' di comunita' aperta e in cammino.
Questo significa che lui non ha dato il suo contributo? Ma niente affatto.
Se lo si stacca dal contesto puo' anche essere. Ma collocato dentro il
processo storico don Milani ha dato sostegno a tanti come me nella nostra
esperienza e nella stessa lotta per l'attuazione del Concilio. Barbiana non
e' un'esperienza conciliare nella forma e nelle intenzioni, ma lo e' nella
sostanza. E' per questo che io sento vivo Lorenzo, lo sento attuale, perche'
e' vivo e attuale il processo storico di umanizzazione sociale dal basso al
quale egli ha dato il suo prezioso contributo.
E qui vorrei spendere ancora una parola di critica verso la mitizzazione del
personaggio. Non ci serve, anzi e' di ostacolo il mito don Milani che si sta
affermando.
Centrare tutta la luce sulla sua persona oscura ancora una volta i poveri,
la gente umile. Milani, Milani, sia pure, ma dove sono finiti i contadini,
le contadine e gli operai che mezzo secolo fa animavano ancora i monti del
Mugello, insignificanti formiche per la cultura borghese, in realta' per noi
grandi personalita' della cultura popolare? Ne ho conosciuti diversi e mi
sono rimasti nell'anima e nella mente.
*
Un fiore all'occhiello
Ho proposto agli amministratori di alcuni comuni del Mugello, che fanno
convegni, ricerche, pubblicazioni su don Milani, di fare una ricerca sulla
cultura popolare e i suoi personaggi prima dell'inurbamento. Non ci sentono.
Milani e' un fiore all'occhiello da sfruttare per far cassa?
Non bisognerebbe mai dimenticare quanto egli scrive all'amico Giorgio
Pecorini come in un testamento in una delle sue ultime lettere: "Ma devi
fare qualcosa per me. Prima di tutto perche' e' vero quello che ti dico
cioe' che il lavoro e' tutto dei ragazzi... Non voglio morire signore cioe'
autore di un libro, ma con la gioia che qualcuno ha capito che per scrivere
non occorre ne' genio ne' personalita'... Cosi' la classe operaia sapra'
scrivere meglio di quella borghese. E' per questo che io ho speso la mia
vita e non per farmi incensare dai borghesi come uno di loro".
Mettiamo via gli incensieri!

4. RIFLESSIONE. TIZIANA BARTOLINI INTERVISTA IBU ROBIN LIM
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org), col titolo "Ibu Robin Lim,
un'ostetrica speciale" e il sommario "Tre anni dopo lo tsunami le ferite
sono ancora tante. Accanto alle donne l'assistenza dell'associazione no
profit Yayasan Bumi Sehat fondata nel 1994"
Tiziana Bartolini e' direttrice di "Noi donne" dal 2000. Nata a Roma ha due
figli. Laureata in storia e filosofia, giornalista, ha frequentato un master
in Formazione e Pari Opportunita' e un corso di alta specializzazione in
comunicazione e marketing del No Profit. Esperta di comunicazione sociale,
ha collaborato con riviste e quotidiani nazionali e con la Rai per il Terzo
Settore. Ha gestito quale responsabile nazionale l'area comunicazione e
l'ufficio stampa di un'organizzazione internazionale impegnata
nell'inclusione sociale delle persone con ritardo mentale, occupandosi anche
della formazione. E' stata coordinatrice editoriale di "Mondo sociale", ha
maturato competenze nel campo della pubblica amministrazione ed attualmente
e' componente del consiglio di amministrazione della Cooperativa Libera
Stampa, societa' editrice di "Noi donne".
