Nonviolenza. Femminile plurale. 142



==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 142 del 6 dicembre 2007

In questo numero:
Maria G. Di Rienzo: Alcune proposte di iniziativa per opporsi alla violenza
contro le donne

EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: ALCUNE PROPOSTE DI INIZIATIVA PER OPPORSI
ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un
piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in
"Notizie minime della nonviolenza" n. 81]

La violenza contro le donne non e' un "affare privato", ma un problema
politico e pubblico. Molta acqua e' passata sotto i ponti da quando, almeno
in Italia, il responso piu' comune da parte della polizia e del sistema
giudiziario alla violenza di genere era "nessun intervento". Ma se abbiamo
dovuto tornare in piazza in 150.000 significa che c'e' ancora un lungo
tratto di strada da fare. Comincerei con lo spazzare la soglia da cui parto,
percio', per non trascinarmi dietro polvere e detriti che potrebbero
rallentare il cammino.
*
Il nome della violenza
Qualcuno si e' risentito perche' e' stato usato il termine "violenza
maschile". Le argomentazioni per tale risentimento sono molto note (almeno a
me): irrita gli uomini, allontana quelli che non usano violenza, ci sono
anche donne violente, eccetera. Purtroppo, uno dei maggiori ostacoli nello
sviluppare misure per combattere la violenza contro le donne sta nella
tendenza a non guardare alla natura "di genere" del problema e ad applicare
ad esso termini vaghi o generali: violenza in famiglia o violenza domestica
non dicono esattamente chi sta compiendo atti di violenza e verso chi.
Naturalmente mi sta bene usarli, perche' sono largamente condivisi e non
devo spender molte altre parole per spiegare a cosa mi riferisco. Pero' e'
un po' come la "brutalita' del sistema" di cui sentivo parlare da ragazza.
Generalizzando, era difficile individuare i responsabili della brutalita'.
Potevano essere tutti, e nessuno. Io volevo che avessero nomi, e occhi in
cui fissare i miei, e orecchie per ascoltarmi, e bocche per parlare con me.
Volevo sanzionare i loro atti, non cancellare le loro persone dietro una
formula. Dire la verita', e cioe' che la violenza subita dalle donne e'
violenza degli uomini sulle donne, non implica nient'altro che questo. Non
colpevolizza altri uomini, non nega che la violenza sia un problema con cui
dobbiamo fare i conti tutte e tutti, semplicemente non nasconde la testa
sotto il cuscino: e' necessario che il nominare la violenza maschile sia al
centro della discussione sulla violenza di genere, perche' e' il sessismo il
principale motore di quest'ultima. Gli uomini e i ragazzi che riflettono su
se stessi, la propria sessualita', le relazioni che hanno con le donne e non
stuprano e non picchiano hanno un ruolo cruciale nel porre fine alla
violenza contro le donne nella nostra societa'. Li considero alleati ed
amici. Li onoro e li stimo. Ma devono smettere di arrabbiarsi quando si
tocca il punto dolente, e cioe' la dominazione maschile, il suo reggersi
sulla violenza e sul controllo delle donne. Ci sono uomini che di cio' sono
consci, e sono degli splendidi uomini, che mi confermano quante
potenzialita' per creare relazioni vive e vere (e percio' nonviolente)
abbiamo come esseri umani. Donne possono compiere atti sessuali violenti su
altre donne o uomini, ma e' una percentuale da zero virgola zero qualcosa.
Uomini e ragazzi possono essere vittime di stupri, ma anche in questi casi
al 99,99% i loro stupratori sono altri uomini. C'e' chi crede che le donne
non stuprino solo perche' fisicamente impossibilitate a farlo, ma se ci
pensate sono perfettamente in grado di puntare una pistola contro qualcuno
ed ordinargli di fare sesso con loro contro la sua volonta': quante ne
conoscete? E quanti uomini conoscete che vengano sistematicamente picchiati
o umiliati, controllati e insultati, dalle loro mogli o dalle loro compagne?