Ibu Robin Lim e' ostetrica, operatrice umanitaria, costruttrice di pace,
animatrice dell'associazione no profit Yayasan Bumi Sehat di Bali; nel 2006
le e' stato attribuito il premio internazionale "Alexander Langer"; un suo
profilo essenziale e' nel n. 1385 de "La nonviolenza e' in cammino", due
interviste nel n. 1445 e nel n. 1480]

"Le donne vanno sulle spiagge e aspettano che i loro bambini ritornino dal
mare". La devastazione prodotta dalle onde dello tsunami del 26 dicembre
2004 non sono solo materiali. C'e' il dolore infinito delle madri e c'e' la
disperazione degli uomini, che sono scappati velocemente con auto e camion,
ma che vivono con il rimorso di non aver salvato i loro cari. "L'80% delle
vittime sono state donne e bambini, gli uomini sono fuggiti per primi e ne
sono morti meno. Pero' molti uomini ammettono che dopo lo tsunami hanno
prblemi psicosomatici per il senso di colpa" . Abbiamo incontrato Ibu Robin
Lim a Castiglioncello in occasione del convegno sull'arte ostetrica. Lei e'
un'ostetrica molto speciale. "Sono innamorata del mio lavoro e mi piace
molto pensare che, viaggiando, incontro tante persone che credono che la
pace possa essere creata prendendosi cura delle donne e dei bambini". Ibu
Robin Lim ha creato due cliniche in cui si lavora sull'empowerment delle
donne e sulla consapevolezza che quella dell'ostetrica e' un'arte basata
sull'amore. "Nella clinica di Aceh, che sorge nell'isola di Sumatra proprio
accanto a dove c'e' stato l'epicentro dello tsunami, facciamo vari
interventi per dare sollievo alle persone sofferenti (questo presidio e'
stato aperto dopo lo tsunami iniziando un'opera di ostetrica d'urgenza -
ndr). Nella clinica di Bali, specializzata in ostetricia e pediatria,
utilizziamo metodi naturali come la chiroterapia, l'omeopatia, l'agopuntura
e insieme a noi lavora un medico". Le due cliniche aperte e gestite da Ibu
Robin Lim e dalla sua organizzazione non hanno contributi pubblici e sono
finanziate dalla generosita' di "amici in tutto il mondo che ci danno modo
di aiutare queste persone".
Apprendere per quale ragione le donne preferiscono partorire in queste
cliniche e' scioccante. "L'ospedale pubblico trattiene i bambini se le donne
non pagano il conto. Questa purtroppo e' una triste verita' in tutta l'Asia:
se non paghi non vai via col tuo bambino e quindi riescono a farsi pagare in
ogni modo. Da noi ciascuno offre quello che puo' e se puo'. A Bali facciamo
400 parti l'anno ma abbiamo solo 7 letti, quindi appena il bambino nasce la
donna e' spostata o a casa mia o a casa di amici per lasciare libero il
posto. Le donne vengono a partorire da noi anche dalle isole lontane perche'
sanno che saranno comunque assistite con amore, indipendentemente dalla loro
religione e provenienza. Da noi trovano accoglienza, pulizia e cibo". Quali
sono i rapporti con le istituzioni? "La mia licenza di ostetrica e' legale e
anche la nostra clinica e' in regola con le leggi. Siamo in disaccordo con i
dottori e i pediatri perche' promuovono l'allattamento artificiale. Il 100%
delle donne che vengono da noi, invece, allatta i bambini al seno". Sappiamo
che l'allattamento al seno nella prima ora dalla nascita salva milioni di
vite prevenendo tante malattie. "Dati ufficiali ci dicono che 100.000
bambini muoiono nel primo anno di vita per aver bevuto latte artificiale.
Occorre tenere presente che solo i ricchi denunciano le morti mentre i
poveri non lo fanno in quanto la mortalita' infantile fa parte della
normalita'". Ibu Robin Lim viaggia molto per far conoscere la sua esperienza
umana e professionale, le chiediamo se vede differenze nelle vite delle
donne occidentali e orientali. "Ovunque io vado le donne sono sole,
ignorate". Ma da noi e' diverso, protesto io... "Non credo, guardate al
vostro tasso di cesarei!".
*
Ibu Robin Lim vive a Bali con il marito, 7 figli e la nipotina. Nel 2006 le
e' stato attribuito il "Premio Alexander Langer" riconoscendole la capacita'
di unire i saperi femminili tradizionali ad una cultura multiforme e che tra
gli obiettivi primari del suo lavoro di ostetrica vi e' impedire
l'espropriazione delle conoscenze femminili da parte dei medici - processo
che e' avvenuto in Europa e che ora e' in atto in Indonesia - e promuovere
la nascita non violenta dei bambini. In Italia il lavoro di Ibu Rabin Lim e
del suo "consultorio di comunita'" e' sostenuto dall'associazione "Il
Melograno". Tiziana Valpiana (presidente onoraria dell'associazione e
attualmente senatrice) nella prefazione al libro recentemente pubblicato in
Italia da Apogeo, sottolinea la condivisone della tesi secondo cui "madri si
diventa piano piano attraverso una gestazione fisica ma anche emozionale e
di crescita interiore, attraverso un parto vissuto come scoperta e rispetto
delle straordinarie capacita' e risorse del corpo di donna, attraverso la
trama intensa e appassionata della relazione con il nuovo nato".
*
Per ulteriori informazioni: www.melograno.org e www.bumisehatbali.org

5. TESTIMONIANZE. MYA MONTERO: ERO UNA DONNA OSTAGGIO
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo la seguente testimonianza apparsa su "D. Donna", supplemento del
quotidiano "La Repubblica", del 24 novembre 2007, col titolo "Ero una donna
ostaggio. Cercavo di non irritare il mio carceriere. Gli ostaggi, se si
salvano, diventano eroi".
Mya Montero e' lo pseudonimo di una donna che e' riuscita a uscire di casa e
a denunciare le violenze subite]

Ero una donna ostaggio. Cercavo di non irritare il mio carceriere. Gli
ostaggi, se si salvano, diventano eroi. Invece una donna che ha subito per
anni violenza in casa e' una che ha qualcosa che non va: ti viene
appiccicata addosso una lettera scarlatta. Etichettarti come vittima
compiacente serve a chi ti sta di fronte a esorcizzare la paura. Un giorno
pero' ho detto basta: quando ho avuto una speranza di salvarmi la vita e ho
pensato che lui non potesse piu' nuocere ai miei figli. Prima, loro piccoli,
non avrei potuto: una persona puo' sparire, piu' persone no, di lasciarli
non se ne parlava. All'ennesima violenza - un pugno in faccia, a freddo - ho
capito che non era piu' questione di farcela o no: era un capolinea, mi
poteva ammazzare, i figli si sarebbero trovati senza madre e con il padre in
galera. Ho deciso: una citta' a caso, un treno, i miei risparmi. Non
conoscevo nessuno, ma alla stazione c'erano le donne dell'associazione che
mi avrebbe sostenuto. Oggi, dopo qualche anno, mi dicono: lei e' fuori dalla
violenza. Sinceramente non lo so: certo ho potuto dormire una notte intera,
senza la paura di girargli le spalle. I primi giorni in questa nuova citta'
avevo il terrore: ogni macchina mi sembrava la sua, eppure quando giravo per
le strade, guardavo le vetrine, godevo di una nuova liberta'. Ma la sera,
nella casa segreta, mi chiedevo: "A cosa stai giocando? A fare la signora
che va per negozi?", e tornava il terrore. Adesso non c'e' quasi piu', ma
vivo sempre in clandestinita' e ho nuovi problemi: il lavoro, la casa. Dopo
l'uscita dalla violenza, non c'e' una rete di sostegno: non ci sono affitti
agevolati, il lavoro manca. Vivo, io che ho una professione, di lavoretti e
dei miei risparmi. E resta la ferita: quant'e' profonda lo scopri dopo.