E' bene che teniamo a mente questo: la violenza contro le donne non consiste
di atti individuali perpetrati da persone in preda a raptus, e' il risultato
di uno schema di violenza fisica, psicologica, sessuale, sociale ed
economica. Ed e' per questo che differisce dal caso dell'"uomo che morde il
cane", e cioe' dalla donna che usi estrema violenza su un partner: lei non
ha alle spalle quattromila anni di letteratura religiosa, politica,
filosofica ecc. che giustifichi i suoi atti con l'intrinseca inferiorita'
del maschio.
Grazie a cio' abbiamo piu' difficolta' a riconoscere la violenza come tale e
a rigettarla immediatamente: gli uomini che commettono atti di violenza
all'interno delle loro famiglie non sono identificati facilmente come
violenti da altre persone. La maggioranza degli aggressori usa i pugni
"solo" nella sfera domestica: all'esterno di essa possono apparire molto
gentili ed amichevoli, una cosa tipo "Dottor Jekyll e Mister Hyde". Prendete
il caso di mio padre, che mandava soldi agli orfani e alle missioni ma
negava a noi il riscaldamento e l'acqua calda d'inverno, che era
educatissimo in pubblico ma in privato poteva lanciare padelle piene d'olio
bollente dietro a mia madre. Era difficile per noi essere creduti. Come
molti altri uomini, mio padre pensava di dover rispondere ad un modello di
mascolinita' in cui lui era il "capo", il generale comandante, e noi i suoi
sottoposti. Cio' che faceva di "sua" moglie o dei "suoi" figli non era
affare di nessuno. Spesso gli uomini violenti non riconoscono neppure di
essere in errore: biasimano l'intrusione delle leggi nei "fatti loro",
biasimano le vittime, si presentano come vittime loro stessi. Una delle
chiavi, credo, sta nel lavorare per far diventare senso comune che: la
violenza e' un'offesa all'integrita' ed alla dignita' delle persone umane,
non e' tollerabile, non ha giustificazioni ne' scuse, e chi la usa e'
responsabile moralmente e penalmente delle proprie azioni.
*
Non chiudere gli occhi
La violenza contro le donne avviene nelle case e negli spazi pubblici, non
si tratta di una situazione o/o. Le manifestazioni di questo odio verso le
donne hanno un impatto profondo su tutte, anche su coloro che non hanno mai
subito violenza. Ci sentiamo "insicure". E il sentirsi insicure e' un
ostacolo fondamentale all'equita' di genere. Limitiamo i nostri movimenti,
le nostre aspirazioni e capacita', siamo cittadine di serie b o a mezzo
servizio. Lo stupro di una donna e' ammonizione, degradazione, terrore e
limitazione per tutte le altre. La maggior parte delle donne e delle ragazze
limita e sorveglia i propri comportamenti per paura dello stupro, anche se
non le e' mai accaduto di subire violenza. La maggior parte delle donne vive
con questo timore, la maggior parte degli uomini no. Questo e' il modo in
cui la violenza sessuale funziona come potente metodo di costrizione per
meta' dell'umanita'. Facciamo una prova: pensate a tre cose che si possono
fare per prevenire la violenza sessuale. Scommetto quel che vi pare che per
prima cosa vi e' venuta in mente qualche raccomandazione alle donne: "Non
uscire da sola la notte", "Non vestirti in modo provocante", "Non stare per
strada", "Chiudi sempre bene porte e finestre", "Non parcheggiare l'auto
dove c'e' poca luce", "Portati dietro uno spray al peperoncino", "Fai un
corso di autodifesa". Tradotto e': cambia il tuo comportamento. A quasi
nessuno viene in mente subito che a cambiare comportamento dovrebbero essere
gli uomini. La cosa ovvia e' che lo stupro non sparira' sino a che essi non
lo faranno. Restringere la liberta' di donne e ragazze e' ingiusto, e
inoltre non ha mai fatto da barriera alla violenza sessuale. Tutte le
asserzioni che ho riportato poc'anzi sono basate su false letture delle
cause dello stupro, e mandano questo ripetuto messaggio: che sono le donne
le responsabili della prevenzione dello stupro, che le donne sono
responsabili se subiscono violenza sessuale. Che e' colpa loro. Anche
perche', e' notorio, gli uomini non possono frenarsi quando il raptus
impazza. Quiz: Jane Goodall passo' trent'anni in Africa ad osservare come si
comportavano gli scimpanze' nel loro ambiente naturale. In questi
trent'anni, quanti stupri pote' notare fra le scimmie? Risposta: Neppure
uno. I primati nostri cugini piu' prossimi non stuprano. Ovviamente non si
possono trarre conclusioni assolute sul comportamento umano basandosi sul
comportamento animale, ma questo semplice dato mette in crisi (se non
bastassero a farlo i numerosi studi di psicologia e sociologia ecc. degli
ultimi trent'anni) uno dei miti persistenti cresciuti attorno alla violenza
sessuale, e cioe' che la biologia maschile inclini e spinga gli uomini allo
stupro, che si tratti di un irrefrenabile e primitivo impulso cui gli uomini
non possono resistere. La violenza sessuale e' invece appresa: nasce tutta
dal convincimento sociale che gli uomini abbiano il diritto di dominare le
donne.