Quando ci sei dentro non riesci a vederla. Non sono ancora entrata, durante
la psicoterapia, nella stanza oscura. Parlo d'altro. Non ce la faccio. E non
ce la faccio, io che amo scrivere, a stare su una pagina piu' di mezz'ora:
lascio perdere, e' materia rovente. Gli avevo lasciato uno spazio emotivo
grande: ero diventata quasi sua madre, volevo salvarlo. Anche se non ho
subito e mi sono sempre ribellata. Dopo pochi mesi di matrimonio, sono
andata alla polizia. Mi hanno detto: "Ha un figlio, torni a casa". Ecco
perche' mi fa soffrire essere additata come una donna quasi connivente con
la violenza: non sono di una specie diversa dalle altre, ero solo molto
giovane e innamorata. E ostaggio. Per i figli. Talvolta ho paura di
soccombere proprio adesso che sono fuori, di essere segnata per sempre.
Eppure sono gioiosa e grata per questa vita rinata. E fiera dei miei figli:
sono sani, umani, di buon carattere. A volte sogno di prenderlo a schiaffi,
mi sveglio urlandogli "perche'...". Ma e' rabbia, non odio. Non sono ancora
del tutto salva: ma se non cado in quei pozzi oscuri riesco a vedere,
domani, persino un amore possibile. Anche se, io, della solitudine non ho
paura.

6. MEMORIA. MAURO BERSANI RICORDA DANTE ISELLA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 dicembre 2007 col titolo "Addio
all'ultimo Gran Lombardo".
Mauro Bersani(Milano, 1956), vive a Torino, dove lavora alla casa editrice
Einaudi come responsabile dell'area letteratura; ha pubblicato saggi di
storia letteraria e filologia in varie riviste; ha pubblicato studi su
Jacopo Sannazaro, Silvio Pellico, Carlo Emilio Gadda e Paola Masino; Con
Maria Corti e Maria Braschi ha curato un'antologia per le scuole (Viaggio
nel Novecento, Mondadori 1984), con Ernesto Franco un'antologia di narratori
(Anticorpi, Einaudi 1997); ha inoltre curato l'antologia Nuovi poeti
italiani 4 (Einaudi 1995); tra i lavori recenti il volume Carlo Emilio Gadda
(Einaudi, 2003, con videocassetta).
Dantre Isella (1922-2007), filologo, critico e storico della letteratura,
maestro di metodo e di stile, e di rigore morale e intellettuale.
Riprendiamo la notizia della scomparsa diffusa il 3 dicembre 2007
dall'agenzia di stampa Adnkronos: "Dante Isella, illustre filologo, critico
e storico letterario di fama internazionale, che ha definito una "linea
lombarda" da Giuseppe Parini, Carlo Porta, Alessandro Manzoni fino a Carlo
Emilio Gadda, e' morto la notte scorsa all'ospedale di Varese. Aveva 85 anni
e da tempo soffriva di problemi cardiaci. Allievo di Gianfranco Contini,
professore emerito di letteratura italiana all'Universita' di Pavia
(1967-77) e al Politecnico di Zurigo, sulla cattedra che gia' fu di
Francesco De Sanctis, Isella ha curato edizioni di opere di Carlo Maria
Maggi, Giuseppe Parini, Carlo Porta, Carlo Dossi, Delio Tessa, Carlo Emilio
Gadda, Eugenio Montale, Beppe Fenoglio e Vittorio Sereni. Per Einaudi ha
pubblicato I Lombardi in rivolta: da Carlo Maria Maggi a Carlo Emilio Gadda
(1984), L'idillio di Meulan. Da Manzoni a Sereni (1994) e Carlo Porta
(2003). Nel 2005 ha vinto il Premio Imola 'Vita di critico' e nel 2006 gli
e' stato assegnato il Premio Chiara alla carriera. Dante Isella ha diretto
la collana dei Classici Mondadori dal 1961 al 1993. Ha diretto anche la
collana di Testi e strumenti di filologia italiana della Fondazione
Mondadori e condiretto la Biblioteca di scrittori italiani della Fondazione
Bembo. Nel 1956 gli venne assegnato il Premio Bologna per la filologia e nel
1987 il Premio della Fondazione del Centenario della Banca della Svizzera
Italiana. Dal 1988 faceva parte dell'Accademia della Crusca e dal 1997
dell'Accademia dei Lincei". Dal sito del Premio Grinzane-Cavour riprendiamo
la seguente breve scheda: "Dante Isella, critico letterario e filologo, e'
nato a Varese nel 1922. Ha insegnato Letteratura italiana nelle Universita'
di Catania, Padova, Pavia, Zurigo e Friburgo. Se oggi il pubblico dei
lettori dei romanzi di Fenoglio e' cresciuto, buona parte del merito va
attribuita anche alle cure che Isella ha prestato per lunghi anni all'opera
dello scrittore albese. Tra i libri su Beppe Fenoglio si ricordano Romanzi e
racconti (Einaudi-Gallimard, 2001). Direttore sin dalla fondazione nel
1962 - assieme a Maria Corti, D'Arco Silvio Avalle e Cesare Segre - della
rivista "Strumenti critici", Dante Isella ha collaborato a "Studi di
filologia italiana" e al "Giornale storico della letteratura italiana".