Percio', riproviamoci. Pensate a tre cose che si possono fare per prevenire
lo stupro. Vi dico le mie, intanto, che si potrebbero sintetizzare in
"suonare la grancassa fino a che ascoltino, se non altro per la paura di
diventare sordi". Il che si traduce nel promuovere iniziative che riducano
il rischio di subire violenza: mobilitare le citta', tramite l'informazione
e programmi educativi; offrire seminari su genere/violenza/nonviolenza;
organizzare eventi e training che promuovano la partecipazione delle donne
alla vita pubblica della citta'.
*
La casa femminista
In un contesto storico difficile, con destra politica e religiosa e forze
fondamentaliste che stanno facendo letteralmente di tutto per opporsi,
negare, cancellare i diritti umani delle donne, e' importante per il
movimento femminista concentrarsi sul proprio rafforzamento e sulla
costruzione di reti e coalizioni. Siamo gia' plurali, diventiamolo ancora di
piu', soprattutto se vogliamo (e so che lo vogliamo) opporci alla violenza
di genere.
Negli ultimi anni, le organizzazioni femminili e femministe hanno lavorato
parecchio per diventare piu' inclusive e rappresentative della diversita'
delle esperienze delle donne. Nei casi in cui in risposta a questo desiderio
sono emerse pratiche e spazi, nuove istanze e problematiche sono state
affrontate. Nondimeno, differenziali di potere fra le donne basati su classe
sociale, eta', appartenenze, eccetera, causano spesso notevoli frizioni
quando si vuol lavorare insieme per il cambiamento. A volte nel discutere
prevale un po' di elitarismo e di deferenza all'eta' e ai titoli, il che
puo' allontanare donne meno informate o donne giovani. I principi femministi
della democrazia, della trasformazione e dell'inclusione dovrebbero poter
emergere piu' esplicitamente. Se attestiamo che le tensioni esistono, le
nominiamo e ci confrontiamo onestamente con esse, con la volonta' di
arrivare a una soluzione che ci renda tutte piu' forti, possiamo andar oltre
questo ostacolo.
La faccenda della rappresentativita' e' complessa per la maggior parte dei
movimenti sociali, incluso quello femminista. Se invitiamo una donna di
religione buddista alla nostra conferenza, per sapere come se la passano le
donne buddiste, o una giovane per sapere che fanno le ragazze, e questa e'
tutta la conoscenza che abbiamo di buddiste e fanciulle, rischiamo di
commettere l'errore di considerarle parti di gruppi omogenei in cui non
sussiste alcuna differenza, e di assolutizzare la loro esperienza. C'e' chi
e' convinta di sapere "cosa vogliono le migranti" o "come la pensano le
musulmane", perche' alcune di esse si sono avvicinate alla sua associazione
o ne fanno parte, ma detti gruppi contengono differenze ancora piu' grandi
dei due summenzionati, e sebbene sia vero che alcune difficolta' sono comuni
a tutte le donne migranti, religiose o atee, e' altrettanto vero che alcune
altre sono radicalmente diverse. Proiettando i nostri stereotipi su tutte
perche' ne abbiamo conosciute tre ci alieniamo la potenziale partecipazione
di molte altre. Forse si potrebbe organizzare momenti di incontro in cui
esplorare la propria identita' insieme, in termine di genere, eta', classe
sociale, appartenenze, aspirazioni. Come trainer so che la narrazione delle
esperienze si traduce assai facilmente in scambio di potere su un piano
orizzontale. Come abbiamo affrontato la violenza nelle nostre vite? Che tipo
di esperienze ci hanno rese piu' forti, fiduciose, efficaci? Cosa possiamo
imparare dallo scambio? Questo si rifletterebbe probabilmente anche
sull'organizzazione di azioni. Manifestare va benissimo, e' bello e potente,
ma non tutte quelle che vorrebbero possono (distanze, mezzi economici,
impegni) e altre non si sentono ancora pronte: che tipo di azioni possiamo
proporre a costoro per non disperdere le loro energie ed il loro impegno?
Far pressione su gruppi decisionali, provvedere servizi, mobilitazioni
tramite internet, tenere seminari, usare arte e musica: stappiamo i cervelli
e vediamo che viene fuori.
Un'ultima nota, sul silenzio. Invece di accapigliarci tra di noi, perche'
alcune dicono di romperlo e altre di non averci mai avuto a che fare,
proviamo a capire quanto e come veniamo "silenziate" dall'esterno. Che spazi
offrono i media alle donne in genere, alle femministe in particolare?
Analizziamoli quantitativamente e qualitativamente. Poi passiamo alla stampa
"amica": quanta censura c'e' anche li', e di che tipo? Perche' alcune
persone sono autorizzate (direi ossessivamente) ad intervenire, ed altre
potrebbero ballare su un elefante in piazza e non venir viste? La violenza
domestica ha molto a che fare con il silenzio, e' per lo piu' ignorata
dall'opinione pubblica, e dai media, fino a che non arriva alle estreme
conseguenze (una donna viene uccisa) e allora c'e' il pezzo di cronaca nera,
le depressioni e i raptus dell'assassino, la condotta "imprudente" della
vittima... Fino a che la responsabilita' della violenza viene posta sulla
donna il silenzio delle vittime ha una sua logica.
*
Dare potere a chi ha subito/subisce violenza
L'isolamento delle loro vittime e' il fulcro dell'agire dei partner
violenti, impedisce loro di chiedere aiuto e le rende maggiormente
vulnerabili. Negare ad una donna i contatti con amici e parenti, chiuderla
in casa, proibirle di uscire da sola, di usare il telefono o l'auto e cosi'
via non sono atti qualificabili come "differenze culturali": sono atti di
violenza, punto e basta. Alcuni preferiscono non chiamare "vittime" le donne
che subiscono violenza, perche' pensano che in qualche modo questo
suggerirebbe una loro debolezza di fondo. A me piace dare alle cose il loro
proprio nome, e trovo che i deboli e i vigliacchi siano coloro che usano
violenza, non coloro che ne vengono investiti. Le sopravvissute alla
violenza maschile non dovrebbero mai essere giudicate in base allo stress
che la loro esperienza ha comportato: non sono a priori malate o nervose o
instabili, anche se certamente i traumi hanno avuto effetto su di loro.
Vittima di violenza non significa colpevole di violenza. Non significa
incapace, inetta, cattiva moglie, cattiva madre e quant'altro. Ripeto questo
perche' sia chiaro che la violenza non lascia segni solo sul corpo, ma anche
sulla mente, e sul proprio senso di autostima. Abbiamo bisogno di dire
innanzitutto a queste donne che hanno valore.
Alcuni approcci di "aiuto" alle vittime esagerano nel senso opposto,
enfatizzando la "naturale debolezza" delle donne, che vengono viste come
patologiche per il solo fatto di essere femmine. (Soffro ancora dello shock
dovuto all'aver sentito, in una casa antiviolenza, una psicologa spiegare
come e perche' le donne si attiravano la violenza e la desideravano, ma
sulla necessita' di un minimo comun denominatore su cause/effetti/rimedi
verro' piu' tardi). Questo non aiuta affatto, giacche' ributta per
l'ennesima volta la responsabilita' della situazione su chi ne ha avuto
danni. E' vitale guardare invece alle vittime di violenza come ad agenti per
il cambiamento, sono le "esperte" della situazione, se volete. Hanno bisogno
di aiuto per maneggiare la situazione e capire come trasformarla: lo scopo
di chi fornisce questo aiuto deve essere esclusivamente di accompagnare la
donna verso una vita autonoma e libera dalla violenza. I tempi, i modi, le
soluzioni, si concertano insieme. E' tipico il caso di qualcuno che viene a
contatto con una vittima di violenza domestica (anche chi opera nel settore
dell'assistenza) e la prima cosa che dice e': Perche' non divorzia, o
perche' non lascia il suo partner? E si scoccia o si arrabbia se la donna
risponde che non vuole o non puo' per i piu' svariati motivi. Non e' il caso
di fare ulteriori pressioni ad una persona che e' gia' abbondantemente sotto
pressione. La sua volonta' va rispettata. Inoltre lasciare qualcuno, rompere
una relazione, anche quando in essa non vi sia violenza, e' un processo che
prende tempo per ciascuno di noi. Vediamo invece se siamo in grado di
aiutare questa donna ad ottenere gli strumenti sociali ed economici perche'
la sua scelta sia veramente libera.