Oltre ai volumi di Beppe Fenoglio, ha curato le edizioni delle opere di
Carlo Maria Maggi, Giuseppe Parini, Carlo Porta, Carlo Dossi, Delio Tessa,
Carlo Emilio Gadda, Eugenio Montale e Vittorio Sereni. Tra le altre opere si
ricordano I Lombardi in rivolta (Einaudi, 1984), Dovuto a Montale (Archinto,
1997), L'idillio di Meulan (Einaudi, 1994), Per due liriche (Bollati
Boringhieri, 1998) e Carlo Porta. Cinquant'anni di lavori in corso (Einaudi,
2003). Quest'ultimo raccoglie i piu' importanti scritti che Isella ha
dedicato a Porta in cinquant'anni di "lunga fedelta'", affrontando argomenti
biografici, filologici, storico-letterari, esegetici. Attraverso questi
saggi, Carlo Porta diventa il punto piu' alto (insieme al suo amico Manzoni)
della parabola del realismo etico che, da Maggi fino a Tessa, ha
caratterizzato per secoli la cultura lombarda. Nel 2005 per Einaudi ha
pubblicato Lombardia stravagante. Testi e studi dal Quattrocento al
Seicento. Nel suo operoso percorso di studi, Isella ha ricostruito i fili di
una cultura lombarda che, sotto il segno di un forte realismo etico, si sono
dipanati senza soluzione di continuita' da Maggi a Sereni, ovvero dal
Seicento al pieno Novecento. In questo recente volume l'autore aggiunge alla
sua ricostruzione critica e filologica il periodo antecedente che va dal
Quattrocento al Seicento, facendo emergere figure di spicco come Fabio
Varese. La ricostruzione storico-letteraria costituisce un'introduzione alla
letteratura lombarda dell'epoca. Isella ha ricevuto il Premio Imola 2005
"Vita di critico" e il Premio Chiara nel 2007"]

Dante Isella non e' riuscito a vedere pubblicati Gli sposi promessi, secondo
volume dell'edizione critica del capolavoro manzoniano che aveva licenziato
per la stampa poche settimane fa, facendo seguito al Fermo e Lucia uscito lo
scorso anno. Sara' il volume chiave di un'edizione che avrebbe dovuto
concludersi con un terzo tomo dedicato ai Promessi sposi del 1827: volume
chiave perche' Isella aveva individuato nella seconda minuta del romanzo,
chiamata appunto Gli sposi promessi, il luogo di svolta di tutto l'iter
elaborativo di Manzoni.