Alcuni gruppi di donne sono particolarmente vulnerabili: le piu' anziane,
quelle che sono economicamente dipendenti dal partner e che hanno scarse
prospettive di avere una propria vita lavorativa. In molti casi la mancanza
di alloggi ad affitti accessibili e le basse entrate sono le ragioni
centrali per cui una donna non lascia un partner violento. Se poi il diritto
di residenza e' legato ad una relazione, come e' spesso il caso delle
migranti in Europa, lasciare la casa degli abusi puo' significare perdere
qualsiasi diritto ottenuto. Poverta' e dipendenza sono i fattori chiave del
rischio di violenza: non e' questo qualcosa di cui dovremmo parlare, e di
cui dovremmo chieder conto ai nostri legislatori ed alle nostre legislatrici
(vedasi Pari Opportunita' eccetera)?
*
A che punto (politico) siamo
L'anno 1995 fu uno spartiacque per migliaia di ong e persone che lavorano
per l'eguaglianza e la pace. La conferenza delle Nazioni Unite sulle donne
in Cina mobilito' e motivo' un numero incredibile di donne in tutto il
mondo, incoraggiandole a sviluppare i propri progetti, a presentare proposte
specifiche per la Piattaforma d'azione e ad aprire spazi di partecipazione.
Nella Piattaforma d'azione il tema della violenza contro le donne fu
indicato come una delle dodici "aree critiche": "La violenza contro le donne
e' un ostacolo all'ottenimento degli obiettivi di eguaglianza, sviluppo e
pace". Dalla Piattaforma, per la sua implementazione, l'anno successivo le
Nazioni Unite adottarono un "catalogo" di misure da prendere negli stati
membri al fine di eliminare e prevenire la violenza di genere.
In Europa, le donne che hanno fatto esperienza di violenza fisica almeno una
volta durante la loro vita da adulte vanno da un quarto a un quinto del
totale; piu' di un decimo ha subito violenza sessuale. Tra il 12 e il 15%
delle donne europee subiscono violenza domestica, che continua in molti casi
anche quando non e' piu' "domestica", ovvero quando queste donne hanno
lasciato il partner (so che forse sono noiosa a ripeterlo, ma lo faccio lo
stesso: dietro ad ogni statistiche ci sono volti, storie, cuori, vite
devastate dalla violenza. Non sono solo numeri).
Il Consiglio d'Europa (che ha sede a Strasburgo, di cui fanno parte 47 stati
membri, e che non e' istituzionalmente connesso all'Unione Europea) e' nato
dopo la seconda guerra mondiale con lo scopo, tra l'altro, di salvaguardare
e proteggere i diritti umani e le basilari liberta' democratiche. Uno dei
suoi successi piu' importanti e' la creazione del Tribunale europeo per i
diritti umani. Nel 2002 ha adottato il seguente documento
(www.humanrights.coe.int/equality/Eng/WordDocs/2002r5): "La violenza contro
le donne e' il risultato di uno sbilanciamento di potere tra uomini e donne,
e porta a serie discriminazioni dirette al sesso femminile, sia nella
societa' che all'interno della famiglia. (...) La violenza contro le donne
viola, compromette od annulla il godimento dei loro diritti umani
fondamentali (perche') va contro lo stabilirsi di eguaglianza e pace e
costituisce uno degli ostacoli principali alla sicurezza della cittadinanza
ed alla democrazia in Europa". Il 27 novembre 2006 il Consiglio d'Europa ha
lanciato una campagna per porre fine alla violenza domestica con una
conferenza tenuta a Madrid, in Spagna. I risultati della campagna saranno
presentati l'8 marzo 2008. Al documento segui' uno studio approfondito, reso
pubblico nel 2005, la cui responsabile era la professoressa Carol
Hagemann-White (Universita' di Osnabrueck). Oltre ad attestare che una donna
su cinque, in Europa, subisce violenze da mariti, compagni ed ex compagni,
lo studio quantifico' i costi della violenza domestica: si tratta di oltre
33 miliardi di euro l'anno che comprendono le spese sanitarie, quelle legali
e quelle dei rifugi antiviolenza. Alla cifra manca la spesa relativa ai
giorni di lavoro persi o agli impieghi lasciati eccetera, per cui vi lascio
immaginare.