Isella era orgoglioso di questa sua scoperta, come lo era stato ai tempi
della mitica edizione critica del Giorno di Parini: ne parlava in ogni
occasione pubblica e privata manifestando un irrefrenabile entusiasmo, che
ha senz'altro allungato i tempi della sua malattia, anche se purtroppo non
l'ha fermata. Dunque, la sua straordinaria carriera di filologo Isella l'ha
conclusa come manzonista, dopo averla iniziata su Dossi e proseguita su
Porta, su Maggi, su Parini, su Tessa, su Gadda, su Sereni e su tanti altri
lombardi illustri e meno illustri. A parte le edizioni di Montale e di
Fenoglio, si puo' dire che Isella ha dedicato ai suoi "lombardi in rivolta"
la maggior parte delle energie e del suo talento critico. Questo non certo
per localismo o spirito di campanile, ma per radicamento in una storia
culturale a cui era consentaneo e a cui sentiva di appartenere.
Dallo studio dei suoi autori Isella aveva individuato una categoria critica
che ci lascia in eredita': quel "realismo etico" che e' stile sulla pagina,
ma anche stile di vita. Una letteratura che nasce dall'impegno morale, che
rifugge dalla retorica, che ha il gusto della lingua parlata e della
sperimentazione mai fine a se stessa, coerente con i tempi in cui Milano era
il punto di riferimento dei grandi mutamenti sociali e culturali, capitale
morale dell'Italia ben prima dello stato unitario e poi ancora dopo, per
gran parte del Novecento, fino al collasso degli anni recenti: gli anni del
craxismo, della Milano da bere e da vestire, dell'egoismo e del razzismo.
Isella condivideva la religione, molto milanese, del lavoro. Forse perche'
aveva iniziato la sua carriera di studioso quando ancora "prestava servizio"
nell'azienda di trasporti paterna, svegliandosi alle cinque di mattina e
studiando di notte. Anche per questo gli piacevano gli scrittori che avevano
professioni non letterarie, come Porta o Gadda. La letteratura, per lui, era
manzonianamente un impegno, non una festa, e tanto meno un mezzo per facili
guadagni, come qualcuno puo' pensare oggi. Il suo proverbiale rigore andava
al passo con la frequentazione degli autori prediletti: persone serie, anche
se le loro pagine potevano far ridere sfrenatamente.
Aveva ritrovato quell'ambiente nella Milano del dopoguerra, con i suoi
amici, da Giansiro Ferrata, con cui da giovane aveva tradotto Hemingway a
quattro mani, a Vittorio Sereni, che lo chiamo' alla Mondadori per dirigere
la collana dei Classici, a D'Arco Silvio Avalle, col quale - insieme a Maria
Corti e a Cesare Segre - aveva fondato "Strumenti critici", a Franco
Parenti, cui aveva insegnato come leggere in teatro il milanese di Porta.
Per la Milano di oggi provava soprattutto fastidio e frequentava poche
persone: una fra tutte lo storico dell'arte Giovanni Agosti, tanto piu'
giovane di lui, col quale aveva instaurato un proficuo rapporto di
collaborazione negli studi, sfociato nell'edizione delle Antiquarie
prospetiche romane, il poemetto di un anonimo pittore milanese del tardo
quattrocento, ripreso nella piu' recente raccolta dei saggi di Isella,
Lombardia stravagante, uscita lo scorso anno.
Ancora Lombardia, per l'ultima volta. Quasi un saluto finale alla sua musa
di storico letterario. Ed e' chiaro che la scomparsa di Isella contribuisce
non poco a sancire il definitivo tramonto di una cultura e di una societa'
italiane che, in realta', erano tristemente alle nostre spalle gia' da un
paio di decenni abbondanti.

7. MEMORIA. MASSIMO RAFFAELI RICORDA DANTE ISELLA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 dicembre 2007 col titolo "Nel suo
realismo etico uno stile per la vita" e il sommario "Il grande filologo
Dante Isella e' morto ieri in un ospedale di Varese, la citta' dove era nato
nel '22. Aveva appena consegnato 'Gli Sposi promessi', il volume chiave di
una edizione critica che segnava la sua ultima tappa sulla linea della
letteratura lombarda".