Nel febbraio 2006, il Parlamento Europeo adotto' una risoluzione sulla
violenza contro le donne: attestando che essa e' una violazione dei diritti
umani che riflette relazioni di potere ineguali fra i generi;
ripromettendosi di avversarla anche tramite legislazioni apposite;
dichiarando di favorire la cooperazione fra attori governativi e non
governativi e di riferirsi a tale cornice per affrontare il problema.
In altre parole: le definizioni adottate rispetto alla violenza di genere
credo siano accettabili, e queste istituzioni a vario livello hanno detto di
aver bisogno di noi o di voler interloquire con noi. Si', le loro parole
potrebbero essere o restare mere dichiarazioni di principio, ma sta anche a
noi lavorare perche' non vengano disattese. Non deludiamo questa gente,
ragazze (scherzo): facciamo in modo invece che aprano i portafogli, perche'
la lotta alla violenza contro le donne ha anche bisogno di fondi.
Le parlamentari possono giocare un ruolo importante nella lotta alla
violenza contro le donne, facendo adottare leggi che stabiliscano come essa
sia una seria ed inaccettabile aggressione alle persone ed alla loro
dignita' umana, che puniscano tali offese, che provvedano aiuto alle vittime
di violenza, e prevenzione (con lo scopo di cambiare l'atteggiamento
dell'opinione pubblica verso il problema). In Austria, una campagna
nazionale di questo tipo e' iniziata il 30 aprile 2007 con "La notte di
Valpurga", in cui si e' mostrata la dimensione storica della violenza contro
le donne: "Tramite la nostra azione ad Innsbruck abbiamo ricordato al
pubblico il crudele trattamento inflitto alle donne accusate di essere
streghe, dal XIII al XVII secolo. Nel giugno successivo abbiamo realizzato
un appartamento in una piazza a mo' di "scena del crimine", per mostrare
come la casa non sia necessariamente un posto "sicuro" per le donne, ma
troppo spesso il luogo in cui la violenza maschile contro le donne e i
bambini si scatena. Per coinvolgere emotivamente gli spettatori, abbiamo
accoppiato alla scena canzoni che inneggiavano all'amore eterno e letto
articoli di cronaca. Il mito del grande amore e la realta' di una casa
cozzano spesso. Nel settembre 2007 siamo passate a concentrarci sulla
violenza nelle scuole. Durante i sedici giorni di attivismo contro la
violenza di genere (dal 25 novembre in avanti - nda) abbiamo trattato della
violenza nelle aree pubbliche e della sicurezza. La campagna non terminera'
nel 2008; anzi, il prossimo anno avremo due grosse occasioni per portarla
avanti, grazie a due partite degli europei di calcio che si terranno ad
Innsbruck: l'esperienza dei mondiali di Germania ha mostrato che il traffico
di donne e la prostituzione forzata hanno un collegamento a questi eventi e
vogliamo sensibilizzare l'opinione pubblica a tal proposito" (Gisela Wurm -
per contatti: e-mail: Gisela.Wurm at spoe.at, sito: www.spoe-tirol.at).
Non vi pare un bel programma? Forse potremmo provarci anche noi.