Massimo Raffaeli scrive di critica letteraria sul quotidiano "Il manifesto"
e su vari periodici]

Una delle ultime o forse proprio l'ultima uscita pubblica di Dante Isella lo
aveva portato a Cesenatico, alla fine di settembre, in occasione di un
convegno dedicato alla poesia di Ferruccio Benzoni, il poeta troppo presto
scomparso nella cui stima e frequentazione aveva ritrovato quella
fraternita' sperimentata insieme al suo amico di sempre, Vittorio Sereni.
Ormai magrissimo, segnato com'era dalla malattia, della figura imponente che
un tempo incuteva naturale soggezione rimaneva intatto il celeste chiaro e
liquido degli occhi con il sorriso largo, aperto, di lombardo che amava la
sua terra di un amore perduto e tuttavia sorvegliato dal freno della
razionalita', anzi dalla postura naturaliter illuminista che gli proveniva
da Alessandro Manzoni, stella fissa del cielo di Lombardia dove era nato (a
Varese) nel 1922. Quanto al combinato disposto di filologia e critica
teorizzato da Giorgio Pasquali e sottoscritto da Gianfranco Contini - con
cui si era formato all'universita' di Friburgo - Dante Isella prediligeva il
primo dei due termini, per vocazione e poi per chiara elezione. Non che
amasse sottrarsi al giudizio di valore; piuttosto il suo sguardo trascorreva
all'indietro, verso un passato che rendesse possibile e leggibile la
letteratura presente, mai viceversa.
Poteva leggere gli autori contemporanei, ma non quelli a' la page, perche'
la sua passione volgeva altrove, cioe' alla prospettiva storica, fosse pure
quella del passato prossimo. Resta il fatto che, per un felice paradosso,
nella bibliografia di Dante Isella il rilevo degli studi sul Novecento e'
tutt'altro che trascurabile, anzi e' cosi' vistoso e centrale da alludere,
per compattezza e organicita', a un vero e proprio canone (parola da lui
probabilmente detestata, cosi' come ogni altra che sapesse di gergo o di
concessione alla moda corrente): fra i molti altri suoi lavori su autori
novecenteschi, vanno almeno ricordati il volume Le due tensioni (Il
Saggiatore 1967) che contiene la cura degli appunti postumi di Elio
Vittorini, la superba edizione delle Opere di Carlo Emilio Gadda uscita per
Garzanti, l'edizione commentata delle Occasioni di Montale e il relativo
carteggio con Contini, i Romanzi e racconti di Beppe Fenoglio
(Einaudi-Gallimard, Biblioteca della Pleiade 1992), le pagine di
presentazione dedicate ai poeti Franco Loi, Lello Baldini, Nino Pedretti, e
al Canzoniere infimo di Ferruccio Benzoni. E, naturalmente, il libro piu'
suo, ovvero l'edizione critica delle Poesie di Sereni (Mondadori 1996),
straordinario tributo dell'affetto e insieme dell'intelligenza, che si
squaderna in un apparato di seicento pagine, qualcosa come il triplo delle
pagine di testo poetico: proprio li', cio' che fu detto l'esile mito di
Vittorio Sereni diviene prima documento poi glossa itinerante ed esegesi,
tracciato del processo di elaborazione interna, infine storia di un
testualita' che non ha pari nel secondo Novecento italiano. Introducendo
questo suo lavoro sull'autore degli Strumenti umani, Isella scriveva: "Il
riordino, la lettura dell'intricata selva documentaria, e tanto piu' la sua
razionalizzazione e rappresentazione tecnica, hanno comportato, come si puo'
ben immaginare, problemi di ogni sorta. Ma gli apparati filologici, che alla
fine rispecchiano intiera, nella norma e nelle sue eccezioni, questa
fenomenologia, risultano essere proprio la migliore mappa descrittiva... Ne
mettono in risalto la perfetta coerenza tra il suo modo di intenderla e di
farla; ne testimoniano fedelmente l'autenticita', la moralita' che la
innerva". Sono parole in cui viene dissimulata una propria divisa morale
prima che professionale; e testimoniano come la concretezza del fare possa
appagarsi solamente, e alla lettera, nella pratica della filologia, dal
momento che la corretta descrizione di un testo coincide con la sua corretta
collocazione nello spazio-tempo, e dunque, ancora una volta, nella
prospettiva storica.
Alieno tanto dalle generalizzazioni storiciste quanto dalle frigide
astrazioni strutturaliste (negli anni in cui peraltro pareva impossibile
sottrarsi al pedaggio), Isella considerava la filologia come storia tout
court; beninteso, una storia a maglie strettissime nei cui rilievi e'
possibile ogni volta rinvenire le tracce di un deposito che in astratto
sarebbe soltanto dottrina erudita, ma che nelle sue note a pie' di pagina, o
nelle sue calibratissime introduzioni, diviene verifica di una ipotesi,
accertamento di una verita'.
Pari a ogni grande filologo, Isella leggeva i testi dentro una concomitanza
disciplinare capace di dosare, e di fare interagire, i saperi dello storico
della lingua, dello studioso di ecdotica e di stilistica, cosi' come di
storia della stampa, delle arti illustrative e figurative. Il gesto
dell'interpretare equivaleva per lui all'esclusivo atto del comprendere,
nulla di piu' e nulla di meno. Chi abbia letto, per esempio, il commento
puntuale alle Occasioni (Einaudi 1995) - relativo com'e' a un campione
proverbiale di segni oscuri e/o intransitivi, sa benissimo che il limite di
ogni comprendere e' chiuso nella lettera medesima del testo di avvio: se e'
impossibile comprendere tutto, come invece vorrebbe la superbia convergente
di storicisti e strutturalisti, e' tuttavia sempre possibile intenderne
qualcosa di essenziale. Sempre, e fin dove si puo'. Lo dice una bibliografia
che ha dello spettacolare, per apertura del compasso, eppure rinvia alla
solidita' di un metodo che Isella non ha mai sentito il bisogno di
teorizzare: fra i suoi contributi piu' strettamente storico-filologici,
vanno innanzitutto ricordate le edizioni critiche delle Poesie di Carlo
Porta (La Nuova Italia 1955-56 e Mondadori 1975), del Giorno (Ricciardi
1969) e delle Odi (ivi 1975) di Parini, delle Note azzurre (Adelphi 1964) di
Carlo Dossi, nonche' le manzoniane Postille al vocabolario della Crusca
nell'edizione veronese (Ricciardi 1964). Nell'ultimo trentennio, inoltre,
Isella ha raccolto in una serie di volumi le sue introduzioni e i saggi
dispersi, da I lombardi in rivolta (1983), a L'idillio di Meulan (1994), a
Carlo Porta. Cinquant'anni di lavori (2003) fino al piu' recente Lombardia
stravagante. Testi e studi dal Quattrocento al Seicento fra lettere e arti
(2005): sono pagine distese in cui meglio si fissa l'esattezza della sua
scrittura pertinente, solida, si direbbe classica, e percio' depurata sia
dei tecnicismi gratuiti sia degli snobismi in cui si crogiolano, purtroppo,
anche i migliori allievi di Gianfranco Contini.
Dagli eccessi del quale - nonostante l'incombere di Dossi e di Gadda - lo
avevano senz'altro immunizzato la lezione di Manzoni e, per altra via, dello
stesso Sereni. Nel cuore degli Strumenti umani c'e' una breve poesia che si
intitola A un distributore, dove il grande amico di Isella rimanda al primo
incontro fortuito con lui, colpito dal suo sguardo cosi' chiaro e fermo come
puo' esserlo, talora, anche il cielo di Lombardia; qui, la clausola della
poesia corrisponde a una divisa etica, a un'immagine inconsapevolmente
definitiva: "Subito fuori da Mendrisio, al bivio/ per Varese. 'Non ci siamo
mai visti, ma/ ci conosciamo, - disse - sono Isella'.// O azzurra fermezza
di occhi di re/ di Francia rimasti con gioia in Lombardia...".

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 297 dell'8 dicembre 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it