*
Costruiamo tavoli (viva i falegnami, di ambo di sessi)
La seguente lista sugli aspetti della violenza di genere e' quella minima su
cui, a mio parere, ci si puo' trovare d'accordo:
- Violenza fisica, sessuale e psicologica all'interno della famiglia. Il che
include gli abusi sui bambini, lo stupro da parte di mariti e compagni, le
pratiche "tradizionali" come le mutilazioni genitali e i matrimoni forzati;
- Violenza fisica, sessuale e psicologica che si da' negli spazi pubblici,
dalla molestia allo stupro, in ambito lavorativo, scolastico, cittadino. Il
che include il traffico di donne e la prostituzione forzata;
- Violenza fisica, sessuale e psicologica perpetrata da istituzioni e stati.
Il che include leggi e provvedimenti che rendono le donne "diseguali" di
fronte alla legge, che limitano le loro opportunita' eccetera.
La mia proposta e' di costruire "tavoli antiviolenza" in ogni citta', a
partire da questo minimo comun denominatore, con lo scopo di identificare il
problema negli ambiti in cui si vive (casa, quartiere, citta', lavoro,
scuola) e dare ad esso risposte efficaci e adeguate. A "chiamare" il tavolo
puo' essere uno qualsiasi dei soggetti di seguito menzionati, ognuno dei
quali dovrebbe a mio parere farne parte (se presente sul territorio, ovvio):
le case e i gruppi antiviolenza; le associazioni di donne migranti; la
polizia; le associazioni studentesche; i servizi sociali; i servizi
sanitari; avvocate e magistrate; le organizzazioni femministe; il movimento
nonviolento (pro doma mea negli ultimi due casi, e' vero, ma il movimento
nonviolento ha cosi' tanto da dare e cosi' poche occasioni per farlo che mi
sento di spendere una parola in piu' a suo favore), donne politiche locali,
e soprattutto: le donne che hanno subito violenza, e le loro figlie e figli
se in eta' da  poterlo fare.
La chiamata potrebbe essere un semplice annuncio in cui si attesta di voler
denunciare ed eliminare tutte le forme di violenza contro le donne, e in cui
si delinea la visione di una societa' in cui il reciproco rispetto,
l'eguaglianza e la cooperazione determinano le relazioni tra donne ed
uomini, tra genitori e figli e tra gli individui in genere. Le linee guida
del tavolo vanno ovviamente decise da chi del tavolo fa parte, io mi limito
a suggerire una traccia, e cioe' che la sicurezza di chi subisce violenza
deve essere la priorita' principale per tutti.
Il tavolo potrebbe dapprima verificare quante delle seguenti buone pratiche
di base sono in moto in Italia e nella propria specifica citta', quali no,
quali vanno potenziate e cosa possiamo aggiungere:
- Una linea telefonica d'emergenza nazionale, attiva 24 ore su 24, in grado
di fornire informazioni in piu' lingue;
- Numero adeguato di rifugi e case antiviolenza sul territorio locale e
nazionale;
- Approccio proattivo: quando il caso di violenza diventa pubblico, la
vittima o le vittime devono essere attivamente contattate e deve essere loro
offerto aiuto;
- L'aiuto deve essere adeguato anche ai bambini ed ai gruppi specifici di
donne: le migranti, membri di minoranze, disabili, eccetera;
- Lo stato deve finanziare questi servizi in modo adeguato, anche perche'
alle vittime essi non devono costare assolutamente nulla;
- Permessi di soggiorno e garanzia d'asilo alle donne migranti vittime di
violenza;
- Programmi educativi diretti ai perpetratori, per aiutarli ad uscire dal
modulo della violenza.
Valutato cosa sia disponibile sul territorio, e progettato cos'altro si
vuole che lo sia, si puo' fare la propria prima azione utile distribuendo
volantini che riportino cosa c'e' gia' (in piu' lingue) e a chi ci si puo'
rivolgere, oltre ad informare dell'esistenza del tavolo. Dove li lasciamo?
Dovunque ce lo consentano, ma soprattutto negli ambulatori, nelle sale
d'aspetto d'ogni tipo, e nei gabinetti pubblici: alcune vittime di violenza
potrebbero non osare raccogliere il volantino sotto gli occhi di altri, ma
nel gabinetto delle signore non c'e' nessuno a controllarle.

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 142 del 6 dicembre 2007

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it